Elenco

  • Cinema
  • Ippica
  • Narrativa
  • Pubblicazioni Personali

venerdì 13 settembre 2013

Recensione saggistica: DOVE SOFFIA SEMPRE IL VENTO (Sigfried Stohr)


Autore: Sigfried Stohr.
Editore: Fucina Srl.
Anno: 2004.
Genere: Saggio sportivo/motivazionale.
Pagine: 192.
Prezzo: 20 euro.

Commento di Matteo Mancini.
Splendida sorpresa acquistata dal sottoscritto per la curiosità di conoscere la storia del pilota di Formula 1 misconosciuto Sigfried Stohr di cui ricordavo un assurdo incidente (attribuibile alla scarsa attenzione dei direttori di gara) che lo vide coinvolto sulla griglia di partenza del Gran Premio del Belgio del 1981.

Il libro è uscito nel 2004 edito dalla Fucina srl di Milano, casa editrice che sfoggia un catalogo che per gli amanti degli sport motoristici è paragonabile a quello che per i bambini potrebbe essere un negozio di giocattoli fornito di tutte le ultime novità. Peraltro si tratta di una bella edizione con tanto di inserti fotografici pubblicati su carta lucida.

Il titolo del volume invece fa il verso alla seconda passione dell'autore ovvero l'alpinismo. Stohr, infatti, dopo essersi ritirato dalla F1 si è dedicato allo scalare le vette e da qui il titolo che suona un po' come l'espressione calcistica del “lassù dove osano solo le aquile” per indicare le alte vette dominate dai venti.

Chi segue il mio blog sa che sono un grande appassionato di biografie di sportivi, soprattutto dei c.d. atleti genio & sregolatezza, categoria a cui è ascrivibile anche Stohr. Dunque ne ho lette diverse, più di quelle che compaiono recensite su queste pagine, ma devo dire che questo volume, se non è il migliore, si assesta tra le biografie più riuscite tra tutte quelle che ho letto e sotto tutti i punti di vista (sia stilistici che contenutistici).

Stohr stende quella che potrebbe definirsi un'autobiografia mascherata da vademecum per aspiranti piloti, da qui il sottotitolo “Come diventare piloti di Formula 1”. La ragione di tale scelta, probabilmente, è riconducibile alla scarsissima conoscenza che il grande pubblico ha di Sigfried Stohr. In altri termini credo che Stohr temesse che una semplice autobiografia non se la sarebbe filata nessuno e di qui la scelta di dare al volume la parvenza di un manualetto in modo da attirare tutti gli appassionati di F1, specie i più giovani.

Pilota nativo di Rimini ma di padre tedesco, cresciuto in Romagna e con un background da psicologo innamorato della filosofia, Stohr è stata una promessa dell'automobilismo italiano di fine anni '70. Abbastanza squattrinato e a corto di sponsor, ha trionfato nelle categorie inferiori (Nazionale italiana ai campionati europei di Kart, Campione di Formula 2) denotando una notevole superiorità sulle piste allagate che lo ha poi portato ad approdare in F1 (13 gran premi disputati nella stagione 1981 in cui venne sostituito in corsa dal fratello di Gilles Villeneuve, ottenendo come miglior piazzamento in griglia il tredicesimo posto e un settimo posto all'arrivo) al fianco del più famoso Riccardo Patrese su Arrows. Purtroppo, proprio a causa degli scarsi fondi, si è sempre trovato costretto a competere su auto con accessori e motori di seconda scelta (anche rispetto a quelli messi a disposizione del compagno di squadra) tanto da non riuscire a emergere nella massima serie. Da qui la parabola discendente che lo ho portato al prematuro ritiro, parabola altresì accentuata da un carattere focoso e allo stesso tempo scanzonato, poco interessato ai salotti dei poteri forti e alle ruffianerie, molto più vicino ad atteggiamenti da artista bohemien (infatti si presentava in pista con barba incolta, capelli lunghi e casco racchiuso in una busta di plastica, suscitando le ire del capo squadra).

Il volume, infarcito di passaggi filosofici e mitologici connessi al mondo dell'antica Grecia, si apre con una bellissima citazione estrapolata dal film vincitore di sette premi oscar Lawrence D'Arabia, massima a sua volta ripresa da uno stralcio di un racconto di Edgar Allan Poe: “Tutti gli uomini sognano, ma non allo stesso modo. Coloro che sognano di notte scoprono al risveglio le vanità di quelle immagini; ma quelli che sognano di giorno sono uomini pericolosi, perché può darsi che recitino il loro sogno a occhi aperti, per attuarlo.”

E così il libro si snoda in quattro lunghi capitoli per un totale prossimo alle duecento pagine che scorrono via in modo perfetto, divertente e soprattutto dotto (Stohr snocciola citazioni ispirate a scrittori magistrali come Jorge Luis Borges o Italo Calvino, ma anche a sportivi come il tennista John McEnroe e grandi filosofi come Eraclito, Protagora e Socrate tutti “pretoriani del Mancho” come direbbe qualcuno di mia conoscenza) dando vita a un libro che è un po' un manuale di motivazione psicologica (non a caso Stohr prima di correre in F1 aveva fatto lo psicologo a Ravenna, ora invece tiene corsi di guida veloce a Misano) e un po' un manuale che spiega il percorso per approdare in F1. Non mancano poi aneddoti legati a tutta la carriera del pilota (a partire dal suo nome di battesimo con tanto di riferimento alla leggenda di Sigfrido recentemente citata anche da Quentin Tarantino in Django Unchained), dagli attriti con Riccardo Patrese (accusato da Stohr di volere per sé il meglio a discapito degli altri) ai duelli a colpi di ruota con i piloti delle categorie inferiori, il tutto raccontato con un inconfondibile stile da simpatica canaglia e un atteggiamento tipico degli antieroi protagonisti negli spaghetti western di Sergio Leone.

Molti i passaggi meritevoli di esser citati per la loro potenza concettuale (ho sottolineato ¾ del libro), si potrebbero scrivere pagine e pagine ma preferisco non farlo poiché il libro merita davvero l'acquisto e quindi ve le dovrete cercare per conto vostro. Alcune però le riporto qui di seguito come la massima inserita in prefazione da Stohr che, dopo aver sottolineato che un grande risultato finale deve essere sempre legato a un percorso fatto di faticosissime tappe, arriva a scrivere: “La tecnica la imparano in tanti, infatti un campione-artista si trova spesso a lottare con tanti onesti artigiani che hanno il mezzo migliore o che a forza di girare in tondo in una pista imparano le curve anche se sono negati. Ma i capolavori al volante non si fanno girando in tondo: essi devono scaturire dal profondo della nostra anima, da un duro lavoro di crescita che passa attraverso tappe di sofferenza, di scoperta, di paura, di acquisizione di saggezza. Così, ogni campione deve sviluppare una sua filosofia, che nasce dalla sua storia personale.”
Dunque fin dalle primissime pagine Stohr focalizza l'attenzione su quelli che (a ragione) ritiene gli aspetti fondamentali per una crescita evolutiva del soggetto (“Non sono eccezionali le capacità di un campione, ma il modo in cui esso le ha sapute sviluppare”): il duro lavoro (e non gli aiuti di terzi, poiché “La forza è un albero che cresce nel campo delle avversità, si concima con le sfide e le sofferenze”), la costanza (“Bisogna avere fede nel cambiamento, non bisogna mai disperare che arrivi il nostro momento: la fortuna gira in fretta”), la motivazione (“La motivazione è la molla che differenzia il campione naturale dal grande campione”), l'analisi introspettiva (e non l'attribuire colpe a terzi per scusare i propri insuccessi), l'importanza degli errori da interpretare come manne venute dal cielo per ottenere spunti indispensabili al miglioramento (“Un campione sa nuotare controcorrente. E se non affoga diventa più forte”), il superamento delle paure interiori ed esterne da effettuare affinando la conoscenza (“Bisogna sempre temere quelli forti, rispettarli, ma non mostrare mai timore reverenziale. Per nessuno!”), l'onesta da intendersi come lealtà di confronto in un duello serrato, il coraggio di prendere decisioni importanti senza ripensamenti (“Quando arrivavo io, dovevano sapere che ero uno che non ci pensava due volte a buttarsi in un sorpasso, che ero disposto anche a rischiare il contatto”), l'importanza della forza interiore (“Solo chi la possiede riesce ad ammettere le proprie paure, e ciononostante a riaffrontare i demoni interni e batterli”) e infine l'approccio filosofico (e non casuale o non controllato) applicato alla propria professione (da intendersi però anche alla vita di tutti i giorni secondo la mia massima “lo sport è metafora di vita”). Su questi aspetti si sviluppa l'intero volume che non è mai banale e mai pesante (tra l'altro migliora con lo scorrere delle pagine), ma che è un concentrato di saggezza che fa di Stohr un campione non solo del volante ma anche di motivazioni e di didattica psico-filosofica. Un vero maestro.

Eloquente è anche la scelta del casco che Stohr vuole, fin dagli inizi, dedicare a un pilota scomparso in gara (una sorta di tributo) fino a decidere di scegliere i colori e i disegni del finlandese Jarno Saarinen invertendone però i colori (il bianco e il rosso): “Jarno aveva il casco bianco con una specie di croce rossa, come un guerriero crociato. Il mio riprese il suo disegno, avevo però invertito i colori.”

Consiglio vivamente il volume a tutti gli appassionati di Formula 1 e di sport in generale, oltre a coloro che ricercano testi motivazionali anche al di fuori del mondo dello sport.

Stohr, grazie anche a questo volume che me lo ha fatto conoscere nell'intimo, entra di diritto tra i miei personaggi sportivi preferiti di sempre, al fianco dei più grandi. Il libro, invece, troverà posto accanto a un altro ottimo volume da me apprezzato (e recensito) ovvero Il Piccolo Aviatore di Andrea Scanzi (biografia ovviamente del grande Gilles) poiché spesso, come diceva Ernst Junger “La valutazione di un eroe non corrisponde a quella che ne darebbe un bottegaio: lui non guarda al successo, bensì alla grandezza del comportamento”; in altri termini i risultati fanno gli albi d'oro, ma ci vuole ben altro per partorire una stella.

Post recensione:
Pongo qui di seguito cinque passaggi esilaranti (il libro però ne è pieno) che tratteggiano bene la psicologia guerriera di Stohr.

1) Dal capitolo "Piccoli Omicidi", pagina 49:
“Verso fine gara, venni raggiunto da un avversario sconosciuto che tentò di passarmi all'esterno: mi appoggia sulle sue ruote e lo buttai fuori. Si schiantò violentemente contro le balle di paglia...
A fine gara venni chiamato dal direttore di gara che, davanti al mio avversario indiavolato, mi chiese se fosse vero che lo avevo spinto fuori. Gli dissi di sì, che lo avevo fatto.
Il pilota avversario mi guardò incredulo, poi, soddisfatto, mi strinse la mano e se ne andò. Il direttore di gara non mi squalificò perché l'altro aveva ritirato il suo reclamo e anche per la mia onestà.”


2) Dal capitolo "Parmalat", pagina 73.
Nel 1978 stavo infilando, in Formula 3, una vittoria dietro l'altra. Avevo vinto le prime tre gare, di cui una sotto la pioggia in cui avevo doppiato tutti tranne il secondo... Una furia. Il giorno delle prove a Montecarlo pioveva, e la cosa a me non dispiaceva. Sulla salita di Saint Devote avevano installato un pannello luminoso. Salendo il breve e angusto rettilineo, avevo il tempo di buttare l'occhio sul pannello: in cima alla classifica dei tempi c'era il numero 53, e notai che il secondo era staccato di ben due secondi!
«Porco diavolo! Ma chi è che si permette di dare due secondi a tutti?»
Mi misi a tirare come un dannato: io, due secondi non me li potevo prendere; da nessuno.
Miglioravo i miei tempi, ma quel diavolo del numero 53 migliorava anche lui, e c'erano sempre due secondi che lo distanziavano da tutti gli altri.
Dentro al casco pensavo indispettito: «Ma chi è 'sto qua, Niki Lauda?»
Rientrai al box un po' avvilito.
Il mio ingegnere, Ugo Kloden, impassibile si chinò verso di me e mi chiese come andava.
L'auto va bene, gli dissi, ma gli confessai che ero un po' avvilito per quel 53 che andava così forte. Gli chiesi di chi si trattasse.
«E' il numero della tua auto» mi disse serafico Ugo, senza scomporsi.
«Porca paletta! Sono proprio scemo! Però Ugo... Sono qui che do due secondi a tutti e manco una pacca sulle spalle mi dà. Che bestia!»


3) Dal capitolo "Mezzo metro in più", pagina 96.
Il mio team manager Jackie Oliver, ex pilota di F1, viene da me e mi sgrida: «Ma come guidi? Sei pazzo? Non ti sei accorto che ogni giro vai fuori pista?»
Le formula 1 di allora avevano le gomme molto larghe, specie quelle posteriori. Così io avevo scoperto che potevo fare la frenata con le quattro gomme in pista e poi, prima di inserire, spostare l'auto verso l'esterno della curva, oltre la linea bianca finendo con mezza gomma posteriore destra sulla terra. Questo mi faceva guadagnare trenta centimetri di pista prima dell'inserimento: un'enormità, che mi permetteva di uscire dalla curva più veloce. Lo facevo tutti i giri, ci avevo preso la mano solo che sollevavo una bella nuvoletta di polvere e Oliver si era spaventato: lui credeva che non me ne fossi accorto. Ma che razza di pilota era mai stato questo Oliver in Formula 1?”


4) Dal capitolo "Il Lupo e la Volpe", pagina 105.
Pioveva e lui (Enzo Coloni) mi bruciò al via. Alla seconda curva già lo tallonavo. Alla terza fintai il sorpasso a destra, all'interno: lui strinse quel poco che mi impediva di infilarmi. Io mi buttai tutto all'esterno sparendo così dal suo specchio destro... Lui si concentrò sulla curva mantenendo una traiettoria centrale ma, all'ultimo istante, io mi buttai al suo interno e lo passai in staccata. Al tornante! Davanti a tutti gli spettatori sulla tribuna! Lì dove è praticamente impossibile passare, io passai l'esperto pilota umbro che conosceva la pista come le sue tasche. Che lezione! Roba da scendere e tornarsene a casa rasentando i muri... Alla staccata dopo però, prima di voltare, buttai l'occhio sul retrovisore destro e, con sorpresa, me lo vidi arrivare come un proiettile all'interno: non sembrava un disperato tentativo di sorpasso, ma una deliberata manovra in rotta di collisione e speronamento! Istintivamente raddrizzai il volante, ritardai l'inserimento e lo vidi sfilare al mio interno come un missile, incapace di cambiare direzione, infilare l'erba e proseguire come un fuso verso il lago Trasimeno.
Mi voltai, lo guardai sparire lontano fra spruzzi di pozzanghera, curvai e mi tuffai nel rettilineo successivo. Passai sul traguardo facendo gesti di protesta, ma l'avevo scampata bella e ora potevo vincere la mia batteria. La mia soddisfazione principale non sarebbe stata per la vittoria, quanto per la bella lezioncina rifilatagli. Perché se lui era il Lupo, stavolta io ero stato la Volpe.”


5) Dal capitolo "Il Sapere del Pilota", pagina 155.
“Elemento costante dei piloti è quella che viene definita personalità di tipo T, caratterizzata da coraggio e sprezzo del pericolo... vissuto di onnipotenza, scarsa valutazione della realtà. Con queste caratteristiche psicologiche un pilota porterebbe la sua nave a infrangersi sugli scogli e non all'approdo sicuro! Ma questi sono solo psicologi che spiano gli altri dal buco della serratura senza capire nulla!
Guarda guarda, gratta gratta, non è che il profilo reale del pilota, quello vero e non la sua caricatura vista attraverso gli occhi del pubblico, sia proprio l'esatto opposto? Allora forse la dote principale del pilota non è il coraggio di fronte al pericolo, la sua determinazione nell'affrontare il rischio, ma proprio la sua capacità di evitarlo ciò perché chi sa è più audace di chi non sa e tanto più audace diviene dopo aver appreso ciò che non prima di apprendere!”


Nessun commento:

Posta un commento