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martedì 9 maggio 2023

Recensione Narrativa: CECITA' di José Saramago.

Autore: José Saramago.
Titolo Originale: Ensaio Sobre a Cegueira.
Anno: 1995.
Genere:  Distopico.
Editore: Feltrinelli.
Pagine: 288.
Prezzo: 12.00 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.

Romanzo mainstream decisivo per far conseguire allo scrittore portoghese José Saramago il prestigioso Premio Nobel per la Letteratura consegnatogli nel 1998.

Nato nel lontano 1922, Saramago arriva alla stesura del testo con quasi cinquant'anni di carriera alle spalle e continue lotte ideologiche, politiche e religiose. Ex oppositore del dittatore Salazar, aderente al partito comunista portoghese in epoca di censura, ha indirettamente suscitato una marea di polemiche da parte del Vaticano, quando gli è stato riconosciuto il Nobel, soprattutto a causa del suo Il Vangelo secondo Gesù Cristo (1991). Dichiaratamente ateo, in polemica con lo stato di Israele per la questione palestinese e con i vignettisti satirici anti-islamici, Saramago è il classico profilo dell'artista fuori dal sistema, che combatte contro i centri del potere. Una sorta di George A. Romero della letteratura. Completa Cecità nel 1995, andando a colpire molto duramente la sensibilità dei lettori mainstream che pure lo hanno compreso, accettato ed elevato.

Cecità è un romanzo che, per i contenuti, ricorre agli stilemi della narrativa e della cinematografia di genere impegnata sul versante sociale. Crudo, sprovvisto di filtri, colpisce senza remore o timori di censura. Un'improvvisa epidemia di cecità, che arriva senza che se ne comprenda le ragioni, si diffonde nel mondo. Saramago conduce la vicenda dal punto di vista di un manipolo di personaggi, seguendoli come se fosse un operatore munito di telecamera a mano. Il morbo, chiamato “mal bianco” in quanto chi ne diventa vittima perde la vista rimanendo schermato da un lattiginoso schermo bianco, colpisce tutti senza alcuna possibilità di cura. Saramago depersonalizza i suoi personaggi e con loro il contesto in cui avvengono i fatti. Nessuno viene chiamato per nome, sostituito da nomignoli circostanziali (“la ragazza dagli occhiali scuri”, “il vecchio con la benda nera sull'occhio”, “il ragazzino strabico” etc), così come non viene menzionata la città o lo stato e l'epoca in cui avvengono i fatti. Il male arriva improvviso, durante l'attesa a un semaforo stradale, con un automobilista che inizia a gridare di esser diventato cieco. L'imponderabile filtra così nella quotidianità conducendo il mondo nelle maglie dell'incubo. Questo è Cecità, un incubo ai confini dell'horror. Saramago mette in campo la sua sfiducia nelle istituzioni (per fortuna la realtà ha dimostrato reazioni diverse, basti vedere le lodi indirizzate a medici, infermieri e forze dell'ordine in epoca covid) e fa emergere l'animo egoista e prevaricante dell'uomo. Per contenere il morbo, il governo non fa altro che deportare (è il caso di dire) i contaminati all'interno di strutture dismesse dove vengono lasciati a loro stessi, senza assistenze o cure. Forniti di cibo e acqua, i contaminati dovranno organizzarsi tra loro per poter sopravvivere. Non avranno alcuna informazione su quanto avvenga all'esterno, isolati pertanto in un microcosmo dove tutto è consentito e lecito. Saramago rimanda la memoria ai campi di concentramento nazisti, grazie agli altoparlanti che, a orari specifici, ricorderanno ai nuovi arrivati le norme della struttura, avvertendo che chiunque cerchi di sottrarsi alle regole finirà per essere soggetto al fuoco militare. Ecco che i lazzaretti di Saramago diventano veri e propri lager, con tanto di kapò. L'orrore, il tanfo pestilenziale e l'incapacità di far fronte ai bisogni fisiologici insorgono già dopo poche pagine, all'aumentare degli internati, divisi in modo promiscuo all'interno di un ex manicomio. Tra questi vi è una donna che, per amore del marito, ha finto di diventare cieca, così da poterlo seguire. Sarà grazie a lei che il lettore potrà vedere e capire quel che succede nella struttura. Saramago forza con tale personaggio la logica del testo, tanto che sarà l'unico a non perdere la vista (senza che ne venga fornita ragione). Abbandonati agli eventi, gli internati finiranno vittima degli abusi di alcuni di questi, abili a conquistare una posizione di dominio grazie alle armi clandestinamente portate all'interno (simbolo delle istituzioni e di controllo sociale). Saramago sembra fare il verso a Il Signore delle Mosche di un altro Premio Nobel per la letteratura (Golding), tanto che soggetti chiamati a collaborare per far fronte a esigenze comuni finiranno per lottare tra loro (è anche la logica dei film di George A. Romero). La brama di imprimere il proprio potere sul prossimo, l'impulso di impossessarsi a discapito altrui di cibo, oggetti di valore e di denaro, anche quando ormai non servono più a niente (evidente critica al sistema capitalistico e al consumismo), oltre che l'immancabile desiderio del sesso visto quale impulso unicamente carnale e non supportato dai sentimenti saranno tentazioni che porteranno a una spirale di violenza e di nefandezze continue, in un ambiente sempre più degradato da escrementi, sporcizie e isolamento. Saramago non risparmia niente al “povero” lettore. L'orrore degli stupri, della perdita della dignità umana e dello smarrimento della capacità di autodeterminarsi, giungendo persino a giustificare l'omicidio sono fattori che portano a cambiare le regole del comune vivere, alla maniera di una mano che strappa dal volto di un demone la maschera della civiltà. Eppure, nel pessimismo dell'autore sopravvive la fiammella dell'altruismo. La speranza dell'autore è rappresentata dall'unico personaggio benedetto dalla vista, una donna tanto matura da perdonare il tradimento del marito e a sacrificarsi per il bene comune di un manipolo di soggetti sconosciuti. Così, mentre il morbo indonda la città, colpendo anche i militari, i “nostri” riusciranno a evadere dalla struttura, grazie a un incendio. Riconquistata la libertà, dopo pochi giorni dall'internamento, si troveranno sperduti in una città abbandonata, priva di elettricità, servizi e civiltà. Saramago riproduce scenari che saranno ripresi dai romanzi di nuovo secolo ascrivibili al sottogerenere della cosiddetta apocalisse zombie. Individui barcollanti, escrementi per le vie, sporcizia, negozi saccheggiati, carcasse a cielo aperto, cadaveri dilaniati dai cani, uomini che sbranano animali crudi e un lontano centro commerciale da andare a visitare. Gli echi di George A. Romero giungono così a penetrare in un'opera che consentirà al suo rivoluzionario autore di andare a mettere le mani sul Premio Nobel. La speranza di riconquistare la felicità perduta, quella felicità fatta di quotidianità, sembra naufragare definitivamente nella visione dell'interno di una Chiesa, dove qualcuno ha bendato tutte le immagini dei santi, suggerendo che anche Dio è diventato cieco. Un'ipotesi che getta ancora più nella disperazione coloro che confidavano in un miracolo.

Saramago delinea per tali vie i tratti di un vero e proprio survival d'autore, dove vi è anche spazio per l'azione e la tensione. Si veda, a esempio, la discesa della protagonista nei sotterranei del centro commerciale dove, a un secondo passaggio, scoprirà di aver provocato un tentativo di emulazione di una serie di ciechi che, nel seguirne le mosse, hanno trovato la morte facendo del posto la loro catacomba.

L'epilogo, liberatorio, stona un po' col registro del testo e cerca di virare il tutto sul piano della metafora. La cecità, infatti, sarebbe quella interiore e non la “fisica”. L'uomo è cieco senza sapere di esserlo. È cieco nel suo attaccamento ai bisogni materiali, alla sua scarsa propensione al sacro (lo stesso Saramago era ateo) e ha perso il riferimento delle piccole cose, quelle date per scontate eppure fondamentali per guidarne le azioni. La cecità diventa allora sinonimo di indifferenza alle altrui sofferenze e occasione di fare di esse il trampolino per le proprie presunte fortune (si veda il furto iniziale dell'auto).

Da un punto di vista stilistico, Cecità sconta un ritmo non proprio adrenalinico. Saramago cadenza i fatti prendendo il tempo che reputa necessario, con un occhio a un'ironia a volte fastidiosa (ricorre spesso ai modi di dire). Sviluppa i vari personaggi e utilizza una punteggiatura non convenzionale (soprattutto nell'introduzione dei dialoghi), causando qualche problema alla lettura. Niente di particolarmente complesso, tuttavia.

A differenza de La Peste (1947) di Albert Camus, che potremmo definire strutturato su un soggetto più realistico ed elaborato sul piano medico-scientifico al fine di intavolare un più aulico discorso sul piano filosofico/esistenziale, Cecità è un romanzo di maggiore impronta sociologica che, per scenari e immagini proposte, si avvicina alla letteratura di genere. Al di là degli ottimi spunti (di certo non innovativi), sono sorpreso che il testo sia stato premiato ed elevato a capolavoro da un pubblico benpensante che, per una volta, ha premiato un registro da extreme horror. Un genere, quest'ultimo, sottovalutato dall'alto olimpo della critica che gestisce la letteratura mondiale, eppure, spesso e volentieri, anticipatore dei grandi temi toccati dalle penne considerate più illuminate.

 
José Saramago
l'autore.
 
"Secondo me, non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo. Ciechi che non vedono. Ciechi che, pur vedendo, non vedono. "

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