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giovedì 26 novembre 2015

Recensione Saggi: GRANDE TORINO PER SEMPRE! di Franco Ossola.




Autori: Franco Ossola.
Sottotitolo: Storia affettuosa e romantica di una squadra di calcio unica e irripetibile.
Genere: Sport-Calcio.
Anno: 1998.
Editore: Editrice il Punto.
Collana: Il Vantaggio.
Pagine: 144.
Prezzo: 28 euro.

Commento di Matteo Mancini.
Franco Ossola è il figlio di Franco Ossola, non è un gioco di parole o una ripetizione connessa a un refuso del recensore, si tratta invece di un architetto e scrittore di Torino nato da colui che ispirò un bellissimo e indovinato commento di Gianni Brera: "Franco Ossola giocava per invenzioni continue  con una misura di tocco assolutamente rara". Stiamo parlando di una delle due ali che fecero grande il calcio italiano, l'ala mancina.
Famiglia di sportivi, lo zio, Aldo Ossola, era cestista della mitica Ignis Varese, ebbe la sfortuna di non conoscere mai il padre, deceduto nella tragedia di Superga, e forse anche per questo battezzato dalla madre col medesimo nome. Vedremo come l'omonomia, nella storia del Torino calcio sarà costante incredibile, come un bizzarro e beffardo scherzo del destino che, a volte, si diverte a tessere sottili trame di una precisione assurda, ma che non si possono che leggere come casualità alquanto intinte di un'ironia nera.
Il Franco Ossola in questione è stato eccelso atleta, un velocista per la precisione, e di che tempra. Ha fatto parte della staffetta 4x200 della nazionale italiana che stabilì il record del mondo nel 1972. Dunque uno sportivo degno del nome che gli è stato dato dalla madre e che di certo avrebbe inorgoglito il padre anch'esso campione. Un nome dunque pesante portato con una leggerezza degna di chi coglie certi traguardi. Per nulla secondario neppure nei colpi di penna, o meglio con le leve delle vecchie macchine da scrivere. Tifosissimo del Toro, come inevitabile che fosse, ha collaborato con vari giornali sportivi, ma soprattutto ha dato avvio a una serie di pubblicazioni legate al Torino calcio. Si è aggiudicato il prestigioso Premio Bancarella Sport nel 1998 con Cento Anni di Calcio Italiano (Newton Editori) e il Premio Speciale del CONI nel 1999 con il volume qui oggetto di esame, andando così a bissare entrambi i premi, vinti in precedenza per la prima volta con Il Romanzo del Grande Torino (Newton Editori) nel 1995, volume poi trasposto nel film tv RAI interpretato da Fiorello per la regia di Bonivento.

FRANCO OSSOLA.

In occasione di questo volume, formato gigante con copertina cartonata, Franco Ossola opta per un taglio veloce, rapido, suddivendo il testo in tre grandi parti suddivise poi in capitoli. Il volume si avvia con una prima parte, la più corposa, dedicata al presidente Ferruccio Novo, artefice della creazione di quella che diverrà, col decorrere degli anni e grazie a innesti sempre azzeccati, la squadra che sfiderà il tempo e i numeri offerti dalle altre squadre, vincendo ogni prova e inchinandosi solo al triste fato, un epilogo che però spedirà il Toro nella leggenda, seppur a caro prezzo. Con Novo facciamo la conoscenza, uno per uno, dei diciotto giocatori, più i due tecnici, che persero la vita in quel tragico incidente. Per ognuno di loro Ossola offre almeno due pagine, con foto e commenti brevi lasciati dalle più grandi firme del giornalismo italiano che con tre righe offrono la loro visione su ogni singolo giocatore. Figurano così gli epitaffi a firma di diciotto giornalisti o sportivi diversi, tra questi i grandi Gianni Minà, Sandro Ciotti, Carlo Bergoglio, Gianni Brera, Enzo Bearzot (che è stato capitano del Torino oltre che allenatore della nazionale italiana del 1982) e via dicendo. Piccoli commenti che però impreziosiscono e rendono, qualora ce ne fosse bisogno, ancor più autevole il testo cui funge da corollario una splendida galleria di fotografie disseminate su tutte le pagine.
Ossola però non si "limita" a questo. Il suo è un tributo a tutti i giocatori che hanno indossato almeno una volta la maglia del Torino dal 1942 al maggio del 1949. Per ciascuno di loro l'autore regala un trafiletto che ne descrive le caratteristiche tecniche, con tanto di foto. Ne deriva quindi un elogio e un voler consegnare alla memoria dei posteri tutti i protagonisti che hanno contributo, chi più chi meno, a iscrivere il nome del Torino nel libro dei record calcistici.
La prima parte si chiude con il rapporto tra nazionale italiana e Torino, con la leggendaria sfida nel maggio del 1947 contro l'Ungheria con ben dieci giocatori del Torino a vestire le divise azzurre, in quella che fu definita dai giornalisti dell'epoca la Nazional-Torino. Unico a mancare, arriverà poi qualche mese dopo, il portiere Bacigalupo, ancora troppo acerbo ad avviso del commissario tecnico Vittorio Pozzo. Segue poi l'interessante capitolo dedicato alle sfide internazionali della squadra, non molte in verità anche perché le competizioni europee all'epoca erano state soppresse per difficoltà negli spostamenti (si pensi che il presidente Novo fu uno dei primi in Europa, si dice il primo in Italia, a organizzare trasferte aeree per le sfide interne). Di rilievo la tourné in Brasile che vide il Torino pareggiare due partite, vincere col Portoguesa e soccombere col Corinthias, dispensando comunque un gran calcio al punto da far innamorare un giovane José Altafini tanto da farsi affibbiare il soprannome di Mazzola (il capitano della squadra piemontese).

La scheda di BACI, così era soprannominato
il numero uno che fece le "scarpe" a Bodoira.
dal volume di Ossola.

Più descrittiva la seconda parte, dedicata al ricordo delle partite di quegli anni, in particolare all'atmosfera che si respirava allo stadio Filadelfia, definito la fossa dei leoni, alle abitudini dei tifosi di allora, al rapporto molto più personale di adesso con i giocatori. Bello questo passaggio di Ossola che vengo qua ad offrire ai pochi lettori di queste mie righe e che introducono l'inizio dei famosi quarti d'ora granata, un lasso di tempo dove la squadra di casa travolgeva ogni avversario che avesse davanti : "Dagli spalti, il trombettiere Bolmida sfilava la cornetta lucente e stordiva l'aria. Sul campo Mazzola raggrumava le maniche fino alle spalle. Loik gli si faceva vicino, Castigliano prendeva a schiumare, il docile Grezar mutava cipiglio. La difesa saliva, gli attaccanti con sguardi di intesa registravano il passo, la falcata radente, il tiro. Quando tutto era pronto, quando i misteriosi, silenti accordi segreti fra gli atleti erano pattuiti, riconfermati, partiva la danza, il forsennato balletto della squadra. Come una tempesta sull'oasi fino a quel momento serena, si scatenava la forza. La vittoria ne risultava come unica conseguenza..." Non esagera Ossola quando dice quanto affermato, le statistiche stanno lì a testimoniarlo. Cinque campionati vinti su cinque disputati, scarto di sedici punti sulla seconda classificata nella stagione 1947-48, ma soprattutto imbattuto in casa in 93 incontri dal 17 gennaio del 1943 al 30 aprile del 1949, con uno score di 83 vittorie e 10 pareggi. Semplicemente mostruoso. Solo tre squadre sono riuscite nell'impresa di vincere al Filadelfia, contro quello che sarebbe diventato il Grande Torino, e cioè le due milanesi e il Livorno tutte e tre nel primo campionato, quello del 1942-43. In quel Torino e in quelle partite solo quattro "grandi" in campo: Loik e Mazzola (freschi acquisti dal Venezia dove si sollevò un moto di protesta placato solo dall'esibizione dell'oneroso assegno sganciato da Novo), quindi Menti e proprio Ossola, che aveva debuttato in serie A in un Novara vs Torino il febbraio del 1940. Ed è stato il "piccolo" Livorno l'unica squadra, esattamente in quel campionato, a rischiare di beffare il Torino nei campionati regolari, perdendo il titolo, di fatto, all'ultima giornata per un sol punto e con gli scontri diretti a favore. Davvero un'impresa sfiorata per le "triglie" e mai più ripetuta, complice lo scoppio della seconda guerra mondiale e l'interruzione di ogni torneo. Negli anni successivi gli scarti sulla seconda saranno maggiori: otto nel girone piemontese sulla Juventus nel 1944; tre nel 1945-46 sull'Inter; dieci nel 1946-47 sulla Juve; sedici sul Milan nel 1947-48; cinque sull'Intern nel 1948-49
Proprio in relazione a questi dati, Ossola chiude il volume con una parte in stile almanacco dove sono riportate le partite e i tabellini di tutte le sfide giocate dal Grande Torino, a partire dal campionato del 1942. Molto interessante e utile per stilare graduatori e aneddoti curiosi.

Completano il volume altri omaggi offerti da firme quali Carlo Bergoglio, Renzo De Vecchi, Giglio Panza e Bruno Perrucca tutti chiamati da Ossola a offrire una descrizione personale sulle caratteristiche tecnico-tattiche dei diciotto calciatori scomparsi.

Dunque un testo veloce, di pronta lettura, soprattutto per chi ricerca dati e statistiche, non troppo elaborato. Lo potremmo quasi definire una sorta di almanacco altamente illustrato con libere concessioni da volume saggistico, peraltro allargate dal contributo storico offerto da firme prestigiose che si aggiungono a quella di Ossola.

Per chiudere, dato che abbiam parlato di destino beffardo e clamorosi casi di omonomia, saluto i lettori con una cartolina che è quella di una squadra che è felice per aver salutato l'addio alle competizioni agonistiche di una star del Benfica, tale Ferreira, e che fa ritorno a casa salendo a bordo di un aereo pilotato dal tenente colonnello Luigi Meroni. Sì proprio così, come la famosa ala che farà impazzire i tifosi una ventina di anni dopo e che morirà tragicamente investito da colui che diverrà poi, una quarantina di anni dopo, il presidente del Torino. Un destino beffardo, incredibile, per una trama che sembra da romanzo e che corrisponde a realtà. E se Franco Ossola sgroppava sulla fascia sinistra di quel mitico Torino, Luigi Meroni, il calciatore che non ha di fatto conosciuto il padre proprio come l'altro Franco Ossola - scomparso quando aveva appena due anni - inebriava tifosi e avversari sulla fascia opposta: la destra. Possiamo quindi immaginare questi due grandi nomi, che hanno avuto altri due perfetti omonimi legati alla storia del Grande Torino, come le mitiche ali di quell'aereo che per un tragico destino, fatto calare da una nebbia assassina, si infranse sulla collina di Superga abbattendosi su quella che dovrebbe essere il simbolo della pace divina: una basilica. Chissà... difficile a volte comprendere certi eventi. Mi piace immaginare come un modo celato e velato, incomprensibile agli uomini come direbbero i sofisti, con cui Dio avoca a sé gli sportivi, da leggersi uomini, capaci di emozionare fino al profondo gli sportivi veri, quelli che vanno oltre le fedi sportive e che apprezzano il vero spirito agonisticio, ovvero quelli che cercano e amano le leggende. Così Gianni Brera salutò Meroni, il calciatore: "A Gigi, estri bizzarri e libertà sociali in un paese di quasi tutti conformisti sornioni."

LUIGI MERONI,
giocatore che avrebbe potuto far parte di
quel magnifico GRANDE TORINO e 
che per un tragico destino
compare nella lista dei deceduti come
tenente colonnello chiamato a condurre quell'aereo mai atterrato.

Recensione scritta il giorno dopo l'anniversario, il novantasettesimo, della nascita di Giuseppe Grezar, il mediano della squadra, che debuttò in maglia granata il 17 settembre del 1939 contro il Novara e che Angelo (Rovelli) ha così ricordato: "Non plateale, ligio alla sobrietà del gioco, al passaggio misurato per conservare al massimo la linea giusta di tutto il complesso di squadra."


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