Autore: AA.VV..
Anno: 2024.
Genere: Fantastico - Weird.
Editore: Dagon Press.
Pagine: 188.
Prezzo: 12.90 euro.
Atteso primo numero della serie antologica Weird – Il Fantastico e lo Strano in Letteratura che Pietro Guarriello, dominus della Dagon Press, propone a inizio 2024 al fine di cavalcare il momento felice del genere weird salito in Italia sulla cresta dell'onda, negli ultimi anni, grazie alle proposte editoriali di Hypnos, Providence Press, Biblioteca di Lovecraft, Agenzia Alcatraz e non da ultima della stessa Dagon Press. Un'offerta senza precedenti nel panorama editoriale italiano, specie se si considerano anche altre case editrici più orientate al cosiddetto modern weird (La Nuova Carne, la fallita Dunwich Edizioni, Independent Legions e via dicendo).
Sette
racconti,
due dei quali di contemporanei scrittori dell'underground italico
(lodevolissima questa idea), per una forbice temporale che va dal
1830 al 2024. Piace soprattutto l'idea di lanciare autori autoctoni (spesso più motivati e in forma rispetto alle prove dei più celebri colleghi recuperate dall'oblio), così come è valido il tentativo di "scoprire" testi inediti di scrittori del tempo che fu non particolarmente inflazionati nelle traduzioni italiane se non, addirittura, semisconosciuti.
In questo primo numero dominano le atmosfere ambientali. Guarriello sembra aver condotto la sua selezione focalizzandosi sulle atmosfere scenografiche, solitamente di luoghi isolati, inaccessibili o flagellati da condizioni ambientali proibitive che mettono a repentaglio la vita dei viandanti travolti dagli eventi. Ben quattro racconti, oltre la metà del totale, rientrano in questo sottofilone. Tra tutti, non so quanto sia un bene per la selezione operata, brilla Il Sepolcro di Ghar'strag (2024) di Emiliano Caruso, un sword & sorcery intriso di sense of wonder caratterizzato da una graduale e lenta discesa in un incubo dalla forma di un'isola di pietre dispersa nell'oceano. Di gran lunga il miglior racconto del lotto. Un vero e proprio gioiello che tiene incollato alla pagina il lettore e lo meraviglia, come dovrebbero fare i racconti weird. Memorabile tutta la parte della barca dei vichinghi che penetra all'interno di un banco di nebbia su cui galleggiano velieri e navi abbandonate da chi, da quell'isola, non è più riuscito a scappare. Prova sontuosa per un autore il cui nome è da appuntare sull'agenda.
Si
passa dalle ambientazioni glaciali e granitiche de Il
Sepolcro di Ghar'strag al
deserto arabico di Ithran
the Demoniac (“Il
Demone del Deserto”, 1830) dell'inglese William Howitt. Costante è
l'inferno scenografico, qua curiosamente ribaltato rispetto a quello
tratteggiato da Caruso. La sabbia al posto dell'oceano, il caldo in
luogo del freddo, costanti rimangono la fame, la sete, la condanna a
morte per l'impossibilità di compiere un viaggio di ritorno da un
contesto ambientale dominato dalle pietre. Meno spettacolare del
racconto di Caruso, Howitt sostituisce al mito del guerriero caduto a
cui si deve dare degna sepoltura quello del profeta ebreo maledetto
per aver ceduto ai richiami della carne e, per questo, costretto a
errare per il deserto alla stregua di una belva feroce (il capro
espiatorio di tutti i peccati di Israele). Bello lo stile, con
struttura quasi tutta orientata a ritroso – in flashback - per
ricostruire la vicenda di un uomo agonizzante sulle pietre battute
dal sole arabo. Non decolla mai, però.
Sulla stessa lunghezza d'onda, ma assai meno affascinante, è When the Rains Came (“Quando le Piogge Arrivarono”, 1964) dell'autore più conosciuto del lotto: Frank Belknap Long. Il corrispondente di Lovecraft rielabora, in chiave fantascientifica, la parabola del diluvio universale ma la sposta in un mondo alieno. Siamo in un pianeta dove un astronauta è precipitato con la sua navicella spaziale. Ancora una volta abbiamo l'impossibilità della via di ritorno e lo scatenarsi di una situazione ambientale, dovuta alla pioggia battente, che rende il contesto scenografico infernale. Il protagonista, infatti, si trova costretto a scalare un'alta montagna per sfuggire dall'allagamento che tutto distrugge. Il superamento della prova lo porterà a essere recuperato da creature provenienti dall'universo.
Costruito sul fascino ambientale, nella fattispecie le foreste russe, è anche Bezin Lug (“Il Prato di Bez”, 1852) di Ivan S. Turgenev. È una storia stile i racconti di caccia di Robert W. Chambers, penso a The Demoiselle d'Ys (racconto minore inserito nella raccolta The King in Yellow, 1895) o al più incisivo The Maker of Moons (“Il Fabbricante di Lune”, 1896), che ha il merito di anticiparli e il limite di non decollare mai. Turgenev propone l'avventura di un cacciatore che, in compagnia della sua cagna, si perde nel bosco e si trova a dover trascorrere la notte davanti al focolare con quattro ragazzetti che si raccontano storie più o meno fantastiche (per lo più ghost stories o storie criptozoologiche) in pieno spazio aperto. Ottimo lo stile evocativo, all'insegna del vorrei ma non posso. Il lettore ha la sensazione che, da un momento all'altro, possa succedere qualcosa di fantastico e terrificante, ma alla fine resta deluso. Struttura frammentata, racconti troncati che passano continuamente di “palo in frasca” (vaga idea della struttura a episodi tenuti uniti dalla storia pilota). Certo, l'ambientazione e la gestione dei tempi sono interessanti, tanto che qualcuno lo ha definito un antesignano del folk horror, tuttavia manca l'affondo decisivo per rendere la storia un qualcosa da ricordare.
La butta in una satira burlonesca Frank R. Stockton con A Story of Seven Devils (“La Storia dei Sette Demoni”, 1885), un racconto che di weird ha davvero poco. Viene meno persino il fascino delle ambientazioni. Tema centrale è la libera interpretazione da parte di un bislacco pastore protestante (che neppure sa leggere) della Bibbia. Infastidito dalla moglie che lo comanda a bacchetta, il pastore afferma durante un suo sermone che ogni donna è posseduta da sette demoni. Una sortita che getta in subbuglio l'intera comunità femminile che minaccerà di cacciarlo se non riuscirà a trovare una giustificazione scritta alla sua affermazione. Probabilmente divertente per l'epoca, si dimentica presto ultimata la lettura.
Delude anche The Renegade ("Il Rinnegato", 1964) di John Metcalfe, un racconto senza mordente e senza sense of wonder, che Pietro Guarriello pesca da una selezione di August Derleth. Al centro del narrato c'è la morte di uno zio, da cui la protagonista spera di spillare quattrini, che preferirà destinare gran parte della sua eredità in favore della tutela dei rinoceronti. Anche qua il racconto non decolla mai, si allude a un caso di strana licantropia con traslazione dell'anima di un morto nel corpo di un rinoceronte intrappolato in uno zoo. Curioso che Pietro Guarriello, in quarta di copertina, parli di ippopotami mannari (evidentemente pure lui assai poco colpito dal testo che ha scelto di proporre).
Sceglie la via della tecnica linguistica Paolo Sista con Madre delle Ceneri, un personale omaggio al De Profundis di Thomas De Quincey e, molto più marginalmente, alla trilogia delle madri di Dario Argento. Lo stile è moderno, a tratti politicamente scorretto per assumere, alla distanza, terminologie ricercate che ne caratterizzano la matrice autoriale. Paradossalmente è preferibile (perché più accessibile al lettore comune) la prima parte del racconto, di mera preparazione rispetto al soprannaturale che irrompe nella seconda parte. Al di là di ciò, Madre delle Ceneri è il racconto più weird dell'intero lotto per il suo richiamare scenari apocalittici alla Hodgson dove il tempo è sospeso e l'eletto/dannato attende – suo malgrado - la fine del mondo assoggettato a una maledizione da cui non può liberarsi.
CONCLUSIONE
Devo essere sincero: mi attendevo qualcosa di più. Al di là del racconto di Caruso e, per certi versi, quello di Sista, le scelte operate da Guarriello – specie se si considera che si tratta di un volume pilota (dunque da lanciare sul mercato alla massima potenza) – non sembrano essere state tra le più accattivanti. Racconti così e così (Howitt, Turgenev), altri deludenti (Long e Metcalfe) se non persino trascurabili (Stockton). Paradossalmente spiccano i due italiani che, sulla carta, sarebbero dovuti essere quelli più in difficoltà col parallelo offerto dai più "grandi" colleghi del passato. Si poteva fare meglio. Per fortuna il pubblico ha risposto bene tanto che, al momento, la collana è giunta al suo quarto numero. A presto per le prossime recensioni.
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