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sabato 15 dicembre 2018

Recensione Narrativa: SUSPIRIA DE PROFUNDIS di Thomas De Quincey.




Autore: Thomas de Quincey.
Anno: 1845.
Genere: Fantastico.
Editore: Edizioni Clandestine, 2018.
Collana: Highlander.
Pagine: 72.
Prezzo: 7,00 euro.

A cura di Matteo Mancini.
Sequel dell'opera più famosa dello scrittore inglese Thomas de Quincey ovvero quel Confessioni di un Fumatore d'Oppio (1822) che permise all'autore di far fronte a una disastrata condizione economica.
Poeta, direttore di giornali, scrittore, ma soprattutto ispiratore di mostri sacri quali Beaudelaire, Edgar Allan Poe e Jorge Borges, De Quincey nasce a Manchester nel 1785 quale quinto di otto fratelli. La sua è una vita difficile soprattutto sotto il profilo interiore. Uomo e poi autore caratterizzato da un romanticismo decadente, corroso da demoni che ne divorano il cuore e lo abbandonano alla malinconia così da farne un vero e proprio precursore di una lunga serie di "autori maledetti". I suoi testi sono una via di mezzo tra opera letteraria creativa, biografia e saggio filosofico mascherato da racconto. E' il sogno l'elemento centrale nella produzione di De Quincey, il sogno come via per evadere dalla banalità quotidiana, il sogno quale via maestra per ascendere alla maturazione spirituale. "Chi non inserisce la solitudine nella propria vita non potrà mai dispiegare le capacità potenziali del suo intelletto... Fra le facoltà dell'uomo più penalizzate da questa vita troppo intensa  degli istinti sociali c'è la facoltà di sognare."
Consumatore di oppio, dapprima per ragioni curative (era affetto da nevralgie) poi per l'incapacità di liberarsi dall'illusione di farsi cullare dalle dolci onde del sogno, De Quincey stende il Suspiria De Profundis nel 1845, a a sessantacinque anni, dopo un soggiorno nella villa dei conti Imbonati a Milano, in cui aveva fatto una serie di sogni stimolati dalle storie di fantasmi e maledizioni che riguradavano la villa stessa.

Si tratta di un volume alquanto bizzarro, di difficile catalogazione e piuttosto scollegato di capitolo in capitolo. L'autore da sfoggio di un leziosismo e di una cultura classica legata al mito greco e latino che trasforma il narrato più in un esercizio di stile che altro. La lettura diviene pesante per un lettore medio, pur regalando momenti e squarci onirici di grosso impatto, addirittura con un taglio che sembra quasi anticipare la struttura di una sceneggiatura cinematografica pur se esplicitata in prosa. De Quincey prende per mano il lettore, procede con sbalzi temporali, quasi come se raccontasse le immagini mostrate da un televisore. Non è un narratore, piuttosto una presenza eterea, un regista che muove un'ideale macchina da presa che si fa spazio attorno a stanze e corridoi. Si rivolge direttamente al lettore, lo invita a guardare, a incunearsi con lui nei meandri delle sue visioni. E' il dolore la presenza costante del testo. Un pegno necessario da pagare per crescere, svilupparsi e liberarsi dalla trappola del materialismo che rende idioti e non sveglia ciò per cui c'è richiesto di vivere, cioè lo sviluppo dell'anima. "O l'essere umano soffre e combatte pagando il pegno di una visione più introspettiva, o il suo sguardo sarà superficiale e privo di rivelazione intellettuale."

De Quincey parla della vita come una maledizione, una condanna a morte pressoché certa di cui però solo i più sensibili si rendon conto e pagano con questo la loro lungimiranza, quale condanna di aver visto oltre quanto avrebbero dovuto, con un tormento che ne cancella la felicità e disintegra ogni sogno e ambizione di godere un momento di dolce illusione. "Possiamo affrontare la morte; ma sapendo, come capita ad alcuni di noi, che cosa sia la vita umana, chi di noi saprebbe affrontare senza tremare (ove fossimo convocati in piena consapevolezza) l'ora della nascita?" Il pessimismo di De Quincey è marcatissimo, dettato non solo da un approccio filosofico fatalista quanto da esperienze personali alquanto negative. Una madre dura e distaccata, la morte prematura, quando lui aveva sette anni, della sorella maggiore su cui aveva riversato tutto il proprio amore, quindi la malattia del padre a tenerlo lontano in Giamaica e Portogallo per curare un dura tubercolosi così da lasciarlo senza riferimenti maschili, per finire con la passione per un giovane prostituta per un amore impossibile da concretizzare in realtà. Esperienze che ne sgretolano le aspettative, che ne castrano le speranze e che ne plasmano un carattere decadente e malinconico non mitigato dall'incontro con una moglie (mai amata quanto la giovane prostituta) che gli darà otto figli. Solo il sogno, per l'uomo sveglio, può essere la dimensione in cui liberarsi dall'aggravio dell'infelicità, la via in cui volare verso i cieli dell'estasi.

"Orrore e dolcezza celestiali si miscelarono dentro di me già nella primissima giovinezza; quel dolore che dovrebbe apparire nello stadio terminale dell'esistenza a quell'uno su cento che possiede la sensibilità di osservare retrospettivamente la propria vita, mi tolse subito quelle gocce di rugiada, che costituiscono un assaggio delle fontane della vita, quando ancora brillavano al sole del mattino. Vidi da lontano, e prima del necessario, ciò che avrei dovuto vedere solo alla fine voltandomi indietro." Un passaggio da grande maestro, poco da dire, che fa di De Quincey un grande artista, ma anche un uomo affogato da lacrime sgorgate da un cuore disperato che non trova consolazione e che rifiuta la vita, rivolgendosi a un Dio che sembra bizzosso e crudele (come racconta nel capitolo in cui parla della distruzione della città di Savannah-La-Mar), quasi divertito nell'infliggere sofferenze alle sue creature per ragioni che queste non riescono a comprendere e che rispondono a logiche non a misura d'uomo.

La parte migliore del volume è il capitolo Levana e le Nostre Signori del Dolore, testo che ha ispirato il duo Daria Nicolodi e Dario Argento per la realizzazione del soggetto del film Suspiria. Attenzione però a pensare a un racconto, perché De Quincey usa l'escamotage del sogno per esorcizzare il proprio dolore. Descrive queste tre madri nel dettaglio, le madri del dolore: Mater Lachrimarum, Mater Suspiriorum e Mater Tenebrarum. Non si tratta di streghe corporee, come avverrà con Dario Argento, ma di creature ectoplasmatiche che dominano sul mondo in un silenzio eterno, quali ambasciatrici di Dio. Non proferiscono parola, non mostrano il loro volto, né agiscono in modo da esser percibili dai sensi umani. Esprimono il loro piacere tramite segni nel cielo, cambiamenti atmosferici. Ognuna delle tre ha una specifica funzione e si interessa a diverse tipologie di soggetti. De Quincey parla di loro facendo di sé stesso il protagonista del sogno, un sogno che sembra premonitore o, meglio ancora, rivelatore di una realtà che lo riguarda. De Quincey offre un visione legata a un destino già scritto, una vita da cui non è possibile manlevarsi se si è stati maledetti, dal punto di vista materialistico, eppur benedetti da quello spirituale ("perché Dio concede pur sembrando rifiutare"), una vita di sofferenze necessarie per ascendere e conquistare altrove la vera felicità (ma a che prezzo!). "Questo è colui a cui ho consacrato i miei altari sin dall'infanzia. Questo è colui che decisi fosse il mio beniamino. E' lui che ho condotto alla deriva, è lui che ho ammaliato per rubare al cielo il suo giovane cuore e renderlo mio" racconta Mater Lachrimarum. "Grazie a me è diventato un idolatra; e per mio tramite ha adorato, con struggente desiderio, il verme e ha pregato alla tomba piena di vermi. Santa era per lui la tomba; piacevole la sua oscurità, santa la sua corruzione. Ho cresciuto questo idolatra per te, cara e gentile sorella dei Sospiri! Accoglilo tu ora nel tuo cuore, e fallo stagionare a dovere per la nostra sorella terribile. E tu, Mater Tenebrarum, prendilo a lei. Fa' che il tuo scettro giaccia pesante sulla sua testa. Non consentire ad alcuna donna di sedere accanto a lui con tenerezza nell'oscurità. Metti al bando le fragilità delle speranza, fai appassire il potere lenitivo dell'amore, brucia le fontane delle lacrime, maledicilo come tu sola sai maledire." Sono frasi forti, che hanno l'effetto di spezzare il cuore del lettore, ma non hanno una finalità distruttiva. Si tratta di una brutalità finalizzata a temperare il "maledetto", l'uomo ultra sensibile, così da liberarlo dal suo status di comune mortale e portarlo oltre. "Solo così vedrà cose che non dovrebbero esser viste, visioni abominevoli e segreti inenarrabili. Così egli leggerà verità antiche, verità tristi, verità grandiose, verità tremende. Così riuscirà a sollevarsi prima di morire. E così avremo adempiuto al mandato datoci da Dio, quello di seviziare il suo cuore fino a fargli aprire le facoltà del suo spirito." E' dunque un vero e proprio percorso iniziatico quello proposto da De Quncey. Un percorso che conduce alla conquista dello spirito, ma a un prezzo che forse nessuno sarebbe disposto a pagare, neppure lo stesso soggetto "maledetto per esser benedetto" che si trova suo malgrado orientato su un percorso che non vorrebbe intraprendere, ma da cui non si può sottrarre se non cedendo agli impulsi negativi orchestrati dalle tre madri (tipo il suicidio) e che ne comporterebbero il fallimento. Solo con la resistenza e la capacità di procedere oltre potrà liberare lo spirito e vincere la morte.

Suspiria de Profundis è un testo importante, bellissimo e poetico, ma indirizzato a pochi, sia per la sua complessità,sia per la frammentarietà che ne fa un volume che non può definirsi né un romanzo né un'antologia, ma un volume sui generis destinato ai lettori della grande letteratura. Lo apprezzeranno i lettori dei vari Beaudelaire, Huysmans e gli altri scrittori caratterizzati da un romanticismo decadente.

THOMAS DE QUINCEY.

"Di ogni relitto senza speranza è penoso parlare, a maggior ragione quando, per suo tramite, altri sono divenuti dei relitti."

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