Autore: AA.VV.
Anno: 2019.
Genere: Antologia Horror / Grottesco.
Editore: Black Dog.
Pagine: 314.
Prezzo: 17.00 euro.
Bella iniziativa della Black Dog Edizioni che, pur non inventandosi nulla, propone con questa prima di cinque antologie la riscoperta del fantastico italiano estrazione dark della seconda metà dell'ottocento. Un'occasione dunque imperdibile per chi voglia tracciare le coordinante della genesi della narrativa del terrore in Italia. Niente di nuovo sul mercato editoriale, tuttavia, i racconti dell'intero progetto vengono spalmati su più volumi e ripresi, per lo più, da antologie quali Notturno Italiano: Racconti Fantastici dell'Ottocento (Editori Riuniti, 1984), da cui nella fattispecie arrivano cinque racconti, Da uno Spiraglio: Racconti Neri e Fantastici dell'Ottocento Italiano (Newton & Compton, 1992), da cui sono rispolverati cinque ulteriori racconti (più un sesto già presente nella precedente antologia) e Racconti Neri della Scapigliatura (Mondadori, 1988). Data la scarsa reperibilità delle antologie indicate, i volumi della Black Dog Edizioni – peraltro illustrati – concretizzano l'occasione di riunire e rendere disponibili circa cinquanta “piccoli” classici della narrativa del terrore, dando spazio a tutte le voci e a tutti gli interpreti del periodo (col sacrificio di qualche racconto di un certo tenore).
Questa prima antologia, introdotta da una prefazione di Dario Pontuale in cui si cerca di spiegare cosa sia il genere fantastico, raccoglie tredici racconti sul tema “esperimenti” scritti tra il 1867 e l'inizio novecento. Un tema interessante che suggerisce argomenti portati al successo da scrittori quali Herbert G. Wells e Robert Louis Stevenson, si pensi a The Island of Dr Moreau (1896) e a The Strange Case of Dottor Jekyll & Mr Hide (1886) che, per certi versi, vengono qua anticipati dai “nostri” scrittori. A ogni modo la selezione, discutibile (grida vendetta l'esclusione di una serie di racconti di Capuana, di sicuro più indicati dei tre proposti), tradisce un po' gli intenti. Gli esempi di mad doctor sono infatti in minoranza rispetto al resto dell'antologia, ne contiamo “appena” quattro (Il Corpo di Camillo Boito, Il Dottor Cymbalus di Capuana, Brutus di Salvatore Di Giacomo e Lo Specifico del Dottor Menghi di Italo Svevo) dove, sovente, il dottore/scienziato è vittima degli eventi quale mero osservatore costretto a fare i conti con l'imprevedibilità e l'irrazionalità del soprannaturale (Un Vampiro di Capuana e Le Due Mogli di Federigo Verdinois) o addirittura col paradosso di matrice allegorica piuttosto che soprannaturale (Il Pugno Chiuso di Arrigo Boito e Caterina Barlausen di Emilio De Marchi). Spicca l'eleganza antiquata del lessico, che i curatori dell'antologia hanno scelto di mantenere inalterato senza ammodernare i vocaboli (come invece ha fatto La Biblioteca di Lovecraft per Il Vampiro di Franco Mistrali), talvolta non più corretti secondo l'italiano corrente. Niente che renda illeggibile o faticosi i testi, sia chiaro. L'orrore ottocentesco, qua condito da un romanticismo tragico in cui il destino appare ineluttabile e inevitabile, matura in modo lento, con progressione crescente e spirito artistico più orientato alla dimensione letteraria che popolare. Non siamo al cospetto di racconti pulp o destinati ai lettori del volgo. Le influenze di E.T.A. Hoffmann sono tanto forti che molti dei soggetti sono ambientati in paesi di lingua tedesca, in un clima tipicamente ottocentesco dove il sovrannaturale interessa i salotti e gli studi medici e viene a scontrarsi con un positivismo materialista che vorrebbe escluderlo dalla storia umana senza, tuttavia, riuscirci.
Brilla in modo evidente il talento di Luigi Capuana, a mio modo di vedere il grande maestro nostrano del periodo nel delineare le trame e nel modernizzare l'esposizione orientando il racconto verso una dimensione di interesse popolare. Un Vampiro (1904), per l'epoca e pur arrivando dopo l'uscita del Dracula (1897) di Bram Stoker, è un eccellente esempio di racconto del terrore italiano, forse addirittura il più conosciuto dell'antologia. Fu pubblicato sul Corriere della Sera nel 1904 e costituisce l'emblema di una visione spiritualista contrapposta alla scientifica, in cui la razionalità dello scienziato deve cedere il passo alla potenza del mondo dell'aldilà. Folklore e scienza si contrappongono nello studiare lo strano fenomeno di una culla assediata di notte da una forza invisibile che pare suggere energia vitale dalla carne di un neonato. Capuana, da convinto spiritista, pone la scienza sull'orlo della pazzia, alle prese con un qualcosa che non può avere spiegazione e la fa soccombere (“la pretesa superstizione popolare ha avuto ragione sulle negazioni della scienza). “La scienza è la più grande prova della nostra ignoranza” scrive nel proporre il caso di un assedio ectoplasmatico posto in essere da un vampiro particolare: il marito defunto di una donna che è convolata a nozze con un altro uomo. Il vampiro nella fattispecie è un fantasma che può essere debellato in un solo modo: bruciando il corpo sepolto nella tomba. L'epilogo ironico e farsesco alleggerisce i contenuti di una storia decisamente agghiacciante e in linea con gli esempi internazionali.
Sceglie il mix tra orrore e ironia anche l'altro grande autore del periodo ovvero Igino Ugo Tarchetti. Il suo Un Osso di Morto colloca di nuovo la scienza al cospetto col mondo degli spiriti, ma lo fa in modo comico e dissacrante. Un professore di patologia e di clinica dona a un pittore la rotula di un amico deceduto di cui ha sezionato il corpo. L'artista usa l'oggetto come fermacarte finché, durante una seduta spiritica, il diretto interessato non chiede di essere rimesso in possesso dell'osso che gli è stato sottratto, in quanto la mancanza del pezzo lo costringe a utilizzare una specie di fascia per tenere unito lo scheletro. Interessante per l'epoca, sebbene sdrammatizzi il tutto facendo fare persino delle considerazioni e delle critiche al fantasma circa la conservazione del reperto.
Un marcato esempio di orrore soprannaturale lo fornisce, invece, Remigio Zena con Confessione Postuma (1897), un racconto assai macabro, non troppo dissimile, per sviluppi, alle ghost stories inglesi. Un prete viene risvegliato nella notte da una serie di colpi alla porta della propria abitazione. Uscito in strada a vedere chi sia lo sconosciuto che lo importuna, si troverà a seguire un individuo che pare essere suo fratello fino a ritrovarsi, dopo un lungo peregrinare per le vie urbane, nella camera di una poveretta defunta la mattina ma ancora in attesa di essere liberata dal peccato. Mi ha ricordato un po' certi racconti di Algernon Blackwood.
Bello il romantico decadente Un Corpo (1870) di Camillo Boito, elaborato che ricorderò per essere stato l'ultimo letto in compagnia del mio defunto zio (colpito da un'emorragia cerebrale non appena finito di leggere il racconto). È un altro grande classico del genere italico. Qui il fantastico sfuma in un macabro perturbante che guarda all'ineluttabilità del fato, tra bellezze femminili da cristallizzare nel tempo, precognizioni (sensoriali) ineluttabili, obitori, pittori e dottori alla ricerca del segreto della bellezza dei corpi. Pesante in alcuni passaggi centrali, spicca per i dialoghi filosofici che vertono sul mistero della vita e sull'illusione di una vita ulteriore alla morte (“la morte è la putrefazione dell'anima”). A differenza di Capuana, Boito ha un approccio illuminista (“la sola cosa effettiva, la sola cosa reale, è la scienza. Il resto è illusione o fantasmagoria”) ritenendo materiale persino l'anima (“Ciò che i più dicono anima, forma una cosa sola con ciò che tutti usano chiamare materia”).
Simile, ma più povero nei contenuti, Le Due Mogli (1886) di Federigo Verdinois che ripropone il tema della precognizione (qua dovuta a una doppia e inspiegabile visione, come se lo spirito della persona vivesse un caso di dissociazione muovendosi indietro nel tempo per avvisare i diretti interessati di quanto sta per accadere) al fine di anticipare un dramma che, puntualmente, si concretizza nella forma del colera.
Verte sul giallo Un Caso di Sonnambulismo (1881), sempre dell'eccelso Luigi Capuana. Un ispettore di polizia risolve un omicidio plurimo grazie alle visioni avute in sogno e appuntate inconsapevolmente di notte sotto l'effetto di una strana forma di sonnambulismo che gli consente di scrivere gli avvenimenti del giorno successivo. Molto carino, ma un po' fuori tema e, anche questo, dai toni dissacranti (sembra parodiare i nascenti detective del giallo).
Dal retrogusto russo, penso ai racconti di Nikolaj Gogol (tipo Il Cappotto, 1842), Macchia Grigia (1877), un altro classico di Camillo Boito incentrato su un rimorso che prende la forma di una macchia grigia che, al calare delle tenebre, copre la retina del protagonista reo di aver provocato indirettamente la morte di una giovane e del padre di questa. Soggetto infarcito di un romanticismo che tende a essere ampolloso e ad aprire parentesi che dilatano oltremisura il narrato. Bella comunque la chiusura edgarallapoeniana.
In odore di narrativa russa anche Il Pugno Chiuso (1870) di Arrigo Boito, fratello di Camillo, dove l'avarizia di uno strozzino viene punita da una deficienza fisica, susseguente alla morte di un debitore, che porta alla paralisi di una mano del protagonista, convinto che all'interno del pugno rimasto chiuso vi sia un fiorino d'oro. Ha così inizio un peregrinare tra dottori e ciarlatani che porta l'uomo a fare di tutto, compreso farsi esplodere la mano, pur di rientrare in possesso della moneta. Finale allegorico in cui lo strozzino, per recuperare la moneta, perderà tutti i soldi accantonati negli anni a discapito degli altri. L'ironia esplode all'ennesima potenza con Caterina Barlausen di Emilio De Marchi, storia riscoperta solo nel 1993. Qui si vira su un grottesco ai limiti del comico, giocando tutto sulla civetteria e sul gusto per il chiacchiericcio delle comari. Una donna, costretta a mantenere il segreto circa il ritorno dall'America del nipote, sviluppa una malattia che la porta a ingrassare a vista d'occhio, finché non potrà tornare a dar sfogo alla parola e raccontare tutti i misteri e le ragioni per cui era stata costretta a tacere. Un racconto alla Leo Perutz, è il caso di dire.
Il dottor Cymbalus di Capuana ricorda che amore e sentimenti, pur provocando dolori e rimorsi, sono la vera ragione di vita e che un'esistenza di pace e apatia non varrebbe la pena di essere vissuta se non accompagnata dalla passione. Capuana racconta tutto questo, proponendo le vicissitudini di un giovane che, per non soffrire più, decide di farsi recidere la componente cerebrale che trasmette le emozioni al corpo. Se ne pentirà.
Delude La Lettera U di Igino Tarchetti, un racconto sperimentale più volte riproposto e incentrato sui deliri di un pazzo che si è dato il fine ultimo di eliminare la lettera U dall'alfabeto, al punto da condizionare tutti gli avvenimenti della propria vita (a partire dalla scelta delle donne da amare che non dovranno avere la lettera “u” nel nome di battesimo). Finirà rinchiuso in manicomio.
Un altro racconto deludente, non a caso uscito postumo (addirittura nel 1967), è Lo Specifico del Dottor Menghi, che porta la firma dell'illustre Italo Svevo (l'autore de La Coscienza di Zeno). Si tratta di un classico, peraltro uno dei pochi a tema col concept dell'antologia. Abbiamo infatti un mad doctor alla caccia di un siero in grado di ringiovanire l'uomo così da vincere la demenza senile. Interessante su alcuni passaggi, che anticipano The Fly (1957) di George Langelaan, col dottore che si introietta il siero e sperimenta su sé stesso gli effetti per poi tentare di salvare la madre, è penalizzato da controindicazioni non di poco conto, quali l'ampollosità del narrato e una certa pesantezza espositiva. Buono per lo spunto iniziale.
Ben costruito, ma finalizzato male (a mio modo di vedere), Brutus (1893) di Salvatore Di Giacomo che propone una moria di cani e gatti finiti sul tavolo di studio di uno strano dottore che contrarrà la rabbia.
Dunque, per concludere, una prima antologia, cui faranno seguito altre quattro, che offre l'opportunità ai curiosi e agli studiosi della narrativa macabra di focalizzare le attenzioni sulle origini del fantastico italiano. Si tratta di racconti lontani dalla moderna narrativa del terrore, più profondi nei contenuti, talvolta in grado di far sorgere domande esistenziali nei lettori, e anche più eleganti nel lessico di matrice letteraria. Il limite del progetto sta nello stretto legame con una concezione del genere tipicamente ottocentesca. Il lotto di autori, a parte Capuana, fatica a rendersi moderno e innovatore. A mio avviso, si tratta comunque di racconti che non possono mancare nella biblioteca di un appassionato dei racconti del terrore. Bene ha fatto la Black Dog a riproporli. Acquisterò a breve anche gli altri quattro.
"Un libro può ben essere senza cartone, ma non senza morale. Chi a libro chiuso si accorge di non aver acquistata nessuna nuova e bella persuasione, era meglio per lui che l'autore fosse annegato nell'inchiostro" (Emilio De Marchi).