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sabato 12 ottobre 2013

Recensione Narrativa: Il Pendolo di Focault (Umberto Eco)

Autore: Umberto Eco.
Anno: 1988.
Edizioni: Bompiani.
Pagine: 680.

Commento Matteo Mancini.
Secondo romanzo del professore Umberto Eco, che arriva a otto anni di distanza dal debutto avvenuto con il fortunato Il Nome della Rosa, celebre testo premiato con lo Strega e reso famoso dall'omonimo film diretto da Jean Jacques Annaud, con Sean Connery protagonista.

Con Il Pendolo di Focault Eco abbandona del tutto il taglio commerciale (da cui, in verità, si è sempre dissociato) e confeziona un'opera omnia e aulica dedicata all'esoterismo con la “E” maiuscola, abbondando con citazioni (almeno una per ogni paragrafo), aneddoti storici, leggende più o meno metropolitane (mito di Agarthi), nozioni e riferimenti rituali legati al mondo ermetico-massonico e non solo. In altri termini fa l'opposto di quanto potrebbe fare Dan Brown; se lo scrittore americano confeziona intrecci inserendovi elementi legati alla tradizione esoterica per rendere più accattivante il narrato, Eco realizza un'opera quasi saggistica sulla tradizione esoterica, inserendovi poi elementi tesi a costruire un flebile canovaccio che possa trasformare il lavoro finale in un'opera narrativa di stampo fantastico.

Ne esce fuori un romanzo, a mio avviso, destinato a uno zoccolo duro di appassionati del mondo esoterico, i quali avranno dozzine di spunti utili per approfondire gli innumerevoli argomenti trattati, più o meno marginalmente, da Eco. Tale contenuto porta a un testo tanto dotto quanto difficile da comprendere per chi ignora certe tematiche (Cabbala, Massoneria, Teosofica, Templari, Rosa-Croce, Nazismo magico, setta degli Assassini, protocolli di Sion, Santo Graal, metempsicosi, scrittura criptica, alchimia, numerologia etc), affascinante invece per chi ha fatto certi studi. Oltre a ciò è innegabile il contenuto intrinseco dell'opera, che porta il lettore più attento a rileggerla più e più volte (magari documentandosi sulle parti per lui più oscure), acquisendo a ogni lettura un maggior numero di dati da interpretare.

Eco, nel testo, distingue (a ragione) nettamente tra esoterismo e occultismo, termini troppo spesso ritenuti sinonimi da lettori e commentatori dal palato grezzo. “L'esoterismo è la ricerca di un sapere che non si trasmette se non per simboli, sigillati per i profani. L'occultismo invece è la punta dell'iceberg, quel poco che affiora del secreto esoterico.

Dunque un romanzo contenitore iniziatico/esoterico, dove Eco inserisce di tutto: dai partigiani in lotta per la liberazione dal nazi-fascismo, agli scontri studenteschi del '68, per non parlare dei riti esoterici brasiliani, dedicando poi interi capitoli che sembrano dei veri e propri saggi su templari, Rosa-Croce, alchimisti e società segrete varie.

In particolare viene trattata con una certa attenzione la storia dei templari, ovvero un ordine cavalleresco di monaci-soldati nato, attorno al 1100, per combattere i mori in Terrasanta e poi divenuto così ricco e potente da risultare inviso al re di Francia. Un odio tanto forte da determinare, due secoli dopo, la messa al bando dell'ordine. Accusati di stregoneria, di sodomia e di adorazione del demonio i monici furono uccisi sul rogo o imprigionati ovvero dispersi in mezza Europa.
Eco sottolinea come i templari si rifacessero a dottrine indiane (conosciute stando a contatto con gli orientali e con i kamikaze della Setta degli Assassini) da cui avrebbero pescato il mito del serpente Kundalini, ovvero una forza cosmica che risiede nella spina dorsale e nelle ghiandole sessuali dell'uomo e che una volta risvegliata andrebbe a sollecitare la ghiandola pineale per aprire sulla fronte quel terzo occhio capace di garantire una visione diretta nel tempo e nello spazio.
Costretti a vivere in clandestinità, i templari superstiti, per mezzo di sei gran maestri, nel 1344 si sarebbero insediati in sei luoghi determinati e nel corso di 120 anni avrebbero dato vita a una serie di incontri (uno ogni 120 anni per un totale di sei incontri) caratterizzati dalla presenza di due maestri rappresentanti di gruppi di volta in volta diversi. Il fine di questi incontri sarebbe stato da individuare nella necessità di ricostruire il messaggio originario e segreto di cui erano depositari i templari, un messaggio celato da cifre numeriche e simbolismi vari. Ciascun gruppo infatti sarebbe stato a conoscenza di verità parziali, non conosciute dagli altri cinque gruppi, e solo al termine dei 720 anni (risultato della moltiplicazione 120*6), mediante la rivelazione dei vari segreti parziali, gli eredi dei templari sarebbero stati in grado di ricostruire la verità nella sua portata integrale.
Nel testo si spiega come un banale errore, attribuibile alla modifica del calendario inglese, abbia impedito al gran maestro britannico di presentarsi all'appuntamento pattuito con quello francese con la conseguenza di rendere impossibile la ricostruzione del segreto. Questo evento avrebbe scaturito una serie di accadimenti storici diretti, in un modo o nell'altro, a ricostruire il messaggio perduto.
In prima battuta ciò avrebbe portato alla nascita delle società segrete e a una serie di scritture più o meno criptiche. Eco ci parla dell'abate benedettino Tritemio, vissuto tra il 1400 e il 1500, depositario degli stessi sistemi crittografici usati dai templari, per illustrarci la sua arte di aprire attraverso occulta scrittura l'animo umano alle persone lontane. Personaggio misterioso, in contatto con alchimisti, cabalisti e teologici, così abile nel mascherare le sue rivelazioni sulle scritture sacre con messaggi cifrati che, a pagina 145 del romanzo viene scritto: il destinatario (dei messaggi cifrati) dovrà evocare gli angeli per comprendere il messaggio vero.

Proprio questo personaggio, unitamente ai templari, sta alla base dell'intreccio confezionato da Eco che pennella le coordinate di un thriller complottistico che vede un trio di amici dipendenti di una piccola casa editrice di Milano, dedita alla pubblicazione di materiale esoterico, interrogarsi sul possibile sviluppo del piano occulto che vorrebbe i discendenti dei templari (infiltrati in organizzazioni paramassoniche) tramare dietro le quinte per il dominio del mondo.
I tre iniziano a fantasticare su un documento cifrato e parziale rinvenuto a Provins verso la fine del 1800, ma risalente alla notte di San Giovanni del 1344 (il giorno in cui i grandi maestri superstiti templari avrebbero deciso di frammentare la verità di cui erano depositari in attesa che il tempo della vendetta fosse maturo). In tale documento sarebbe riportato, secondo alcune interpretazioni riconducibili all'arte di Tritemio, il piano criptato per la rinascita dei templari. Il testo indicherebbe le date e le ricorrenze in cui i vari gruppi eredi dei templari sparsi in Europa si sarebbero dovuti riunire per formare, a poco a poco, il segreto originario. Ma di quale segreto si tratta?
Per tentare di scoprirlo, i tre dovranno indagare, interrogandosi in prima battuta sul significato del Graal.

Sarebbe proprio il graal l'oggetto o il fine del piano dei templari. Esso però non deve esser considerato secondo gli usi riconducibili alla saga dei cavalieri della tavola rotonda, secondo i quali costituiva la coppa che raccolse il sangue di Gesù. Tale ricostruzione viene subito smentita, perché Eco, tramite i suoi personaggi, suggerisce che Gesù non sarebbe morto in croce, da qui il motivo per cui i templari rinnegavano il crocefisso, ma sarebbe sbarcato in Francia insieme a sua moglie Maria Maddalena, presso i cabalisti di Provenza, per fondare la stirpe reale di Francia. Una ricostruzione che costituirà la base de Il Codice da Vinci di Dan Brown, ma che già qui è affrontata in modo chiaro sebbene senza chiamare in causa l'inventore italiano. Si esclude altresì che il graal sia una pietra dai misteriosi poteri, come detto da alcuni, ovvero la pietra filosofale degli alchimisti. Si giunge così a definirlo una fonte di energia sotterranea custodita nella leggendaria Agartha: la città sotterranea dove i signori del mondo dominerebbero e dirigerebbero le vicende della storia umana, il c.d. zero mistico, l'introvabile, una scacchiera che si estende sotto la terra attraverso quasi tutte le regioni del globo tra i ventidue templi che rappresentano i ventidue arcani di Hermes e le ventidue lettere di alcuni alfabeti sacri.

Qua si arriva a un altro argomento caro a Eco: lo sviluppo delle vicende della storia. I personaggi ricostruiscono infatti la storia passandola dal filtro di una lente iniziatica che reinterpreta i fatti storici e soprattutto presenta i personaggi più importanti della storia dell'uomo in modo diverso dal consuetudinario, cioè in un'ottica complottistica e illuminata. Tutti sarebbero stati alla ricerca del segreto finale dei templari per poter mettere le mani sul Graal. Così vediamo sfilare fiori fiori di personaggi da John Dee a Hitler, passando per i vari Evola, Guenon, Jules Verne, l'ordine esoterico della Golden Dawn, Napoleone, Giordano Bruno, Paracelso, Cagliostro, Bacone e chi più ne ha più ne metta. Umberto Eco mette moltissima carne al fuoco, ma riesce a padroneggiare l'incredibile quantità di dati con capacità notevoli. Certo, la fluidità del testo non è sempre garantita (in alcune parti il libro si rivela assai pesante, specie tutta la parte ambientata in Brasile che rallenta di molto la lettura) però costituisce un tributo che alla fine si è ben disposti ad accettare.

Da queste basi di partenza, il trio protagonista, usando il materiale che giunge in redazione, i pareri di personaggi ambigui e il software di un computer usato per creare intrecci inediti, decide - un po' per snob un po' per deridere i diabolici (cioè gli scrittori dilettanti che si interessano di tematiche esoteriche) - di giocare a ricostruire il piano dei templari. Si tratta però di un gioco pericoloso, simile a una partita a poker, che li prende a poco a poco fino a trascinarli in un maelstrom dai contorni paranoici. Tutto diviene strumentale al piano, persino la lettura del manuale per il conseguimento della patente di categoria B!?
Il protagonista dirà: “Ritrovavo personaggi che avevo studiato a scuola, come portatori della luce matematica e fisica, in mezzo alle tenebre della superstizione e scoprivo che avevano lavorato con un piede nella Cabbala e l'altro in laboratorio.”

Dunque il gioco diviene una caccia alle analogie in una visione in cui ogni parvenza del mondo, ogni voce, ogni parola scritta o detta non ha il senso che appare, ma ci parla di un segreto. Il criterio è semplice: sospettare, sospettare, sospettare sempre. Cosa potrà mai derivare da questo atteggiamento sospettoso e non ben calibrato dal controllo mentale? Chiaramente la follia ed è una follia contagiosa, perché suffragata da ricostruzioni, seppur opinabili, verosimili e dunque sufficienti a far sorgere quel sospetto di cui parla il protagonista. È lo stesso protagonista, del resto, a dirci che quando ci si mette in uno stato di sospetto non si trascura più nessuna traccia e si è disposti a vedere segnature rivelatrici in ogni oggetto che capiti tra le mani.
Illuminante per capire il concetto, specie quando parlo di “controllo mentale”, è la massima di Michael Maier (autore della celebre Atalanta Fugiens) il quale afferma che chi cerca di penetrare nel roseto dei Filosofi senza la chiave, sembra un uomo che voglia camminare senza piedi.
La cosa buffa è che nel romanzo nessuno dimostra di avere la chiave, anche perché nessuno è alla ricerca di una crescita interiore di natura cabalistica ma sono tutti orientati alla ricerca di un vantaggio materiale o di un incosciente divertimento. Eco giustamente scrive che l'iniziazione è un processo abissale, è una lenta trasformazione dello spirito e del corpo, che può portare all'esercizio di qualità superiori ma è un qualcosa di intimo, di segreto. L'iniziato controlla le forze che il mistico patisce. L'iniziazione è frutto di una lunga ascesi della mente e del cuore. Il misticismo è un fenomeno democratico, se non demagogico, l'iniziazione è aristocratica.
Cade qui a fagiolo l'ottimo stralcio estrapolato da Eco da La Tradizione Ermetica di Julius Evola dove si legge: “Al sonno eterno non scamperebbero che quelli che già in vita abbiano saputo orientare la loro coscienza verso il mondo superiore. Gli iniziati stanno al limite di tale via. Conseguito il ricordo essi diventano liberi, vanno senza vincoli, coronati celebrano i misteri e vedono sulla terra la folla di coloro che non sono iniziati e che non sono puri schiacciarsi e spingersi nel fango e nelle tenebre”.

Il disprezzo di Eco nei confronti di certi ambienti iniziatici di impronta massonica (e votati ai formalismi e soprattutto al conseguimento di vantaggi materiali) si rende addirittura palese in alcuni passaggi del libro dove aleggia un'atmosfera parodistica, come quando l'enigmatico Agliè (che per lunghi tratti del romanzo ho considerato quasi l'alter ego di Eco), rivolgendosi al trio protagonista da lui portato all'interno di certi templi, dirà: “Il mondo pullula di rosicruciani e templaristi come quelli che avete visto stasera. Non è da costoro che ci si dovrà attendere una rivelazione, anche se è tra loro che si potrebbe incontrare un iniziato degno di fede... Li guardo con freddezza, la comprensione, l'interesse con cui un teologo può guardare alle folle napoletane che urlano attendendo il miracolo di San Gennaro. Quelle folle testimoniano una fede, un bisogno profondo, e il teologo si aggira tra quella gente perché potrebbe incontrarvi il santo che si ignora, il portatore di una superiore verità, capace un giorno di gettare nuova luce sul mistero della santissima trinità... E dove meglio potrebbe mascherarsi il vero Templare se non tra la folla delle sue caricature?
Una visione comune che sarà poi ripresa anche da Roman Polanski nel film La Nona Porta (1999), tratto dal romanzo di Perez-Reverte Il Club Dumas, quando Frank Langella interromperà un rituale (definito un “farsesco procedimento”) di una setta (nell'occasione satanica) urlando “Mumbo Jumbo!” per richiamare poi l'attenzione dei vari astanti impegnati a salmodiare la nenia del loro officiante (definito "ciarlatano" da Langella) dicendo: “Guardatevi intorno, tutti. Cosa vedete? Un branco di buffoni in abiti strani. Credete che il principe delle tenebre si degnerebbe di manifestarsi a tipi come voi? Non l'ha mai fatto e mai lo farà. Leggete dal suo libro, ma non avete alcuna concezione del suo reale potere.” Il concetto, pur cambiando il settore e la tipologia e gli scopi della setta, si adatta perfettamente alla visione finale di Eco, anzi direi che giunge alla medesima conclusione.

Il citato Agliè è uno dei personaggi cardine del romanzo. Ha un ruolo da Cicerone, visto che spiega al trio i misteri esoterici e lo fa con un linguaggio dotto e al contempo oracolare, affermando addirittura di essere l'incarnazione del conte di San Germano: un avventuriero settecentesco esperto di alchimia che lasciava intendere di essere immortale, raccontando avvenimenti remoti con piglio tipico del testimone oculare. Alla fine, però, anche Agliè finirà per esser coinvolto dall'ambiente corrotto di cui fa parte, facendosi prendere dal desiderio materiale.

Ma qual'è questo desiderio materiale che fa impazzire tutti quanti?
Il trio si convince che il piano di Provins ordito dai templari sia incentrato sulla presenza di un Umbilicus Mundi (l'Ombelico del Mondo) sotterraneo, la cui localizzazione (da effettuare tramite la combinazione di una data cartina posta sotto le oscillazioni del pendolo di Focault) permetterebbe di dominare e dirigere tutti i flussi tellurici del pianeta.
Il problema sta nel localizzare, oltre il punto, la mappa adatta ai fini della localizzazione (cioè quella che mostrerebbe l'Umbilicus nel punto in cui il pendolo si illumina all'alba del 24 giugno). Nell'ottantunesimo capitolo Eco riporta uno stralcio da Beast, Men and Gods (nulla a che vedere con la splendida antologia, dal titolo similare, del grande Lord Dunsany) di Ferdinand Ossendowski, in cui si legge che “Il popolo sotterraneo ha raggiunto il massimo sapere... Se la nostra folle umanità iniziasse una guerra contro di loro, sarebbero capaci di far saltare la superficie del pianeta.” Poco oltre, nel testo, si legge che il “polo iniziatico non è quello dove arriva qualsiasi esploratore borghese abbacinato dal falso sapere della scienza occidentale, poiché il polo che si vede è quello che non c'è e quello che c'è è quello che nessuno sa vedere, salvo qualche adepto che ha le labbra sigillate”. Passaggi, apparsi in modo similare anche in alcuni horror di Dario Argento, che vanno a stimolare la fantasia sia dei protagonisti sia dei lettori attenti, che saranno sempre più presi dalla lettura.

Per risolvere l'arcano relativo a questo mondo sotterraneo, il trio va addirittura a rileggere in un'ottica del tutto nuova la produzione narrativa di due grandi scrittori: Jules Verne e Miguel de Cervantes. In virtù di ciò, Eco opera una chiara ed evidente rivalutazione del romanzo d'appendice (leggasi opera di intrattenimento) a danno della grande arte. Si legge infatti: “Ci hanno fatto credere che da una parte c'è la grande arte, quella che rappresenta personaggi tipici in circostanze tipiche, e dall'altra il romanzo d'appendice, che racconta di personaggi atipici in circostanze atipiche. Io con il feuilleton (cioè i romanzi che uscivano sulle riviste precursori del racconto pulp) giocavo, per passeggiare un po' fuori della vita. Mi rassicurava, perché proponeva l'irraggiungibile. Invece no. Aveva ragione Proust: la vita è rappresentata meglio dalla cattiva musica che non da una Missa Solemnis. L'arte ci prende in giro e ci rassicura, ci fa vedere il mondo come gli artisti vorrebbero che fosse. Il feuilleton finge di scherzare, ma poi il mondo ce lo fa vedere così com'è o come sarà. Quello che è successo davvero è quello che avevano raccontato in anticipo i romanzi d'appendice.”

Da questa premessa fatta da uno dei personaggi del romanzo (Belbo) scaturisce l'analisi specifica sulle opere di Jules Verne e di Cervantes. Di Verne si dice che tutta la sua opera fantastica è una rivelazione iniziatica dei misteri del sottosuolo. Per suffragare tale ricostruzione viene fatto notare come il protagonista del romanzo La Jangada. Ottocento Leghe sul Rio delle Amazzoni si chiami Joam Garral, quasi un anagramma di Graal, mentre il romanzo Robur il Conquistatore rappresenterebbe le iniziali (R.C.) dei Rosa-Croce e al contempo indicherebbe il rosso della rosa (leggendo al contrario Robur si ottiene Rubor) che è, guarda caso, uno dei simboli dei Rosa-Croce.

Ma chi sono i Rosa-Croce? Eco ce lo spiega a inizio romanzo, quando fa inserire nelle menti dei protagonisti il seme del complotto. “Occorre distinguere tra i veri Rosa-Croce, eredi della Grande Fraternità Bianca (cioè i Templari), ovviamente segreti, e i rosicruciani, vale a dire chiunque per ragioni di interesse personale si ispira alla mistica rosa-croce senza averne diritto.” Spiegazione minimalista, ma essenziale e che avrà conseguenze evidenti alla fine del romanzo (si evince che sono tutti rosicruciani). Più avanti, citando il libro Storia e Dottrina dei Rosa-Croce di J.M. Hoene-Wronski, Eco lascia intendere quale sia la funzione di questa associazione misteriosa: “Non potendo scopertamente dirigere i destini terrestri perché i governi vi si opporrebbero, essa agirebbe per mano di una serie di società segrete, divise in gruppi distinti e in apparenza opposti, professanti di volta in volta le più opposte opinioni per dirigere separatamente e con fiducia tutti i partiti religiosi, politici, economici e letterari. Queste società sarebbero poi allacciate, per ricevervi un indirizzo comune, a un centro sconosciuto dove è nascosta la molla potente che cerca di muovere così invisibilmente tutti gli scettri della terra.” Nel testo Eco sintetizza il concetto dicendo che “negli anni '40 sono nati vari gruppi sinarchici che parlano di un nuovo ordine europeo guidato da un governo di saggi, al di sopra dei partiti”.
Dunque tematiche piuttosto contemporanee, direi, che troverebbero, secondo il trio protagonista, nei testi di Verne una sorta di bussola orientativa infarcita di indizi da usare per risalire al segreto rosa-croce.

Come abbiamo detto però anche Cervantes viene sottoposto a un'inedita rilettura, più in particolare la sua opera più famosa: il Don Chisciotte de la Mancha. Lo splendido romanzo, curiosamente al centro anche dell'intreccio del romanzo Il Club Dumas unitamente a I Tre Moschettieri, sarebbe stato scritto addirittura da un ghost writer collegato ai Rosa-Croce. Qui Eco è un po' più criptico e soprattutto opta per un taglio fantastico (sulla scia de Il Milione di Rustichello da Pisa), visto che il passaggio viene inserito in racconto fantasioso di Belbo intitolato Lo Strano Gabinetto del dottor Dee (sorta di omaggio al film cult horror fiore all'occhiello dell'espressionismo tedesco Il Gabinetto del Dottor Caligari); tuttavia i riferimenti sono chiari. “Andreae (presunto pseudonimo di Bacone, ovvero colui che avrebbe scritto i manifesti Rosa-Croce successivi all'errore di calendario che avrebbe fatto saltare l'incontro tra i gran maestri inglesi e quelli francesi) scriveva un romanzo cavalleresco per uno spagnolo che frattanto giaceva in un'altra prigione (il riferimento va a Cervantes). Non so il perché ma il progetto serviva all'infame Bacone, che avrebbe voluto passare alla storia come l'autore segreto delle avventure del cavaliere della Mancha, e che chiedeva ad Andreae di stilargli in segreto l'opera di cui poi egli si sarebbe finto il vero autore occulto, per poter godere nell'ombra del trionfo di un altro. ”

Il tutto viene quindi posto al centro del piano ricreato dal trio e la ricostruzione è così convincente da attirare l'interesse proprio dei presunti eredi dei templari, che poi sono quei personaggi ambigui che gravitano attorno al trio fin dall'inizio, in una follia collettiva che è ben rappresentata, metaforicamente parlando, sia dalla fine di uno dei tre amici colpito dal cancro con tutte le cellule del corpo impazzite, sia dal periodo della Germania Nazista, anch'essa impazzita nella ricerca di Agarthi e del Graal. Alla stessa maniera, anche se in scala ridotta, impazziranno tutti i personaggi coinvolti nell'intreccio, avvolti da una paranoia schizofrenica che li poterà ad assumere comportamenti illogici e addirittura delittuosi.

Al riguardo è geniale il ragionamento fatto da Eco, quando cerca di dimostrare che una falsità, se ben argomentata e intrisa di misteri, diventa di fatto una realtà vera e propria. È la donna del protagonista, ovvero l'anima razionalista del romanzo, che cerca di mostrare allo stesso che un dato può essere suscettibile di variegate e contrapposte ricostruzioni, confermando la teoria di sofistica memoria tutta incentrata sul relativismo (si veda il pensiero del filosofo Protagora). “Il vostro piano è pieno di segreti, perché è pieno di contraddizioni. Per questo potresti trovare migliaia di insicuri disposti a riconoscervisi... Voi avete fatto finta. Guai a fare finta, ti credono tutti. La gente crede a chi vende la lozione per far ricrescere i capelli. Sentono per istinto che quello mette insieme verità che non stanno insieme, che non è logico e non è in buona fede. Ma gli hanno detto che Dio è complesso, e insondabile, e quindi l'incoerenza è la cosa che avvertono più simile alla natura di Dio. L'inverosimile è la cosa più simile al miracolo. Voi avete inventato una lozione per far ricrescere i capelli!”

Eco caratterizza scrupolosamente i suoi personaggi. Il protagonista della storia è un giovane padre, ex studente di filosofia ,assetato di conoscenza, incapace di placare i propri impulsi intellettuali. Non si fermerà neppure dopo la nascita del suo primo figlio. Per lui la ricerca è indispensabile, quasi come se fosse rapito dalla necessità di conoscere il significato dell'esistenza.
Belbo invece è un uomo di mezza età dotato di forte ironia e di uno spiccato stoicismo, ma che in fin dei conti è un fallito, sia come uomo sia come scrittore. Non è sposato, viene tradito dalla donna che ama, trova nel piano la sua unica creazione degna di nota per la quale è disposto a sacrificare la vita. Si devono a lui la maggior parte delle ricostruzioni storico/letterarie inserite nel romanzo.
Il terzo componente è Diotallevi, un ebreo esperto di Cabbala e anche per questo il più equilibrato e riflessivo del trio, che finisce per essere piegato dal cancro e che si convince di aver peccato di presunzione avendo voluto intuire ciò che non è dato sapere.
Interessante anche il titolare della casa editrice presso la quale lavora il trio, un soggetto ipocrita che pubblica, dietro lauti compensi, opere di scrittori mediocri vendendo sogni di gloria che per essi mai potranno concretizzarsi. Anche lui si troverà coinvolto nel complotto, orchestrato dall'esperto Agliè di cui abbiamo già parlato. Tra l'altro è divertente notare le frustate piazzate da Eco in qua e in là, per bocca dei suoi personaggi, relative al mondo editoriale. “In una casa editrice vengono savi e matti. Il mestiere del redattore è riconoscere a colpo d'occhio i matti. Ciascuno di noi ogni tanto è un cretino, imbecille, stupido o matto. Il genio è quello che fa giocare una componente in modo vertiginoso, nutrendola con le altre.”
C'è infine il poliziotto De Angelis, un uomo astuto e abile, che indaga su alcune misteriose scomparse e un omicidio di un colonnello gravitante attorno al mondo paramassonico. Alla fine però, piuttosto che affrontare le minacce che inizieranno a coinvolgere anche lui nel claustrofobico e delirante epilogo, preferirà darsela a gambe.

Veniamo adesso allo stile narrativo che caratterizza l'opera. Il romanzo si apre laddove sta per irrompere la fine e procede, gioco forza, con una serie di flashback. Il protagonista, lo studioso Causabon, racconta tutto dall'interno del museo del Conservatoire des arts et métiers di Parigi al cospetto del pendolo di Focault (strumentazione ideata per dimostrare la rotazione della terra), dove, di lì a poco, si consumerà il delirio finale.

La valenza complottistica ed ermetica del romanzo è chiara fin dalle prime pagine. Il museo, infatti, viene tratteggiato come un luogo simbolico che suggerisce di guardare in modo diverso dalle apparenze quanto in esso è messo in mostra. Sul concetto Eco ritornerà a metà opera, quando parlerà di arte alchemica messa al servizio di strutture e giardini costruiti con una logica magica (“Tutto il giardino è leggibile come un libro o come un incantesimo”).

Causabon racconta quindi come è nato il gioco del piano e da dove sono partiti i fatti che hanno portato al folle e imprevedibile epilogo ormai giunto sull'orlo della follia. Lo sviluppo non è lineare, ma caratterizzato da continui sbalzi temporali dal medioevo alla storia più recente, passando per le vicende personali del trio protagonista.
Il romanzo, oltre settecento pagine, si snoda attraverso dieci capitoli ciascuno dei quali prende il nome delle sefiroth che costituiscono l'albero della vita nella cabbala. Eco antepone a tutto la seguente fascinosa citazione estratta dal De Occulta Philosophia di Heinrich Cornelius Agrippa: “Solo per voi, figli della dottrina e della sapienza, abbiamo scritto quest'opera. Scrutate il libro, raccoglietevi in quella intenzione che abbiamo dispersa e collocata in più luoghi; ciò che abbiamo occultato in un luogo, l'abbiamo manifestato in un altro, affinché possa esser compreso dalla vostra saggezza.”
Un'apertura che, considerato il resto, attribuisce al volume un ulteriore e fascinoso velo ermetico che rende il lavoro finale superiore al precedente Il Nome della Rosa. Nonostante ciò il romanzo ha uno sviluppo e un ritmo molto più lento dell'opera di debutto del professore e non è per nulla cinematografico. Per intendersi, le prime 330 pagine, se si dovessero tramutare in un'opera per il cinema, finirebbero per esser riassunte in poche decine di minuti. Ciò è dovuto a una scelta dell'autore poiché il soggetto (almeno fino a metà romanzo) è secondario e piegato ai contenuti; in altre parole, ci tengo a ripeterlo, Eco inverte ciò che si è soliti fare in un romanzo commerciale: gli aspetti che dovrebbero essere di contorno e utili a dare verosimiglianza alla storia diventano invece preminenti sulla storia stessa che diviene così una mera occasione per parlare delle questioni trattate.

Siamo al cospetto pertanto di un testo di difficile lettura, che ho cercato di sezionare nel modo più sintetico possibile, capace di donare al lettore nuovi profili di interpretazione all'aumentare delle letture e soprattutto di offrirgli spunti utili per incrementare la propria cultura, oltre che alcuni insegnamenti, il tutto inserito in un contesto di feroce critica, dal sapore parodistico, di certi ambienti sociali orientati alla soddisfazione di bisogni materiali (nella fattispecie il controllo delle masse).

Chiudo la recensione in modo circolare (rispetto alla citazione posta da Eco all'inizio del romanzo) e beffardo, un po' come lo è tutto il romanzo, riportando un'altra citazione posta dall'autore all'inizio del capitolo 60:
Povero stolto! Sarai così ingenuo da credere che ti insegniamo apertamente il più grande e importante dei segreti? Ti assicuro che chi vorrà spiegare secondo il senso ordinario e letterale delle parole ciò che scrivono i Filosofi Ermetici, si troverà preso nei meandri di un labirinto dal quale non potrà fuggire, e non avrà filo di Arianna che lo guidi per uscirne” (Artefio).
Da avere in biblioteca.

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