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venerdì 13 marzo 2015

Recensione Narrativa: IL NUMERO UNO di Hans Ruesch.


Autore: Hans Ruesch.
Anno: 1938.
Genere: Romanzo sportivo (Sport-Roman).
Editore: Fucina
Pagine: 240.
Prezzo: 16,00 euro.

Commento di Matteo Mancini
Autentica perla nell'ambito della narrativa legata al mondo dello sport e, più specificatamente, dell'automobilismo.  Si tratta probabilmente del miglior romanzo in assoluto legato al mondo dei piloti pionieri, ovvero i protagonisti della c.d. epoca d'oro dell'automobilismo, quando il mitico Tazio Nuvolari realizzava magie pazzesche (tipo guidare con una chiave inglese al posto del volante danneggiato) per batttere gli avveneristici mezzi tedeschi dell'Auto Union e della Mercedes affidati ad assi come Rudolf Caracciola, Berndt Rosemeyer, Richard Seaman e Achille Varzi.
Il testo, pur non risentendo dei decenni trascorsi, ha quasi ottanta anni sulle spalle, ma nonostante la sua eccelsa qualità era caduto in un oblio riconducibile a un ostracismo che, per motivi politici e di impegno sociale, ha flagellato il suo autore. E' stato riportato in auge nel 2007 dalla piccola ma qualificatissima Fucina Editori di Milano, specializzata in saggistica legata al mondo delle competizioni motoristiche. La casa editrice, per mezzo di Luca Delli Carri, che ha curato un'interessante intervista all'autore (una sbobinatura dei due incontri), unita a impressioni personali e a una vera e propria recensione generale sulla produzione dell'autore, ha riacquistato i diritti dal diretto interessato in modo da far conoscere ai giovani un testo che ha saputo vendere, tra gli anni '40 e '50, qualcosa come un milione e mezzo di copie.
Ma chi è l'autore e come è nato il romanzo?


Il romanzo viene pubblicato nel 1938 in tedesco, col titolo Gladiatoren, e porta la firma di Hans Ruesch, un pilota svizzero nato a Napoli, che in quegli anni si diletta, da privatista indipendente, in competizioni motoristiche in giro per l'Europa.
Nato nel 1913 da genitori svizzeri, Ruesch ha due grandi passioni fin dalla nascita: lo sport e la scrittura. Fantastica da bimbo, complice una brutta frattura a una gamba, sui testi di Emilio Salgari. Li legge praticamente tutti, è un lettore instancabile il giovane Hans, tanto che viene presto spedito in collegio in Svizzera. E' costretto a imparare alla perfezione ben tre lingue (italiano, francesce, tedesco), a cui si aggiunge il latino, aspetto che in seguito lo aiuterà non poco. Si appassiona agli sport invernali, soprattutto al bob (ricorda in questo il Marchese De Portago, pilota spagnolo di origini irlandesi che si dilettò, oltre che in F1, anche nelle corse ippiche a ostacoli sfidando il percorso del Grand National di Aintree). Il suo talento è tale da portare la nazionale Svizzera a selezionarlo per le Olimpiadi di Garmisch del '36. La sua vera passione però sono le corse automobilistiche. Debutta giovanissimo, a diciannove anni, due giorni dopo il compleanno del sottoscritto (il 17 luglio). Acquista una MG, vettura inglese, e inizia con le gare in salita. Tenta in tutti i modi di entrare in una squadra ufficiale, ma la nazionalità svizzera (a cui non vorrà mai rinunciare a beneficio dell'italiana) lo frena non poco perché gli inibisce la possibilità di entrare nei team italiani. Le difficoltà però non lo fanno desistere, compra un Alfa Romeo e nel '33 partecipa alla Mille Miglia (lo farà altre due volte, ottenendo come miglior piazzamento un quarto posto), oltre che a numerose gare in salita e qualche gran premio (miglior risultato 3° posto nel GP di Norvegia nel '35 e primo nel Gp di Bucarest nel '37). Ottiene il primo grande risultato nell'ottobre del '33, quando realizza il record mondiale sul km con partenza da fermo, alla guida di una Maserati. L'apice della propria carriera di pilota, però, lo tocca nel 1936. E' in quest'anno che riesce a iscriversi al Gran Premio di Donington, grazie all'invito dell'asso inglese Richard Seaman (il pilota reputato più forte dell'Inghilterra dell'epoca). Seaman è in lotta serrata con una rivelazione, il cinese Bira, che rischia (a sorpresa) di soffiargli il campionato inglese, e sa che Ruesch ha da poco acquistato da Enzo Ferrari un vero bolide: l'Alfa Tipo C 8C-35, monoposto Grand Prix da 330 cavalli, con cui Nuvolari aveva vinto la Coppa Ciano nel 1935. I due si accordano per correre insieme il gran premio (all'epoca si poteva fare con punteggio dimezzato), condizione necessaria per permettere allo svizzero di correre. Ruesch domina la corsa con due minuti sugli inseguitori, poi lascia il mezzo a Seaman (uno che toglierà a Hitler la voglia di vedere le corse, vincendo il Gran Premio di Germania sotto gli occhi del dittatore) che controlla la situazione e artiglia i punti che gli permettono di vincere il titolo. E' un acuto a cui fanno seguito numerosi successi in giro per l'Europa (27 su circa 100 corse), ma Ruesch inizia a pensare alla carriera di scrittore. Nei tempi morti, nei box, prende i primi appunti di quello che diventerà Gladiatoren, ovvero il suo romanzo sul mondo delle corse ("Della prima gara in circuito alla quale ho partecipato ricordo che eravamo in sedici partecipanti. Di questi sedici, dodici sono morti in corsa nel corso degli anni. Noi, i vecchi, non consideriamo i piloti di oggi dei piloti, perché non abbiamo mai considerato le corse moderne delle vere corse."). Lo scrive in tedesco e lo ultima nel 1938, proprio quando chiude con le competizioni ed emigra negli Stati Uniti. Tornerà a correre nella riunione estiva del 1953, chiudendo definitivamente la carriera, dopo quattro uscite, a Merano a causa di un sinistro identico a quello in cui aveva perso la vita uno dei principali protagonisti di Gladiatoren. Quando si dice l'ironia del destino...

Copertina d'epoca de IL NUMERO UNO.

La scrittura lo porta a leggere in continuazione ("Scrivevo tutti i giorni, perché non si deve mai smettere di scrivere. Se uno non ha niente da scrivere deve scrivere lo stesso. Anche se non deve lavorare a un romanzo, anche se non deve scrivere un articolo, uno scrittore non deve mai stare fermo."). Conosce Remarque che gli suggerisce di approfondire la lettura di Hemingway e di Conrad, in risposta Reusch gli chiede una frase di promozione del suo primo romanzo, ma il tedesco è freddo e astioso: "Nemmeno per sogno. Io ho dovuto combattere in modo tremendo per trovare un editore, mentre se io scrivessi un complimento per te tutti vorrebbero pubblicare il tuo libro..." Remarque scriverà in seguito anche lui un romanzo sulle corse, Il Cielo non ha Preferenze, usando però tale mondo più da cornice di una storia tragica piuttosto che da spunto di riflessione sulla psicologia e sulla filosofia dei piloti (come invece aveva fatto Ruesch).
Nel 1940 il volume viene edito anche in Italia, da Garzanti, che lo pubblica col titolo I Gladiatori. Il vero successo però arriva col secondo romanzo, dal titolo profetico: Top of the World (Paese dalle Ombre Lunghe). Lo pubblica questa volta in inglese, a New York, e ottiene un successo così forte da scomodare Hollywood che acquista i diritti di entrambi i romanzi di Ruesch. Nel frattempo, I Gladiatori, viene distribuito da Ballantine anche in America col titolo The Racer (1953) e ristampato l'anno dopo, in Italia, col titolo con cui oggi lo conosciamo. Ruesch è al settimo cielo, frequenta Hollywood, diviene amico di Charlie Chaplin (testimonierà a favore del famoso attore, in un processo che lo vedrà coinvolto). Nel 1955 esce sui grandi schermi Destino sull'Asfalto con Kirk Douglas protagonista, primo kolossal di Hollywood sull'automobilismo. Subito seguito, nel 1959, da Ombre Bianche per l'interpretazione di Anthony Quinn.
Ruesch ce l'ha fatta. E' diventato uno scrittore di successo e inizia anche ad avere fama e denaro (grazie soprattutto alle trasposizioni cinematografiche dei suoi romanzi). Pubblica altri libri di un certo pregio commerciale e tutti di argomento diverso l'uno dall'altro, come Paese delle Ombre Corte (1959) e Partita di Caccia (1964), finché non decide di intraprendere una battaglia nobile che lo porterà al crollo e al boicottaggio da parte del mondo letterario, finendo isolato e ostaggio di una marea di processi in giro per l'Europa. All'insaputa dell'editore, la Rizzoli, nel 1976, da alle stampe un volume in cui attacca in modo deciso e circostanziato l'industria farmaceutica e la pratica della vivisezione animale. L'opera, L'Imperatrice Nuda, ottiene recensioni favorevoli e sarà considerata negli anni una pietra miliare del genere, ma non piace per nulla ai poteri forti. La stessa Rizzoli fa di tutto per boicottarla, perché fa venire i pruriti ai finanziatori dell'editore. Viene così ordita una campagna contro l'autore che lo porta al netto declino (in Stati che si professano Liberal-Democratici e non a Cuba, n.d.r.). Anche le precedenti opere, che pure avevano venduto anche tre milioni di copie, vengono quasi censurate, tolte dalle librerie e biblioteche. E' la triste punizione nei confronti di chi ha cercato di combattere per una giusta causa, una causa però tale da rischiare di determinare gravi danni economici a chi lucra a danno altrui. Ruesch avrà la soddisfazione di esser definito "la bandiera per chi lotta per i diritti degli animali" senza però ottenere appoggio da chi avrebbe potuto. Una gemma quasi nel deserto la sua, perché per gli altri risuona la classica e pragmatica riflessione: "Troppo rischio per un uomo solo", tanto per fare il verso a un famoso film, questa volta italiano, che, ironia della sorta, ha per protagonista proprio un pilota.

Luca Delli Carri che, in occasione della ristampa de Il Numero Uno, si è incaricato dell'onore di intervistare l'autore così lo ha definito: "Quando incontri gente come Ruesch è come trovarsi in mezzo al mare su una piccola barca, con un transatlantico che ti passa di fianco, sfiorandoti; rimani senza respiro, e la sensazione dura a lungo, per tutto il momento in cui la grossa nave passa; il cuore batte forte; solo poi torni a respirare, a vivere; non sai cosa, ma qualcosa di importante è appena successo nella tua vita." Parole che proiettano Ruesch in una dimensione che sa di immortale e che, alla luce di quel che si legge dalla storia di questo uomo, sono più che meritate. Un campione dello sport prima, poi affermatissimo autore che decide di rischiare tutto per un'ideologia nobile: la difesa degli animali contro pratiche, a suo dire (verosimilmente a ragione), inutili e prive di supporto scientifico, e dunque ipocrite, false, strumentali solo a fare cassa sulle sofferenze di esseri incapaci di difendersi. Quanto più di meschino non si potrebbe fare, specie se si è consci dell'inutilità degli esperimenti in questione. Dunque un uomo meritevole del massimo rispetto, un "condottiero" che non si è mai nascosto e che si è battuto proprio come i piloti di un tempo sapevano fare ogni volta che salivano su un bolide da competizione, con l'incertezza poi di potervi scendere tutti di un pezzo una volta ultimata la corsa..

L'opera censuratissima di RUESCH di cui lo stesso andava maggiormente fiero, 
ma che ne decretò il declino e la persecuzione processuale.

Gladiatoren, poi ribattezzato The Racer, è il romanzo di debutto di Hans Ruesch. Lo scrive a 25 anni, nei ritagli di tempo, ma piazza subito un piccolo grande capolavoro. Il volume, ristampato in Italia col titolo Il Numero Uno, ha come principale obiettivo l'introspezione nei diversi profili mentali dei piloti dell'epoca d'oro delle corse, ovvero del periodo ante guerra. Ruesch, da buon ex pilota, mette molto delle esperienze acquisite sul campo, evita ipocrisie e racconta il tutto con una vena melanconico-drammatica, a tratti cruda ma assai vicina alla realtà. Non a caso quasi tutti i personaggi che il lettore andrà a incontrare sono ispirati a personaggi reali, così come le auto menzionate sono proiezioni immaginifiche (nei nomi) delle principali case automobilistiche dell'epoca. Più che il soggetto, all'autore interessa caratterizzare l'ambiente delle corse (grande cura nella descrizione dei tracciati) e ancor di più la filosofia e la psicologia di uomini disposti al più grande dei sacrifici (la vita) pur di battere i rivali alla guida di proiettili viaggianti.
Il soggetto è orchestrato sula parabola, dapprima ascendente e poi discendente, di un pilota tedesco (Erwin Lester) che riesce a entrare in una squadra di vertice, la Gayer (altro non è che la Mercedes), dopo aver preso parte a svariate competizioni da privatista e aver digerito molti bocconi amari. Il giovane arriva quasi al punto di esser costretto ad abbandonare la carriera, in quanto impossibilitato a poter competere alla pari con i piloti dei team ufficiali e non ritenuto all'altezza per guidare una Burano (cioè la Ferrari). Ogni tentativo del tedesco, infatti, sarà respinto dal team principal italiano che finirà per ingaggiarlo solo come venditore. Solo l'improvviso ingresso nel circus delle corse di una nuova squadra con ambizioni di vertice, per giunta della stessa nazionalità del protagonista, permetterà a Lester di poter dimostare tutto il suo valore. E' il classico colpo di fortuna che capita solo a pochissimi eletti.

Ruesch parte subito forte, aprendo la storia con il duello tra il protagonista e il blasonato brasiliano Sandiego durante una Millemiglia. Prologo dunque colorato da tinte epiche, in virtù di una descrizione minuziosa delle modalità di svolgimento delle competizioni dell'epoca e dei trucchi, più o meno volontari, per sorprendere gli avversari (tipo guidare di notte a fari spenti). Ruesch è perfetto, lo aiuta il fatto di aver corso lui stesso in queste prove, e con un stile asciutto, mai banale, riesce a trasmettere persino i sapori e le sensazioni dei suoi protagonisti. L'analisi dello svizzero è profonda, sentita, mai smielata o condita di virtuosismi gratuiti. Le rinflessioni del suo protagonista sconfinano nella filosofia e sono rese con un lessico elegante da scrittore di razza. Dapprima è consumato dall'ansia di poter correre su una macchina vincente, sensazione amplificata dal passare infruttuoso degli anni, poi da quella di sbaragliare la concorrenza degli anziani compagni di squadra (raffigurati, a ragione, come degli ostacoli che soffocano il talento altrui) infine di controllare il successo trasformandosi lui stesso in uno di quegli anziani un tempo odiati. Calzante, a tal ragione, il seguente stralcio: "I giovani sono i migliori, sempre. Ma non hanno modo di provarlo. I vecchi si tengono solidamente aggrappati alla cima della montagna del successo, e dalla loro posizione possono facilmente respingere i giovani che ansimano ai loro piedi. I giovani hanno maggior diritto a quel posto, perché sono più forti e più bravi e più capaci; hanno tutte le carte in mano fuorché una: essi sono al disotto e i vecchi li possono tenere a distanza colpendoli a calci sul capo... Piloti più giovani e forse più capaci di me cercheranno di colmare la differenza tra la loro vettura e la mia a prezzo di un maggior rischio e talvolta pagheranno la loro temerarietà con la propria vita. Altri si ritireranno, amareggiati e delusi..."

Inevitabili i conflitti tra compagni di squadra, perché, come si suol dire, il primo rivale è sempre colui che dispone della stessa macchina poiché non si possono accampare scuse a giustificazione di un insuccesso. "La prima corsa era terminata e fra i quattro assi erano scoppiate le ostilità: ognuno contro tutti e tutti contro ognuno." Gli scontri saranno tanto duri da far sbottare il titolare della Gayer che vuole invece vincere con una macchina, a prescindere da chi la guidi: "Io voglio una squadra disciplinata, altrimenti non so di che farmene. Sul principio ho lasciato che i miei piloti si combattessero fra loro, perché volevo che le nostre vetture venissero forzate al massimo; ma ora dobbiamo raccogliere il frutto delle nostre fatiche, ora abbiamo bisogno di vittorie, e non possiamo permetterci d'avere un campo diviso, con i membri che si bisticciano come tante prime donne... Dal nostro vivaio di principianti mi alleverò un pugno di piloti capaci che mi obbediranno come tante reclute e allora potrò mandare a spasso tutti i signori campioni".

Emergono così profili e strategie diverse, Ruesch elenca, utilizzando i vari personaggi, i diversi prototipi di pilota (quello pulito, quello che rischia tutto, lo spaccone, il calcolatore, il dandy, e via dicendo), ognuno con il suo cruccio particolare (esempio Dell'Oro, la caricatura di Nuvolari, indossa foulard giallo e pretende che gli si colorino i raggi delle ruote di giallo). La caratteristica pressoché costante che lega tutti questi soggetti è l'atteggiamento machiavellico, ciascun pilota è disposto a indurre in errore anche il compagno di squadra, talvolta a tradirlo, pur di vincere ("Nel nostro mestiere i grandi sono di solito poco amabili e poco amati. Chi vuole arrivare in alto deve aver voglia di battersi, e non di indietreggiare, nemmeno dinanzi al sangue: ne a quello dei rivali né al proprio."). Ne derivano personalità prive di amicizie, che hanno conoscenze solo perché sono campioni in pista e vincono gare. Individui che non guardano al futuro, a cui interessa poco costruire relazioni interpersonali perché sono abituati alla droga del successo, al bisogno della competizione e quindi dell'affermazione sull'altro. Per uomini del genere non esistono compromessi, c'è solo la voglia di emergere e di demolire i rivali per dimostare chi è il più abile alla guida. Così Lester risponde all'amarezza della moglie: «Non abbiamo amici, ma in compenso abbiamo molti nemici e questi valgono altrettanto. Anche i nemici pensano, parlano, sognano di noi, e probabilmente più spesso di quanto farebbero gli amici. Anche il luoro cuore batte più forte quando ci vedono; e anch'essi ci ricorderanno dopo che saremo morti.»

In tutto questo si inseriesce la relazione amorosa tra Lester e una giovane rampolla di una famiglia bene. Ruesch tratteggia le problematiche di un rapporto di questo tipo, evidenzia le sofferenze della donna che vede il proprio uomo scendere in pista temendo ogni volta che possa non farvi ritorno. Impossibile cambiare questi uomini, sebbene la donna tenti in tutti i modi di trasformare il proprio amore nella sua proiezione mentale ideale. Non mancano infatti scene di morte o infortuni talmente gravi da lasciare menomati i piloti, con le donne che soffrono accanto a loro o restano ghiacciate ai box colte da un terrore paralizzante. Lo stesso protagonista resterà coinvolto in uno schianto che lo costringerà a camminare sostenendosi a un bastone (l'ispirazione è Rudolf Caracciola). In tutto questo si inserisce la volontà del pilota di razza di non farsi una famiglia, perché avere figli comporta delle responsabilità e questo incide sull'atteggiamento mentale, contaminando l'estro di pazzia di cui un corridore non può fare a meno: "qualsiasi affetto o senso di responsabilità è deleterio in questo mestiere. E se poi nascono figli? Allora ci si preoccupa per la loro sicurezza più che della propria carriera, e quando un corridore comincia a temere per la propria pelle, è giunto il momento di cambiare mestiere." E' la famosa civilizzazione di cui si parla anche in Rocky III, quando l'allenatore di Rocky cerca di convincerlo a ritirarsi perché ha smarrito la cattiveria agonistica (dote indispensabile per primeggiare, lo rimarca più volte anche Lester).

Le donne, in queste storie, non sono figure ornamentali, anzi... Hanno un'influenza importante sulla tranquillità dei propri uomini, addirittura dimostrano di avere un carattere più forte, persino prevalente tanto da spingere i compagni, una volta lasciati, a meditare il suicidio spettacolare in gara. E' proprio la donna (non solo la compagna del protagonista, ma anche altre figure femminili) a tenere vivi i compagni, a motivarli, a fungere da elemento portante, persino a comportarsi da procuratori andando a coinvincere il capo squadra con un temperamento in stile Adriana di Rocky Balboa.
"Ma crede che uomini del genere possano mai diventare autentici campioni?" chiede la moglie del protagonista al capo squadra che vorrebbe dei piloti soldato. "Ripensi un po' a tutti quelli con cui ha avuto a che fare e che erano veramente grandi! Crede che uno dei suoi giovincelli rispettosi rimarrà al volante quando la scatola del cambio si surriscalda e comincia a bruciargli i piedi? Che resisterà per ore e ore sempre con massimo rendimento quando la pioggia gli sferza la faccia come aghi e una pietra gli spezza un dente... E se un uomo ha da essere ostinato, ardito e prepotente sulla pista, egli sarà così sempre, e non soltanto quando glielo ordina lei! Herr Direktor, se lei si intendesse di creature umane quanto di macchine da corsa, allora sarebbe felice che mio marito sia come è: allora capirebbe ch'egli è fatto della stoffa degli assi! " Donne dunque forti che uniscono questa invidiabile dote caratteriale al fascino tipicamente femminile ma che, alla lunga, vengono a sentire la mancanza di quel romanticismo e di quella passione che simil soggetti, talvolta, non possono offrire perché legati a un futuro aleatorio e incerto, al bisogno di sfidare continuamente la morte e, in cuor loro, di morire da eroi in gara così da poter cristallizzare un mito che altrimenti finirebbe col ridemensionarsi al decorrere degli anni.
A differenza del film di Stallone, l'epilogo è triste, privo di speranze. L'amore di coppia si sgretola, per la freddezza di Lester che è diventato una macchina apatica che vince senza più entusiasmarsi e che non ha altre passioni al di fuori delle corse. La sua compagna si innamora di un emergente irlandese (costruito a immagine e somiglianza di Richard Seaman) compagno di squadra di Lester e che entra in forte competizione con lo stesso (sembra un po' ricordare la storia di Achille Varzi che soffiò la donna  a un collega). Finirà vittima di un incidente così grave da chiedere al rivale, una volta ricoverato in ospedale, di sopprimerlo perché non potrà più avere una vita normale. Ruesch, velatamente, piazza così un ottimo e avveneristico spunto anche sull'eutanasia. Lester intanto medita, a sua volta, il suicidio, perché non accetta la separazione e si accorge solo adesso di quanto una forte figura femminile sia importante. Il finale rimane ambiguo, ma non promette niente di buono...

Il Numero Uno, nonostante l'ambientazione di metà anni '30, è un romanzo che non risente degli anni, ben sviluppato e che può essere letto, per gli spunti psicologici e filosofici, anche da chi non è interessato agli sport dei motori. Davvero una prova eccelsa che la Fucina Editore ha fatto assai bene a rispolverare dall'oblio. Assolutamente consigliato l'acquisto. Perla.

La locandina della trasposizione cinematografica de IL NUMERO UNO.


"I libri ci accompagnano nella nostra vita, come fossero degli amici dei quali di tanto in tanto ci ricordiamo e ai quali pensiamo, con affetto, magari sfruttandoli anche, per una citazione, o per sostenerci in un momento difficile. Sono niente, eppure possono diventare tutto" (Hans Ruesch).

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