Autore: Alfred Kubin.
Titolo Originale: Die Andere Seite. Ein Phantastiker Roman.
Anno: 1909.
Genere: Narrativa Fantastica / Distopica.
Editore: Adelphi Edizioni, 2012.
Pagine: 296.
Prezzo: 12,00 euro.
A cura di Matteo Mancini.
Classico della narrativa fantastica non troppo reclamizzato nei volumi finalizzati a orientare il pubblico alla riscoperta dei volumi che costituiscono la storia del genere. Solo un piccolo trafiletto nella Guida alla Letteratura Horror dell'Odoya, ben diverso trattamento ne I Maestri della Letteratura Fantastica della Edipem dove riceve la massima attenzione dei curatori. Il motivo di questo interesse non proporzionale al valore del testo è probabilmente attribuibile al profilo dell'autore Alfred Kubin. Artista a tutto tondo, nato a Leitmeritz nel nord dell'attuale Repubblica Ceka, cresciuto artisticamente a Monaco di Baviera, conosciuto quale uno dei massimi esponenti dell'arte pittorica macabra del primo novecento. Specializzato nell'acquarello, nella pittura a olio e nella litografia, ha realizzato le illustrazioni dei volumi di E.A.Poe e di E.T.A. Hoffmann oltre che dei racconti inseriti nella rivista tedesca a scadenza periodica Der Orchiden Garden. Affascinato dalla morte e dal regno delle tenebre anche per effetto di una serie di morti premature che gli han portato via, in tenera età, molti dei suoi affetti personali (perde la madre a dieci anni, poi la fidanzata), cade in una profonda crisi inventiva allo scoccare dei trent'anni, proprio in corrispondenza dell'ennesimo lutto in famiglia. E' infatti la morte del padre a spingere il pittore a trasformarsi in romanziere, in quella che sarà la sua unica incursione nella letteratura lunga. Così nel giro di cinque mesi stende il suo primo romanzo, corredandolo con cinquantadue illustrazioni. Die Andere Seite, tradotto in Italia come L'Altra Parte, è dunque l'opera di debutto di Kubin in ambito narrativo, data alle stampe nel 1909.
Si tratta di un romanzo distopico a tutti gli effetti, caratterizzato da una spiccatissima verve satirico/comica che diviene, via via, sempre più tragica e malata, perdendo la linearità a beneficio della schizofrenia. Kubin prende The Coming Race di Bulwer Lytton, ne sosituisce il mondo sotterraneo con uno completamente chiuso in una muraglia invalicabile, e rende farsesco il tutto con uno stile allucinato e allucinante in cui trovano spazio passaggi che solo un pittore surrealista del fantastico avrebbe potuto concepire. Un romanzo che, per certe tematiche, anticipa addirittura 1984 di George Orwell in una chiave però più occulta (nel senso esoterico del termine, piuttosto che politico), orientata sui poteri nascosti ("nessuno mi toglierà dalla testa che qui esista una specie di associazione segreta, una sorta di massoneria"), sull'influenza mentale dettata da un contesto opprimente che succhia vitalità e porta i soggetti a vivere come in una sorta di sbiadita e opaca caverna di platonica memoria, dove tutti sono contenti, a loro modo, perché rifiutano l'esterno.
La storia ha inizio con la chiamata, tramite l'impiego di un enigmatico emissario, di un vecchio compagno di scuola che si mette in contatto col protagonista per invitarlo nel regno che lo stesso ha costruito in oriente, tra Mongolia e Uzbekistan, grazie a una cospicua somma ereditata da alcuni nobili cinesi. Quest'ultimo, una sorta di proiezione di Kubin (come lui fa l'illustratore), decide di accettare l'invito e di trasferirsi con la moglie in questo regno che viene proposto come un vero e proprio Regno del Sogno, dove solo personaggi deliberatamente scelti dal sovrano possono essere ammessi. Si parla di rifugio per gli insoddisfatti della civiltà moderna, un luogo in cui si cerca di sviluppare un approccio spirituale teso a tendere verso il profondo dove tutto è impostato su una vita il più possibile spiritualizzata. L'apparenza di oasi della felicità e di contesto indipendente capace di proporsi quale alternativa al nuovo ordine sociale (retto dal materialismo) è però un qualcosa di effimero. Patera, questo il nome del misterioso creatore (caratterizzato alla stregua di una divinità dotata di poteri occulti), ha plasmato infatti un regno di reietti vasto 3.000 chilometri quadrati e in cui vivono 65.000 abitanti scelti in base alle loro inclinazioni e alle loro caratteristiche tali da renderli, a loro modo, unici. Un micro/macrocosmo che rifiuta il progresso, che vive nel culto del passato e del senso artistico al punto da contornarsi di case, oggetti e opere acquistate in Europa ed erette nel nuovo regno al posto, a esempio, dei prodotti di una propria attività artistico/edilizia. Il nuovo è in realtà antico, una nostalgica riproduzione dei tempi d'oro che furono. Viene così a delinearsi un contesto che riproduce, se vogliamo, in ampia scala la caratterizzazione psicologica del protagonista di Controcorrente (1884) di Huysmans, con la differenza che l'isolamento personale qua diventa collettivo senza però riuscire a sfuggire all'inevitabile collasso finale. Interessante anche il lavoro che Patera va a operare sui cittadini del proprio regno i quali, a loro modo, diventano assimilabili agli adepti inebetiti di una setta governata da uno stregone carismatico che annulla le volontà altrui per poterne manipolare i comportamenti. Così vediamo come venga bandita ogni attività di relazione con il mondo che si trova al di là delle mura e come venga impedito ai cittadini del regno di recarsi al di fuori dei confini in cui viene loro concesso di vivere. La giustificazione di questa regola, non a caso, è identica a quella manifestata in certi contesti settari e viene giustificata come via necessaria per preservare puro il modo e lo stile di vita dell'uomo del sogno dagli attacchi psicologici operati dal corrotto mondo esterno. Dunque un ribaltamento della situazione, rispetto all'effettiva realtà, operato con chiara matrice manipolatoria così da delineare i tratti di un vero e proprio sistema totalitario che sembra anticipare i non ancora sorti stati comunisti (non a caso esiste in questo regno un'occulta politica equitativa governata da regole assurde che portano costantemente a equilibrare i patrimoni economici dei vari cittadini) e che, come questi, andrà incontro a una spirale di follia e di sangue che condurrà al crollo definitivo del "sogno".
Il sogno però è fin da subito portatore di indizi che lasciano intuirne la vera natura. Gli occhi sognanti dei cittadini eletti si trovano presto a misurarsi con la truffa di un mondo in cui non sorge mai il sole, costantemente trattenuto dalle nubi e dalle nebbie, e dove il grigiore e l'assenza dei colori vivaci è regola costante di vita. Il sogno diviene così incubo, ma un incubo propinato in modo tale da perdere i tratti negativi e divenire normalità anche perché non comparabile con realtà diverse, censurate in modo totale e addirittura esorcizzate quali portatrici del vero male. Il consenso iniziale offerto in piena libertà si traduce così in prigionia inconscia e inconsapevole da cui non è consentito liberarsi se non andando incontro alla pazzia e alla morte, sorte che attirerà nelle proprie fauci molti dei personaggi del romanzo.
Lo stile è brioso, a tratti divertente, ma solo all'inizio. Nella prima parte del romanzo, un po' come Bulwer Lytton in The Coming Race, Kubin presenta il regno, i suoi abitanti, le attività e gli intrattenimenti che vi vengon tenuti, dimostrando un'ironia che poi andrà a latitare all'epilogo. Si assiste così a una sorta di testo fantasociologico, ma mentre nel testo del collega inglese non si cambia mai registro, qua la storia prende la via del delirio, si appesantisce per abbandonarsi, come una barca in balia delle onde di un oceano in tempesta, ai toni cupissimi, direi apocalittici e olocaustici, dalla metà del romanzo fino alla sua follissima parte finale dove irrompe l'orrore allo stato puro. Un orrore da cui traspira l'olezzo della putrefazione, il tanfo del sangue marcio e una psicosi visiva e comportamentale che Kubin, sacrificando la linearità del testo, trasmette in modo assai riuscito con un'impronta altamente visionaria e onirica che sembra suggerire un'ispirazione donata dall'assunzione di sostanze psicotrope. Un testo dunque che non è per tutti, anche perché la trama diviene un'allegoria da alcuni associata alla crisi dell'Impero Austro Ungarico (di cui Kubin era cittadino) prossimo a sfaldarsi, da altri addirittura viene vista come profezia della catastrofe che, di lì a poco, avrebbe colpito l'Europa flagellata dalle guerre. Vediamo così il Regno del Sogno divenire preda di una sorta di maledizione, dove ha un ruolo attivo un magnate americano che decide di far guerra al sovrano del regno dando vita ai primi movimenti politici, e per effetto della stessa disgregarsi alla stregua di una carcassa che imputridisce sotto l'effetto dei vermi che si generano direttamente dal suo interno e ne consumano la carne fino a emergere in superficie. Kubin utilizza in tal senso la fauna che si trova all'interno del regno, con tigri, serpenti, avvoltoi, topi e cavalli impazziti che incarnano il ruolo degli agenti di morte azionati per divorare l'apparato che costituisce l'ideale organismo del "mostro" civile costituito dal Regno del Sogno e che è stato intaccato dalla presa di coscienza della sua vera natura (si intuisce una certa relazione tra l'americano e l'angelo ribelle, tanto che viene utilizzato il nome di Lucifero con accezione quasi positiva). Una disgregazione che diviene anche mentale, il marciume e l'abbandono delle vie e delle case verso il degrado si rispecchia nei comportamenti dei cittadini che diventano assassini, stupratori, prostitute e ladri senza che nessuno abbia la forza di invertire il trend. Il sovrano del regno, infatti, resta passivo, a contemplare il crollo dello stesso, alla stregua di un Dio disinteressato alle sorti del proprio mondo, ormai troppo stanco per intervenire a ricostituire l'equilibrio. Kubin suggerisce altresì una duplice natura del Dio, come un essere al contempo malvagio e al contempo positivo. Il Demiurgo è un ibrido conclude Kubin, "il vero inferno consiste nel fatto che questo doppio gioco contraddittorio si prolunga in noi... Il bianco e il nero non sono che l'espressione di una lotta", in una visione che lo associa alla teoria cardinale di Empedocle e in cui il tutto si riduce in un unicum omnicomprensivo.
Quando alla fine arriveranno gli eserciti della società civilizzata, curiosamente i russi (cosa che letta anni dopo sa di beffa ironico-satirica, vista la via che poi prenderà la Russia circa cinque anni dopo la stesura del testo), per liberare i cittadini dalla folle egemonia totalitaria di Patera, resteranno solo otto abitanti: il magnate americano, il protagonista e sei ebrei.
Un testo allegorico e altamente simbolico (non si contano questi riferimenti, pressoché continui a partire dalla torre con l'orologio in cui tutti i cittadini si trovano costretti a recarsi per rendere omaggio a Dio), diviso in due parti nette, non di facile lettura e non adatto a un lettore medio. Molti i momenti in cui emerge l'estro visionario dell'autore. In particolare c'è una scena in un pozzo con un cavallo bianco cieco che galoppa contro lo spaurito protagonista. Bello poi un sogno dello stesso con un tipo dotato di "due file verticali di capezzoli" diciotto in tutto, che utilizza per suonare pezzi come se costituiserro parte integrante di una fisarmonica. Pennellate oniriche degne, in epoca moderna, di un solo scrittore: Clive Barker.
Il testo ha ispirato il regista Johannes Schaaf che, nel 1973, l'ha utilizzato per dar vita al misconosciuto film Traumstadt.
Da avere in biblioteca se siete studiosi della letteratura fantastica o se amate opere non convenzionali, assolutamente non suggerito a chi apprezzi testi lineari o ricerchi opere di mero intrattenimento.
La storia ha inizio con la chiamata, tramite l'impiego di un enigmatico emissario, di un vecchio compagno di scuola che si mette in contatto col protagonista per invitarlo nel regno che lo stesso ha costruito in oriente, tra Mongolia e Uzbekistan, grazie a una cospicua somma ereditata da alcuni nobili cinesi. Quest'ultimo, una sorta di proiezione di Kubin (come lui fa l'illustratore), decide di accettare l'invito e di trasferirsi con la moglie in questo regno che viene proposto come un vero e proprio Regno del Sogno, dove solo personaggi deliberatamente scelti dal sovrano possono essere ammessi. Si parla di rifugio per gli insoddisfatti della civiltà moderna, un luogo in cui si cerca di sviluppare un approccio spirituale teso a tendere verso il profondo dove tutto è impostato su una vita il più possibile spiritualizzata. L'apparenza di oasi della felicità e di contesto indipendente capace di proporsi quale alternativa al nuovo ordine sociale (retto dal materialismo) è però un qualcosa di effimero. Patera, questo il nome del misterioso creatore (caratterizzato alla stregua di una divinità dotata di poteri occulti), ha plasmato infatti un regno di reietti vasto 3.000 chilometri quadrati e in cui vivono 65.000 abitanti scelti in base alle loro inclinazioni e alle loro caratteristiche tali da renderli, a loro modo, unici. Un micro/macrocosmo che rifiuta il progresso, che vive nel culto del passato e del senso artistico al punto da contornarsi di case, oggetti e opere acquistate in Europa ed erette nel nuovo regno al posto, a esempio, dei prodotti di una propria attività artistico/edilizia. Il nuovo è in realtà antico, una nostalgica riproduzione dei tempi d'oro che furono. Viene così a delinearsi un contesto che riproduce, se vogliamo, in ampia scala la caratterizzazione psicologica del protagonista di Controcorrente (1884) di Huysmans, con la differenza che l'isolamento personale qua diventa collettivo senza però riuscire a sfuggire all'inevitabile collasso finale. Interessante anche il lavoro che Patera va a operare sui cittadini del proprio regno i quali, a loro modo, diventano assimilabili agli adepti inebetiti di una setta governata da uno stregone carismatico che annulla le volontà altrui per poterne manipolare i comportamenti. Così vediamo come venga bandita ogni attività di relazione con il mondo che si trova al di là delle mura e come venga impedito ai cittadini del regno di recarsi al di fuori dei confini in cui viene loro concesso di vivere. La giustificazione di questa regola, non a caso, è identica a quella manifestata in certi contesti settari e viene giustificata come via necessaria per preservare puro il modo e lo stile di vita dell'uomo del sogno dagli attacchi psicologici operati dal corrotto mondo esterno. Dunque un ribaltamento della situazione, rispetto all'effettiva realtà, operato con chiara matrice manipolatoria così da delineare i tratti di un vero e proprio sistema totalitario che sembra anticipare i non ancora sorti stati comunisti (non a caso esiste in questo regno un'occulta politica equitativa governata da regole assurde che portano costantemente a equilibrare i patrimoni economici dei vari cittadini) e che, come questi, andrà incontro a una spirale di follia e di sangue che condurrà al crollo definitivo del "sogno".
Il sogno però è fin da subito portatore di indizi che lasciano intuirne la vera natura. Gli occhi sognanti dei cittadini eletti si trovano presto a misurarsi con la truffa di un mondo in cui non sorge mai il sole, costantemente trattenuto dalle nubi e dalle nebbie, e dove il grigiore e l'assenza dei colori vivaci è regola costante di vita. Il sogno diviene così incubo, ma un incubo propinato in modo tale da perdere i tratti negativi e divenire normalità anche perché non comparabile con realtà diverse, censurate in modo totale e addirittura esorcizzate quali portatrici del vero male. Il consenso iniziale offerto in piena libertà si traduce così in prigionia inconscia e inconsapevole da cui non è consentito liberarsi se non andando incontro alla pazzia e alla morte, sorte che attirerà nelle proprie fauci molti dei personaggi del romanzo.
Lo stile è brioso, a tratti divertente, ma solo all'inizio. Nella prima parte del romanzo, un po' come Bulwer Lytton in The Coming Race, Kubin presenta il regno, i suoi abitanti, le attività e gli intrattenimenti che vi vengon tenuti, dimostrando un'ironia che poi andrà a latitare all'epilogo. Si assiste così a una sorta di testo fantasociologico, ma mentre nel testo del collega inglese non si cambia mai registro, qua la storia prende la via del delirio, si appesantisce per abbandonarsi, come una barca in balia delle onde di un oceano in tempesta, ai toni cupissimi, direi apocalittici e olocaustici, dalla metà del romanzo fino alla sua follissima parte finale dove irrompe l'orrore allo stato puro. Un orrore da cui traspira l'olezzo della putrefazione, il tanfo del sangue marcio e una psicosi visiva e comportamentale che Kubin, sacrificando la linearità del testo, trasmette in modo assai riuscito con un'impronta altamente visionaria e onirica che sembra suggerire un'ispirazione donata dall'assunzione di sostanze psicotrope. Un testo dunque che non è per tutti, anche perché la trama diviene un'allegoria da alcuni associata alla crisi dell'Impero Austro Ungarico (di cui Kubin era cittadino) prossimo a sfaldarsi, da altri addirittura viene vista come profezia della catastrofe che, di lì a poco, avrebbe colpito l'Europa flagellata dalle guerre. Vediamo così il Regno del Sogno divenire preda di una sorta di maledizione, dove ha un ruolo attivo un magnate americano che decide di far guerra al sovrano del regno dando vita ai primi movimenti politici, e per effetto della stessa disgregarsi alla stregua di una carcassa che imputridisce sotto l'effetto dei vermi che si generano direttamente dal suo interno e ne consumano la carne fino a emergere in superficie. Kubin utilizza in tal senso la fauna che si trova all'interno del regno, con tigri, serpenti, avvoltoi, topi e cavalli impazziti che incarnano il ruolo degli agenti di morte azionati per divorare l'apparato che costituisce l'ideale organismo del "mostro" civile costituito dal Regno del Sogno e che è stato intaccato dalla presa di coscienza della sua vera natura (si intuisce una certa relazione tra l'americano e l'angelo ribelle, tanto che viene utilizzato il nome di Lucifero con accezione quasi positiva). Una disgregazione che diviene anche mentale, il marciume e l'abbandono delle vie e delle case verso il degrado si rispecchia nei comportamenti dei cittadini che diventano assassini, stupratori, prostitute e ladri senza che nessuno abbia la forza di invertire il trend. Il sovrano del regno, infatti, resta passivo, a contemplare il crollo dello stesso, alla stregua di un Dio disinteressato alle sorti del proprio mondo, ormai troppo stanco per intervenire a ricostituire l'equilibrio. Kubin suggerisce altresì una duplice natura del Dio, come un essere al contempo malvagio e al contempo positivo. Il Demiurgo è un ibrido conclude Kubin, "il vero inferno consiste nel fatto che questo doppio gioco contraddittorio si prolunga in noi... Il bianco e il nero non sono che l'espressione di una lotta", in una visione che lo associa alla teoria cardinale di Empedocle e in cui il tutto si riduce in un unicum omnicomprensivo.
Quando alla fine arriveranno gli eserciti della società civilizzata, curiosamente i russi (cosa che letta anni dopo sa di beffa ironico-satirica, vista la via che poi prenderà la Russia circa cinque anni dopo la stesura del testo), per liberare i cittadini dalla folle egemonia totalitaria di Patera, resteranno solo otto abitanti: il magnate americano, il protagonista e sei ebrei.
Un testo allegorico e altamente simbolico (non si contano questi riferimenti, pressoché continui a partire dalla torre con l'orologio in cui tutti i cittadini si trovano costretti a recarsi per rendere omaggio a Dio), diviso in due parti nette, non di facile lettura e non adatto a un lettore medio. Molti i momenti in cui emerge l'estro visionario dell'autore. In particolare c'è una scena in un pozzo con un cavallo bianco cieco che galoppa contro lo spaurito protagonista. Bello poi un sogno dello stesso con un tipo dotato di "due file verticali di capezzoli" diciotto in tutto, che utilizza per suonare pezzi come se costituiserro parte integrante di una fisarmonica. Pennellate oniriche degne, in epoca moderna, di un solo scrittore: Clive Barker.
Il testo ha ispirato il regista Johannes Schaaf che, nel 1973, l'ha utilizzato per dar vita al misconosciuto film Traumstadt.
Da avere in biblioteca se siete studiosi della letteratura fantastica o se amate opere non convenzionali, assolutamente non suggerito a chi apprezzi testi lineari o ricerchi opere di mero intrattenimento.
Alfred Kubin.
"E' raro che un artista sia un individuo veramente malvagio: qualche meschinità di quando in quando, e tutto si ferma lì. Le nostre sensazioni non ci lasciano tempo per bricconate in grande stile. Mettiamo l'anima allo scoperto nei nostri lavori, e così tutti possono vedere chiaramente che razza di mascalzone un artista sarebbe potuto diventare in certe circostanze. L'arte è una valvola di sicurezza."
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