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mercoledì 16 dicembre 2015

Recensione Narrativa: IL CASO DI CHARLES DEXTER WARD di Howard P. Lovecraft



Autore: Howard Phillips Lovecraft.
Anno: 1927 (uscito postumo nel 1941).
Genere: Horror.
Pagine: 131.

Commento di Matteo Mancini.
Romanzo breve, definito da molti autobiografico, scritto da Howard Phillips Lovecraft nei primi mesi del 1927, ma uscito solo una quindicina di anni dopo, nel 1941, per volontà degli allievi dell'autore ormai morto da qualche anno. 
La storia, inscenata nella città natale di Lovecraft, a Providence ("eterno rifugio dei dissenzienti, dei liberi pensatori e degli individui più strani"), ruota attorno al tema della negromanzia e della vita oltre la morte. I fatti sono narrati in un lento crescendo, preceduti da un antefatto storico distante oltre un secolo rispetto alla trama principale, con un personaggio sfuggito dalla caccia delle streghe di Salem.
Protagonista è un giovane ragazzo appassionato di antichità che ha una vita sociale prossima allo zero, poiché adora vivere per lo studio e la contemplazione dell'architettura e dell'arte antica. Un individuo che si interessa di storia, genealogia, architettura, appassionato di lunghe passeggiate nei centri storici e che ignora del tutto il mondo moderno, da cui non è affatto attratto. Si tratta di un personaggio che Lovecraft caratterizza ispirandosi a un giovane di nome Mauran che viveva vicino a casa sua, ma che delinea mettendo molto di sé stesso. Lovecraft infatti usava criticare il progresso, si definiva conservatore, amante del bello classico ed era allergico a mode e consumismo. Dunque un approccio al mondo non molto dissimile a quello del primo Dexter Ward.  
La scoperta di un oscuro ascendente, trucidato in una spedizione punitiva orchestrata da un gruppo di villeggianti convinti di avere a che fare con uno stregone alchimista con la passione per i cimiteri e la letteratura esoterica, porta Ward a interessarsi di occulto e a ripercorrere il percorso iniziatico dell'avo, vagando di biblioteca in biblioteca, alla caccia di documenti ingialliti, lettere e testimonianze consegnate a reperti cartacei sepolti in un mare di faldoni. Scoprirà peraltro, rinvenendo un ritratto dell'uomo, di avere gli stessi lineamenti dell'oscuro avo, aspetto questo che viene colto con grande felicità dal ragazzo che farà asportare il quadro per portarselo in camera da letto. Così il giovane inizia a modificare le proprie abitudini, tende a isolarsi sempre più, abbandona gli studi convenzionali per sposare la via degli esperimenti alchemici, con l'obiettivo di evocare i morti allo scopo di acquisirne le conoscenze e controllarli. Una pratica quest'ultima che comporta la profanazione di cadaveri per sottrarne le ceneri, quindi procedere con formule magiche ed esperimenti che sottraggono ore ore alla vita comune e costringono a rinchiudersi sprangati in un laboratorio a cui è bandito l'accesso a chiunque. Fondamentali sono gli scritti del vecchio antenato, tale Curwen, da decriptare in quanto codificati con chiavi di lettura non di pronta soluzione.
Spetterà al medico di famiglia, il signor Willett, allarmato dai genitori di Ward storditi per il cambiamento di vita del figlio e per gli strani urli che provengono dal laboratorio, indagare sulla costante e inevitabile discesa verso la pazzia del giovane, sempre più ossessionato dai suoi studi e sempre più disturbato da convinzioni di persecuzione. Deriva, quest'ultima, che porterà Ward a essere internato in manicomio, epilogo inevitabile per chi intende affacciarsi sull'indicibile mondo dell'ignoto senza averne la preparazione e il distacco necessario per resistere alle nefandezze liberate dalle catene del tempo e dalle dimensioni inviolabili dai comuni mortali. Willett scoprirà, a sue spese, che la magia  non è una diceria e che gli spiriti ultraterreni, nella fattispecie cosmici, esistono davvero e sono in grado di ritornare in vita e scatenare eventi connessi a pratiche di vampirismo, possessione fisica e annichilimento mentale. Bellissima, al riguardo, la parte finale dove, da provetto detective dell'occulto, il signor Willett visiterà i sotterranei della fattoria che era stata dell'avo di Ward e si imbatterà in un abisso di perdizione, dominato da lamenti di creature ultraterrene e da un olezzo nauseabondo che farà svenire il padre di Ward.
Una piccola curiosità è costituita dal fatto che l'indirizzo in cui risiede il dottor Willett è lo stesso in cui risiedeva, al tempo dell'opera, Howard P. Lovecraft.

Venendo alla componente tecnica, Lovecraft dota il romanzo di un imprinting degno di un giallo di indagine, anche perché Ward si contorna di una coppia di collaboratori di cui non è dato sapere niente e che sono in comunicazione con maghi che vivono a Praga e in Transilvania. L'elemento fantastico e il finale in cui si registrerà uno scontro tra magia bianca e magia nera forniscono l'elaborato di quel contenuto tale da non poter esser ritenuto un'opera di narrativa poliziesca, ma il background c'è tutto. La narrazione è lenta, torna spesso su sé stessa e ricerca di creare atmosfere angosciose, di ansia e di mistero, con punte di orrore puro (si veda la descrizione delle bestie aliene o l'assalto alla fattoria di Curwen nella prima parte della storia). Purtroppo molti aspetti restano incompleti, c'è quasi la sensazione che l'autore abbia messo troppa carne al fuoco (i fenomeni di vampirismo, appena accennati, sembrano quasi buttati lì senza alcuna giustificazione). Alla fine Willet risolve l'intrigo, con un finale abbastanza positivo (anche se non si capisce perché l'antagonista abbia fatto tanto lavoro per poi accontentarsi di vivere in manicomio, tenendo una condotta sospettosa e prendendo una deriva sempre più esaltata) ma che lascia un po' perplessi, facendo egli stesso ricorso a rituali e formule magiche senza averne una formazione base.

Un cenno finale per l'amore del solitario per la sua Providence, qua evidente ai massimi vertici stimolato dalla lontananza nel biennio newyorkese e dal rientro alimentato da una saudade tale da spingerlo a esternare la propria passione su carta, plasmando continui passaggi descrittivi, messi nero su bianco, con l'amore di chi si sente legato a una data terra da un cordone ombelicale da cui è difficile staccarsi. Lo stesso Ward, di rientro a Providence dai viaggi in Europa, esprimerà pensieri e osservazioni in linea ai sentimenti propri del Lovecraft di rientro da New York. Dunque ancora una volta una pennellata autobiografica, una sorta di omaggio sentito per il paese in cui il piccolo Lovecraft ha conosciuto la luce, uscendo dalla placenta della madre come un grande antico risucchiato dalla sua dimensione da oscuri sortilegi cadenzati da avventati officianti.

Il Caso di Charles Dexter Ward è dunque una delle opere più introspettive di Lovecraft, vagamente legata al mito dei grandi antichi e che si potrebbe benissimo scorporare dagli stessi essendo strutturata su tematiche che coinvolgono l'occultista Levi, Borello e persino Pico della Mirandola. A mio avviso non è tra i lavori più riusciti del maestro di Providence, anche se ne raccoglie il pessimismo, il distacco dal materialismo dirompente che caratterizza la società capitalista degli ultimi cento anni e l'inevitabile convinzione di impossibilità di fuga dalla pazzia per chi, troppo sensibile, intenda placare la sete di conoscenza abbeverandosi al cospetto di entità ultraumane a cui poco interessa la sorte degli uomini e che salmodiano verità che bruciano le menti. Da leggere per gli appassionati dell'autore, chi conosca poco Lovecraft invece dovrebbe orientarsi a racconti meno impegnativi.

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