Autore: Hanns Heinz Ewers.
Anno: 1911.
Genere: Fantastico/Drammatico.
Editore: Edizioni Hypnos, 2017.
Pagine: 250.
Prezzo: 18,00 euro.
A cura di Matteo Mancini.
Il
trasgressivo Ewers nell'opera più coraggiosa ed estrema della sua
produzione e, anche per questo, la più famosa e di successo. Scrittore di cui
abbiam già avuto modo di parlare, in occasione della recensione Il
Ragno e Altri Racconti del Terrore,
giova qua ricordarne le abitudine libertine ed estremamente aperte.
Viaggiatore instancabile, dapprima rivoluzionario poi in linea con le
idee nazionalsocialiste al punto da diventare un primario
rappresentante del partito di Hitler per poi essere oscurato dallo
stesso in quanto reputato completamente eretico e osceno, sia come
scrittore sia nella vita privata. Bisessuale, frequentatore, anche se
non accertato in modo pieno, di movimenti di ordine magico/esoterico
praticanti la magia sessuale di crowleyana memoria (non nascosta l'amicizia stretta col mago inglese),
definito, un po' forzatamente, “narratore pornografico“,
Ewers è stato un autore coraggioso e sperimentale, che
non si tirava certo indietro e che ha saputo scalare, al di là delle
simpatie politiche, i gradini dello spettacolo tedesco per poi cadere
giù, alla stessa maniera della protagonista del suo celebre romanzo
(qua oggetto di esame), divenendo lui stesso vittima di quei
meccanismi magici che sottendono le trame dei suoi migliori testi
senza emergere in modo troppo esplicito in superficie. Una sorta di Dorian Gray della realtà, peraltro opera molto apprezzata da Ewers che ha trasformato Oscar Wilde quale personaggio attivo di un suo celebre racconto (Il Ghigno).
Quanto alla versione da me letta, c'è da lodare la Hypnos che ha predisposto, per l'occasione, un volume molto curato (molto più della collana Biblioteca dell'Immaginario) sia nella sua portata grafica sia nei contenuti. Oltre al testo, curato (alla grande) da Alessandro Frambini, fanno da cornice un'interessante introduzione di Fambrini stesso e una notevole postfazione dell'omnipresente Walter Catalano, che ci parla di Ewers e della sua notevole influenza sull'espressionismo tedesco (precursore, in veste di sceneggiatore, nel 1919 con Lo Studente di Praga), ma anche dei legami tra Ewers e Crowley e delle versioni cinematografiche, comprese le apocrife, de Alraune ovvero La Mandragora.
A mio avviso un po' sopravvalutato, lo definirei un romanzo erotico dai tratti drammatici con un'atmosfera fantastica che funge da cornice ma che non diviene mai preponderante. Da avere in biblioteca, anche per cultura personale, per tutti gli studiosi del genere fantastico essendo forse il romanzo centrale (di certo quello di maggior successo, addiruttura superiore alle opere di Meyrink) di tutta la produzione fantastica tedesca del primo novecento. Complimenti ancora alla Hypnos e a Vaccaro, preziosissimi nella divulgazione della narrativa fantastica con la "F" maiuscola.
"Le idee viaggiano nell'aria come il polline dei fiori , vanno vorticando finché non si posano nella mente di un uomo. Spesso si atrofizzano, inaridiscono, muoiono... Poche volte trovano un terreno fertile. La mia mente è sempre stata un campo ben concimato per tutte le pazzie e le fantasie più bizzarre."
Alraune
è, dopo L'Apprendista Stregone, il secondo romanzo della
trilogia dell'avventuriero Frank Braun, personaggio ritornante, per alcuni proiezione letteraria dell'autore. Ewers ambienta
la storia in Germania e concepisce il soggetto lavorando su più
versanti. In prima battuta parte dalla leggenda medievale legata alla figura della mandragola (scritta con la “l“),
alraune in lingua
tedesca e mandragora in
latino. Pianta particolare con effetti narcotizzanti, secondo alcuni
afrodisiaci e addirittura occulti (talismano contro la stregoneria), ma che per quel che ci riguarda è da considerarsi sotto un'altra ottica. Ewers si interessa alla leggenda secondo la quale, nel medioevo,
alcuni esoteristi solevano recarsi sotto i patiboli per scavare, alla
mezzanotte, sotto il punto in cui la mattina erano state eseguite le
esecuzioni capitali. In quel punto infatti l'ultimo seme schizzato
fuori dal pene del condannato, nel momento della frattura dell'osso
del collo, e filtrato nella terra genarava una radice dalla forma
antropomorfa e dall'immediato sviluppo, la c.d. radice vivente in
grado di urlare una volta portata alla luce al punto da far perdere i sensi ai passanti. Una sorta di
amuleto in grado di portare ogni forma di fortuna al suo detentore, ma anche da condurlo in un più profondo egoismo e una più profonda
onnipotenza e da determinare, alla stregua di un costoso corrispettivo da versare, la sfortuna dei parenti e delle persone più vicine negli
affetti al detentore. Parte da qui l'ideazione del romanzo, con un oggetto ornamentale
di legno, che simboleggia appunto la madragola antropomorfa, che si stacca da un muro durante una festa in casa e colpisce in testa un ospite. L'evento, tra l'ilarità generale, porta uno degli invitati a prendere la parola per raccontare la leggenda della mandragola. Il racconto non viene preso molto sul serio, se non dal citato Braun. Studente scapestrato, pecora nera di una famiglia accademica, il giovane viene catturato dal racconto e decide così di solleticare la vanità dello
zio, un dotto professore che conduce esperimenti su animali, per
realizzare una vera e propria mandragola dell'epoca moderna. Il punto di forza del romanzo, a mio avviso, sta nel tentativo, pienamente centrato da Ewers, di superare la leggenda
predisponendo uno sviluppo realistico, piuttosto che fantastico,
modernizzando l'antica leggenda grazie al filtro della scienza. Si verifica
così una sorta di mescolamento tra occultismo e scienza (all'epoca
avveneristica, oggi realtà consolidata), introducendo la pratica
dell'inseminazione artificiale. Così il duo, frequentando locali
ambigui a luci rosse, sceglie una prostituta avvenente, tale non
tanto per il mestiere scelto ma per vocazione (la bocca di rosa di turno, per
intenderci chiamando in causa la storica canzone di De André) così che possa degnamente rappresentare la terra
(prostituta per vocazione per concedersi con fertilità e costrutto a
qualunque seme), e la convince a collaborare dietro squallida
proposta di denaro con l'obbligo di rinunciare a ogni diritto sul
nascituro. Ewers in questi passaggi è molto crudo, per l'epoca
senz'altro volgare e disinibito. Passa da dialoghi e passaggi che sfiorano la poesia ad altri che sembran usciti da un gretto giornalino pulp della più infima specie. La madre della futura mandragora è
una vera e propria ninfomane che va con giovani, vecchi, uomini e
donne per il gusto della trasgressione e il piacere del sesso, non
tanto per denaro, che comunque non disdegna dovendo pur mangiare, ma per passione. La donna, provocante e ben tratteggiata da Ewers, si rivolge agli interlocutori in modo sboccato ed esplicito. Catturata dall'idea di esser stata scelta come futura madre di un
principe ingiustamente incarcerato e intenzionato a giocare un brutto
tiro agli eredi con la nascita di un figlio all'insaputa di tutti,
viene rinchiusa in una stanza e poi arrestata con una falsa accusa (così da tenerla sotto controllo) fino alla nascita della figlia che porta in grembo e che viene
concepita col seme rilasciato, anziché dal principe che le era stato promesso, da un condannato a morte proprio come
nella tradizione medievale. Credo che per l'epoca l'escamotage studiato da Ewers fosse da considerarsi fantastascientifico, letto ai giorni d'oggi, dove si parla anche di fecondazione eterologa e donazioni di ovuli, risulta ampiamente superato dalla realtà.
Il romanzo prosegue con la storia di questa nuova figura narrativa che, pur avendo punti di contatto, è bene precisare, non integra il caso dell'homunculus di alchemica memoria (essendo stata procreata per una via poi non troppo distante da quella naturale) né quello del prodotto realizzato dal mad doctor di turno, sulla scia mostro di Frankenstein, per intenderci. Ewers tuttavia sta sul confine tra le due figure accennate e lo fa, a mio modo di vedere, per rendere il più realistico possibile il narrato, obiettivo che centra in pieno. Ne deriva così un romanzo che è difficile da definire fantastico ma che, tuttavia, ha un'innegabile atmosfera occulta che grava di continuo sui fatti, ammiccando, suggerendo, senza però mai dare una chiave di lettura univoca se non a livello subliminale. La piccola, che viene allevata dal suo creatore mentre la madre muore al parto, divenuta adulta, si trasforma in croce e delizia, portatrice di fortune per il suo ideatore (proprio come nella tradizione leggendaria) ma al contempo causa di morte per tutti coloro che le girano attorno e che, a diverso titolo, ne finiscono preda mentale o, più spesso, sessuale. Una ragazza attraente, dai tratti androgini, che le piace vestirsi da maschio e che sa conquistare ogni uomo, e che nella sua apparente innocenza e ingenuità si dimostra di un egoismo sconfinato. Si diverte a rubare gli uomini alle altre donne, così, per il gusto narcisistico di farlo, conducendoli alla rovina (molto bello l'aneddoto dell'autista che costringe a correre sempre più forte in auto o dell'amico di infanzia a cui fa prendere una polmonite come prova d'amore) ma passando sempre da innocente. Inevitabile il collegamento alla successiva e classica figura di Demian di David Seltzer, protagonista nel romanzo Omen (1975), che era un homunculus a tutti gli effetti (ovvero una creatura dal corpo umano, ma generata da uno sciacallo e privo di anima, al punto da incarnare la figura dell'anticristo), da cui mutua quell'atteggiamento da predestinata, che non fa niente di veramente grave, eppure conduce alla morte e alla disgrazia tutti coloro che le girano intorno, rivelandosi immune da malattie infettive, da condurre la madre alla morte al parto e da trasudare un carisma invalidante per tutti coloro che si trovano al suo cospetto, ivi compresi gli animali che cercano di evitarla (si ricordi la scena dello zoo nel romanzo di Seltzer). Laddove però Seltzer è esplicito, Ewers resta sempre con un saldo piede nella realtà, tenendo sempre celato l'occulto ivi compreso nell'epilogo. Sono i suoi stessi protagonisti, compresi gli informati sui fatti, a chiedersi se quello che succede sia legato all'antica leggenda o all'interferenza di forze occulte o piuttosto sia solo frutto di suggestioni e del caso (ben incarnato dal fatto che la madre della protagonista si firma, all'insaputa di chi l'ha scelta, come AL RAUNE ovvero Mandragora), soluzione quest'ultima che viene suggerita proprio per portare il lettore a pensare all'esatto contrario. Agatha Christie soleva dire che un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova, qua invece possiamo dire che gli indizi si sprecano al punto che fanno una trattato, più che un romanzo, esoterico.
La copertina dell'adattamento cinematografico
del 1918 che sintetizza in modo chiaro
la natura della storia.
Il romanzo prosegue con la storia di questa nuova figura narrativa che, pur avendo punti di contatto, è bene precisare, non integra il caso dell'homunculus di alchemica memoria (essendo stata procreata per una via poi non troppo distante da quella naturale) né quello del prodotto realizzato dal mad doctor di turno, sulla scia mostro di Frankenstein, per intenderci. Ewers tuttavia sta sul confine tra le due figure accennate e lo fa, a mio modo di vedere, per rendere il più realistico possibile il narrato, obiettivo che centra in pieno. Ne deriva così un romanzo che è difficile da definire fantastico ma che, tuttavia, ha un'innegabile atmosfera occulta che grava di continuo sui fatti, ammiccando, suggerendo, senza però mai dare una chiave di lettura univoca se non a livello subliminale. La piccola, che viene allevata dal suo creatore mentre la madre muore al parto, divenuta adulta, si trasforma in croce e delizia, portatrice di fortune per il suo ideatore (proprio come nella tradizione leggendaria) ma al contempo causa di morte per tutti coloro che le girano attorno e che, a diverso titolo, ne finiscono preda mentale o, più spesso, sessuale. Una ragazza attraente, dai tratti androgini, che le piace vestirsi da maschio e che sa conquistare ogni uomo, e che nella sua apparente innocenza e ingenuità si dimostra di un egoismo sconfinato. Si diverte a rubare gli uomini alle altre donne, così, per il gusto narcisistico di farlo, conducendoli alla rovina (molto bello l'aneddoto dell'autista che costringe a correre sempre più forte in auto o dell'amico di infanzia a cui fa prendere una polmonite come prova d'amore) ma passando sempre da innocente. Inevitabile il collegamento alla successiva e classica figura di Demian di David Seltzer, protagonista nel romanzo Omen (1975), che era un homunculus a tutti gli effetti (ovvero una creatura dal corpo umano, ma generata da uno sciacallo e privo di anima, al punto da incarnare la figura dell'anticristo), da cui mutua quell'atteggiamento da predestinata, che non fa niente di veramente grave, eppure conduce alla morte e alla disgrazia tutti coloro che le girano intorno, rivelandosi immune da malattie infettive, da condurre la madre alla morte al parto e da trasudare un carisma invalidante per tutti coloro che si trovano al suo cospetto, ivi compresi gli animali che cercano di evitarla (si ricordi la scena dello zoo nel romanzo di Seltzer). Laddove però Seltzer è esplicito, Ewers resta sempre con un saldo piede nella realtà, tenendo sempre celato l'occulto ivi compreso nell'epilogo. Sono i suoi stessi protagonisti, compresi gli informati sui fatti, a chiedersi se quello che succede sia legato all'antica leggenda o all'interferenza di forze occulte o piuttosto sia solo frutto di suggestioni e del caso (ben incarnato dal fatto che la madre della protagonista si firma, all'insaputa di chi l'ha scelta, come AL RAUNE ovvero Mandragora), soluzione quest'ultima che viene suggerita proprio per portare il lettore a pensare all'esatto contrario. Agatha Christie soleva dire che un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova, qua invece possiamo dire che gli indizi si sprecano al punto che fanno una trattato, più che un romanzo, esoterico.
Ma chi è Alraune? Si tratta di un personaggio di spiccatissimo valore sessuale, una
vera e propria femme fatale, che
si riallaccia alla protagonista de Il Grande Dio Pan
(1890) di Machen da cui mutua un concepimento benedetto (o
maledetto), se vogliamo, dal signore del tenebre, e un atteggiamento
libertino che la porta a suscitare scandalo e a conquistare uomini su
uomini. Curioso notare come, in ogni rapporto sessuale che la ragazza
intrattiene, si verifichi una sorta di effetto mantide religiosa,
sviluppo caro all'autore (si ricordi Il Ragno),
in un'ottica sadomasochistica dove il master è sempre la donna e lo
slave il compagno di turno destinato a soccombere perché inibito a ogni resistenza di ordine mentale, completamente inebriato dalla carne e stordito dal sangue che assume valenza alcolica (si parla di vino con accezione, probabilmente, sacrilega). Negli ultimi capitoli Ewers libera alla
massima potenza la sua libido, portando la protagonista a praticare
delle incisioni sul petto dell'amato per suggere il sangue che ne
fuoriesce (riprenderà la cosa nel terzo romanzo della saga Braun intitolato Vampiro). Il sangue, appunto, sostanza centrale nelle pratiche
magico/alchemiche (Ewers anticipa Crowley e il suo Moonchild) che quan corre in modo copioso, con Alraune che
tende sempre a mordere, nei suoi baci, i fortunati (sarebbe il caso di
dire sventurati che ne restan ammaliati), in una logica da
cannibalismo accennato che richiama quella mantide religiosa che
abbiam, poco sopra, accennato solita divorare il compagno di turno all'apice dell'amplesso (morte da cui nasce la vita, perfetta sintesi della nascita della mandragola della leggenda).
Questa
per sommi capi la tematica del romanzo che scorre via lineare, senza
particolari cripticismi tipici di certa narrativa fantastica (di cui Ewers fa parte), e dunque se vogliamo a suo modo commerciale, pur
scadendo spesso di ritmo con digressioni di cui, a mio avviso, si
sarebbe potuto fare a meno, in cui Ewers mette alla berlina la
borghesia tedesca e il movimento accademico. Trasgressivo fino
all'eccesso, per l'epoca, orientato a scioccare il pubblico sul
piano erotico piuttosto che orrorifico, con una vera e propria lode alla
libertà sessuale vissuta in chiave sadomasochista dove la donna
diviene la dea della perdizione che porta l'uomo a perdere il senno e
a ragionare con un qualcosa che sta più in basso dell'ordinaria cabina di
regia. Il finale, un po' accomodante, resta forse lievemente
posticcio (non è ben spiegato) e porta la protagonista a decadere dal suo trono diabolico
(rappresentato dai tetti dove cammina sonnambula, un po' come faceva
il suo creatore lanciandosi nel mondo degli affari confidando
ciecamente nelle guide sataniche dallo stesso scatenate) proprio per
essersi fatta conquistare dall'amore e dunque redenta al contrario.
Quanto alla versione da me letta, c'è da lodare la Hypnos che ha predisposto, per l'occasione, un volume molto curato (molto più della collana Biblioteca dell'Immaginario) sia nella sua portata grafica sia nei contenuti. Oltre al testo, curato (alla grande) da Alessandro Frambini, fanno da cornice un'interessante introduzione di Fambrini stesso e una notevole postfazione dell'omnipresente Walter Catalano, che ci parla di Ewers e della sua notevole influenza sull'espressionismo tedesco (precursore, in veste di sceneggiatore, nel 1919 con Lo Studente di Praga), ma anche dei legami tra Ewers e Crowley e delle versioni cinematografiche, comprese le apocrife, de Alraune ovvero La Mandragora.
A mio avviso un po' sopravvalutato, lo definirei un romanzo erotico dai tratti drammatici con un'atmosfera fantastica che funge da cornice ma che non diviene mai preponderante. Da avere in biblioteca, anche per cultura personale, per tutti gli studiosi del genere fantastico essendo forse il romanzo centrale (di certo quello di maggior successo, addiruttura superiore alle opere di Meyrink) di tutta la produzione fantastica tedesca del primo novecento. Complimenti ancora alla Hypnos e a Vaccaro, preziosissimi nella divulgazione della narrativa fantastica con la "F" maiuscola.
HANNS H. EWERS
"Le idee viaggiano nell'aria come il polline dei fiori , vanno vorticando finché non si posano nella mente di un uomo. Spesso si atrofizzano, inaridiscono, muoiono... Poche volte trovano un terreno fertile. La mia mente è sempre stata un campo ben concimato per tutte le pazzie e le fantasie più bizzarre."
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