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martedì 16 aprile 2024

Recensioni Cinema: OMEN - L'ORIGINE DEL PRESAGIO di Arkasha Stevenson.


Regia: Arkasha Stevenson.
Anno: 2024 (Stati Uniti).
Genere: Horror.
Soggetto: Ben Jacoby.
Sceneggiatura: Arkasha Stevenson, Tim Smith e Keith Thomas.
Attori Principali: Nell Tiger Free, Maria Caballero, Nicole Sorace, Ishtar Currie-Wilson, Ralph Ineson, Sonia Braga e Bill Nighy..
Fotografia: Aaron Morton.
Musiche: Mark Korven. 
Durata: 120 minuti.

Commento a cura di Matteo Mancini. 
A quasi cinquanta anni da Omen – Il Presagio, la 20th Century Studios torna alle origini del male. Lo fa dopo aver prodotto due sequel ufficiali, un prodotto televisivo, un remake e una serie televisiva. Grandi aspettative, in buona parte non deluse. Arkasha Stevenson, dopo alcuni cortometraggi e un paio di episodi televisivi, debutta alla regia cinematografica in modo molto convincente e fornisce una prova che lascia ben sperare per il suo futuro. The First Omen cerca di seguire la scia del primo capitolo, per registro e per costruzione narrativa, aggiungendo un pizzico di thrilling rappresentato da un'indagine su una serie di parti di bimbi deformi frutto degli strani accoppiamenti avvenuti all'interno di un orfanotrofio (ricorda moltissimo il racconto di Paolo Di Orazio intitolato L'Incubatrice). Da ricordare, sul versante della regia, le sequenze piuttosto disturbanti dei parti, sottolineate dai primissimi piani su mani legate, bisturi che scorrono sulla carne e rapide inquadrature di gambe divaricate da cui fuoriescono liquidi organici (e persino una mano demoniaca!?). Altra caratteristiche della Stevenson è una certa insistenza nel proporre i rallenty.
Veniamo ora alla storia. Siamo a Roma, nel 1971, nove mesi prima dei fatti de Il Presagio a cui la pellicola si cuce nel finale. La produzione investe su auto e costumi, ben attenta a calare gli spettatori nel tempo che fu. Lo stesso non può dirsi per chi ha montanto le musiche ballate in discoteca. Si sentono infatti brani come Rumore di Raffaella Carrà e Daddy Cool dei Boney M che sono usciti qualche anno dopo rispetto all'anno di ambientazione del film.

La fotografia è molto più solare di quella del 1976, ma ciò non incide sulle atmosfere soffocanti e per buoni tratti claustrofobiche. Ben Jacoby, al soggetto, propone un plot che si apre con un antefatto violento (e un po' telefonato), per seguire uno sviluppo piuttosto lento che entra progressivamente nel vivo prendendosi tutti i tempi necessari. Purtroppo la regista – coadiuvata da Tim Smith e Keith Thomas – decide di restare in zona comfort in fatto di scrittura. La sceneggiatura infatti, oltre a ricalcare un paio di decessi su quelli già proposti da Richard Donner (il suicidio e la morte del prete provocata da un oggetto sacro che piove dall'alto), si tiene ben lontana dal proposito di innovare, preferendo percorrere vie commerciali già battute da altre celebri pellicole. Fortissime, infatti, sono le contaminazioni con Rosemary's Baby (la parte dell'amore della madre per la creature demoniaca), il nusploitation (sebbene la storia non sia ambientata in un convento, bensì in un orfanotrofio gestito da suore), La Chiesa di Michele Soavi (accoppiamento bestiale per mano dei preti) e persino Suspiria di Luca Guadagnino da cui viene ripresa la parte finale.

Stranamente si decide di modificare alcuni elementi della storia di David Seltzer. In prima battuta, l'anticristo non viene più partorito da uno sciacallo, ma da una donna ingravidata da uno sciacallo-demone (bella la scena dell'accoppiamento). Più comprensibile, invece, la scelta di introdurre la variante della sorella gemella dell'anticristo. Pare ovvio ritenere, infatti, che gli autori abbiano voluto riservarsi la possibilità di proseguire la serie con un sequel parallelo alle vicende de Il Presagio e La Maledizione di Damien. Non mancano i vuoti narrativi, a partire dalla creatura demoniaca (lo sciacallo) che vive nei sotterranei dell'orfanotrofio, di cui non è dato sapere nulla, e che viene mostrata all'epilogo misteriosamente abbandonata dagli accoliti demoniaci (che agirebbero per il bene della Chiesa, favorendo l'avvento dell'anticristo col fine di avvicinare le persone alla chiesa!?). Non convince inoltre la salvezza di Padre Brennan (rimasto coinvolto in un sinistro, ma non finito dai prelati deviati) e soprattutto delle “sorelle sataniche” e della neonata che riescono a salvarsi dall'incendio che avrebbe dovuto ucciderle.

Insomma, si poteva fare di meglio, ma non c'è da lamentarsi, poiché il risultato sperato viene comunque centrato. The First Omen è di gran lunga superiore alla media degli horror del nuovo secolo (a partire da L'Esorcista del Papa). La sensazione di disagio dello spettatore è costante per buona parte della proiezione, consentendo al film di fare il suo lavoro. In molte sequenze inquieta, aiutato dagli effetti sonori e dalla colonna sonora. Non manca qualche effetto grandguignol, nel rispetto del primo capitolo. Piacciono meno gli effetti “bubù settete” alla Conjuring, con spettri che si materializzano d'improvviso giusto per far saltare sulle poltroncine gli spettatori.

Sul versante recitativo, piace molto Nell Tiger Free, nei panni della protagonista. Delicata e dolce, l'attrice inquieta con alcuni sorrisi distorti che rimandano a quello del piccolo Damien dell'epilogo del film di Donner ma anche a Lost Souls. Da rilevare un paio di inquadrature, dall'alto, sulla testa della Tiger Free, sdraiata a letto e spettinata in modo da ricordare la chioma di Medusa. Sinistra Ishtar Currie Wilson nei panni di una suora ritardata; erotica e provocante Maria Caballero, che rappresenta il ruolo di una suora tentatrice che ricorda la meretrice di Babilonia. Vietato ai minori di anni 14. Da vedere.

La protagonista
Nell Tiger Free
in un primissimo piano da gorgone

 

martedì 9 aprile 2024

Recensione Narrativa: HORROR ACADEMY VOLUME 2 a cura di Alessandro Manzetti.

Curatore: Alessandro Manzetti.
Edizione: Collection a serie limitata.
Anno: 2022.
Genere:  Antologia AA.VV. Horror.
Editore: Independent Legions.
Pagine: 194.
Prezzo: 16.90 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini. 
Secondo volume della serie antologica concepita da Alessandro Manzetti per fungere da vetrina agli scrittori facenti parte della sua accademia di scrittura creativa. Si segue il modello rappresentato dal primo volume della collana (qua trovate la recensone http://giurista81.blogspot.com/2023/07/recensione-narrativa-horror-academy.html ). Abbiamo infatti una carrellata di otto giovani scrittori italiani, più o meno noti, alternati a racconti di sei firme autorevoli di caratura internazionale che comprendono i grandi maestri (Campbell, R.C. Matheson e Masterton) e nuove proposte sul mercato editoriale nostrano (Taylor, Taborska e Kiste).

A differenza del primo volume, Manzetti opta per un fil rouge costituito dalla narrativa di Howard P. Lovecraft. Quattro dei sei racconti internazionali possono definirsi, a giusto titolo, lovecraftiani e altrettanto, seppur implicitamente, si potrebbe dire del racconto di Enrico Graglia (di gran lunga il migliore tra gli italiani).

Punto forte dell'antologia, tanto da attirare i collezionisti delle opere derivative dell'arte lovecraftiana, è The Inhabitant of the Lake (“L'Abitatore del Lago”) di Ramsey Campbell. Racconto famosissimo, colpevolmente mai tradotto in italiano prima dell'intervento di Manzetti, scritto nel lontano 1964. Campbell omaggia Lovecraft, citando Alhazred, Yuggoth, Shaggai, e al contempo crea un proprio mito personalizzato. The Inhabitant of the Lake non è un racconto meramente derivativo, ma aggiunge qualcosa alla cosmogonia lovecraftiana. Siamo in Inghilterra, a dieci miglia da Brichester (località di invenzione letteraria), ai margini di un lago, a quanto pare, creatosi più di cento anni prima a seguito della caduta di un meteora. Un pittore, dedito a raffigurare soggetti macabri, decide di acquistare una delle case abbandonate che sorgono attorno alle acque. Intende infatti sfruttare il luogo per trovare nuove fonti di ispirazione. Gli stabili, visibilmente fatiscenti, sono la testimonianza della presenza passata di un gruppo di individui votati a uno strano culto ultraterreno.

Campbell, che scrisse il racconto all'età di sedici anni, mostra fin da subito il suo smisurato talento. Atmosfere lugubri, scenari palustri, clima malsano e umido, graduale e progressivo insinuarsi del mistero, ambiguità (alla fine risolta in favore del soprannaturale) e aderenza agli insegnamenti lasciati da Lovecfraft si manifestano all'ennesima potenza. Un nuovo “grande antico”, capace di contornarsi di cadaveri umani posseduti e manovrati in modo da trasformarli in veri e propri morti viventi (Brian Keene ne sa qualcosa), entra nell'immaginario orrorifico degli appassionati. Appare infatti per la prima volta in assoluto Glaaki (si ricorda il volume, edito da Hypnos, L'Ultima Rivelazione di Gla'aki). Creatura extraterrestre acquatica, dotata di spine metalliche costituite da cellule viventi, piovuta sulla terra insieme a un'enorme meteora e sopravvissuta all'impatto. Sarebbe capace di comunicare con gli uomini attraverso sogni ipnotici, condizionandone le condotte per renderli suoi schiavi. Campbell caratterizza la creatura nel dettaglio e lo fa utilizzando l'artificio del racconto epistolare. Il protagonista (un pittore) comunica a un amico le sue scoperte, attraverso lo studio di un'opera (“Le Rivelazioni di Glaaki”) costituita da undici volumi che ha rinvenuto in una delle case abbandonate. L'epilogo sorprende per la capacità di anticipare cult assoluti quali Night of the Living Dead (1968) di George A. Romero, che riprenderà tutta la parte dell'assedio, e The Rising di Brian Keene. Davvero una perla; non a caso, trovò l'apprezzamento di August Derleth che la pubblicò annettendo Campbell nella sua Arkham House.

Non è ai livelli di The Inhabitant of the Lake l'assai più derivativo Will (1996) di Graham Masterton. Lo scrittore scozzese, conosciuto soprattutto per i suoi racconti grandguignoleschi, nulla propone di nuovo rispetto alla narrativa del solitario di Providence, andando peraltro a smarrire la propria cifra stilistica (dimenticate racconti come Pastone per Maiali e Sei quello che Mangi). Ci spostiamo a Londra, addirittura in un cantiere archeologico che porta alla luce il Globe Theatre in cui era solito esibirsi William Shakespeare. Masteron guarda a Yog-Shothot (che diventa Y'g Southothe), ma soprattutto ai patti diabolici di faustiana memoria, dietro ai quali si celano contropartite nefaste che, tuttavia, consentano a chi li sottoscrive (Shakespeare compreso) di avere successo nel campo dell'arte. A tale tematica si aggiunge quella del mostro che vive sottoterra, pronto a compiere mattanza se liberato dalla prigionia. Per essere al cospetto di un racconto di un “Maestro”, si resta delusi. Nulla più di un clone, molto simile a vecchi racconti quali Harold's Blues di Glen Singer, inserito nell'antologia The Year's Best Horror Stories. Fa allora meglio Lucy Snyder con Sunset on Mott Island (2017) dove, dalla disperazione della protagonista colpita da un probabile tumore e alle prese con una madre morente, si allarga il campo mostrando un mondo gravato da una vera e propria apocalisse. Tutto è sfumato e lasciato all'immagininazone del lettore, ma ci viene detto del crollo delle comunicazioni, delle citta' in balia delle fiamme, dell'insorgenza di strane mutazioni genetiche, e dell'imminenza di uno tsunami che, sotto la spinta provocata dal risveglio dei vari Dagon e Cthulhu, si appresta a travolgere l'umanità inondando la terra ferma con le acque dell'oceano. Molto evocativo e tragico. Ricorda un po' il mio Oltre la Torre di P Town, inserito nell'antologia Il Ritorno dei Grandi Antichi (2021) a cura di Gianfranco De Turris.

Piacciono meno gli altri tre racconti “internazionali”.

Cyril's Mission (2022) di Anna Taborska suggerisce il periodico risveglio ultracentenario di un grasso e grosso verme (tematica utilizzata anche da Predatori dall'Abisso di Ivo Torello) che, dalla sagrestia di una chiesa, reclama la vita di un determinato numero di ragazzini. Storia allusiva, forse tributo a The Lair of White Worm di Bram Stoker, dai tratti metaforici velatamente blasfemi (l'epilogo in cui viene addossata la responsabilità al prete). Cade un po' nel ridicolo e nel dejà vù nel proporre lo scontro tra un bizzarro prete e il mostro.

Estranei rispetto ai contenuti dei quattro precedenti racconti e per buoni versi sperimentali gli altri due elaborati dei “big”. Stile minimalista, quasi connaturato da un'impostazione poetica, per il fulmineo Birds (2022) di Richard Christian Matheson. Una storia allusiva e, in parte, criptica. Una pagina e mezzo in cui si suggeriscono maltrattamenti in famiglia e una ribellione finale per mano di un ragazzo stanco dei soprusi compiuti dai violenti genitori. Tutto però è lasciato all'interpretazione del lettore.

Tenta la via della contaminazione Gwendolyn Kiste, anche lei su un substrato allusivo che suggerisce maltrattamenti in famiglia. La scrittrice americana propone ai lettori, a cui si rivolge direttamente con Sister Glitter Blood (2021), di prendere parte a un gioco da tavola di cui fornisce le regole e gli obiettivi. Epilogo vagamente Edgar Allan Poeniano con rimando a The Fall of the House of Usher. Molto femminile, con un perturbante che non regala divertimento o stupore nella lettura, cercando più che altro di inquietare (non proprio riuscendoci).

Enrico Graglia,

è il caso di dire, 
on fire.

Tra il lotto degli scrittori dell'accademia di Manzetti brilla, e la cosa mi fa piacere avendo già prenotato da mesi il romanzo Il Deserto degli Striati, Enrico Graglia col folk horror I Passeggiatori. Classica storia che avrebbe fatto bella figura sulle pagine della rivista weird tales e che, per certi versi, mi ha ricordato alcuni racconti di Thorp McClusky, quali White Zombies Walked (1939). Graglia inserisce nel plot fantastico l'elemento della malattia (alzheimer), di cui è affetto il protagonista, e il profondo senso di solitudine che influenza la condotta della vittima degli eventi. Il senso dell'ambiguità, tuttavia, viene spazzato via dall'epilogo che, curiosamente, sembra ricollegarsi a quello del racconto della Taborska senza tuttavia andare sopra le righe. La malattia del protagonista infatti poco incide su quanto effettivamente accaduto. A differenza di molti suoi colleghi di corso, il sense of wonder di Graglia si antepone alla ricercatezza stilistica. La storia non è originalissima, tuttavia è gestita centellinando la tensione fino all'esplosione finale. In un paese montano, una strana processione di dodici uomini accompagnati da un giovane prete sconquassa l'animo del protagonista e crea malessere negli animali che sembrano fiutare qualcosa di alieno (o forse sarebbe il caso di dire diabolico). Cosa si nasconde dietro le strane preghiere del gruppo e che rapporto c'è tra esse e le strane sculture in legno rinvenute nel cuore del bosco? Il collegamento tra oggetti e persone, che fungerà da trampolino di lancio per il pirotecnico finale, ricorda molto la magia voodoo. Piccolo omaggio anche a Jack London (il nome del cane rimanda a Il Richiamo della Foresta).

Oltre al racconto di Graglia, davvero un piccolo gioiellino, colpisce nel segno Fino all'Altra Parte del Mondo di Andrea Mungiello. Strutturato in due parti ben distinte tra loro, riesce a miscelare la disperazione nella vita quotidiana di un'immigrata clandestina con la beffa di un'aldilà "alieno" dove la libertà persisterà a mantenere i tratti della chimera. L'inizio è drammatico, dagli spiccati risvolti sociali, con una prostituta che sogna di fuggire insieme a un'amica, così da ricrearsi una vita. La ricerca dell'amica tuttavia si fa disperata. Forse le è successo qualcosa di irrimediabile, al punto da portare la protagonista a visionare i corridoi di un ospedale salvo desistere e fare mesto ritorno a casa, bersagliata dalla voce del magnaccia. La droga è forse l'unica via per evadere dalla realtà nonché portale d'accesso per entrare in un onirico e allucinato fantastico di presa metaforica. Il sogno della felicità rappresentato dalla fuga in un isola caraibica si trasforma così in una prigionia che è divertimento di qualcun altro: un collezionista di anime non troppo dissimile al magnaccia (che sia Dio?).

Gli altri sei racconti, tutti ben serviti sotto l'occhio dei lettori, tendono, salvo qualche raro caso, a privilegiare la forma e lo stile ai contenuti e al sense of wonder. Anna Silvia Armenise evoca scenari da fiaba nera con Nella Bruma, una Fata, una ghost story cupa alla Gwendolyn Kiste ma anche alla Oliver Onions (penso a The Beckoning Fair One - “La Bella Adescatrice”), in cui tornano i contenuti sociali, rappresentati dalla ristrettezza culturale degli abitanti di un paese campagnolo che non accetta la relazione amorosa tra due ragazze adolescenti, provocando il suicidio di una di loro. Finale tragico, a cui si giunge stillando aspetti di un mistero passato. Buona prova per la delicatezza con cui viene trattato il tema.

Inquieta parecchio, soprattutto nella prima parte, Massimo Costante col suo Ave Maria. Siamo in epoca vittoriana con una storia che, cercando di far luce sul passato di una potenziale vittima di Jack lo Squartatore, ci mostra la fine del celebre killer di Whitechapel. Notevole, per capacità di creare disturbo nel lettore, la primissima parte, dove Costante guarda a racconti quali L'Incubatrice di Paolo Di Orazio. Piace meno l'epilogo soprannaturale che suggerisce la natura, in parte non umana, della protagonista.

Niccolò Ratto si ispira, più degli altri, alla mano di Alessando Manzetti o, meglio ancora, al suo alter ego Caleb Battiago. Iene è un racconto, per atmosfere e contenuti, che potremmo definire narakiano. Scritto con uno stile che ricorda delle brevi pennellate assestate qua e in là, senza articolare troppo i periodi e con flash frammentati funzionali a tratteggiare un'ambientazione degradata e contaminata da un male non precisato (forse radiazioni). Gli scenari prevalgono sulla sostanza, per quello che sembra essere un estratto di un materiale più ampio. Una giovane transgender scopre che nei sotterranei di una struttura su più piani vivono veramente le creature di cui si mormora in città: delle iene dagli occhi azzurri. Storia molto evocativa, che non trova un epilogo in grado di permetterle il salto di qualità (si prende la via della metafora).

Un altro racconto che sembra esser stato estrapolato da un'opera più ampia è Lupi di Roberto Risso, probabilmente il meno interessante tra i racconti italiani proposti. Survival sulla scia delle apoalisse zombi, anche se si ha a che fare con un'epidemia di idrofobi voraci di viscere e fegato (c'e qualcosa del genere, se non ricordo male, in un episodio di X-Files). Il buon ritmo garantisce il coinvolgimento continuo del lettore, ma l'originalità latita. Pur se chiuso con un finale sarcastico, è una storia che si dimentica presto.

Migliore rispetto a Lupi è Il Muro di Sergio Mastrillo, un racconto di formazione che riscrive il mito delle sirene, spostando il tutto dalle acque alla terraferma. Ottima la costruzione iniziale, che ben rappresenta il senso del mistero e ben alimenta le aspettative dei lettori, peraltro con rimandi a incubi subliminali (presenza di centrali nucleari, rimandi alla guerra, quartieri isolati dal resto del villaggio da mura che ricordano i ghetti ebraici) che rendono estraniante l'atmosfera. Purtroppo, secondo questo recensore, manca un epilogo “sconquassante” in grado di rendere il racconto un qualcosa di veramente memorabile.

Abbonda il sense of wonder in Pallida di Andrea Guido Silvi che ha, tuttavia, il demerito (secondo il modesto parere di questo recensore) di diluire la tensione con dialoghi più da prodotto cinematografico che narrativo. Ci spostiamo sui sentieri innevati, con due alpinisti che celano nel loro passato uno stupro terminato in omicidio ai danni di una minorenne. Colpiti da quella che sembrerebbe una maledizione, i due si perdono nell'ascesa, ritrovandosi al cospetto di una bizzarra tribù capace di leggere il passato delle persone e di ergersi al ruolo di giudice soprannaturale. Lento nella prima parte, viene portato avanti, piuttosto che dai contenuti, per effetto delle descrizioni scenografiche.

In conclusione Horror Academy conferma l'attenzione di Alessandro Manzetti per la cura e la componente stilistica dei suoi giovani scrittori. Gli otto racconti italiani sono tutti presentati con estrema cura, avendo sempre un occhio aperto sulle problematiche della vita comune. Probabilmente il testo è superiore rispetto al primo volume e ha il grosso merito di avere al suo interno il racconto The Inhabitant of the Lake, non trovabile in italiano altrove. Quattordici racconti, con poche delusioni e almeno due grosse perle: il citato racconto di Campbell e I Passeggiatori di Enrico Graglia. Bene anche Lucy Snyder, Andrea Mungiello e Anna Silvia Armenise. L'horror italiano è vivo e presente.


 

sabato 6 aprile 2024

Recensione Narrativa: DECAMEROVIRUS a cura di Gianfranco De Turris.

Curatore: Giafranco De Turris.
Anno: 2022.
Genere:  Omnicomprensivo.
Editore: Homo Scrivens.
Pagine: 350.
Prezzo: 18.00 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.

Quattrocentesimo volume recensito su questo blog, dunque un'occasione speciale per presentare e commentare un'antologia al cui interno è inserito anche un mio racconto. Decamerovirus è la risposta dark al progetto mainstream della Garazanti Editore Andrà tutto Bene (2020), in un'ottica che definirei negativa al punto che gli autori sembrerebbero suggerire che, in realtà, "andrà tutto male". Gianfranco de Turris, una delle firme italiane più autorevoli nell'ambito del fantastico, raccoglie venti firme, pescando tra le voci più autorevoli della narrativa di genere autoctona. Ne viene fuori un progetto corale che guarda al Decamerone di Boccaccio per la sua struttura corale. Un Conte invita presso il suo castello in Friuli venti tra i più bizzarri e originali “antimoderni” di sua conoscenza (alcuni dei quali sono direttamente gli stessi scrittori). La struttura del progetto vede De Turris fungere da ventunesimo autore aggiunto, nel ruolo di coordinatore e di collante dei venti racconti raccolti. Il maestro introduce, di volta in volta, gli ospiti e, a termine racconto, commenta i testi, cercando di far emergere i risvolti e proponendo domande specifiche sui contenuti intrinseci delle storie. Siamo all'inizio dei lockdown del 2020. Il Conte N. pensa bene di ingannare il tempo radunando attorno a sé un nucleo di provetti narratori. Ogni giorno, due di questi, dovranno intrattenere gli altri con una loro storia, in un certo qual modo, legata al tema “epidemie”. Quasi tutti i racconti si caratterizzano per un piglio pessimista e politicamente scorretto. C'è chi attacca direttamente i politici, i virologi e gli affaristi, chi usa la via della metafora per rivolgersi alla contemporaneità e chi, ancora, parla di questioni parallele che ben si adattano al periodo legato all'insorgenza dell'emergenza sanitaria. Tutto questo per colpire nel segno senza filtri o timori reverenziali. Non manca infine chi se la prenda con l'idiozia dei complottisti e la credulità popolare. Insomma, ce n'è per tutti i gusti, fino a giungere a vere e proprie rimodulazioni di racconti classici (Poe e Bradbury) o di sottogeneri cinematografici (apocalissi zombi). Il mito di Boccaccio si tinge di oscuro e incontra quello della celebre sfida di Villa Diodati quando, nel 1816, un pugno di celebri scrittori - costretti a non uscire di casa da una tempesta - si sfidò dando vita a una serie di grandi classici della narrativa del terrore (Frankenstein su tutti).

Gli elaborati, di genere assai variegato, uniscono il fantastico alla realtà avendo sempre in comune un certo collegamento alla contemporaneità. Il fine non è il mero ed esclusivo intrattenimento. Si cerca infatti di stimolare riflessioni e offrire prospettive di visione ai lettori, peraltro sottolineate dai puntuali interventi del Conte. Si va dal surreale all'horror, trovando lo zoccolo duro nella fantascienza e nel giallo, con rimandi che giungono a toccare la religione.

Moltissimi i nomi noti, dai vincitori del Premio Italia Donato Altomare e Pierfrancesco Prosperi, passando per i vincitori del Premio Urania Francesco Grasso e Alessandro Forlani, quindi il candidato al Premio Strega Luigi De Pascalis e lo sceneggiatore cinematografico Antonio Tentori. Tra questi si conferma, come già avvenuto in altre antologie curate da De Turris, Andrea Gualchierotti. Lo abbiamo già apprezzato per il suo romanzo I Principi del Mare. Qua, lo scrittore romano, propone La Vita Continua, in tutta probabilità, il miglior racconto dell'antologia per contenuti e originalità. Si guarda al tema del giudizio universale di scuola pittorica, sebbene il testo non ricerchi la spettacolarità del momento ma si orienti, piuttosto, verso un epilogo beffardo in cui il mondo continua a vivere (in modalità burattini automatizzati) anche dopo la parusia. Bella gestione dei contenuti e magistrale risvolto finale, per una storia che non è mai telefonata e riesce a tenere in sospeso i lettori fino in fondo, al cospetto di un protagonista che si è isolato così bene, durante un'epidemia (forse quella in corso di covid), da esser sfuggito al più importante dei giudici. Notevole e con piglio “classico”.

Molto divertente è Elitropia del sarcastico Francesco Grasso che, attraverso un racconto che gioca sulle similitudini tra quanto avvenuto con gli aderenti ai movimenti no-vax, si diverte – parlando di altro – a punzecchiare i negazionisti.

Dietro a questi due racconti, di gran lunga i miei preferiti del lotto, segnalo due ottimi gialli. Il primo di questi è firmato dall'esperto Donato Altomare che, col suo La Nemesi della Spagnola, immagina il dispiegarsi di un'indagine che cerca di far luce sull'improvvisa comparsa, in epoca covid, del virus dell'influenza spagnola. Buona costruzione, con tanto di colpo di scena finale, che strizza l'occhio al giallo e sfrutta uno spunto, in parte, già letto nel romanzo La Fossa degli Appestati (1981) inserito nella collana Urania.

Decisamente più cupo e sinistro La Verità sul Caso Santi di Massimiliano Prandini in cui, sempre in epoca covid, è in corso un'indagine sull'omicidio di una conduttrice televisiva di una trasmissione sul modello di quelle di Mario Giordano. Tema del racconto è la gestione delle residenze sanitarie assistenziali per anziani. Se Altomare guarda a un romanzo Urania altrettanto sembra fare Prandini che parla di complessi isolati dall'esterno e al cui interno si cerca di arrivare a un'autosufficienza in modo da impedire al virus di penetrarvi. Una soluzione, quest'ultima, che rimanda al "complesso" del romanzo Virus Cepha (1981), apparso sempre nella storica serie fantascientifica griffata Mondadori.

Va sul surreale scanzonato Alessandro Forlani col bizzarrissimo Una Strana Notte. Attrraverso una destrutturazione degli elementi del racconto, si anticipa l'imminente arrivo del covid in una chiave profetica dai contorni onirici, in cui tutto sembra fuori contesto. Un incubo allucinato. Ogni elemento acquisisce valenza di simbolo ammonitore di quanto sta per accadere. Originale e spiazzante come nessun altro dell'antologia.

Non originalissimo ma gestito con gusto trasteverino La Banda del Viros di Max Gobbo, una divertente avventura criminosa di quattro ragazzi che, in una Roma falcidiata da un'epidemia (forse il covid), pensano bene di compiere atti di sciacallaggio. Verranno puniti, all'interno di una villa dei Parioli, dalla contrazione del male. Gobbo, riprendendo la lezione di Poe, personifica la morte nei panni di un vecchio dottore, ben vestito con un borsalino calcato in testa, che si palesa ai protagonisti offrendo loro un biglietto da visita. Storia semplice, ma dal gran ritmo e cadenzata da dialoghi romaneschi che ne tratteggiano un clima tamarro alla Tomas Milian versione "Monnezza".

Non manca il contributo fantascientifico, offerto da Pierfrancesco Prosperi e Ivo Scanner. Non previsto dal DPCM di Prosperi guarda alla tradizione sci-fi e, in particolare, a un racconto di Ray Bradbury (The Pedestrian). Una camminata notturna in una città deserta e in violazione delle normative istituzionali si trasforma in arresto - messo in atto da una volante automatizzata e robotica - per sospetta insanità mentale. Carino, ma gia' letto. Lo stesso può dirsi per il testo di Scanner, che gioca per parallelismi finalizzati a formalizzare una dura critica alla gestione covid. La Pandemia Parallela infatti è un racconto in apparenza fantascientifico, che strizza l'occhio al sottogenere dei mondi paralleli e delle realtà alternative per parlare di una misteriosa epidemia del 1968 a cui i governi dell'epoca, presi da altre emergenze, non ebbero tempo di dedicarsi. Ritornato indietro nel tempo, il protagonista fa in modo di accendere l'attenzione sulla questione, contribuendo all'istituzione di lockdown, obbligo di mascherine e informazione continua sulle televisione provocando un clima di paura generalizzata che porta a una serie di decisioni che stravolgono la politica internazionale alterando il futuro che oggi conosciamo. Un po' come fatto da Prosperi, Scanner scocca una sottile stilettata verso la gestione del covid, vedendo nel virus un mezzo utilizzato dai poteri forti per compiere ingerenze politiche strutturali.

Ancora più espliciti, sul punto, sono Emanuele La Rosa e I Guardiani della Salute, una fiaba allegorica che guarda agli accadimenti dell'epoca covid per il tramite di una leggenda avvenuta in un lontano passato. Il narratore ci parla di un'epidemia, partita da un mercato, che i medici riescono a placare divenendo dei veri e propri eroi, al punto da proporre una salata contropartita al re. Quest'ultimo viene costretto ad abdicare in loro favore. L'ascesa dei medici porta all'instaurazione di un regime in cui gli esperimenti sanitari saranno all'ordine del giorno.  Inquietante, pur nella sua semplicità (il virus si scoprirà esser stato ideato dagli stessi medici) apparentemente alleggerita da un epilogo farsesco e satirico.

A questi racconti aggiungo il “mio” Progetto Grippeschutzimpfung, con cui ho cercato di dar vita a un parallelismo tra l'epidemia sanitaria e l'ascesa delle dittature del novecento, in vista dell'ideazione di un virus in grado di colpire specifici gruppi etnici e rimodulare i governi d'Europa in vista di una nuova dittatura.

Questi appena indicati, metà esatta dell'antologia, sono i miei racconti preferiti. Tra gli altri segnalo l'action movie in salsa zombie Il Disinfestatore, del recentemente scomparso Errico Passaro. Niente di innovativo, con l'idea della trasformazione in rabid (chiaro omaggio a David Cronenberg) quale effetto collaterale di un vaccino utilizzato per arrestare la piaga epidemica. Una soluzione, quest'ultima, già vista nella saga Resident Evil. Un divertente esercizio di stile dunque come tale è L'Onda Scarlatta dell'Orrore di Antonio Tentori, una vera e propria riscrittura di The Masque of the Red Death di Edgar Allan Poe e, al tempo stesso, della sua trasposizione cinematografica diretta da Roger Corman (da cui arriva l'idea della protagonista lussuriosa dedita al satanismo nonché della morte che ne riproduce i medesimi lineamenti).

Seguono vie filosofiche Luigi de Pascalis, che guarda con sfiducia alla forza esorcizzante della letteratura al cospetto dei mali del mondo, e Vitaldo Conte con Eros Anima due Donne Ritrovate, un racconto freudiano che cerca di indagare sulle opportunità offerte dal lockdown, visto quale variabile in grado di far emergere l'interiorità dei singoli. Conte conduce la narrazione quale sorta di resoconto delle esperienze registrate dal protagonista che vertono sulla sfera dell'eros. Testo non certo di genere, ai limiti di un breve saggio esemplificato sotto la parvenza del racconto.

Rispolvera il “pericolo giallo” di inizio novecento Alessandro Paluan, con La Morte dal Cielo, che immagina il crollo del mondo occidentale e l'ascesa definitiva della Cina, mentre Claudio Foti con 33 d.c. vede dietro al collasso del sistema economico provocato dal covid l'azione subdola dell'intelligenza artificiale.

Optano per dei diversivi, all'apparenza slegati al tema portante dell'antologia, Alessandro Bottero, Enrico Rulli, Luca Ortino ed Emanuele Delmiglio.

In conclusione, venti racconti che cercano di affrontare la problematica legata alle restrizioni sociali dettate dall'emergenza covid, proponendo spunti di riflessione e immaginando possibili scenari futuri. Regnano il pessimismo, addirittura oltre agli effettivi strascichi lasciati nella società dal covid, e la sfiducia nelle istituzioni. Di maggiore presa al momento della sua uscita, resta un progetto destinato a ricordare uno dei periodi più bui e spiazzanti del recente passato.

"Solo e ancora, l'inganno salvifico della letteratura che è pur sempre l'unica arma in possesso dell'uomo per superare in qualche modo la limitatezza orrenda della vita."

venerdì 29 marzo 2024

Recensione Narrativa: VIRUS CEPHA di Ian MacMillan.

Autore: Ian MacMillan. 
Titolo originale: Blakely's Ark.
Anno: 1981. 
Genere: Post-Apocalittico - Survival. 
Editore: Mondadori, collana Urania (1983). 
Pagine: 134. 
Prezzo: Fuori catalogo.
 
Commento a cura di Matteo Mancini

Anomala pubblicazione all'interno della collana Urania, chissà per quale via giunta nelle mani della Mondadori. Distribuito sul territorio italiano col titolo di Virus Cepha, Blakely's Ark dovrebbe essere il romanzo d'esordio dello scrittore Ian T. MacMillan, laureato presso l'Università di New York ma vissuto prevalentemente alle Hawaii. Pubblicato negli Stati Uniti nel 1981 e giunto nelle nostre edicole il 7 agosto 1983, si tratta di una vera e propria rarità sul mercato italiano. Carlo Fruttero e Franco Lucentini lo scelgono, probabilmente, in un lotto di romanzi post-apocalittici americani puntando su un nome nuovo. MacMillan è un perfetto sconosciuto, appena quarantenne, con un'antologia alle spalle (Light and Power: Stories) e una rivista locale (l'Hawaii Reviex) da lui fondata nel 1973. Professore di inglese presso l'Università di Manoa, nelle Hawaii, resterà lontano dalle pubblicazioni per sette lunghi anni, riproponendosi sul mercato americano nel 1988 con Proud Monster, dando seguito alla propria passione mettendosi al servizio, in veste di redattore, del Manoa: A Pacific Journal of International Writing. Scrittore a cadenze irregolari, si dedicherà alla narrativa soprattutto nell'ultimo decennio della propria vita – verosimilmente dopo esser andato in pensione. In dieci anni (1998-2008), infatti, pubblicherà otto libri, più due postumi, su un totale di quattordici (otto romanzi e sei antologie). Interessato, piuttosto che alla fantascienza, a storie di usi e costumi locali e soprattutto a esperienze che pongono i suoi protagonisti al cospetto di un orrore legato alla malvagità che viene dagli istinti e dall'egoismo degli uomini. Virus Cepha rientra proprio in quest'ultimo gruppo di storie, di cui fanno parte altresì una serie di romanzi ambientati nei campi di concentramento (quotati Orbit of Darkness e Village of a Million Spirits). Le sue opere sono difficili da reperire. Si trova giusto qualcosa sul mercato dell'usato, ma a prezzo salato. Morto relativamente giovane, è spirato nel 2008 all'età di sessantasette anni. Strana scommessa dunque, da vero e proprio estremissimo outsider, mai più riproposta nel nostro paese. 

 

Copertina originale

IL ROMANZO

Virus Cepha, sostanzialmente, è una novella lunga centoventi pagine circa, un po' pesante nella sua parte centrale e divisa in soli quattro capitoli che non ne rendono certo fluidissima la narrazione.  Macmillan riprende le tematiche romeriane, sostituendo, nel caso più avanzato della malattia (ci si infetta anche toccando oggetti contaminati o per l'effetto del vento che trasporta le molecole del virus), allo zombi classico l'infettato che barcolla completamente fuori di testa per le vie. Gli scenari sono quelli tipici dei romanzi post-apocalittici. Si guarda a The Stand (“L'Ombra dello Scorpione”), a False Down (“Tra gli Orrori del 2000”) della Yarbro, a I Am Legend di Matheson e a mille altri romanzi del genere, con un giovanissimo protagonista munito di bicicletta e arco che se ne va in giro per centinaia e centinaia di chilometri, in un mondo ormai al collasso. Le strade sono intasate da file di auto e di mezzi corrosi dagli anni (spesso tombe per corpi mummificati), le città sono deserte, la vegetazione è cresciuta ovunque e gli scheletri sono adagiati in ogni dove. Le case, per lo più, sono state incendiate, mentre file di teschi infilzati sui pali dei telegrafi testimoniano la presenza di bande di manigoldi (punk) che razziano quanto resta da depredare. Come si capisce, siamo in un survival di ambientazione post-apocalittica. Sono trascorsi dieci anni da quando un virus, non meglio definito (non si sa come si sia diffuso o quale sia la sua origine) e denominato Cepha - per la sua capacità di agire a livello cerebrale provocando una microencefalite virale che porta alla pazzia – ha sterminato il regno animale, riducendo a poche unità la razza umana. MacMillan copia da The Crazies (“La Città Verrà Distrutta all'Alba”, 1974) e, in parte, da Night of the Living Dead (i superstiti si barricano in casa, usando assi inchiodate per difendersi dagli infettati che, comunque, penetrano dentro beccandosi frecce e colpi in testa). La costruzione del soggetto è quella del romanzo derivativo, sebbene lo sviluppo presenti dei punti a suo favore andando, come spesso succede, ad anticipare i plot degli stessi autori da cui MacMillan prende ispirazione. In prima battuta si anticipa Land of the Dead (“La Terra dei Morti Viventi”, 2005) di George A. Romero. Infatti, un po' come arriverà nel quarto capitolo della saga zombie di Romero, la popolazione più facoltosa e fortunata (ci sono delle lotterie che premiano i possessori dei biglietti sorteggiati), un po' come in Night Land ("La Terra dell'Eterna Notte", 1912) di William H. Hodgson, vive all'interno di un complesso residenziale isolato dall'esterno e protetto da soldati muniti di tute di plastica ed elmetti di plexiglass. Il Complesso viene percepito come il paradiso (vi vive all'interno lo stesso Presidente degli Stati Uniti), un ideale di vita e una speranza per un mondo migliore. Fuori di esso i militari non perdono tempo a usare lanciafiamme e a sparare su chi violi il coprifuoco o passi da un settore all'altro senza autorizzazione. Se fuori scarseggia il cibo, all'interno del complesso ci si nutre di primizie, ci sono ragazze sicure con cui fare sesso, ci si diletta persino nelle nuove olimpiadi e si può ammirare gli animali allo zoo (fuori sono tutti estinti). Questo, quantomeno, è ciò che viene riferito a chi sta all'esterno, dove regna il caos, la corruzione, la prostituzione e la malvivenza in un rapporto direttamente proporzionale al progressivo allontanamento dal complesso in funzione di una serie di cerchi che si aprono, l'uno sull'altro, come in un inferno dantesco. La realtà purtroppo è un'altra e ne verrà a capo proprio il giovane protagonista, munito di un biglietto della lotteria e per questo annesso al Complesso (che si rivelerà essere un vero e proprio mausoleo da cui evadere). Il cepha, che continua a far danni all'esterno, infatti è filtrato anche là dentro. La notizia non è stata fatta trapelare per non uccidere le speranze dei superstiti, così lasciare aperta in loro la prospettiva del sogno. “Impediscono che le notizie si diffondano così quelli dei settori contaminati non cercheranno di passare a quelli ancora indenni.” MacMillan insiste sul tema delle zone rosse, dell'importanza del distanziamento sociale e, con anticipo su quanto avverrà qualche mese dopo della pubblicazione del romanzo (quando negli States si comincerà a parlare di AIDS), sul rischio della contaminazione a seguito di rapporti sessuali visti come croce e delizia dell'esistenza in un interessante rapporto di eros e thanatos (“Questi magneti anatomici sono un invito alla morte e nello stesso tempo i mezzi per soddisfare il desiderio e la continuazione della specie”). Il cepha, infatti, sembrerebbe sfruttare proprio l'impulso naturale dell'uomo e degli animali alla riproduzione per insinuarsi e infettare quante più persone possibile, diffondendosi inoltre per via aerea. Una modalità di aggressione subdola, con MacMillan in anticipo sulla piaga AIDS. Non vi sono cure e la mortalità è del 100%, peraltro amplificata dall'azione repressiva delle autorità che provvedono a muovere elicotteri che rilasciano nelle zone infette un pioggia di gas che cuoce indiscriminatamente i polmoni di chi la respira.

In questo inferno, dapprima con la speranza di trovare una salvezza e poi con la consapevolezza dell'inesistenza del paradiso terrestre (vera e propria illusione), si muove Dave, seguendo, un po' come farà il protagonista di Zombieland (2009), un manuale di regole di comportamento per evitare il cepha ritrovandosi a essere un potenziale patriarca di una nuova stirpe (si porterà dietro un gruppetto di ragazzini e una giovane tredicenne che finirà a letto con lui subendo tutti i rischi del caso, perché altrimenti non sarà possibile gustare la vita).

Point to Point dunque, con un finale aperto e un messaggio fatalistico che allude all'impossibilità di sconfiggere la natura e, al tempo stesso, cerca di trovare una chiave di volta metaforica per sopravvivere alla costante paura della morte. La filosofia conclusiva è quella che sottolinea l'importanza della qualità di vita piuttosto che della sua lunghezza ("Non è importante quanto vivi, ma come vivi").

Azione, sense of wonder, horror e avventura per una storia che offre il suo meglio nella parte iniziale e nell'epilogo (le parti esterne al Complesso). Da segnalare, per potenza orrorifica, la fuga in una galleria/fogna inondata dalle acque dove il protagonista, sfuggito ai lanciafiamme dei militari e dopo essersi cauterizzato una ferita in modalità Rambo (film che uscirà l'anno dopo), vive l'incubo a occhi aperti di essere artigliato dai cadaveri di quanti ha conosciuto in vita in un momento che anticipa una delle sequenze clou di Phenomena (1985) di Dario Argento.

Poca originalità dunque, ma interessante sviluppo personalizzato che, bisogna darne atto, si muove in anticipo su quanto arriverà in seguito soprattutto a livello cinematografico. Il romanzo gode di buone recensioni da parte dei collezionisti urania, aiutato, forse, anche dal tentativo di stimolare riflessioni su più argomenti, addirittura sull'effetto deleterio provocato dalle medicine viste quale veicolo più adatto per il germe, “perché indeboliscono le difese del corpo”. Disperato e pessimista ma, al tempo stesso, aperto a un futuro che rimane incerto. Particolare, nel suo essere convezionale.

 
L'autore Ian MacMillan.
 

I moribondi sono gelosi e non fanno nulla per risparmiare la vita ai fortunati che sono riusciti a conservarla.... Non derogavano mai dalla regola di tenersi a due metri di distanza... S'era avvicinato di proposito per spalmare l'olio viscoso della sua infezione.”