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domenica 29 ottobre 2023

Recensione Cinema: COLOUR FROM THE DARK di Ivan Zuccon.

Regia, Fotografia e Montaggio: Ivan Zuccon.
Anno: 2008.
Genere: Horror.
Attori Principali: Debbie Rochon, Michael Segal, Marysia Kay, Gerry Shanahan, Matteo Tosi.
Sceneggiatura: Ivo Gazzarrini.
Musiche: Marco Werba. 
Durata: 92 Minuti.

Commento a cura di Matteo Mancini.

Colour from the Dark, sesto lungometraggio firmato da Ivan Zuccon, segna il balzo definitivo del regista nell'horror di serie A. Dico questo perché, al di là dei limiti di budget e della distribuzione pressoché inesistente in quel circuito italiano che lo spettatore comune è solito conoscere (quello dei multisala), la pellicola in questione ha tutto per inserirsi nell'elenco di una top five dei migliori film horror italiani del primo decennio di secolo. Girato nel 2008 con cast artistico a forte presa britannica, Colour from the Dark incrocia la narrativa di H.P. Lovecraft (mero spunto iniziale col suo The Colour out of Space) a quel gotico rurale che aveva fatto la fortuna di Pupi Avati (“La Casa dalle Finestre che Ridono”) al cinema e, successivamente, di Eraldo Baldini in narrativa. Scritto dall'amico e già collaboratore Ivo Gazzarrini (grande cultore di Richard Laymon e di splatterpunk), il film non segue le tematiche lovecraftiane ma le piega e le reindirizza verso un orrore più nostrano che converge marcatamente nel filone esorcistico (tra tutti spiccano i rimandi ad Amityville Possession di Damiano Damiani). La storia è ambientata in Italia, negli anni della seconda guerra mondiale, nel 1943. Siamo in quel Polesine menzionato dal mockumentary (Road to L.) di Federico Greco e Roberto Leggio che, appena tre anni prima, aveva cercato di convincere, col coinvolgimento di critici come Sebastiano Fusco, che Lovecraft avesse visitato il Polesine negli anni venti e lì vi avesse concepito le storie sui Grandi Antichi. Niente di più falso, ovviamente. Gazzarrini preferisce prendere il contenitore lovecraftiano per svuotarlo dai contenuti tipici del solitario di Providence e riempirli con una cultura più da folklore italico in cui si sembra voler suggerire la morte delle religioni tradizionali (si noti l'esecuzione dell'ebrea e la scena in cui viene sotterratta una croce) a favore di un qualcosa che riemerge dagli abissi della terra (e non dallo spazio come con Lovecraft). La struttura del film segue il canovaccio già visto ne La Fattoria Maledetta da cui però si discosta aggiungendo alle contaminazioni ambientali (chiari omaggi ai pomodori giganti che poi imputridiscono) la tematica della corruzione spirituale (questa presente anche in Lovecraft) giostrata da uno spirito demoniaco liberato inavvertitamente da un pozzo.

Da un punto di vista tecnico, il film segna un grosso balzo in avanti nella carriera di Zuccon. Il regista dispone di maggiori fondi e di un'attrezzatura di solito non presente su questi set. Fa largo uso infatti di binari smontabili, che sposta di location in location, così da poter muovere la telecamera in rapidi carrellate laterali. La bravura del regista sta soprattutto nel mantenere costante la tensione. Sorretto da interpretazioni convincenti e da alcuni momenti in cui la fotografia (a tratti discontinua in qualità) si rivela eccezionale (penso ai tramonti col cielo incendiato e alle inquadratura sulla magione ripresa in campo lungo), il film tiene sulle spine e non annoia mai lo spettatore. Già in precedenza talentuoso con pellicole ispirate dalla narrativa di Lovecraft, Zuccon costruisce qua la sua scalata verso il mondo del professionismo. Nell'arco di dieci anni passerà a collaborare come montatore per Pupi Avati (“Il Signor Diavolo”) e direttore della fotografia per Claudio Lattanzi (“Everybloody's End”) affermandosi quale nome di culto nel circuito underground (termine che, come abbiamo detto, gli va di certo stretto).

Vincente la scelta di girare il film col coinvolgimento di collaboratori inglesi e irlandesi. A parte il prezzemolino Michael Segal (qua in un ruolo non muscolare e dai toni più pacati del solito), già visto in altre produzioni di Zuccon e italianissimo (l'anno dopo lo ritroveremo nell'interessante In The Market di Lorenzo Lombardi), sono le attrici a dominare la scena. La canadese Debbie Rochon, in un ruolo assai complesso per il continuo passare da un atteggiamento aristocratico a uno lascivo e quindi indemoniato, spicca su tutti. La quarantenne (all'epoca) è una veterana in tali ruoli, arrivando dalle produzioni della Troma, presso le quali era considerata un vera e propria scream queen. Piace anche Marysia Kay (bellissimo l'omaggio iniziale a Carrie) e ovviamente il disperato Segal che cerca di salvare una famiglia destinata alla degenerazione.

Non manca la componente ematica, comunque, a dispetto del prologo, non preponderante. Livello apicale, da questo punto di vista, un crocifisso conficcato nell'occhio di un prete (il non esaltante Matteo Bosi).

Da segnalare infine le buone musiche di Marco Werba che, l'anno dopo, verrà selezionato da Dario Argento per il commento sonoro di Giallo. Ottimo esempio di cinema a basso costo.

Buona la versione DVD curata dalla Home Movies, una versione ricca di extra, seppur sprovvista di doppiaggio italiano (il film è stato recitato in inglese). Audio 2.0. Oltre le interviste del cast tecnico e artistico, desta curiosità l'inserimento di un cortometraggio degli esordi (e si vede) di Zuccon: Una Favola di Morte (1997). Vietato ai minori di anni 14.

Il regista, montatore e direttore della fotografia 
IVAN ZUCCON.

 

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