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mercoledì 26 dicembre 2012

Recensione narrativa: I MITI DI LOVECRAFT (AA.VV. a cura di Robert M. Price)


Autore: AA. VV.
Curatore: Robert M. Price.
Anno di Uscita in Italia: 2010
Editore: Mondadori - Collana Urania Epix
Pagine: 254
Prezzo: 4,90 euro.

Commento Matteo Mancini
Estratto in versione italiana della più copiosa antologia Tales of the Lovecraft Mythos curata nel 1992 dall'antologista e scrittore Robert M. Price.
Per ragioni di spazio, così motiva la scelta Giuseppe Lippi in calce al volume, vengono tagliati testi di importanti autori. Tra gli scartati troviamo infatti Robert Bloch, August Derleth (tra l'altro sono due i suoi racconti a esser tagliati dal progetto) e un testo di E. Hoffmann Price, a cui fanno compagnia i meno noti Bertrand Russell (e non Bertram come si legge sul volume dell'Urania), Mearle Prout e C. Hall Thompson.
La decisione lascia piuttosto perplessi per svariate ragioni. In primis viene inserito a termine del libro un racconto dell'italiano Marzio Biancolino che nulla ha a che fare con "I miti di Lovecraft" e che pertanto toglie spazio almeno a uno dei racconti tagliati che ben avrebbe potuto sostituire la fatica (peraltro poco produttiva vista la mediocrità del testo) di Biancolino. In seconda battuta Lippi inserisce alcuni testi (i due di R.E. Howard e quello di Henry Hasse) che seppur di ottimo livello erano già apparsi altrove a differenza, invece, di alcuni di quelli tagliati.

Premesso quanto sopra veniamo al libro composto, nella versione italiana, da tredici racconti scritti da undici scrittori contemporanei a Lovecraft e a lui legati da rapporti di corrispondenza ovvero di amicizia o di collaborazione.
Robert M. Price "si limita" a raccogliere il materiale e non ad allestire un'antologia creata ad hoc per l'occasione. Ne viene così fuori una selezione abbastanza omogenea e di discreto livello, con alcuni racconti che si avvicinano ai capolavori della narrativa dell'orrore cosmico.
Le tematiche, manco a dirlo, citano Lovecraft in modo esplicito così si parla di dimensioni ignote popolate da mostri tentacolari che possono scendere nel nostro mondo, di studiosi d'occulto che finiscono con l'impazzire, ma sono ricorrenti anche i riferimenti ai grandi antichi, al Necronomicon e al libro di Eibon.

L'antologia parte subito in quarta. Lippi cala gli assi a disposizione e propone una coppia di racconti di Robert E. Howard, seguita da un'altra coppia questa volta a firma di Henry Kuttner e da un testo di uno dei più qualitativi collaboratori di Lovecraft ovvero E. Hoffmann Price.
Apre le danze La Cosa sul Tetto un discreto testo che pare omaggiare Il Cane di Lovecraft. Come nel testo del Solitario abbiamo una profanazione di una tomba motivata da ragioni di lucro, col furto di un prezioso gioiello. Protagonista è un ricercatore di tesori che scopre, tramite un libro maledetto, la presenza di un tempio - in una località sperduta dell’Honduras - dove crede possa trovarsi un antico tesoro. L’uomo però troverà solo una mummia e una pietra bizzarra che apre le porte dei sotterranei del tempio. La superficialità del ricercatore libererà una creatura alata, dotata di tentacoli e zoccoli, che si sposterà dal centro America fino a Londra pur di recuperare il prezioso minerale sottratto dal ricercatore.

Il secondo testo, Il Fuoco di Assurbanipal, è addirittura superiore al primo, soprattutto per originalità e un tasso di azione degno di un racconto pulp. Il tema della storia resta legato a un prezioso gioiello su cui si narra sussistente un'antica maledizione.
Questa volta ad assumere la veste di primi attori sono due avventurieri, uno afgano l'altro americano. I due si avventurano nei deserti dell'Arabia alla caccia di una gemma custodita in un tempio abbandonato eretto in una città decaduta menzionata nel Necronomicon come la “città del male”.
Braccati da un'orda di mercenari beduini capitanati da uno yemenita, i due, dopo aver dato battaglia a colpi di scimitarra, saranno imprigionati proprio quando saranno sul punto di strappare la gemma dalle dita di un corpo mummificato seduto vicino all'altare costruito in onore di Baal.
Lo yeminita, facendosi beffa delle leggende, afferrerà la gemma finendo però preda del morso di una vipera. Colto da improvvisi spasmi sarà lasciato solo da i beduini. Questi ultimi infatti saranno tratti in inganno dalle superstizioni. I due avventurieri passeranno così dall'inferno al paradiso e faranno loro la gemma.
Il testo si distingue per un talento eccelso del narratore nel raccontare battaglie sanguinolente (non a caso è il papà di Conan il Barbaro) inscenate in città fantasma, tra statue di demoni e decadenza varia. Grande racconto.

Di livello superiore, forse la perla dell'antologia, è Le Sette Maledizioni attribuibile a un altro grande eroe della rivista Weird Tales: Clark Ashton Smith.
Tutto ruota attorno a un magistrato di una magica terra denominata Hyperborea che si lancia, ai tempi in cui Mammuth e Tigri dai denti a sciabola calcavano ancora la terra, con ventisei uomini in una battuta di caccia. Spavaldo e per nulla disposto a credere a storie esoteriche, l'uomo si avventura per conto proprio nella scalata delle pareti rocciose di un vulcano assopito, finendo per disturbare un'importante evocazione di un mago eremitaà. Il vecchio lancia così una maledizione sul cacciatore inibendogli la volontà e il pensiero per indurlo a scontare la punizione inflittagli. Così, partito per una battuta di caccia a danno di creature scimmiesche che vivono nelle grotte del vulcano, il magistrato si ritrova accompagnato da un bizzarro uccello demoniaco e vittima di tutta una serie di maledizioni che lo porteranno ad affrontare divinità mostruose dalla testa di ragno o di rospo, uomini serpenti, dinosauri ectoplasmatici fino a giungere al livello più basso dove dimora Abhoth ovvero il padre e la madre di tutta la sporcizia cosmica. Ogni divinità, infatti, per un motivo o un altro finirà per rifiutare di disporre dell'uomo per donarlo agli altri; persino Abhoth, che dispensa lucertole deformi e abbozzi di creature mostruose, rigetterà il dono in quanto fin troppo osceno per la sua produzione.
Così, dopo un lungo peregrinare, il magistrato verrà spedito nel limbo cupo, tetro e mostruoso noto come la superficie terrestre. Ma il viaggio di ritorno riserverà ancora qualche sorpresa...
Spasso alla stato puro per un racconto che oscilla tra avventura mitologica e orrore. A farla da padrona sono le bellissime descrizioni ambientali in cui Smith si abbandona alla fantasia più cristallina tratteggiando mondi alternativi in cui si giunge persino ad avere una luce superiore rispetto a quella solare.
Un racconto ai confini di una fiaba nera.

Imperdibili le due avventure di Henry Kuttner che si segnalano tra le più orrorifiche dell'antologia. Prima delle due è Gli Invasori, un testo che, a mio avviso, ha influenzato nettamente Stephen King nella stesura di The Mist (racconto che apre l'antologia Scheletri).
A richiamare mostri antichi confinati in altre dimensioni, questa volta, è uno scrittore horror che assume una droga capace di stimolare il cervello ed evocare le vite passate dell'anima. Lo studio del De Vermis Mysteriis di Ludwig Prinn porta l'ignaro narratore a risvegliare le mostruose divinità volanti, provenienti da un'altra dimensione, che popolavano la terra nei tempi antichi. Sul villaggio, in riva al mare, scenderà così una nebbia fitta, mentre lo scrittore e due suoi amici saranno barricati in casa con l'unica intenzione di precipitarsi fuori per raggiunger l'auto e scappar via.

Kuttner aumenta l'impatto apocalittico con il notevole Le Campane dell'Orrore. Ancora una volta la minaccia ricade su un qualcosa (tre campane dissotterrate da una ditta in Messico) capace di richiamare in superficie mostri sepolti nella notte dei tempi. Anche qua a nulla servono le leggende che si raccontano sulle campane e che parlano di una maledizione scagliata da una tribù indigena capace di richiamare, al rintoccare delle campane, un demone imprigionato nelle profondità della Terra.
L'orrore viene preceduto da strani episodi che portano gli operai impegnati negli scavi alla pazzia. Un bruciore agli occhi diviene presto preludio di bizzarre follie che portano alcune persone, guidate da misteriose voci interne, a strapparsi gli occhi dalle orbite. Un freddo fuori stagione inoltre avvolge la cittadina insieme a un cielo sempre più avaro di luce, ciò però non impedisce l'esposizione delle campane sulla pubblica piazza. Un violento terremoto colpirà infine il paese provocando il rintoccare delle campane e lo scendere di un buio pesto...
Dopo il testo di Smith è sicuramente il più avvincente e coinvolgente testo dell'antologia.

Un altro gioiello, sebbene meno brillante sotto il profilo narrativo, è Il Signore dell'Illusione di E. Hoffmann Price, autore che ha collaborato in varie occasioni con H.P. Lovecraft.
Il racconto in esame è un vero e proprio sequel de La Chiave d'Argento del maestro di Providence e assume interesse soprattutto per una serie di riflessioni metafisico/filosofiche.
Il sognatore a occhi aperti Randolph Carter (personaggio frutto della fantasia di Lovecraft) riesce con la chiave d'argento lasciatagli dagli antenati a varcare i confini della realtà e ad accedere in ciò che si cela oltre la materia. Ad attenderlo trova Umr at-Tawil, il più antico degli Dei, nominato anche dal Necronomicon. La guida mostra a Carter la caducità della materia e la limitatezza del mondo umano e delle costruzioni mentali proprie dell'illusorio ingegno degli uomini. La realtà non è tridimensionale, ma il frutto di una serie infinita di intersezioni di piani che si incontrano tra loro e in cui il tempo e lo spazio non esistono. Allo stesso modo le intersezioni dividono un unico individuo in una molteplicità di soggetti che saranno protagonisti nelle varie e distinte dimensioni originate dall'intersezione dei piani. Così una stessa persona vive centinaia di volte senza rendersi conto di essere la stessa persona. In questo modo, variando i piani e per mezzo della chiave di argento, si può regredire nel passato ovvero in ulteriori dimensioni e prendere possesso del corpo di un dato soggetto interessato.
Come detto siamo alle prese con un vero e proprio sequel de “La Chiave d'Argento” di Lovecraft, che parte laddove terminava quello del solitario di Providence. Il testo si segnala per dei passaggi filosofico/metafisici di primo livello (ricordano un po' anche alcune tematiche care al nostro Pirandello relative alla perdita di identità) andando a scardinare l'arroganza dell'uomo che crede in un Dio a sua immagine e somiglianza e non concepisce una realtà diversa da quella tridimensionale. Carter, come viene caratterizzato da Lovecraft nel racconto di riferimento, è un ex scrittore sognatore che reputa riduttivo l'atteggiamento dei suoi simili e cerca una realtà superiore a quella conosciuta, perché ha intuito un'esistenza diversa grazie a una serie di sogni adolescenziali che lo hanno reso addirittura profetico seppur senza rendersene conto.
Nel racconto di Price il “nostro” compirà un passo in avanti nel sondare l'occulto, acquistando la consapevolezza del tutto grazie alla perseveranza e all'insistenza di voler andare oltre i luoghi comuni. Inoltre il racconto di Price, a differenza di quello di Lovecraft, è ambientato in un mondo imprecisato e non nella nostra realtà, quasi una sorta di limbo in cui tutto ha inizio e in cui gli antichi siedono su troni attraversati da piani invisibili che creano infinite ombre della realtà ovvero una serie di dimensioni tra le quali vi è anche il mondo terreno. Da qui la massima: “l'uomo che cerca la verità è al di là del bene e del male e ha imparato che l'illusione è la sola realtà e la materia è un'impostura”. Il rischio, come contropartita di questa conoscenza, è ancora una volta la pazzia, poiché “nè morte, né sventura , né pena possono suscitare la suprema disperazione che deriva dalla perdita di identità". Randolph Carter e i suoi antenati sono in realtà la stessa persona vissuta in epoche diverse tanto che Carter dirà: “Tutto a un tratto mi resi conto di essere molte persone allo stesso tempo”.

Il tema del desiderio di andare oltre all'ordinaria conoscenza viene riproposto, seppur in modo meno convincente, da Richard F. Searight (Il Custode della Conoscenza) e da Henry Hasse (Il Guardiano del Libro). In entrambi i casi abbiamo due studiosi di paranormale affascinanti dal desiderio dell'onniscenza o comunque assetati di sapere, alle prese con oggetti (una tavoletta antica nel primo caso, un libro "più terribile del Necronomicon" nel secondo) capaci di evocare entità maligne dispensatrici di conoscenza.
Searight, senza evitare alcune ingenuità piuttosto macroscopiche (come la capacità del protagonista di tradurre testi scritti da intelligenze precedenti a quelle umane ovvero quella di leggere con la perfetta pronuncia alfabeti ignoti), regala qualche passaggio onirico non di poco conto e traccia l'evoluzione della terra dall'inizio alla fine dei tempi. All'inizio, prima ancora dei dinosauri, mostrerà come protagonisti ciclopiche creature presto insidiate dai grandi antichi provenienti dallo spazio.
Più convenzionale ma anche più ordinato Hasse con le sue maledizioni e i custodi di libri che tentano di far ricadere la maledizioni su incauti lettori. Un testo dal vago sapore della ghost story.

Il livello dell'antologia cala decisamente con gli altri racconti tra i quali, pur essendo inferiore ai già menzionati, è meritevole di menzione L'Abisso di Robert w. Lowndes. Il testo parla di illusionismo, con un esperimento ipnotico condotto da un carismatico individuo che poi si scoprirà esser un entità aliena, celata sotto sembianze umane. Il mago condurrà le cavie del suo gioco illusorio in un territorio ultra dimensionale popolato da mostri tentacolari portandoli a una morte priva di spiegazione. Breve, ma interessante elaborato.

Duane W. Rimel col suo La Musica delle Stelle propone la classica storia che verte sulla musica astrale capace di richiamare divinità (chiaramente maligne) da altre dimensioni. Piuttosto convenzionale anche L'Orrore di Lovecraft di Donald A. Wollheim che invece verte, sempre come strumento per superare la nostra dimensione, sulla matematica unita allo studio del Necronomicon e del Libro di Eibon.

Deludono i più conosciuti Jacobi e soprattutto Leiber, il primo con una storia sulla pazzia riconducibile a una creatura intrappolata in un acquario (da qui il titolo L'Acquario), il secondo con un testo strampalato, Per Arkham ad Astra, che vede i personaggi dei racconti di Lovecraft riunirsi presso la Miskatonic University, per celare gli orrori scoperti dal solitario di Providence. Durante la chiacchierata si sosterrà che il cervello di Lovecraft è stato estirpato dai plutoniani e condotto, ancora vivo, nel cosmo!?

Nel complesso un'antologia non sempre originale ma che è comunque un vero e proprio spasso per gli amanti degli scrittori del blocco weird tales. Visto il prezzo è consigliabile l'acquisto anche se almeno quattro dei tredici racconti sono stati pubblicati altrove. Voto: 7.5

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