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giovedì 17 maggio 2012

Recensione racconto LE CREATURE BIANCHE (Arthur Machen)




Nella foto lo scrittore ARTHUR MACHEN

Stralcio di un articolo ben più ampio che sto preparando, qualora dovesse esser scelto dalla redazione di DAGON PRESS, per un'iniziativa dedicata all'opera dello scrittore gallese ARTHUR MACHEN operante a cavallo tra l'800 e il '900.
Il racconto che segue fa parte dell'antologia Il Gran Dio Pan e altre storie soprannaturali.


Commento di MATTEO MANCINI

Machen cambia, almeno superficialmente, registro con Le Creature Bianche alias The White People (1906). Si tratta, a mio avviso, del capolavoro dello scrittore gallese, molto apprezzato anche da H.P. Lovecraft che lo valutava superiore per atmosfera e pregio artistico rispetto al più noto Il Gran Dio Pan. Allineandomi a quanto detto dal maestro di Providence, il sottoscritto rileva, oltre a una resa superiore sul versante onirico/fantastico, una maturità autoriale più accentuata rispetto ai precedenti impegni di Machen. Inoltre appare esplicita l'intenzione di portare il lettore a interpretare quanto andrà a leggere nei capitoli successivi fornendogli fin da subito la chiave di lettura attraverso cui decriptare il racconto che segue. Fondamentale, al riguardo, è l'eccezionale prologo che potrebbe vivere di vita autonoma quale saggio filosofico/spirituale. Dopo di esso viene proposta la parte narrata in cui Machen fa sognare il lettore abbondando con descrizioni immaginifiche di scenari desolanti e immensi, con scenografie costituite da pietre animate che imprigionano volti, boschi opprimenti e canyon, il tutto accompagnato da una colonna sonora fatta di litanie e sibili di vento.

Si può affermare che con Le Creature Bianche Machen abbandoni le atmosfere da giallo e le ambientazioni urbane londinesi che avevano fatto da cornice alle precedenti avventure, tra le quali Il Gran Dio Pan e La Luce Interiore. Ciò che persiste è il taglio metaforico, lo stimolo allo studio, alla ricerca della verità e la grande passione per l'esoterico visto quale chiave per forzare la serratura dello scontato.

Abbiamo già detto che il racconto si apre con un primo capitolo a metà strada tra la filosofia e la spiritualità. Protagonisti di questa parte sono un saggio alquanto bizzarro e un suo ospite (di fatto uno studente/allievo) intenti a discutere sui concetti di santità e malvagità. Entrambe sarebbero caratterizzate da una matrice comune, costituita da un traguardo benedetto dalla trascendenza e capace di regalare l'estasi dei sensi a chi lo completa mediante il ritiro dalla vita comune e il rifiuto delle sue convenzioni più banali. Eloquente, per comprendere il concetto, il seguente passaggio: la trascendenza è prodiga con i suoi figli. Molti di loro mangiano pane e acqua, ma sono infinitamente più ebbri dell'epicureo. La vocazione per il bene così come per il male sarebbero passioni solitarie, occupazioni per anime solitarie.

Machen, da cultore dell'esoterismo, lascia intuire ai suoi lettori la forte stima che nutre per coloro che ricercano la spiritualità, siano essi mossi da intenti malvagi o benigni, arrivando a dire che i grandi uomini, quale che sia il loro stampo morale,tralasciano la copia imperfetta e cercano l'originale perfetto. L'autore gallese non perde tempo nello specificare cosa si debba intendere per male e lo fa con grande cultura filosofica e una saggezza che può possedere solo un autentico maestro (non solo letterario).

Il male, ci spiega Machen, non è quello che viene percepito dalla società attraverso le violazioni dei precetti penali o delle norme dettate dal senso etico. Gli assassini, così come i delinquenti, non sono veri peccatori, ma bestie poiché agiscono in base a impulsi negativi. Il male invece è sempre positivo, anche se opera dalla parte sbagliata. Per tale motivo è raro da riscontrare nella società moderna, addirittura molto più raro della santità in quanto più originale ed estremo. Bellissimo l'aforisma di Machen che definisce l'intento del male: l'essenza del peccato sta nel dare l'assalto ai cieli con la violenza dell'uragano.
In altre parole, i peccatori sarebbero coloro che, spinti da una grande forza d'animo e dedizione nello studio, ricorrono a qualunque mezzo per trascendere ed entrare nelle più alte sfere ricorrendo a mezzi proibiti. Il loro scopo sarebbe quello di conquistare la beatitudine e la sapienza proprie degli angeli e mai appartenute agli uomini. I santi invece, rispettosi verso Dio e più umili nel loro approccio di studio, si sforzerebbero di recuperare la felicità che apparteneva agli uomini prima della loro caduta, senza andare oltre. Le persone comuni invece, in quanto prive di desiderio di ascesa o di discesa, critica aspramente Machen, non si porrebbero problemi di sorta accettando passivamente la vita così come essa viene loro presentata e restando pertanto confinati nella mediocrità. I geni, d'altro canto, avrebbero un po' del santo e un po' del peccatore, essendo quelli che oggi definiremmo dei ribelli.

Attraverso i suoi due personaggi, il maestro gallese prosegue in questa disamina, che trasuda passione parola dopo parola, e arriva a dire, giustamente, che il vero peccatore (il vicario di Satana) non sarebbe facilmente individuabile dagli uomini comuni. La ragione naturale di questi ultimi difatti, essendo gli stessi ignoranti e incapaci di vedere oltre la barriera dell'apparenza a causa dell'avvelenamento dei loro spiriti determinato dal cocktail frutto dell'unione di convenzioni, cultura di massa e materialismo, sarebbe divenuta cieca e sorda. Solo i bambini, gli animali e le donne (non sono d'accordo su quest'ultima categoria ricompresa da Machen nella sua interezza probabilmente per ragioni confinate nell'epoca storica a lui contemporanea), in quanto creature semplici, sarebbero immuni da tale deficienze e sarebbero i soli a esser in grado di individuare un vero peccatore.

Queste sono le premesse che precedono il racconto vero e proprio. La storia si sviluppa con l'artificio letterario degli appunti di una bambina riportati in un quaderno custodito dal saggio e mostrato al suo ospite/allievo.

Machen propone una vicenda ancora una volta intrisa di una velata (ma al contempo forte) componente erotica e spinge, più dei precedenti lavori, sul pedale della perversione subliminale. A livello superficiale propone l'introduzione graduale di una bambina al mondo della stregoneria a opera della sua balia. La giovane racconta direttamente i suoi progressi alternandoli a vicende di vita vissuta in cui racconta le sue incursioni in mondi fantastici e desolati (che rappresentano l'Inferno e allo stesso tempo il Paradiso) e a favole nere funzionali a spiegare i vari step raggiunti e le conseguenze degli stessi.

Si parla di culti e sabba orgiastici risalenti all'epoca romana, con tanto di statuette di creta che si animano per intrattenere rapporti con le donne che li hanno realizzati. Machen non rende troppo manifesta la natura di questi rapporti, ma la stessa traspare piuttosto chiaramente agli occhi del lettore attento ai particolari. Si tratta di rapporti blasfemi, a suggerirlo è uno stralcio del diario della bambina relativo a una statuetta di creta da lei stessa costruita all'età di sedici anni: e quando fu finito feci con lui tutto ciò che riuscii a immaginare, ed era molto di più di quanto avesse fatto la balia, perché la mia statuetta aveva la forma di una cosa infinitamente migliore.

Non mancano poi creature bizzarre quali ninfe (ci sono delle pennellate saffiche seppur in minima parte), animali antropomorfi e altri esseri non meglio specificati che escono dal bosco per sedurre gli astanti. Strepitosa, sotto quest'ultimo profilo, la fiaba nera del cacciatore che si lancia alla caccia di un cervo bianco, apparso dopo un'improduttiva battuta di caccia, per giorni e notti finendo in una dimensione ignota e scoprendo di aver seguito la regina delle fate (sarà invece ben altro) camuffata da animale. La donna lo sedurrà, lo renderà suo sposo, ma solo per una notte facendolo poi di fatto ricomparire laddove l'uomo aveva avvistato il cervo in preda a una nostalgia e un'astinenza talmente forte da non baciare più nessun'altra donna, poiché come dice con grande classe Machen: aveva gustato il vino dell'incanto e per questo non bevve più nessun vino perché nulla lo avrebbe più appagato.

Sensuale, e ancora una volta ammiccante sul piano erotico, il passaggio in cui viene riportato il rito di una strega dalle forme attraenti. Machen scrive: la signora si sdraiava fra gli alberi e cominciava a cantare una certa canzone. Da ogni parte della foresta venivano allora i grandi serpenti, sibilando e luccicando fra gli alberi;ella tendeva le braccia bianche e i serpenti, cacciando la lingua biforcuta, strisciavano verso di lei. Poi cominciavano ad avvolgersi intorno al corpo, alle braccia, al collo, finché Lady Avelin era tutto un ammasso di serpi e si vedeva solo la testa. L'avvolgevano sempre più finché non ricevevano l'ordine di andarsene. Allora l'abbandonavano, ma sul petto della signora restava una stranissima pietra a forma di uovo e dalle mille sfumature blu, gialle, rosse e verdi e le venature parevano scaglie di serpente.

Gianni Pilo, nel suo Dizionario dell'Orrore, analizzando il testo sostiene che, nonostante il tono cupo che permea tutta la storia, Machen non rinuncia alla speranza. Ciò è senz'altro giusto, ma si tratta di una speranza flebile, da individuare in un insidioso percorso (rappresentato metaforicamente dalla descrizione ambientale della bambina che parla di pareti rocciose disseminate con una logica ben precisa, boschi e fiumi, fino agli edifici costruiti da esseri giganteschi in quanto eletti) per pochi meritevoli capaci di percorrerlo per dedizione e intelligenza, piuttosto che per un talento fine a sé stesso o per mera opportunità materialistica. La bambina così come i vari protagonisti delle favole raccontate dalla stessa (spesso messi al cospetto dell'esoterico per puro caso) finiscono prigionieri e preda dei sortilegi e vanno incontro a una brutta fine.

L'insegnamento, e al tempo stesso ammonimento, di Machen, in perfetta linea con le opere precedenti, è esplicito e assume una valenza simbolica che va oltre al piano esoterico arrivando all'approccio mentale e psicologico da adottare nella vita di tutti i giorni: le medicine più benefiche (leggi l'esoterismo, ma io direi anche la psicologia e la filosofia) sono di necessità potenti veleni ed è per questo che vengono tenute chiuse in un armadietto (è, a mio avviso, sottinteso dalla società con tutte le sue convenzioni, le regole e la cultura di massa). Se una bambina (leggi l'uomo che non ha compiuto un certo percorso di studio e pertanto un qualcuno assimilabile alla cultura di un bambino, per definizione neofita) trova la chiave per caso e ne beve, si avvelena. In altri casi, invece, la ricerca di ciò che è nascosto (da decriptare come ciò che costituisce lo spirito umano) eleva l'uomo: e dopo essersi forgiato da solo le chiavi adatte (leggi dopo aver personalizzato il proprio percorso in base alla propria autocoscienza) egli trova non fiale di veleno, ma squisiti elisir. In questo consiste l'essenza dell'opera qui oggetto di esame e di certo non mero testo finalizzato all'intrattenimento spiccio.

Dunque un concetto finale che spinge alla ricerca e al contempo la sconsiglia, quasi fosse un ammonimento teso a esorcizzare la voglia del superficiale o di chi va alla ricerca di meri vantaggi materiali.

Tutti questi contenuti intrinseci fanno de Le Creature Bianche una perla preziosa della narrativa fantastica/orrorifica. Un'opera che trascende dal contesto di appartenenza , quello di genere, ed evidenzia ancora una volta l'abisso sussistente tra autori del calibro di Meyrink, Machen, Lovecraft e altri di fine '800 primi '900 rispetto ai più artificiosi (e banali) Matheson, King e Campbell. Non me ne vogliano i colleghi che continuano a difendere certa narrativa, che il sottoscritto legge volentieri ma che non si sognerebbe mai di paragonarla con la vera narrativa fantastica/orrorifica del tempo che fu impreziosita da una profondità e uno spirito didattico e filosofico anni luce superiore.
Must. Voto: 9

7 commenti:

  1. Ciao, ho riletto oggi questo grandissimo racconto per la seconda volta, dopo un paio d'anni. L'edizione è quella de I miei orrori preferiti, credo l'ultima uscita. Leggere questa recensione mi ha aiutato a chiarire/avere la conferma di quanto è sottinteso in alcuni passaggi e ti faccio i complimenti, ma avrei qualche domanda. Tra l'altro la tua versione ha una traduzione sospetto migliore, per esempio in qualche passaggio mi pare un po' più esplicita (es: la statua di creta).

    Citazioni:

    ...una dimensione ignota e scoprendo di aver seguito la regina delle fate (sarà invece ben altro) camuffata da animale...

    ...in preda a una nostalgia e un'astinenza talmente forte da non baciare più nessun'altra donna, poiché come dice con grande classe Machen: ...


    Quando dici "sarà invece ben altro" e "come dice con gran classe Machen" cosa intendi, credo che qui mi sfugga qualcosa.

    Poi, questa cosa di cui si rende conto la ragazzina alla fine, che le fa capire che è tutto "vero", che non sono solo racconti della balia, che cos'è? Alla fine trova la statua giusto? Decide di adorarla?

    Perché la seconda volta si deve bendare (è un particolare su cui l'autore insiste come molto significativo)?

    Alla fine la ragazza si avvelena o è solo una metafora, la mia traduzione dice qualcosa tipo "si era avvelenata... in tempo".

    Grazie!

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  2. Leggo solo ora. Ti rispondo a giorni! ;)

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  3. Risposta alla prima domanda: La donna cervo non è una regina delle fate piuttosto è da considerarsi una strega per chi, come il cacciatore, finisce invischiato in un mondo che non conosce (l'occulto) e, non avendone le basi, ne resta invischiato senza neppure capirne la ragione. Il cacciatore ha intuito qualcosa di eccezionale, ma non sa più cosa fare e ne resta ipnotizzato (il concetto viene ben reso dalla similitudine poetica con cui Machen parla del vino).

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  4. Alla fine la bimba fa la statua che si anima e non riesce a controllarla finendo morta. Anche questo è, secondo me, un concetto metaforico.

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  5. Io credo che il concetto di avvelenamento finale a cui ti riferisci sia da intendere metaforicamente ed è da sciogliere con questo passaggio: "le medicine più benefiche (leggi l'esoterismo, ma io direi anche la psicologia e la filosofia) sono di necessità potenti veleni ed è per questo che vengono tenute chiuse in un armadietto. Se una bambina (leggi l'uomo che non ha compiuto un certo percorso di studio) trova la chiave per caso e ne beve, si avvelena. In altri casi, invece, la ricerca di ciò che è nascosto (da decriptare come ciò che costituisce lo spirito umano) eleva l'uomo: e dopo essersi forgiato da solo le chiavi adatte (leggi dopo aver personalizzato il proprio percorso in base alla propria autocoscienza) egli trova non fiale di veleno, ma squisiti elisir."

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  6. Tutto il senso del racconto è racchiuso nel passaggio che ti ho postato sopra.
    Alla prossima!

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  7. Grazie per le risposte! Ciclicamente (spesso con l'arrivo dell'Estate) mi viene voglia di fare qualche ricerca e magari rispolverare questi racconti, e così mi sono ricordato di queste domande.

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