Anno: 1935.
Genere: Fantascienza / Avventura.
Editore: Black Dog (2021).
Pagine: 128.
Prezzo: 14.00 euro.
Commento a cura di Matteo Mancini.
Mi chiamo Matteo Mancini, sono nato a Pisa nel 1981 e abito nell'indipendentista Tirrenia. Sono un grande appassionato di B-Movie (dallo spaghetti western, passando per il "poliziottesco" e proseguendo con thriller e horror). Tra le mie tante passioni le più forti sono la narrativa specie del genere fantastico scuola weird tales e la scrittura. Nella foto mi vedete, al centro, con a dx Antonio Tentori e la "giallista" Cristiana Astori, e alla mia sx Mr.B-Movie Dainelli e Ivo Gazzarrini.
Autore: AA.VV..
Anno: 2024.
Genere: Fantastico - Weird.
Editore: Dagon Press.
Pagine: 160.
Prezzo: 12.90 euro.
Quarto numero della rivista/antologia Weird, forse il più prezioso per la presenza di un inedito assoluto di Abraham “Bram” Stoker, il mitico autore di Dracula. Pietro Guarriello anticipa la concorrenza e, avvalendosi della traduzione di Emilio Patavini, propone Gibbet Hill (“La Collina degli Impiccati”, 1890), un racconto pubblicato sul Daily Express di Dublino e poi scomparso dai radar. È un racconto che rispecchia l'interesse di Stoker per i serpenti, basti ricordare i due romanzi che chiudono il cerchio della sua produzione ovvero l'esordio con The Snake's Pass (“Il Passo del Serpente”), scritto proprio nel 1890, e il più famoso The Lair of White Worm (“La Tana del Serpente Bianco”, 1911), romanzo di congedo. Pur non essendo un capolavoro, Gibbet Hill è un racconto di grande presa naturalistica che ricorda molto da vicino certi lavori di Algernon Blackwood e altri di Arthur Machen (stregonerie giostrate da bambini diabolici). Stoker lo inizia all'insegna di una cronaca di valenza socio/folkloristica sugli usi e costumi del popolo britannico. La storia si dipana blandamente fino a crescere verso un acuto in salsa horror. Non un capolavoro, ma a tratti ipnotico e di certo un bel racconto rinvenuto sul finire del 2023 negli archivi della biblioteca d'Irlanda. Dunque una proposta che vale da sola l'acquisto del libricino, sebbene sia un numero per il resto non certo memorabile. In prima battuta diminuiscono il numero di pagine, che passano da un massimo di 204 ad appena 166 pagine (120 dedicate ai racconti), con un calo di circa quaranta pagine ovvero prossimo al 20% senza che questo incida sul prezzo di copertina che resta lo stesso. I sette racconti proposti non sono stati amalgamati a dovere. Sono tutti piuttosto brevi, a breve respiro e ciò non rende entusiasmante la lettura. A ciò deve aggiungersi che, a parte i due ospiti italiani (che di certo non sfigurano nel confronto) e il racconto di John Vernon Shea, si tratta di testi liberi da diritti che Guarriello pesca al di fuori del circuito delle edicole in una sterminata offerta che, di certo, annovera perle mai giunte in Italia e che, pertanto, poteva essere effettuata meglio.
Tra
i racconti proposti spicca, per il beffardo ma “disonesto” finale, Los
Ojos de Lina
(Gli
Occhi di Lina,
1904),
un esercizio di stile per trequarti di racconto che gigioneggia sullo
sguardo femminile per poi andare a parare in un prefinale tragico che
strizza l'occhio a Berenice
(1835)
di Edgar Allan Poe salvo poi riscrivere il tutto. Conclusione cinica e che sembra suggerire un qualche strascico personale col
gentil sesso (magari una cocente delusione amorosa). L'epilogo è comunque di gran effetto.
Punta tutto sullo stile anche Jane de la Vaudère con Volupté Rouge (“Lussuria Rossa”, 1902), un testo estremamente elegante e allusivo ambientato nel mondo del circo, con venature erotiche che portano al drammatico e sadico epilogo piuttosto telefonato ma comunque efficace.
Questi i tre migliori racconti, dietro ai quali si assesta l'affascinante e fiabesco Crowdy Marsh (“La Palude delle Tre Streghe”, 1910) di Sabine Baring-Gould, una sorta di riscrittura del mito delle tre parche.
Colpisce
meno The
Old Lady's Room (“La
Stanza della Vecchia Signora”, 1964) di John Vernon Shea, non
perché sia un brutto racconto, ma perché la storia proposta è
trita e ritrita con uno sviluppo prevedibile che non annovera alcun
colpo di coda. Il tema è quello della casa infestata che vede il
nuovo ospite alle prese col fantasma del precedente inquilino che non
intende lasciare l'appartamento e, a poco a poco, si sovrappone al nuovo arrivato. Da un punto di vista di quadratura, insieme al
racconto di Stoker, è il racconto più strutturato del lotto, ma i
contenuti non sono tali da renderlo memorabile. Finale da horror cinematografico.
Completano il lotto i contributi di due amici. Maurizio Bianciotto con L'Abitatore del Bosco presenta un soggetto ultraclassico in perfetta linea con la sua produzione dominante. Point to Point di ambientazione est europea, con riferimenti storici legati alle vicende della Polonia ai tempi dell'invasione in Russia di Napoleone, e contenuti tipici della storia alla Dracula. Un viandante sorpreso dalla bufera nel bosco, contrariamente alle leggende popolari e agli avvisi ricevuti, ripara in una villa (anziché in un castello) di un Conte maledetto. Seguono la cena e gli incubi notturni. Ottima scrittura, talento cristallino nella gestione dei tempi narrativi, ma soggetto inflazionatissimo.
Paco Silvestri invece guarda a storie tipo Into the Pit (1999) di Richard Laymon con Pozzi. Una storia dall'indubbia atmosfera horror nella parte terminale, ma debole nell'innesco. Riesce tuttavia a catturare l'interesse del lettore e mostra una buona capacità dell'autore nel suscitare la tensione.
Trenta pagine di ampie biografie degli autori trattati completano un volume che, un po' come il numero 1, lascia la sensazione di non aver massimizzato le potenzialità. Resta comunque una buona iniziativa, specie per il suo dare spazio a validi scrittori italiani ancora in cerca di un'affermazione importante e per cercare di presentare scrittori poco noti e in alcuni casi sudamericani.
“Credete che esista una donna capace di compiere il sacrificio di cui vi ho parlato? Se gli occhi di una donna vi feriscono, sapete come rimedierà? Strappando i vostri, per non vedere i suoi.”
Avete presente le novelle della serie Challenger di Conan Doyle (si pensi a The Lost World – Il Mondo Perduto, 1912) e il pulp Gestapo Mars (2015) di Victor Gischler? Ecco, The Lost Level, serie pubblicata da Brian Keene a partire dal 2015 e ancora in fase di sviluppo, si muove su queste coordinate avendo come base di riferimento The Dark Tower (“La Torre Nera”) di Stephen King.
Ci troviamo infatti in un secondary world a cui si accede, per mezzo della magia (così fa il protagonista, un occultista con una certa vocazione per l'azione), passando da un livello all'altro e muovendosi tra passato e futuro.
“Il Labirinto” di Keene, così come “La Torre Nera” di King, “collega tutto e usandolo si può viaggiare di pianeta in pianeta e di galassia in galassia... La nostra galassia e il nostro universo hanno differenti versioni che esistono in altri spazi dimensionali”. Si parla dunque di realtà alternative da cui si può accedere a ulteriori livelli (altrimenti detti dimensioni). “Il Livello Perduto” è una dimensione trappola, costantemente battuta dal sole, da cui, una volta penetrati, non si può più uscire. Keene sviluppa proprio in tale dimensione la sua adventure story e lo fa con un piglio weird, prossimo a quello che ci aveva deliziato in occasione di Earthworm Gods (“I Vermi Conquistatori”, 2005), interamente votato all'azione (lotta con spade, mani nude, pistole e fucili futuristici). Non ci sono situazioni dissacranti in ossequio agli estremismi a cui talvolta l'autore piace abbandonarsi. Anzi, in alcuni punti, ci sono sdolcinati momenti politically correct (tipo uno spot propagandistico in favore della parità tra i sessi). The Lost Level è un romanzo che sarebbe molto piaciuto ai lettori di inizio novecento e che omaggia i film fantascientifici degli anni cinquanta animati con la tecnica della stop motion. Il romanzo è pieno zeppo di mostri che altro non sono che creature del nostro mondo presentate in versioni ciclopiche (tipo granchi e lumache giganti), ma figurano anche un T-Rex che lotta con un robottone (la copertina rappresenta una parte di storia), uno pterodattilo (omaggio a Doyle) che intende artigliare i nostri e il leggendario ottofante, oltre piccoli uccelli piranha e, udite udite, dischi volanti nazisti, grigi (alieni in vena di abduction) e vera e propria spina nei fianchi gli annunaki (dei rettiliani antropomorfi che fungono da antagonisti per tutto il corso della vicenda).
La
struttura, che non ha una vera e propria fine presentandosi quale
primo episodio di una storia che resta in sospeso, segue il cliché tipico
dei point
to point. Un
occultista, in vena di sperimentazioni, si ritrova perduto in un mondo presentato come una
terra dei primordi. Natura allo stato puro, trappole continue che
annoverano pericoli come erba tagliente, pozze di acqua che si
rivelano creature invertebrate e animali di ogni specie
(persino un gatto antropomorfo). Durante la marcia, il nostro
libererà alcuni umani autoctoni dalla prigionia di un plotone di
uomini serpenti e da qui partirà l'avventura per tornare al villaggio
dei liberati. Keene inserisce la storia d'amore tra il protagonista e
la regina liberata e, soprattutto, un'infinita sequela di scene d'azione che
delizieranno gli amanti dei mostri giganti. Tante le sottotracce,
alcune appena abbozzate, come un morbo zombie che avrebbe colpito
una realtà parallela a quella terrestre e da cui sarebbe fuggito un
cowboy finito nel livello perduto, oppure l'idea di un creatore che si muove nei sotterranei del mondo in combutta con i grigi, la presenza di robot
volanti provenienti dal futuro che raccolgono la posta e che ricordano quelli presenti in
The
Waste Lands (“Terre
Desolate”, 1991) di King, e ancora riferimenti a Il
Triangolo delle Bermude, aerei
da guerra abbandonati nella boscaglia, riferimenti a un mondo in cui
i nazisti hanno trionfato, templi pagani e via dicendo. Ce n'è
davvero per tutti i gusti e la cosa promette bene per i sequel.
L'edizione
curata da Lettere Elettriche è professionale. Traduzione ed editing
curati al punto giusto. Non ho rinvenuto refusi o scivolate particolari, a
parte qualche dialogo che si poteva scrivere meglio (non so se da
parte di Keene). La copertina è quella originale.
Il finale, già lanciato verso un sequel, promette un prosieguo che Keene ha scritto tre anni dopo dando alle stampe Return to the Lost Level (2018).
L'intrattenimento
è assicurato. Lettura di evasione, nel vero senso della parola. Tra le scene più bizzarre segnalo quella con Bloop (uno
dei personaggi più riusciti e ben caratterizzati da Keene, una
specie di Chewbecca di Star
Wars)
che omaggia l'epilogo con Perlman in Pacific
Rim (2013). La più riuscita, invece, è la parte horror nel tempio della lumaca.
Alessandro Girola lo saccheggerà, pur introducendo delle varianti, per il suo Cocagne. Keene, però, è altra roba.
Autore: Alessandro Girola.
Anno: 2018.
Genere: Fantasy / Azione.
Editore: Plutonia Publications.
Pagine: 300.
Prezzo: 13.00 euro.
Vero e proprio romanzo di Alessandro Girola, a quanto pare tra i più apprezzati della sua sterminata e copiosa produzione (il sottoscritto si dissocia). Siamo dalle parti del sword and sorcery, anche se sarebbe più corretto parlare di multiverso e realtà parallele. Facente parte di un ciclo formato da episodi autoconclusivi (tra i quali la serie Biondin e Astrea), Cocagne prende spunto dalla tradizione classica (il viaggio dell'eroe nell'aldilà inteso in senso ampio del termine), tra Dante Alighieri, Mago di Oz (con tanto di partecipazione diretta del suo autore in veste di personaggio) e soluzioni visive che rimandano a Bosch, per arrivare a quelle che sono le veri fonti di ispirazione ovvero The Dark Tower (“La Torre Nera”) di Stephen King e soprattutto The Lost Level (“Il Livello Perduto”) di Brian Keene. Girola, che ha letto in inglese la produzione di Keene, anticipa l'uscita sul mercato italiano del capitolo pilota della saga (sdoganato nella nostra penisola nel 2025 da Badlands) realizzando un vero e proprio clone con molti inneschi comuni. Il protagonista infatti, come l'eroe di Keene, è un esperto di occultismo e di rituali magici per mezzo dei quali riesce a varcare un portale multidimensionale che lo ammette nel Mondo Delta, una dimensione da cui si dipanano tutte le realtà parallele che contraddistinguono la realtà.
La struttura è quella del point to point, alla ricerca di una sorgente magica capace di guarire i mali fisici. Il protagonista infatti, tutt'altro che un uomo di azione (fa il commercialista), è affetto da un tumore alle ossa e pensa bene di sconfiggerlo ricercando una sorgente di cui ha letto (!?) nei resoconti di coloro che sono tornati da Mondo Delta. Girola semplifica tanto, scivolando in più di un passaggio in ingenuità e, talvolta, persino in soluzioni più consone a una fiaba (la Baba Yaga che confeziona pasticcini). L'occasione è comunque propizia per realizzare un bel frullato e calare nel suo secondary world, un po' alla King, molte delle tematiche care alla sua produzione fatta di bestioni giganti (abbiamo un carnosauro, presente anche in Keene, in una sequenza che omaggia l'aggressione del T-Rex nei pressi della cascata in Jurassic Park di Crichton) di nazisti, passando per i robottoni, i centauri, le streghe, le gatte mannare stile Il Bacio della Pantera e creature mostruose ibridate da componenti umane (un po' come il mostro nel film Leviathan di Pan Cosmatos). Si passa continuamente da un'avventura all'altra, tra patti, combattimenti all'ultimo sangue, pietre magiche e fughe nella vegetazione. A differenza di altre opere dello scrittore milanese, si percepisce una minore cura nello stile. L'editing è buono, non fraintendetemi. Non ho ravvisato refusi o passaggi appesantiti, ma ho avuto la sensazione di una costruzione dei periodi fin troppo semplificata e velocizzata, come se l'autore mirasse a sfornare piuttosto che a particolareggiare. La lettura non è elegante ed evocativa, optando per un taglio piuttosto freddo nel tratteggiare le scenografie e nel raccontare gli accadimenti. A tratti il tutto diventa didascalico, con “spiegoni” e narrazioni di episodi avvenuti in passato filtrati dall'artificio del dialogo (aspetto che uccide il pathos). Non si lavora adeguatamente sulle atmosfere per un romanzo, peraltro, dalle infinite potenzialità. Alla fine, resta una lettura veloce, con tanta carne al fuoco che, tuttavia, non riesce a rapire l'emotività dei lettori. Personalmente, gli trovo superiore, come costruzione e tecnica di scrittura, Tigre Blu. A presto per nuove letture di opere di Alessandro Girola.
Il volume esiste in tre versioni: ebook, cartaceo con copertina flessibile e cartaceo con copertina rigida.
Quarto capitolo della serie poliziesca Mr Mercedes da cui arriva uno dei pochi personaggi seriali della narrativa di Stephen King: la detective Holly Gibney. Uscito nel 2018 dopo Sleeping Beauties, The Outsider prosegue il percorso di Stephen King nel thriller e nel romanzo di indagine prendendo vie che ricordano molto da vicino quelle battute da Dean Koontz negli anni ottanta. Tornano infatti concetti come quello del doppio, dell'indagine su una catena di omicidi seriali su cui si affacciano componenti soprannaturali, la tematica delle violazioni di domicilio, delle minacce, degli stupri e delle brutali violenze sessuali. Da ultimo ecco poi arrivare i poteri parapsicologici del villain di teletrasportarsi da un posto all'altro, seppure in forma similar ectoplasmatica. Tutte tematiche e concetti propri della narrativa di Koontz, si vedano romanzi quali Whispers (“Sussurri”, 1980) o The Bad Place (“Il Posto del Buio”, 1991). Su tale intelaiatura King “monta” la leggenda metropolitana/folkloristica dell'uomo nero. La figura dell'uomo nero, assai cara a King fin dai tempi dell'antologia A Volte Ritornano, è riadattata in favore della leggenda messicana di “el cuco”, una sorta di vampiro sudamericano sprovvisto di forma e costretto a nutrirsi di sangue e di carne umana per poter sopravvivere e plasmare il proprio corpo assumendo quello dei soggetti da cui ha estratto il DNA e su cui andranno a ricadere le colpe dei suoi crimini (lascia infatti prove e indizi dietro di sè proprio per fare accusare altri). “Quando i bambini americani intagliano la zucca per Halloween, stanno scolpendo il ritratto di El Cuco”. Dunque abbiamo una di quelle figure cinematografiche alla Freddy Krueger o alla Michael Myers, sebbene di natura extraterrestre (l'essere è composto da vermi). In buona sostanza, Dracula incontra gli Ultracorpi, in un substrato di critica alla giustizia penale che si spinge, per effetto della supponenza (dovuta alla presunte certezze scientifiche) tipica del luminare che pensa di aver tutto sotto controllo, ad accusare persone di reati che non hanno compiuto. Aspetto quest'ultimo non di poco conto nell'economia della storia, posto che due innocenti incontreranno la morte anche per via di una valutazione (non lontana della realtà) pecoreccia delle masse giustizialiste.
Ecco che The Outsider (l'intruso) si presenta con le stigmate di un vero e proprio romanzo di indagine le cui premesse iniziali verranno a poco a poco scombinate da un qualcosa di inedito e sconosciuto che mina le certezze dei sistemi accusatori. Dal giallo/thriller si evolve in un horror d'azione che termina forse frettolosamente (omaggiata la morte del T-1000 in Terminator - Il Giorno del Giudizio), seppure in un contesto assai scenografico debitore di romanzi come Demon Night (“La Notte del Demonio”, 1989) di Joseph Michael Straczynski.
King adotta un ritmo molto più sollecito del suo solito, specie nelle fasi iniziali, divertendosi a omaggiare la narrativa classica (William Wilson di Poe, Sherlock Holmes di Doyle, Dracula di Bram Stoker) ma anche i prodotti cinematografici dei drive in con gustosi omaggi tarantiniani a film messicani come Rosita luchadora e amigas conocen El Cuco ovvero “Le wrestler messicane incontrano il mostro”. L'inizio è memorabile e ricorda certe scene del racconto Blockade Billy (“Blocco Billy”, 2017, contenuto ne Il Bazar dei Brutti Sogni). Lo sviluppo tuttavia segue cliché lontani dalla tradizione kinghiana degli anni ottanta e novanta. King viene fuori alla distanza e lo fa con uno sguardo che omaggia i classici della narrativa del terrore e, al tempo stesso, offre una metafora del male umano, raffigurando “il mostro” con tratti insospettabili rappresentati da facce banali che incarnano il buon vicino della porta accanto. Ecco arrivare le citazioni dirette a Ted Bundy e a John Wayne Gacy, ma anche a Renfield (l'outsider ha un aiutante pazzo a servirlo), all'attitudine del mostro (come Dracula) di vivere riposando nei luoghi di sepoltura e persino la sfumatura freudiana e psicanalitica che fa del mostro un impotente sessuale come tale era Dracula (King dedica un'approfondita analisi sulla questione in Danse Macabre, 1981, parlando di sessualità orale). Lo stesso finale, all'apparenza frettoloso, non è troppo dissimile rispetto a quello di Dracula e si chiude sempre con la distruzione della testa dell'essere infernale (vera e propria cabina di regia). Più che in Bram Stoker, dove si fa un rapido accenno alla genesi del mostro, in The Outsider nulla viene detto sulla natura del villain. È una scelta deliberata. King propone alternative ipotetiche che, tuttavia, decide di non risolvere.
Alla fine ne viene fuori un romanzo più maturo e più allineato alla narrativa commerciale convenzionale, in grado di aggraziarsi i puristi del giallo ma che si trasforma in horror per la natura extraumana del villain. Tra i momenti da antologia kinghiana vi è la sparatoria all'esterno della grotta, la parte finale all'interno della stessa, l'arresto iniziale in uno stadio di baseball e la sparatoria ai piedi del tribunale. Bella anche la scena della contaminazione del poliziotto sfiorato da El Cuco.
Dunque un romanzo che definirei onesto, privo di quelle ingenuità che sovente filtrano dalle righe kinghiane, che riesce a intrattenere pur pagando qualcosa in termini di originalità. Non il top nella produzione kinghiana, ma neppure un romanzo che si può utilizzare a supporto della tesi (che non supportiamo) di un Stephen King in declino. L'autore tornerà a utilizzare la protagonista in Holly (2023) e nell'appena uscito Never Flinch (2025). Il romanzo, invece, ha ispirato una serie televisiva del 2020.
“La realtà è come uno strato di ghiaccio sottile, ma quasi tutta la gente ci pattina sopra tranquillamente e il ghiaccio si rompe solo alla fine.”
Autore: Emile Erckmann e Alexandre Chatrian.
Titolo Originale: L'Oreille de la Chouette.
Anno: 1849-1860.
Genere: Folk Horror.
Editore: Agenzia Alcatraz, 2023.
Pagine: 350.
Prezzo: 17.00 euro.
Tredicesima uscita per la collana Bizarre dell'Agenzia Alcatraz, che ripropone i numeri più famosi della serie belga Marabout Fantastique. Dopo aver rispolverato alcuni dei nomi più famosi del fantastico francofono (e non solo, basti ricordare le uscite dedicate a Ethel Mannin e Vernon Lee), è la volta della coppia costituita da Emile Erckmann e Alexandre Chatrian, due autori della seconda metà dell'ottocento soliti firmare a quattro mani i loro testi.
Assai famosi in vita nella seconda metà dell'ottocento, soprattutto per i loro adattamenti teatrali, le riduzioni liriche (addirittura di Pietro Mascagni), i romanzi patriottici e i racconti incentrati sulle cronache di vita rurale della popolazione dell'Alsazia-Lorena (di cui i due autori erano originari), il sodalizio Erckmann-Chatrian ha scritto pagine importanti del fantastico francese tanto da ricevere lodi da firme quali Howard P. Lovecraft (che li cita nel suo Supernatural Horror in Literature) e Montague R. James. Una qualità sfociata in oltre un milione di copie vendute quando ancora erano in vita. Una fortuna che ha toccato il fantastico (campo di elezione soprattutto di Erckmann) salvo poi allontanarsene a favore di tematiche di presa storico-politica. Un successo rovinato dalla vicenda conclusiva che ha posto termine alla collaborazione sfociando addirittura nelle aule di tribunale, a seguito di una serie di rivelazioni fornite da Alexandre Chatrian a un giornalista de Le Figarò. Chatrian affermò che il socio Erckmann aveva posizioni politiche filo tedesche e assicurò che l'autore delle opere firmate Erckmann-Chatrian in realtà era lui stesso. Assai infastidito, Erckmann citò a giudizio l'ex amico e riuscì a ottenere la condanna dello stesso per diffamazione. Quarant'anni di carriera (1847-1889) cancellati da un triste epilogo, reso ancora più amaro dai problemi mentali che minarono la salute di Chatrian portandolo alla morte pochi mesi dopo la condanna.
Nel novecento la produzione Erckmann-Chatrian è stata a poco a poco ridimensionata, tanto che i due autori non sono stati citati nel volume francese (aspetto che rende ancora più importante l'esclusione) della Edipem Maestri della Letteratura Fantastica. A loro non è neppure dedicato un rigo nella Guida alla Letteratura Horror dell'Odoya anche perché nel novecento, in Italia, la loro produzione è stata quasi del tutto ignorata. Il loro primo racconto (L'Araignée-Crabe) è stato pubblicato nel 1957, all'interno dell'antologia Destinazione Universo, per poi esser di nuovo riproposto nel 1994 in un trittico tutto dedicato alla coppia francese edito da Edizioni Theoria e completato da Le Trois Ames e Le Lunette de Hans Schnaps.
Si deve poi a riviste come Hypnos (nel numero 10 dell'autunno 2019 è pubblicato uno speciale di Danilo Arrigoni interamente dedicato alla coppia) e ad Agenzia Alcatraz la loro riscoperta, oltre che alla Dagon Press di Pietro Guarriello che, nel 2021, ha proposto per la prima volta in Italia un romanzo della coppia: Hugues Le Loup (“Il Lupo”).
L'antologia della Agenzia Alcatraz, ottimamente tradotta da Camilla Scarpa, delude le attese degli amanti del fantastico, a causa di una selezione (operata dai curatori della Marabout Fantastique) che non massimizza la produzione fantastica della coppia diluendo il materiale con tanti racconti che di fantastico non hanno nulla. Sarebbe forse stato opportuno – sebbene contrario allo spirito della collana Bizarre – proporre una selezione rimodulata e sbilanciata sul fantastico. Dei diciotto racconti proposti meno della metà sono ascrivibili al fantastico. Tanti non possono neppure qualificarsi come perturbanti. Dominano le cronache di paese, i momenti di vita comune, tra locande (sempre presenti), passeggiate in campagna, combattimenti tra animali, furti e omicidi. Tra gli argomenti ricorrenti abbiamo i deliri allucinatori provocati dall'abuso dell'alcool o dalle problematiche mentali, il sonnambulismo, la sfiducia nelle masse, la caratterizzazione negativa degli ebrei, le ambientazioni teutoniche, l'amore per l'arte (i protagonisti spesso sono pittori o musicisti), ma anche bizzarre scoperte scientifiche che potenziano i sensi umani.
Sorprende lo stile leggero, delicato, che non disdegna il romanticismo e una comicità grottesca, senza mai appesantire o annoiare anche quando i contenuti delle storie hanno poco da dire. La lettura è sempre piacevole e cala con successo il lettore nelle ambientazioni.
Il volume pubblicato dala Dagon Press.
Tuttavia solo due dei diciotto racconti proposti, specie se si considera l'anno di pubblicazione, sono da reputare autentici capolavori. È il caso de Il Cannocchiale di Hans Schnaps (La Lunette de Hans Schnaps, 1859) uno sci-fi ante-litteram che anticipa la tematica della realtà virtuale. Uno scienziato pazzo inventa un cannocchiale speciale (“materializza le idee e le mette a disposizione delle masse”) che riproduce tutto quanto passa nella mente dell'uomo che vi guarda all'interno, traducendo in immagini pensieri, sogni e aspirazioni provocando una vera e propria fuga dalla realtà che induce l'utilizzatore a vivere una vita immaginaria attaccato allo strumento. Un capolavoro a tutti gli effetti. Interessanti anche i passaggi, con uno snobismo che vede nel volgo una massa ignorante di persone. ”Perché un'idea abbia successo in questo mondo, bisogna che abbia l'appoggio delle masse. Ora, le masse, che non saprebbero elevarsi all'altezza dell'idea pura, comprendono mirabilmente l'idea materializzata, cioè i fatti. La pretesa superiorità degli uomini pratici sui pensatori non ha ragione d'essere. Quei giovanotti là sono ricchi, potenti, governano il mondo, si fanno loro delle statue... Perché? Perché mettono a portata di imbecille l'idea di qualche povero diavolo di grand'uomo morto di fame in un tugurio”.
Celebre, non solo per gli elogi di Lovecraft, L'Occhio Invisibile (L'Oeil Invisible, 1857). Un racconto che anticipa Il Ragno (1907) di Hans H. Ewers e La Finestra sul Cortile (1942) di Cornell Woolrich, parlando di una serie di strani suicidi (che danno spunto alla realizzazione della copertina del libro) che avvengono fuori una locanda. Al centro dell'intreccio ci sarebbe una sorta di stregoneria orchestrata da una vecchia signora che abita sul lato opposto all'appartamento della locanda. Un pittore intuirà il tutto. Spierà i movimenti della donna e, affittato l'appartamento in questione, adotterà uno schema inverso per ribaltare il sortilegio e portare al suicidio la strega.
Il terzo racconto di livello, seppure penalizzato da un finale frettoloso e da certe soluzioni divinatorie un po' fuori luogo, è Il Ragno-Granchio (L'Araignée-Crabe, 1860), una sorta de Lo Squalo dei primordi che propone una surreale avventura ambientata nelle acque termali di Spinbronn, dove la quiete e le qualità curative delle acque vengono minacciate da una serie di scomparse e di ritrovamenti di cadaveri. In azione infatti vi è un ragno caraibico che, aiutato dal calore delle acque, è lievitato di dimensioni al punto da attaccare uomini e animali. Spedizione finale per eliminare la creatura.
Valido L'Orologio del Decano (Le Montre du Doyen, 1859), un giallo alla Poe, con bizzarre apparizioni, uomini che vagano sui tetti impugnando pugnali intrisi di sangue, indagini della polizia, accuse a carico di innocenti e risoluzione del mistero. La coppia di autori, questa volta, parla di sonnambulismo, immaginando uno stato psichico in cui si annulla la ragione dell'uomo e vengono a galla gli istinti incontrollabili. “Era un fatto incontestabile che la moralità, la volontà, l'anima non agisca durante il sonnambulismo... Ora l'animale, abbandonato a se stesso, subisce naturalmente l'impulso dei suoi istinti”.
Più classico Il Violino dell'Impiccato (Le Violon du Pendu, 1860) che ruota al centro di una locanda nella cui soffitta, ogni sera, si palesa l'anima di un musicista che suona il suo violino. Il protagonista, un compositore che non riesce a comporre niente di originale, ne approfitterà per scrivere la musica dell'anima perduta e lucrarne sopra spacciandola per propria. Carino, ma con momenti ripresi da L'Orologio del Decano.
Inquietante mix tra macabro, grottesco e comicità Il Requiem del Corvo (Le Requiem du Corbeau, 1857). Personaggi assurdi, pieni di complessi che sottendono a qualcosa di blasfemo. Un corvo, guarito da un medico che strangola gatti e cani, infastidisce un compositore fino a indurlo in stato di malattia. L'intervento del medico del paese sarà risolutore. Ci rimetteranno il corvo e il gatto di casa. Epilogo black humor.
Fascinoso, ma nulla più, L'Orecchio della Civetta (L'Oreille de la Chouette, 1860) che brilla per atmosfera e descrizioni, salvo rivelarsi del tutto estraneo al fantastico. Un povero debole di mente si è convinto di avere realizzato un amplificatore sonoro che permette di deliziarsi con tutti i rumori della natura che non pervengono in via naturale alle orecchie degli uomini. Come per altri personaggi della coppia, la scoperta sarà ignorata e non compresa dalle masse.
Combattimenti al centro degli intrecci addirittura in tre racconti. Molto simili Il Combattimento degli Orsi (Le Combat d'Ours, 1860) e Il Gufo della Sinagoga (Le Hibou de la Synagogue, 1860) incentrati sui crudeli passatempo che ravvivano la vita dei villaggi di campagna. Tagli grotteschi, tra scommesse, bevute e momenti esilaranti. Forse più interessante il primo dei due racconti che mette in scena il crollo delle tribune in cui sono assiepati gli spettatori, dopo che due orsi hanno fatto scempio di cani. Per distogliere un orso liberatosi dalla museruola viene sciolto un toro. Momenti brutali, che si chiudono col protagonista, un pittore locale, che afferma la superiorità della pittura indigena rispetto alle impostazioni teatrali adottate dai modelli dei pittori italiani. L'altro racconto propone scontri tra galli con un accenno assai modesto al fantastico solo nell'ultima parte della narrazione, quando il titolare del galletto vincitore degli scontri decide di utilizzare l'animale per far fuori un gufo che si è appollaiato sul tetto di una locanda. La morte del galletto porterà il suo proprietario a inveire contro il gufo, a suo dire incarnazione del rabbino defunto.
Ancora più surreale e comico Il Capro d'Israele (Le Bouc d'Israel, 1860), in cui un teologo, che ha fatto razzia di alcool, suggerisce a un amico rassegnato per aver ucciso in duello il rivale in amore la via per ripulirsi l'anima: addossare tutte le colpe a una vittima sacrificale, un capro nero, da scaraventare giù in un dirupo. Vincerà l'animale e il teologo capirà che non esiste modo migliore per ripulirsi l'anima che mettere su famiglia.
Rembrandt (1849) è un racconto lungo che immagina la quotidianità del celebre pittore che subisce dei furti per mano di uno sconosciuto manigoldo che si introduce misteriosamente nella sua abitazione. Convito che dietro ai colpi ci sia il figlio, Rembrandt scoprirà che il colpevole è un ebreo suo cliente vittima di uno stato di sonnambulismo che lo porta a sfruttare un passaggio segreto che unisce la casa del pittore alla sua.
Il Sogno di mio Cugino Elof (Le Réve de mon Cousin Elof, 1859) torna al fantastico (modesto), con un incubo che ossessiona un uomo fin dall'infanzia finché un giorno il tutto si rivelerà attinente alla realtà. L'uomo infatti ha visto in sogno un delitto avvenuto anni prima. Cercherà così di capire cosa fare per dare giustizia all'anima di un uomo ingiustamente giustiziato sul patibolo per un omicidio che non ha compiuto.
Modestissimi gli altri. Sospesi tra il delirio dovuto all'assunzione di sostanze alcoliche e fantastico sia Stati di Alterazione (Entre Deux Vins, 1860) che Crispinus (1860), racconti con qualche lampo ma che si perdono senza giungere ad alcuna conclusione.
Sceglie la malinconia I Promessi Sposi di Grinderwald (Les Fiancés de Grinderwald, 1860) che veicola l'idea dell'importanza dell'amore (da anteporre alla carriera) attraverso un vecchio giudice in pensione che cerca di ricostruirsi una seconda giovinezza sognando di sposare una ragazzina che, in verità, ha occhi solo per i coetanei. Prevalerà la ragione. Similare, ma votato al romanticismo, Gretchen (1860) che propone la dichiarazione d'amore, modalità serenata, di un giovane ragazzo verso la più bella del paese.
Non colpisce (se non per il profilo della follia del protagonista) neppure Hans Storkus (1860) in cui l'ossessione di un collezionista delirante, rapito da fossili e conchiglie al punto da dissociarsi dalla realtà, scatena la furia omicida dell'uomo nel momento in cui scoprirà che la moglie si è disfatta della sua intera collezione.
CONCLUSIONE
Cinque buoni racconti, di cui due capolavori, un altro paio interessanti, per il resto storie non memorabili, molte delle quali fuori tema rispetto alla destinazione dell'antologia e, peraltro, ripetitive. Storie come I Promessi Sposi di Grinderwald, Gretchen, Stati di Alterazione e Crispinus potevano essere sostituite da racconti più attinenti come Les Trois Ames, La Reine des Abeilles, Le Cabaliste Hans Wieland e L'Esquisse Mystèrieuse.
Dunque un volume per completisti, che si lascia leggere con piacere anche quando i racconti sono meno riusciti. Resta un po' di amaro in bocca, perché le qualità alla coppia non mancavano.