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venerdì 17 settembre 2010

Recensione narrativa: Le Lune Nere (Lucio Fulci)




Autore: Lucio Fulci
Anno di uscita: 1992
Casa editrice: Granata Press
Pagine: 146
Prezzo: acquistabile, con un po' di pazienza nella ricerca, ai mercati dell'usato o su e-bay (il prezzo di copertina è 16.000 lire).
Commento di Matteo Mancini
Chi non conosce Lucio Fulci come regista di film di genere? Giusto coloro che non si interessano minimamente ai c.d. B-Movie, gli altri non sarebbero giustificati. Ma quanti tra coloro che apprezzano i B-Movie hanno letto i racconti di Fulci? Credo in pochi.
Ebbene eccomi qui per cercare di invogliarvi a colmare questa vostra lacuna.“Le Lune Nere” è la prima delle due antologie pubblicate dal “terrorista dei generi”. Edita nel 1992 dalla ormai fallita Granata Press di Bologna, l’opera di Fulci è pervasa da una grossa componente ironica che sconfina spesso nel grottesco volontario. I racconti raccolti sono dieci e sono tra loro assai diversi, sia come temi che come stile. Alcuni sono scritti da vero autore di narrativa, altri, invece, sembrano provenire dalla mano di un principiante. Probabilmente il tutto risente dal fatto che i testi sono stati redatti in un diverso periodo di tempo.
Dopo questa brevissima premessa, passo subito ad analizzare nello specifico i racconti meritevoli di attenzione. Tra tutti almeno cinque sono di ottima fattura.
Il migliore del lotto, ad avviso di questo recensore, è “Contestazione”. Si tratta di un elaborato che richiede una certa apertura mentale del lettore, perché Fulci mette in scena un feto pensante che riesce a comprendere le voci del mondo esterno alla sua placenta e a indispettirsi per essere trattato senza che nessuno prenda in considerazione i suoi pensieri. Superata questa base di partenza, che potrebbe far storcere il naso a coloro che sono strettamente ancorati alla realtà, il testo assume una valenza altamente metaforica e dissacrante. Fulci critica con intelligenza quel materialismo di certe persone (i genitori del bimbo parlano continuamente di soldi e di bellezza fisica) che spazza via ogni forma poetica che dovrebbe impreziosire la vita e trasforma in mostri le persone. Da quest’ultimo punto di vista, è magistrale l’epilogo del racconto con il bimbo che mentre prende la prima poppata dal seno della madre… beh, conoscete Fulci, credo che non occorra che vada avanti.
Assai claustrofobico è “Porte del nulla” (dal racconto sarà tratto l’omonimo film), con un automobilista ossessionato da un carro funebre che gli ostruisce continuamente il suo passaggio. Se fosse un film si potrebbe definire un c.d. road movie, con una tensione sempre più crescente, perché il protagonista scopre, via via, particolari che lo legano sempre più alla bara presente nel veicolo. Insomma, un testo che rievoca atmosfere di bradburiana memoria (penso al racconto “La folla”).
Assolutamente provocatorio, fin dal titolo, è “In assenza di Dio”. Qui un immigrato slavo, sfuggito alla polizia doganale, viene raccolto da una giovane e portato in una struttura dove viene servito e riverito. Il ragazzo non sa però che è stato arruolato per ricoprire il ruolo di Gesù in una sorta di rappresentazione della Passione di Cristo. La particolarità della recita, però, è che la medesima viene eseguita senza trucchi scenici… Da segnalare l’inserimento di qualche elemento eretico (rapporto sessuale tra Maddalena e Gesù).
Forse un po’ inferiori, ma comunque buoni sono “Voci dal profondo” e “Buoni sentimenti”. Il primo (anch’esso trasposto su pellicola) è una storia un po’ malinconica, con Fulci che utilizza un paio di frasi d’effetto (“i morti possono camminare con noi solo attraverso il ricordo e l’amore”) degne della mano di un grande scrittore. L’opera è incentrata sul rapporto tra i morti e le persone care rimaste in vita. Più in particolare, siamo alle prese con un omicidio perpetrato per ragioni economiche e svelato solo grazie alla caparbietà della figlia del defunto, guidata dai sogni in cui il padre parla del destino dei morti.
Col secondo racconto, invece, si ritorna a quell’ironia tanto cara a Fulci, con un testo che è una chiara protesta contro l’atteggiamento di una certa critica che demonizza i film horror, ma lascia che i bambini vengano “rincitrulliti” da certi cartoni animati (al giorno d’oggi questo aspetto sarebbe ancora più amplificato, a mio parere). La bambina protagonista della storia, infatti, finisce preda di incubi originati dai cartoni e da antiche fiabe, fino a un epilogo drammatico.
Se questi cinque racconti fanno dell’antologia un ottimo prodotto, gli altri cinque non sono all’altezza della situazione. Qualcuno ha degli aspetti positivi ma è scritto in modo non ottimale, come il visionario “I Testimoni” (cliente di un albergo vede riflessi sugli specchi fatti successi nel passato); qualcun altro ha una geniale idea di partenza ma si perde con una narrativa poco coinvolgente, come l’ironico “Uomo di guerra” (stratega militare in pensione simula le guerre nel suo salotto); “Trio” (donna ama personaggio della tv senza neppure conoscerlo) è carino ma non brilla per originalità e si chiude in modo prevedibile; gli altri due, entrambi incentrati su rapporti di famiglia (“Gourmet” e “Attesa”), sono, a mio avviso, grezzi e non sviluppati a dovere.
Nel complesso un’antologia con buoni momenti e qualche racconto che si sarebbe potuto sostituire con qualcosa di più incisivo. Non siamo al livello del Fulci super onirico dei film (né tanto meno furioso fino agli eccessi), ma è comunque un’antologia che, nel complesso, raggiunge la sufficienza e presenta una cinquina di racconti tra il buono e il discreto. Consigliabile. Voto: 6.5

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