Genere: Horror / Dark Fantasy.
Editore: Bompiani (1990).
Pagine: 446.
Prezzo: Fuori catalogo.
Commento a cura di Matteo Mancini.
Mi chiamo Matteo Mancini, sono nato a Pisa nel 1981 e abito nell'indipendentista Tirrenia. Sono un grande appassionato di B-Movie (dallo spaghetti western, passando per il "poliziottesco" e proseguendo con thriller e horror). Tra le mie tante passioni le più forti sono la narrativa specie del genere fantastico scuola weird tales e la scrittura. Nella foto mi vedete, al centro, con a dx Antonio Tentori e la "giallista" Cristiana Astori, e alla mia sx Mr.B-Movie Dainelli e Ivo Gazzarrini.
Autore: AA.VV. a cura di Gabriele Lattanzio e Alessio Valsecchi.
Anno: 2024.
Genere: Horror.
Editore: Indipendente.
Pagine: 200.
Prezzo: 16.00 euro.
Antologia made in Italy curata da due "volpi" dell'underground italiano: Gabriele Lattanzio e Alessio Valsecchi, fondatore del mitico sito latelanera oltre che direttore di collana delle Edizioni XII.
I due curatori pescano direttamente nell'underground, sebbene la selezione non lo dia affatto a vedere. Dieci autori, pluri-premiati nel circuito dei concorsi letterari, presentati in gran spolvero, grazie all'ottimo editing di Daniele Bassanese. Tra tutti brillano i nomi della vincitrice del recente Urania Short 2024 Martina Scalzerle, della finalista al medesimo premio (ma in anno diverso) Paola Viezzi, del vincitore del Masters of Horror indetto dalla Universal Pictures Samuele Fabbrizzi, e dell'ottimo e graffiante Simone Corà (vecchia conoscenza di settore e pubblicato da editori quali Acheron Books, Nero Press e Edizioni XII).
Punto di forza dell'opera sono l'eleganza del lessico e la forma. I racconti sono tutti scritti in modo molto qualitativo e professionale con stili, a parte qualche eccezione, non troppo dissimili. Anche il livello dei soggetti è molto omogeneo. Se si fosse in un concorso, non sarebbe di certo facile stilare una classifica di merito. Il tema comune è quello della reincarnazione, sebbene gli sviluppi siano assai meno prevedibili di quanto si potrebbe pensare. Solo di rado il tema è trattato in modo “ascetico” (Matteo Mancini, Alessandro Agnese), assai più spesso, invece, si ricorre all'idea della reincarnazione quale via per mettere a segno vendette dirette (Andrea Costantini, Simone Corà, Martina Scalzerle) o indirette (Paola Viezzi), sconfinando per tale via nella ghost story o nel racconto di possessione. Dominano i contenuti drammatici, del tutto prevalenti sul sense of wonder e sul pulp, sovente con riferimenti ai disagi e alle problematiche che riempiono le pagine della cronaca nera (violenze in famiglia, femminicidi, pedofilia e via dicendo). Ne viene fuori un volume meno orientato sul fantastico da intrattenimento e molto più concentrato su un orrore “terreno” respirato tutti i giorni.
RECENSIONE NEL DETTAGLIO
Tra i racconti più squisitamente horror brillano Moquette di Simone Corà e La Grande Occasione di Paola Viezzi che, insieme a Cetra di Andrea Costantini, sono in assoluto i miei preferiti. Attenzione, però: non li definirei i migliori dell'antologia, perché qua, ve lo ripeto, la scelta è molto soggettiva, tanto che, a esempio, il racconto di Corà potrebbe benissimo passare dall'essere considerato il migliore (per via della sua verve scatenata e fantasiosa) al finire per essere reputato il peggiore (per il suo essere disancorato dagli schemi classici). Moquette infatti è il racconto più surreale del lotto, con evidenti omaggi a Stephen King (per l'aver trasformato un oggetto inanimato come una moquette in un mostro posseduto), Clive Barker (per la folle impostazione body horror alla Cronenberg) e Peter Blatty (ferite corporee su cui compaiono parole un po' come la famosa scritta “Help” sul corpo di Regan ne L'Esorcista). Divertente e grandguignolesco, mira a divertire avendo come background una revenge story in salsa ghost story. Pur se meno maturo di altri racconti dell'antologia, a mio avviso è una perla.
Cetra di Andrea Costantini (scrittore pubblicato da Nero Press) ha in comune con Moquette l'impostazione revenge (un leitmotiv dell'intera antologia). Cambia però lo stile e la scelta di pacatezza nello sviluppo. Se Corà sceglie vie assai più difficili da gestire (dove è facile cadere nel ridicolo) e giochi tutto sull'azione (ritmo serratissimo), Costantini opta per una struttura molto classica e predilige una gestione dei tempi molto più ragionata. Tornano a galla i giochi di infanzia anni cinquanta, caratterizzati da una crudeltà che riesce a colpire allo stomaco il lettore (specie se amante degli animali) senza bisogno di truculenze e di sangue. Impostato su un doppio binario parallelo, tra presente e passato, la storia si sviluppa con un'impostazione gialla che svela a poco a poco la propria sostanza fino a un epilogo obbligato. Non guastano i vaghi rimandi a Il Gatto Nero di Poe (penso alla macchia sul collo del gatto e al cappio). Bello, ma classico.
A metà strada tra Corà e Costantini, si muove Paola Viezzi con La Grande
Occasione. Tornano gli echi di Clive Barker (penso a Hellraiser)
e di Stephen King (Cose Preziose), sebbene al servizio di un racconto che miscela giallo, dramma e onirismo. La storia ha un abbrivio lanciato per rivelare progressivamente l'antefatto che sta alla base
delle condotte disperate del protagonista. Siamo nell'ambito di quelle storie
weird in cui il protagonista finisce per entrare in un negozio
di antiquariato dove è possibile comprare di tutto. Il "nostro" finisce
per acquistare una strana scatola, contenente pillole che garantiscono di accedere a una data vita futura. Finale piuttosto intricato e non
così prevedibile (ribaltamento dei ruoli dei personaggi), in cui
viene inserito il momento visionario e onirico più bello dell'intera
antologia. Bella storia.
Crepaccio di Matteo Mancini (il sottoscritto) è un racconto che affronta la tematica da un punto di vista classico (ovvero il loop che porta le anime a reincarnarsi di continuo nel ciclo della vita) per virarla su un piano ascetico/religioso che abbatte il materialismo in favore di uno spiritualismo da intendersi quale chiave di decriptazione del "vero" senso della vita. Penso di poter dire che sia il racconto più visionario dell'intera antologia e uno dei pochi (insieme al racconto della Viezzi) che cerca di mostrare la vita che sta oltre al nostro piano dell'esistenza. Potrebbe risultare fastidiosa la struttura frammentaria che accompagna la traccia principale, ovvero la scalata da parte di un alpinista di una parete rocciosa che acquisisce rilevanza metaforica.
Momenti comuni a
Crepaccio
si trovano in E Marmellata Sia
di Alessandro Agnese. Nonostante il titolo, forse poco accattivante,
si tratta di un inusuale ed eccellente weird
war (curioso che anche
in Crepaccio vi siano scene molto simili). Le scene di guerra sono
spettacolari e predominano sulla tematica dell'antologia che appare
nella parte terminale del racconto, in cui il morto torna nel circolo
della vita da neonato. La sensazione (sicuramente non corrispondente alla realtà) che si ha leggendo la storia è quella di un racconto adattato in un secondo momento alla tematica richiesta dai curatori.
Abusi sessuali adolescenziali sono al centro de La Confessione di Luca Bettega e de Gli Amici della Campagna di Samuele Fabbrizzi. Bettega (firma Delos Digital) segue una via mainstream predisponendo una prison story dalle atmosfere kinghiane (penso al racconto che avvia la raccolta Stagioni Diverse). Notevole la prima parte all'interno di un carcere, che non si conferma appieno nella parte più horror (peraltro sfumata). Come nel racconto della Viezzi si assiste a un passaggio dell'anima del protagonista da un corpo all'altro, ma laddove la scrittrice friulana sposava la via revenge qua si sceglie una via pessimista in cui sembra impossibile sfuggire ai disegni di un destino destinato a ripetersi.
Appare più di “genere” il racconto di Fabbrizzi,
peraltro l'unico in cui il tema della reincarnazione è meramente ed
erroneamente supposto da un manipolo di pazzi. Interessante, come
avviene peraltro in altri racconti (tra cui quello della Viezzi o quello di Ferrari o della Scalzerle), la
gestione dei personaggi che inizialmente vengono percepiti dal
lettore alla stregua di disperati che hanno perso una persona cara
salvo poi rivelarsi in un'altra e meno gratificante ottica. Fabbrizzi omaggia Jack Ketchum in favore di un realismo che rifugge dal fantastico.
Gli Amici della Campagna, infatti, non è una storia soprannaturale, ma un body horror in odore torture con accenni
hardcore horror. Finale liberatorio e un po' argentiano. Racconto irriverente e velatamente blasfemo, che gioca senza cadere in fallo con i rituali religiosi.
Molto più fine è Una Vita per una Vita dell'ultima vincitrice dell'Urania Short Martina Scalzerle. Taglio drammatico al servizio di una ghost story in salsa revenge presentata in modo da capovolgere le sensazioni iniziali. Dapprima il lettore ha la certezza di essere alle prese con un uomo abbattuto per la recente morte della moglie ma, a poco a poco, finisce per lo scoprire un'altra realtà. Si ripropone anche qua il tema dell'anima che trasla nel corpo di un'altra persona bypassando la nascita. Molto romanticismo (top in questo del lotto), ucciso da un epilogo revenge più incline a una storia di possessione che a una sulla reincarnazione intesa nell'ottica della metempsicosi (simile in questo anche Simone Corà).
È
una storia di possessione anche L'Invite
Francais di
Edoardo Barea, che ricorre (stranamente l'unico a farlo) all'ipnosi
regressiva per delineare una storia di sdoppiamento della personalità ancorata a una pregressa esistenza che chiama in causa il serial killer, davvero esistito, Barbablù. Poco chiaro se si tratti una possessione in qualche modo diabolica (il racconto è molto vicino a questo sottogenere) o una storia che propone l'idea della presenza di più anime in lotta tra loro all'interno di un medesimo corpo. Non manca il grandguignol.
Voodoo di Gualtiero Ferrari è invece la storia più black humor dell'antologia, costruita su un'ironia british che rende il racconto cattivissimo (il più cattivo del lotto). Anche qua, più che di reincarnazione, si parla di altro ovvero del ritorno dalla morte per il tramite dei rituali voodoo e della possibilità di rubare il copo ai vivi (dunque possessione). Siamo pertanto dalle parti del racconto soprannaturale in salsa weird e pulp. Protagonista è un marito disposto a tutto pur di far ritornare la moglie dall'aldilà. Interessante la scena della vittima sacrificale sotterrata viva con un cadavere, al fine di consentire la traslazione dell'anima del morto (idea simile a quella utilizzata dalla Scalzerle, ma esecuzione grandguignol). Tutto piuttosto classico, fino all'imprevedibile e beffardo finale che da avvio a un sadico e inatteso loop in barba alla tematica sulla violenza sulle donne. Henry Whitehead avrebbe gradito.
In conclusione Ancora Vivi è un'antologia, penso di poter dire, sopra le aspettative, che brilla per la cura dei testi e l'eleganza espositiva degli autori. Ottimo l'editing e valida la scelta operata dai curatori. Da sotolineare l'impostazione più “italica” rispetto a un horror dalle atmosfere gotiche o weird, che qua vengono subordinate – dalla maggiore parte degli autori – a una predilezione per il racconto drammatico in salsa macabra calato nella realtà quotidiana. Onoratissimo di farne parte.
Autore: AA.VV..
Anno: 2024.
Genere: Fantastico - Weird.
Editore: Dagon Press.
Pagine: 188.
Prezzo: 12.90 euro.
Atteso primo numero della serie antologica Weird – Il Fantastico e lo Strano in Letteratura che Pietro Guarriello, dominus della Dagon Press, propone a inizio 2024 al fine di cavalcare il momento felice del genere weird salito in Italia sulla cresta dell'onda, negli ultimi anni, grazie alle proposte editoriali di Hypnos, Providence Press, Biblioteca di Lovecraft, Agenzia Alcatraz e non da ultima della stessa Dagon Press. Un'offerta senza precedenti nel panorama editoriale italiano, specie se si considerano anche altre case editrici più orientate al cosiddetto modern weird (La Nuova Carne, la fallita Dunwich Edizioni, Independent Legions e via dicendo).
Sette
racconti,
due dei quali di contemporanei scrittori dell'underground italico
(lodevolissima questa idea), per una forbice temporale che va dal
1830 al 2024. Piace soprattutto l'idea di lanciare autori autoctoni (spesso più motivati e in forma rispetto alle prove dei più celebri colleghi recuperate dall'oblio), così come è valido il tentativo di "scoprire" testi inediti di scrittori del tempo che fu non particolarmente inflazionati nelle traduzioni italiane se non, addirittura, semisconosciuti.
In questo primo numero dominano le atmosfere ambientali. Guarriello sembra aver condotto la sua selezione focalizzandosi sulle atmosfere scenografiche, solitamente di luoghi isolati, inaccessibili o flagellati da condizioni ambientali proibitive che mettono a repentaglio la vita dei viandanti travolti dagli eventi. Ben quattro racconti, oltre la metà del totale, rientrano in questo sottofilone. Tra tutti, non so quanto sia un bene per la selezione operata, brilla Il Sepolcro di Ghar'strag (2024) di Emiliano Caruso, un sword & sorcery intriso di sense of wonder caratterizzato da una graduale e lenta discesa in un incubo dalla forma di un'isola di pietre dispersa nell'oceano. Di gran lunga il miglior racconto del lotto. Un vero e proprio gioiello che tiene incollato alla pagina il lettore e lo meraviglia, come dovrebbero fare i racconti weird. Memorabile tutta la parte della barca dei vichinghi che penetra all'interno di un banco di nebbia su cui galleggiano velieri e navi abbandonate da chi, da quell'isola, non è più riuscito a scappare. Prova sontuosa per un autore il cui nome è da appuntare sull'agenda.
Si
passa dalle ambientazioni glaciali e granitiche de Il
Sepolcro di Ghar'strag al
deserto arabico di Ithran
the Demoniac (“Il
Demone del Deserto”, 1830) dell'inglese William Howitt. Costante è
l'inferno scenografico, qua curiosamente ribaltato rispetto a quello
tratteggiato da Caruso. La sabbia al posto dell'oceano, il caldo in
luogo del freddo, costanti rimangono la fame, la sete, la condanna a
morte per l'impossibilità di compiere un viaggio di ritorno da un
contesto ambientale dominato dalle pietre. Meno spettacolare del
racconto di Caruso, Howitt sostituisce al mito del guerriero caduto a
cui si deve dare degna sepoltura quello del profeta ebreo maledetto
per aver ceduto ai richiami della carne e, per questo, costretto a
errare per il deserto alla stregua di una belva feroce (il capro
espiatorio di tutti i peccati di Israele). Bello lo stile, con
struttura quasi tutta orientata a ritroso – in flashback - per
ricostruire la vicenda di un uomo agonizzante sulle pietre battute
dal sole arabo. Non decolla mai, però.
Sulla stessa lunghezza d'onda, ma assai meno affascinante, è When the Rains Came (“Quando le Piogge Arrivarono”, 1964) dell'autore più conosciuto del lotto: Frank Belknap Long. Il corrispondente di Lovecraft rielabora, in chiave fantascientifica, la parabola del diluvio universale ma la sposta in un mondo alieno. Siamo in un pianeta dove un astronauta è precipitato con la sua navicella spaziale. Ancora una volta abbiamo l'impossibilità della via di ritorno e lo scatenarsi di una situazione ambientale, dovuta alla pioggia battente, che rende il contesto scenografico infernale. Il protagonista, infatti, si trova costretto a scalare un'alta montagna per sfuggire dall'allagamento che tutto distrugge. Il superamento della prova lo porterà a essere recuperato da creature provenienti dall'universo.
Costruito sul fascino ambientale, nella fattispecie le foreste russe, è anche Bezin Lug (“Il Prato di Bez”, 1852) di Ivan S. Turgenev. È una storia stile i racconti di caccia di Robert W. Chambers, penso a The Demoiselle d'Ys (racconto minore inserito nella raccolta The King in Yellow, 1895) o al più incisivo The Maker of Moons (“Il Fabbricante di Lune”, 1896), che ha il merito di anticiparli e il limite di non decollare mai. Turgenev propone l'avventura di un cacciatore che, in compagnia della sua cagna, si perde nel bosco e si trova a dover trascorrere la notte davanti al focolare con quattro ragazzetti che si raccontano storie più o meno fantastiche (per lo più ghost stories o storie criptozoologiche) in pieno spazio aperto. Ottimo lo stile evocativo, all'insegna del vorrei ma non posso. Il lettore ha la sensazione che, da un momento all'altro, possa succedere qualcosa di fantastico e terrificante, ma alla fine resta deluso. Struttura frammentata, racconti troncati che passano continuamente di “palo in frasca” (vaga idea della struttura a episodi tenuti uniti dalla storia pilota). Certo, l'ambientazione e la gestione dei tempi sono interessanti, tanto che qualcuno lo ha definito un antesignano del folk horror, tuttavia manca l'affondo decisivo per rendere la storia un qualcosa da ricordare.
La butta in una satira burlonesca Frank R. Stockton con A Story of Seven Devils (“La Storia dei Sette Demoni”, 1885), un racconto che di weird ha davvero poco. Viene meno persino il fascino delle ambientazioni. Tema centrale è la libera interpretazione da parte di un bislacco pastore protestante (che neppure sa leggere) della Bibbia. Infastidito dalla moglie che lo comanda a bacchetta, il pastore afferma durante un suo sermone che ogni donna è posseduta da sette demoni. Una sortita che getta in subbuglio l'intera comunità femminile che minaccerà di cacciarlo se non riuscirà a trovare una giustificazione scritta alla sua affermazione. Probabilmente divertente per l'epoca, si dimentica presto ultimata la lettura.
Delude anche The Renegade ("Il Rinnegato", 1964) di John Metcalfe, un racconto senza mordente e senza sense of wonder, che Pietro Guarriello pesca da una selezione di August Derleth. Al centro del narrato c'è la morte di uno zio, da cui la protagonista spera di spillare quattrini, che preferirà destinare gran parte della sua eredità in favore della tutela dei rinoceronti. Anche qua il racconto non decolla mai, si allude a un caso di strana licantropia con traslazione dell'anima di un morto nel corpo di un rinoceronte intrappolato in uno zoo. Curioso che Pietro Guarriello, in quarta di copertina, parli di ippopotami mannari (evidentemente pure lui assai poco colpito dal testo che ha scelto di proporre).
Sceglie la via della tecnica linguistica Paolo Sista con Madre delle Ceneri, un personale omaggio al De Profundis di Thomas De Quincey e, molto più marginalmente, alla trilogia delle madri di Dario Argento. Lo stile è moderno, a tratti politicamente scorretto per assumere, alla distanza, terminologie ricercate che ne caratterizzano la matrice autoriale. Paradossalmente è preferibile (perché più accessibile al lettore comune) la prima parte del racconto, di mera preparazione rispetto al soprannaturale che irrompe nella seconda parte. Al di là di ciò, Madre delle Ceneri è il racconto più weird dell'intero lotto per il suo richiamare scenari apocalittici alla Hodgson dove il tempo è sospeso e l'eletto/dannato attende – suo malgrado - la fine del mondo assoggettato a una maledizione da cui non può liberarsi.
CONCLUSIONE
Devo essere sincero: mi attendevo qualcosa di più. Al di là del racconto di Caruso e, per certi versi, quello di Sista, le scelte operate da Guarriello – specie se si considera che si tratta di un volume pilota (dunque da lanciare sul mercato alla massima potenza) – non sembrano essere state tra le più accattivanti. Racconti così e così (Howitt, Turgenev), altri deludenti (Long e Metcalfe) se non persino trascurabili (Stockton). Paradossalmente spiccano i due italiani che, sulla carta, sarebbero dovuti essere quelli più in difficoltà col parallelo offerto dai più "grandi" colleghi del passato. Si poteva fare meglio. Per fortuna il pubblico ha risposto bene tanto che, al momento, la collana è giunta al suo quarto numero. A presto per le prossime recensioni.