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domenica 12 giugno 2011

Recensione cortometraggio "La Dolce Mano della Rosa Bianca" (Regia Davide Melini)


Produzione: Ita-Spa, 2010

Regia: Davide Melini.

Soggetto e Sceneggiatura: Davide Melini.

Fotografia: José Antonio Crespillo.

Colonna sonora: Christian Valente e Ivan Novelli

Interpreti Principali: Carlos Bahos (Marco), Natasha Machuca (Rosa Bianca), Leocricia Sabán (Maria)

Durata: 16 minuti circa.

Trama:

Giovane un po' depresso guida la propria auto in piena campagna, quando, infastidito dal continuo squillare del cellulare, decide di rispondere. Dalla parte opposta, intanto, sta sopraggiungendo una bambina in sella alla sua bici...

Commento di Matteo Mancini:

Dopo “The Puzzle”, “La dolce mano della rosa bianca” è il secondo lavoro che visiono dell'amico Davide Melini. Già collaboratore di Dario Argento né “La terza madre”, Melini si è trasferito da anni in Spagna dove ha deciso di tentare la scalata per diventare un regista affermato.

Con questo cortometraggio l'autore romano compie un netto passo in avanti rispetto ai suoi precedenti lavori. Il merito va alle indubbie doti personali del trentaduenne, ma anche a un cast artistico e soprattutto tecnico in splendida forma capace di sopperire al budget risicato con una disinvoltura che lascia stupiti.

Ciò detto scendiamo nel merito della pellicola.

L'opera, eccetto il bellissimo e poetico epilogo, ruota attorno a un soggetto (dello stesso Melini) che non brilla per particolare originalità (ho visto qualcosa di simile in un altro corto italiano girato in bianco e nero un paio di anni fa). Abbiamo un giovane ragazzo che vaga in un cimitero, a causa di un terribile incidente stradale che l'ha visto coinvolto a seguito di una banale disattenzione. La sceneggiatura non lo spiega, tuttavia sembra (almeno nel ricordo dell'uomo) che dopo lo scontro il ragazzo si sia dato alla fuga e che in un secondo momento, morso dai sensi di colpa, abbia deciso di rendere omaggio alla giovane che ha travolto e ucciso. Ciò che il giovane non sa è che nel cimitero lo attende un'amara sorpresa. L'innovazione di Melini sta nell'aver optato per una conclusione in cui l'amarezza e la sconfitta evolvono in dolcezza e trionfo dell'amore sulla morte. Ecco che il finale diviene qualcosa di eccelso in cui l'autore imprime a fuoco una netta impronta, evitando quelle soluzioni telefonate di cui invece già si sentiva l'odore a causa di una serie di citazioni e di soluzioni visive fin troppo inflazionate (si vedano le ombre che, d'improvviso, passano da una parte all'altra della telecamera o la scena, in omaggio all'argentiano “Tenebre” e a “Doppia personalità” di Brian De Palma, in cui la bambina appare alle spalle del protagonista). Il nostro però non si ferma qua, oltre alle già menzionate, ripropone le fronde degli alberi riprese dal basso verso l'alto che si muovono per effetto del vento (in stile “Phenomena”), i primissimi piani di una luna investita dalle nubi, ma anche l'inquadratura iniziale di un teschio di plastica illuminato di arancione (molto “Halloween”) sospeso accanto alle gambe di una ballerina in una sequenza iniziale che farebbe impazzire Robert Rodriguez (penso all'inizio di “Planet Terror”) e ancora la scena in bianco e nero (in stile “Schindler's List” o “Sin City”) con la bambina riversa a terra e il sangue rosso che scende piano piano sull'asfalto in modo da rendere netto il contrasto di colori (effetto che non può non colpire lo spettatore).

La regia di Melini è molto pimpante e fumettistica tanto da dare l'idea di tradurre in immagini le tavole di un ipotetico storyboard. Moltissimi i primi piani, poche le riprese in campo lungo (quelle, bellissime, che immortalano il preludio del sinistro). Appropriate, perché a mio avviso aumentano il realismo del film, le scelte di dirigere alcune scene partendo da un qualcosa di specifico e poi scivolare di lato fino a riprendere il personaggio protagonista che da fuori campo entra in azione.

I momenti migliori del corto sono soprattutto i titoli di apertura, anche per merito di un montaggio eccezionale e di un'ottima colonna sonora, e la sequenza nella cripta (forse la più sinistra dell'intera opera, con quell'atmosfera tipica degli spaghetti thriller anni '70). Non è altresì inferiore la parte ambientata nel cimitero, anche se tende a perdere di pathos dal momento in cui Bahos vede chiudersi alle spalle il corridoio da cui era passato. Dopo questa scena, infatti, c'è una parte, preludio dell'ottimo epilogo, che, a mio avviso, doveva esser scritta in modo più personale (nella scelta del look della bambina, tra l'altro, ci sono velate citazioni agli horror giapponesi).

Degna di nota la fotografia di José A. Crespillo che, su richiesta di Melini, rende le immagini oniriche e lo fa con colori vivacissimi (specie nella parte ambientata al cimitero). Ne discende una fotografia lussuosa per un prodotto semi-professionale che sarebbe capace di rivaleggiare tranquillamente con quelle di prodotti sulla carta più ambiziosi. Dunque davvero una prova eccezionale quella di Crespillo.

Ottimo lavoro anche per l'accoppiata Valente-Novelli sia per la colonna sonora sia per i curatissimi effetti sonori.

In palla Bahos e la piccola Machuca (classe 1998) che non cadono nell'apatia tipica che contraddistingue gli aspiranti attori, ma riescono a recitare senza far storcere il naso dei più esigenti. Bravo, nella loro direzione, Melini anche per l'intuito di diminuire le difficioltà di recitazione, ricorrendo all'escamotage delle voci fuori campo (che sostituiscono quasi del tutto i dialoghi). Ruolo da comprimari per tutti gli altri attori.

In definitiva un bel prodotto. Non a caso “La dolce mano della rosa bianca” è risultato finalista in svariati Festival italiani, spagnoli, americani e sud africani e recensito da testate e siti dei medesimi Stati. Indubbiamente buono, soprattutto sotto il profilo tecnico. Melini è un regista da tenere sott'occhio, parola di Matteo Mancini alias giurista81.

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