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sabato 18 luglio 2015

Recensioni Cinematografiche: QUELLA SPORCA DOZZINA di Robert Aldrich




Regia: Robert Aldrich.
Anno: 1967, USA.
Genere: Guerra.
Soggetto: tratto dal romanzo di E.M. Nathanson.
Sceneggiatura: Nunnally Johnson e Lukas Helle.
Interpreti Principali: Lee Marvin, Charles Bronson, John Cassavetes, Telly Savalas, Donald Sutherland, Jim Brown, Ernest Borgnine, Robert Ryan e Al Mancini.
Durata: 149.

Commento di Matteo Mancini (autore di Spaghetti Western V. 1 e V.2).
Pietra miliare del cinema di guerra, ma soprattutto base di riferimento per il nascente cinema di genere europeo e americano. E' Robert Aldrich a firmarlo e dirigerlo in un clima iniziale di scetticismo ingiustificato. Siamo infatti alle prese con un regista già affermato, che arriva a portare in scena questo adattamento da un romanzo di Nathanson con qualcosa come sedici pellicole all'attivo, oltre che un lunghissimo praticantato in veste di aiuto regista iniziato nel 1942 agli ordini di Robert Stevenson (è un caso di sdoppiamento di identità, ma non ha nulla a che fare con l'autore de Lo Strano Caso del Dr Jekyll e Mr Hide) e sviluppatosi soprattutto con Irving Reis, con l'apice ottenuto al servizio di Charlie Chaplin ne Luci della Ribalta (1952) che gli apre la carriera da regista. Professionista quindi già di grosso calibro, alla soglia dei cinquant'anni, più apprezzato nel vecchio continente che in patria come dimostrano Il Leone di Argento ottenuto al Festival di Venezia per Il Grande Coltello (1955) e la nomination al Leone d'Oro per Prima Linea (1956), nonché l'Orso d'Argento del Festival di Berlino con Foglie d'Autunno (1956) e la nomination alla Palma d'Oro di Cannes per l'assoluto capolavoro Che Fine ha Fatto Baby Jane? (1962).
Quando Aldrich inizia a lavorare a The Dirty Dozen è reduce da tre pellicole non particolarmente riuscite tra cui Sodoma e Gomorra (1962), dove vi ha lavorato in qualità di direttore della seconda unità Sergio Leone, e dalla beffa di aver ricevuto sette nomination all'oscar con Piano... Piano, Dolce Carlotta (1964) senza vincerne neppure uno. La carica emotiva quindi non gli manca e il copione ha tutti gli ingredienti per dare avvio, nel corso degli anni, a un sottogenere, a una serie di sequel (tre) e addirittura a un serial televisivo. C'è azione (pur se concentrata nella parte finale), buoni dialoghi caratterizzati dall'anteposizione di canaglie e reietti alle consuetudinarie presenze di uomini di alto rispetto nonché portatori di valori da diffondere nella popolazione e poi vi è un atteggiamento rivoltoso, più votato alla sostanza che alla forma, ai canovacci legati all'ambiente militare. Qua i protagonisti sono i reietti e non gli accademici.
L'idea è semplice e deriva dal romanzo di E.M Nathanson, autore tutt'altro che famoso. Abbiamo un maggiore dell'esercito americano, Maggiore Reisman (il nome sembra quasi un omaggio al maestro di Aldrich, che era Reis), che pensa bene di proporre all'alto comando americano una missione proibitiva, per i grossi rischi per il commando da impiegare, facendosi affidare i peggiori elementi dell'esercito allo scopo di mettere in piedi un nucleo di soggetti disposti a tutto. Riesce così a mettere su una rosa di reietti, addirittura tutti condannati a pene detentive con almeno cinque destinati alla forca, su cui nessuno punterebbe un mezzo dollaro. Gli uomini accettano, perché vien loro offerto, in caso di esito favorevole della missione, il condono delle pene (soluzione che starà alla base di dozzine di film successivi, su tutti 1997 Fuga da New York), ma il comportamento sbagliato di qualcuno di loro o ogni tentativo di ammutinamento determineranno conseguenze negative sull'intero gruppo. Gli inizi dell'addestramento sono tutt'altro che facili, c'è chi è riottoso agli ordini, chi sembra ritardato, chi è uno psicopatico, chi ha deliri religiosi culminanti con derive da missionario schizofrenico e via dicendo. Il maggiore però che li ha in custodia è un altro soggetto fuori dai canoni, inviso ai superiori per i suoi modi non convenzionali e addirittura per un atteggiamento tendente allo spaccone. Li mette in riga con modi duri, ma giusti. Li fa pernottare in baracche senza alcun confort, perché quelli si devono guadagnare sul campo. Conia per loro il nome di "sporca dozzina" perché loro per protesta rifiutano di radersi e di pulirsi finché non viene data loro l'acqua calda che viene invece garantita alla Militar Police. Reisman in tutta risposta fa togliere sapone e rasoi: "sarete il reparto più brutto e puzzolente degli Stati Uniti!". Alla fine però li premia promuovendo un'orgia nel campo, soluzione che manderà su tutte le furie colonnelli e generali, oltre che l'elemento affetto da deliri religiosi (il grande Savalas) nonché ultra misogino (sarà poi quello che complicherà la missione facendo indirettamente morire quasi tutti i suoi compagni).
La prima parte si consuma con l'addestramento di questi uomini, che non vengono chiamati per nome ma solo per numero, proprio come se fossero una squadra di calcio. Il Maggiore Reisman li fa fraternizzare "all'inglese" e così dai litigi e dagli spintoni (dovuti anche a questioni razziali) riesce a forgiare uno spirito di gruppo e di appartenenza sotto una medesima divisa, sebbene lo spirito di tutti i partecipanti, Maggiore compreso (che si unisce a loro nella missione combattendo fianco a fianco), rimane ribelle e insofferente ai formalismi. Costituisce al riguardo una palese critica ai formalismi e alle ipocrisie di fondo che governano certi meccanismi la sequenza in cui si assiste alla sceneggiata che mette in atto il colonnello Breed, interpretato da Ryan, quando pensa che tra i dodici sia infiltrato un generale, cui da corpo Sutherland, e per aggraziarselo riceve il gruppo con la banda e la musica, giusto per farsi vedere bello e ossequioso. I nostri terranno un atteggiamento da buzzurri che manderà su tutte le furie il colonnello: "Maggiore, qualcuno la potrà ritenere un ottimo ufficiale, per quanto mi riguarda lei è soltanto un pagliaccio indisciplinato e mediocre. Mi farò un preciso dovere di farla radiare dall'esercito!" urla a Marvin che in tutta risposta lo schernisce con humor british "Devo farle le mie scuse, signore, l'ho sempre creduta un tipo privo di immaginazione e di emozioni e invece... Molto emotivo, non è vero?"
La parte finale del film, la più spettacolare ma anche la più cinematografica (dal punto di vista della verosimiglianza), è incentrata sulla missione segreta del commando. I dodici comandati dal maggiore Reisman dovranno assaltare un castello, in Francia, dove è in corso un ricevimento che vede coinvolti i più alti gradi dell'esercito nazista. Reisman, in compagnia del polacco Wladislaw (unico del gruppo a parlare tedesco), si infiltra, vestito da ufficiale, all'interno del locale in attesa che i suoi uomini assalgano dall'esterno il castello. L'obiettivo è uccidere tutti i nazisti presenti. Cosa vi ricorda? Bastardi senza Gloria di Quentin Tarantino, esattamente e non è un caso dato che l'ispirazione di Quentin è più legata a questo film che a Quel Maledetto Treno Blindato di Enzo G. Castellari che, a sua volta, lo aveva omaggiato in modo palese col western Ammazzali Tutti e Torna Solo.
Aldrich gira questa parte finale con grande dispendio di capitali, ma alto senso per la spettacolarità. Memorabile l'esplosione di buona parte del castello per effetto di svariate bombe a mano e decine di litri di benzina versati dall'esterno nei locali sotterranei della struttura. L'esplosione sventrerà trequarti della costruzione, con fiamme e lingue di fuoco che avvolgeranno finestre e fuoriusciranno dagli squarci del muro, senza stacchi e tutto in primo piano. Sequenze davvero curatissime che risollevano il film da una parte centrale un po' noiosa e mi riferisco all'esercitazione in cui il gruppo deve dimostrare al colonnello Breed, suo assoluto detrattore, le capacità e le doti che il maggiore va decantando al generale Worden ("Il mio gruppo è il più preparato tra quelli di cui potete disporre"), quest'ultimo (lo interpreta il grande Borgnine) di vedute più aperte e disposto a concedere una chance all'accozzaglia di reietti. L'ufficiale sembra quasi godere nel vedere il modo in cui i ragazzi si prenderanno gioco del colonnello, arrivando a vincere la prova in un modo a dir poco disonorevole per il graduato che finisce preda di ilarità e di risate di gusto.

Il generale Warden (BORGNINE) se la ride quando capisce il gioco che la Sporca Dozzina
sta tirando al colonnello Breed.

Una nota di merito va al cast artistico a dir poco faraonico. Protagonista è il fresco premio oscar Lee Marvin, che in quegli anni avrebbe dovuto ricoprire il ruolo del colonnello Douglas Mortimer in Per un Pugno di Dollari, è lui a forgiare e a vigilare sul branco di schegge impazzite che ha deciso di domare e di utilizzare per una missione eroica di cui lui stesso diviene parte attiva. Personaggio sarcastico, ma piuttosto freddo, ha le caratteristiche tipiche per esser esaltate da un attore come Marvin, solitamente alle prese con personaggi antagonisti soprattutto in western e film di azione.
I migliori del gruppo sono però Telly Savalas, perfetto nei panni dell'individuo affetto da deliri religiosi (è il personaggio più pericoloso del gruppo), del resto aveva già avuto un ruolo da sadico in L'Uomo di Alcatraz (1963) che gli era valso la nomination all'oscar e che va a ricalcare nella scena in cui uccide con un pugnale una tedesca gridandole più volte a denti stretti: "sgualdrina... sgualdrinna... sei una sgualdriiiiina"; e Donald Sutherland, quest'ultimo alle prime armi con un personaggio che da l'impressione di essere un ritardato mentale, ma che cambia atteggiamento appena gli viene richiesto (eccezionale la prova quando scimmiotta i comportamenti di un generale intransigente, ma al contempo burlonesco). A ricevere maggiori consensi di critica è però John Cassavetes, prossimo a esser ingaggiato da Polanski per l'horror satanico Rosemary's Baby (1968), unico, tra quelli del film, a esser indicato quale potenziale migliore attore non protagonista nella rosa dei candidati al premio oscar. Il suo è un ruolo da pacione, meno violento degli altri e forse anche meno sopra le righe rispetto a esempio ai due citati. L'unico a sopravvivere sarà però Charles Bronson, un blocco di marmo come al solito,da quasi l'impressione di essere un terminator quando vaga per il castello francese parlando in tedesco e tranquillizzando Marvin che invece fa smorfie e annuisce non capendo niente di quello che gli dicono gli interlocutori ("Fai una cosa... le porto io le borse, tu vai avanti" dice al suo uomo, prendendogli di mano le valige che sta portando nella camera destinata agli ospiti della festa).
Non manca il "man in black" di turno, giusto per sottolineare il superamento degli atteggiamenti razziali, rappresentato dal colosso Jim Brown, atleta definito "il più grande running back di tutti i tempi del football americano". Brown denota grande mole, ma doti recitative non eccelse, all'epoca era peraltro in lite col suo presidente che non accettava di buon grado le uscite cinematografiche del suo dipendente.
Buona prova per Robert Ryan, è lui il colonnello legato ai formalismi e  con la puzza sotto il naso, quello che qualcuno (per render l'idea) chiamerebbe "cravattaro". Ryan era un altro attore abituato ai ruoli da antipatico e da antagonista, ex pugile, pure lui con alle spalle nomination all'oscar (grazie al ruolo di killer in Odio Implacabile del 1947). Ernest Borgnine ha invece un ruolo più marginale, si nota quindi poco pur lasciando impressa l'idea di colui che ha capito tutto e si gode lo spettacolo in disparte nonostante la sua posizione suprema. Arriva invece dai serial televisivi Al Mancini, dove poi tornerà, ma soprattutto da The Dirty Game - La Guerra Segreta (1965) di Christian-Jaque dove era presente, questa volta col grado di Generale, lo stesso Robert Ryan.


All'epoca il film ebbe un grande successo soprattutto per la cura nella messa in scena e per l'apporto del cast tecnico. Ottenne svariate nomination agli oscar per miglior sonoro, miglior effetti sonori (riceverà l'oscar) e miglior montaggio. Fotografia e colonna sonora, pur essendo apprezzabili, non ricevettero particolare attenzione.
Si tratta quindi di un war-movie, anche se io lo definirei più un action movie essendo i combattimenti limitati all'assalto di un castello con il solo impiego di fanteria paracadutata, che fa leva sul political incorrect e sull'apporto recitativo degli attori, oltre una ventina di minuti finali all'insegna dello spettacolo visivo.
Come abbiamo detto il film avrà la forza di tracciare le coordinate di un sottogenere, particolarmente seguito in Italia dove all'epoca furoreggiava il c.d. Macaroni Combat, e di stimolare negli anni '80 svariati sequel tutti di livello assai inferiore a questo e che vedranno coinvolto persino un personaggio come il pugile Ray "Boom Boom" Mancini che farà la sua comparsa in Quella Sporca Dozzina: Missione nei Balcani (1988) di Lee H. Katzin, quarto e ultimo episodio della saga.
Mi preme anche evidenziare come un copione che potrebbe sembrare fumettistico e di difficile attuazione come quello qui oggetto di esame abbia avuto dimostrazione pratica anche nel concreto e con risultati leggendari, anche se al cinema i profili dei soggetti sono estremizzati e sconfinano in profili criminali a tutti gli effetti. Cito al riguardo alcune righe da un volume senza indicarne ne autore ne titolo (perché lascio al lettore l'eventuale curiosità che possa spingerlo alla ricerca), è solo per fare un parallelo per dimostrare come, spesso, l'intelligenza, le motivazioni e la bravura di un "addestratore-leader" riescono a sviluppare doti e caratteristiche da soggetti scartati dagli altri e considerati "carne da macello", ma che invece dimostrano potenzialità inespresse su cui investire e su cui lavorare... "Eravamo dodici... quelli puniti, la gente umiliata, quelli che non fanno regali agli ufficiali, quelli che non sono carini, quelli che hanno il loro carattere e sono grandi guerrieri che per le circostanze della vita vengono considerati ribelli. Gente difficile da trattare, ma che in fondo è buona di cuore (quelli del film insomma, ma è un film, n.d.r.), quelli con i quali nessuno parla mai, ma che tutti vorrebbero avere vicino nel momento del bisogno. Questo era il mio gruppo."
E questo è anche lo spirito di fondo a cui si è ispirato Tarantino nel delineare i suoi "Bastardi senza Gloria", nella fattispecie ancora più polital incorrect di quelli di Aldrich, un'espressione in cui il termine "bastardo" acquisisce un'accezione positiva e sta a significare colui che rigetta ipocrisie, schemi di facciata, formalismi bigotti e persegue un obiettivo senza fare calcoli economici, senza fare ragionamenti circa le possibilità di far carriera. Sempre riprendendo il libro citato, chiudo con una frase che ben si adatta ai dodici soldati del film e non solo a loro, ma a tutti coloro che hanno avuto la sventura di combattere una guerra, situazione estrema dove non ci si può nascondere dietro ipocrisie o giri di parole perché si viene abbattuti senza appello: "Provate a vivere con la consapevolezza di una condanna a morte e vi accorgerete che in quello che dite e fate non vi può essere protagonismo o polemica, ma solo voglia di vincere per tornare a vivere la vita come tutti gli altri..."


ROBERT ALDRICH indossa la cravatta in modo atipico e irriverente.

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