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sabato 20 marzo 2021

Intervista a FAUSTO MARCHI a cura di Matteo Mancini.


 
 
INTERVISTA A FAUSTO MARCHI
 
A cura di Matteo Mancini.

La lettura de La Vestale di Dagon, edita nel 2018 dalla casa editrice romana Il Seme Bianco, ci ha permesso di avvicinare un interessante scrittore non più giovanissimo eppure ancora da conoscere a dovere persino dagli appassionati della narrativa weird ed esoterica. Fausto Marchi, questo il suo nome, ha all'attivo quattro pubblicazioni avviate da due sillogi di liriche neogotiche raccolte in un unico volume Prolegomeni Abissali e Sinfonie di Cigni Neri (2013) proseguite dal noir La Casa del Gufo (2013). Scambiamo quattro chiacchiere con lui, così per conoscerlo meglio e scoprire i retroscena delle sue storie. 


M.M.: Ciao, Fausto. Innanzitutto, complimenti per la tua produzione, specie per il tuo ultimo romanzo uscito, ormai, tre anni fa nella versione edita da Il Seme Bianco. Come hai iniziato a scrivere? Hai seguito anche te il percorso dei concorsi narrativi oppure vieni da altri percorsi formativi?

F.M.: Ciao Matteo. Prima di tutto permettimi di ringraziarti per la dettagliata e obiettiva recensione del mio romanzo ῞La Vestale di Dagon῎. Rispondo subito alla tua domanda: il mio percorso inizia a quattordici anni; a quell’età trovai nel giardino di casa un numero dei mitici ῞Racconti di Dracula῎, per la precisione ῞Il Castello delle Rose Nere῎, di Frank Graegorius. Sicuramente qualche inquilino dei piani superiori l’aveva letto e poi se ne era disfatto in quel modo barbaro! Lo lessi tutto di un fiato e da quel momento mi innamorai della collana e ordinai anche i numeri arretrati, almeno quelli che erano disponibili. Un resoconto della mia ῞conversione῞ a quella serie è descritta nella bella monografia di Sergio Bissoli ῞Il Mito dei Racconti di Dracula῞. Dopo circa un anno di lettura sopraggiunse in me il desiderio di emulare quelli che, a quel tempo, consideravo i miei eroi, cioè i vari autori della collana, che si celavano sotto pseudonimi. Certo, i miei erano tutti raccontini che si svolgevano sempre in Irlanda, oppure Inghilterra o Normandia, in sperduti borghi di pescatori; ricordo ancora il titolo di uno di essi: Plenilunio su Shelton, nel quale il ruolo del licantropo era sostituito da quello di una fanciulla che si trasformava in una sorta di feroce ῎gatto mammone῞.


M.M.: Mi pare di capire che la tua principale vocazione artistica sia per la poesia. Puoi parlarci della tua raccolta di liriche edita per Sacco Editore?

F.M.: Prolegomeni Abissali e Sinfonia di Cigni Neri sono due sillogi di liriche scritte e formulate in maniera classica, cioè la raccolta è composta quasi esclusivamente da sonetti e strofe saffiche, queste ultime alla maniera del Pascoli e di Enrico Thovez. Molti dei miei sonetti però hanno rima del tipo ABCD ABCD oppure ABCD DCBA, per dare maggiore solennità al verso. Ho sempre ammirato i poeti francesi del Parnassianesimo e quelli del Simbolismo; penso che la magnificenza e la perfezione ritmica dei loro versi siano, ai tempi nostri, ineguagliabili. Soprattutto sono legato a poeti come Maurice Rollinat e Robert de Montesquiou autori di raccolte di liriche raffinate, in pieno stile decadente. La silloge di Maurice Rollinat ῎Les Nevroses῞ per noi gotici sono tutto un programma. Anche Robert de Montesquiou scrisse in maniera classica varie liriche tra cui ῎Les Hortensias Bleus῞, ῎Les Perles Rouges῎ e ῞Les Paons῞, tutte indegnamente ignorate dai nostri traduttori e dalle nostre ῎belle῎ case editrici, indaffarate a proporre i soliti ῞noti῞, dei quali abbiamo le tasche piene, come Quasimodo, Ungaretti e Montale! È una cosa indecente che tanti (sconosciuti) bravissimi poeti simbolisti e decadenti dell’Italia umbertina siano caduti nel dimenticatoio e mai più pubblicati!


M.M.: Da scrittore e frequentatore di piccole case editrici, mi è sempre stato detto che i volumi dedicati alla poesia hanno un impatto molto difficile, in termine di vendite, sul mercato. Come è andato, da questo punto di vista, il tuo volume?

F.M: Mediocre, però come tutti! È bene chiarirci! Carmina non dante panem! Ovvio che la poesia circola in un numero ristretto di ῞adepti῎ e non vende! Basti pensare a Sandro Penna, morto quasi in povertà e ora, giustamente, considerato uno dei più grandi poeti italiani della seconda metà del Novecento!
Il problema è che, con il verso lirico, ognuno si improvvisa poeta e scrive frasi che potrebbero andare bene per una raccolta di buone intenzioni, di fioretti pregni di un sentimentalismo vuoto e nulla più! Pablo Neruda diceva che i primi tempi scriveva dieci poesie al giorno! Male, molto male! Quella è poesiola della sera, non vera poesia! La lirica va pensata, rimodellata e perfezionata! 

Il debutto letterario di 
Fausto Marchi avviene 
con una raccolta di sonetti e strofe saffiche.

M.M: Oltre alla poesia, sei un profondo studioso di esoterismo e la tua cultura, anche da questo punto di vista, emerge in modo evidente dai tuoi romanzi. Hai persino fatto parte dell'Ordo Templi Orientis, legato alla discussa figura di Aleister Crowley. Cosa ricercavi in questo tuo avvicinamento agli ordini esoterici e che esperienza hai avuto? Che ruolo ha avuto Crowley nello spingerti verso questa organizzazione religiosa di matrice iniziatica?

F.M.: Allora, ci tengo a precisare Aleister Crowley non ha avuto alcuna influenza nei miei romanzi! La mia (breve) partecipazione nell’Ordo Templi Orientis è durata fino al primo grado iniziatico, dopo aver ricevuto il grado zero! Poi ne sono uscito per forti disarmonie verso il loro modo di intendere la magia e altre cose. Il discorso sarebbe molto lungo, ma qui ti posso dire solo che io ero innamorato di una operatività classica di fare Magia Cerimoniale, alla maniera della Golden Dawn, ma questo non avvenne perché gli insegnamenti di Crowley erano per una nuova concezione Thelemica che non mi addiceva. Devo ammettere però che le ragazze nell’O.T.O. erano notevoli e con un accattivante look molto dark e gothic. Concludo dicendo che, uno degli ossimori dell’insegnamento di Crowley è quello di aver inserito nel suo paradigma rituale insegnamenti tratti dalla Kabala ebraica e questo mi apparve come un vero e proprio controsenso per un’organizzazione magica che pretendeva di rifarsi al paganesimo! Comunque, attualmente sono tornato al cristianesimo e sono di religione ortodossa.


M.M.: Dalla lettura dei tuoi romanzi, pur se non ancora numericamente cospicui, si percepisce già un certo marchio di fabbrica. Atmosfere dark, decadenti, spesso di ambientazione rurale, accompagnano i protagonisti delle tue storie spingendoli in vortici onirici in cui l'erotismo ha un ruolo importante. Figure femminili borderline ammaliano i tuoi ricercatori di misteri, quasi corrompendoli, in trame inizialmente gialle o poliziesche che si trasformano, strada facendo, in vere e proprie storie del terrore. Ecco che le tue storie richiamano da una parte la narrativa classica di matrice decadente di fine Ottocento e, dall'altra, la più moderna narrativa esaltata dai pulp magazine e dalla cinematografia di registi quali Jess Franco e Jean Rollin. Cosa ci puoi dire a riguardo, in merito al rapporto tra le tue storie e le tue passioni letterarie? Cosa ti interessa, in particolare, nell'ambito della narrativa dark?

F.M.: Beh, il problema è complesso. Dopo le letture adolescenziale ho voluto perfezionarmi, imponendomi la lettura (anche se con notevole sforzo di volontà) dei grandi scrittori classici dell’Ottocento francese, russo e italiano. Così ho iniziato con Fogazzaro (la cui Malombra mi ha profondamente deluso dato che, avevo prima visto lo sceneggiato e mi aspettavo un romanzo più dinamico, invece è lento con alcune dialoghi insopportabili e involuti), poi Sergeevič Turgenev (Un Nido di Nobili e Padri e Figli…altra fatica!), Fëdor Dostoevskij (ottimo e sempre attuale) , Tolstoj (anche con lui lettura piacevole), quindi i francesi , soprattutto Dumas, padre e figlio, Gustave Flaubert (del quale ho apprezzato Salammbo, ma non L’Educazione Sentimentale, che ho avuto il coraggio di leggere fino alla fine, ma a caro prezzo psicologico!), per passare poi a letture più consone alla mia forma mentis, cioè gli ῎Scapigliati῞ italiani e i Decadenti sia italiani (D’Annunzio e Tarchetti) che francesi, non solo i ῎maggiori῎, come Karl Huysmans, ma anche i cosiddetti ῞minori῞ tipo Rachilde, Loti, Pierre Louÿs, Jean Lorrain, i belgi come Georges Rodenbach e via dicendo. Ma anche un genere ῞minore῞ ha contribuito alla mia crescita di scrittore, stimolando la mia morbosità: si tratta del cosiddetto ῎romanzo bizantino῞ in voga nella Francia fin de siecle, soprattutto Jean Lombard e Paul Adam. Si tratta di romanzi che si svolgono, come evince, in una Bisanzio decadente e nevrotica, sempre sull’orlo di crollare sotto i popoli invasori. In ῎Bysance῞ di Paul Lombard, Viglinitza, principessa con madre di origine barbarica, ma bizantinizzata, dai capelli rossi (tornerò sul tema del rutilismo), vive le sue turbe mistico sensuali; giungerà vergine al matrimonio, ma il giovane nobile che la sposerà verrà accecato la prima notte di nozze, per non contaminare con il suo sguardo le perfette nudità della principessa! Formidabile! Tutto questo mi ha permesso di impadronirmi di uno stile ῎dotto῎ e ῞classico῞, scevro da sperimentalismi fuorvianti. Ovviamente ho anche apprezzato, nel campo poetico, sia i Parnassiani che i Simbolisti, i quali hanno sicuramente influenzato le mie liriche gothic.


M.M.: A parte Joris-Karl Huysmans, gli scrittori russi e la scuola del terrore rappresentata da maestri quali Poe e Lovecraft, sappiamo che sei un grande estimatore della serie I Racconti di Dracula che, negli anni Sessanta-Settanta, ha tenuto alta la bandiera della narrativa popolare italiana nelle edicole. Quale è stata la tua esperienza con questa serie e quali sono, se ce ne sono, i romanzi che reputi imperdibili che consiglieresti a un amico?

F.M.: Come scritto poco innanzi la mia prima lettura - ovviamente escludendo i testi scolastici - è avvenuta proprio a causa della fortuita scoperta di uno dei ῞Racconti di Dracula῎ nel giardino dell’appartamento, dove abitavo con i miei in via Montevideo, ai Parioli. Devo dire però che ora, rileggendoli, a parte l’aureola romantica che nutro nei loro riguardi, la prosa mi sembra troppo schematica e riduttiva: i periodi sono brevi, la punteggiatura difetta di virgole e punti e virgola. Certo, scrittori come Frank Graegorius, al secolo Libero Samale, si elevano di un gradino su tutti gli altri, però molti erano seriali e ripetitivi, anche se, a loro discapito, bisogna ricordare che erano vincolati a un numero ben definito di pagine e a tempi ridotti per la stesura dei loro racconti. Rimane comunque il fascino di quel periodo. Racconti imperdibili? Quasi tutti quelli di Frank Graegorius, almeno fino ai primi Anni 70’…poi ῎Vampir, Mostro di Sangue῎ (di Giuseppe Paci, ndr), ῎Il Canto degli Annegati" (di Gualberto Titta, ndr), ῞La Prigioniera di Roccia῎ (un capolavoro!, di Franco Prattico, nr), ῞La Bara sulla Riva῎ (di Giuseppe Paci, ndr), ῞Il Mostro delle Nebbie῞ (di Giuseppe Paci, ndr), tanto per citarne qualcuno

 
M.M.: Veniamo al tuo romanzo di debutto, La Casa del Gufo, credo un tributo a quel mondo decadentista esaltato da romanzi quali Controcorrente. È stato definito un connubio di “letteratura trascendentale alla Poe infarcita da chiare influenze decadentisti con brevi incursioni nella letteratura post-moderna.” Quanto ti rivedi in questa classificazione? Puoi narrarci qualche aneddoto sul romanzo?

F.M.: La Casa del Gufo nasce come mio primo impegno di scrittore di romanzi. Siamo nel 2008 e venivo da una forte depressione psichica. Ero ῞carico῞ di nozionismi, ma la poesia iniziava ad andarmi stretta. Avevo conosciuto, nella mia militanza nell’Ordo Templi Orientis, un mondo che mi attraeva: ragazze dark gothic, alcuni atteggiamenti trasgressivi e via dicendo. Poi ne ero uscito e impegni famigliari mi avevano tenuto lontano da tutto questo. Mi ero dedicato ad attività sportive. Come il tiro con l’arco primitivo, il trekking, l’arrampicata free climbing, l’archeologia sperimentale, lo sci di fondo (che pratico tutt’ora) e via dicendo. Un incontro, prima su di un forum dark fetish, poi dal vero, con una ῞tipa῞ molto particolare, oserei dire ῎borderline῎, è stata per me la ῎spinta῎ necessaria a convertire in scrittura le mie fantasie. Quel romanzo narra di un uomo, un ῎flâneur῎ che vaga per le strade di una Roma fatiscente, sotto un cielo quasi sempre cupo, oppresso da ricordi adolescenziali che hanno deviato la sua sessualità dirottandola verso uno strano feticismo, un’ossessione erotica. L’incontro, casuale, con una giovane dalla personalità morbosa e praticante il sadomaso, alimenterà un’attrazione reciproca. Ma i fantasmi del passato sono lì presenti e in agguato, e solo un flashback finale risolverà il problema. 

Uno strano festicismo è al centro del primo romanzo 
di Fausto Marchi, un noir con elementi horror.

M.M.: Già ne ῞La Casa del Gufo῎, così come nel tuo successivo romanzo, emerge uno spiccato stile descrittivo, legato soprattutto alla passione per l'arte. Quadri, sculture, monumenti, architettura sembrano giostrare un ruolo centrale nelle tue storie, in particolare la pittura pare avere sempre una funzione anticipatrice di quanto poi andrà a verificarsi nel corso della storia. Sei forse uno scrittore che elabora le proprie idee guidato da impulsi visionari che un quadro può indubbiamente sintetizzare e, al tempo stesso, alimentare oppure c'è un altro motivo?

F.M.: Devo ammettere di essere sempre stato una sorta di ῞esteta῞! Forse perché provengo da una famiglia di artisti: mio nonno dipingeva (fece anche una perfetta copia della Casta Susanna del Guido Reni), come anche mio padre e mio zio; poi, mio fratello Roberto ha dalla sua un vero curriculum artistico perché ha frequentato il liceo artistico e l’Accademia di Belle Arti a via Ripetta e sin da bambino disegnava benissimo. Ho sempre apprezzato l’arte figurativa, specie quella della seconda metà dell’Ottocento, soprattutto le correnti del Simbolismo, dell’arte ῞Pompier (tanto degradata dalla critica ufficiale) e i Preraffaelliti. Non ho mai amato l’amore per i ῞primitivi῎, il cubismo, il fauvismo e via dicendo… li considero forme artistiche che si allontanano dai canoni classici che greci e romani ci hanno tramandato. E che dire dell’arte ῎concettuale῞, ῞astrattismo e via dicendo? Lungi da me il voler parlare di ῞arte degenerata῞, ma non posso accettare che si facciano passare per opere artistiche il fare un foro o dei tagli su di una tela, o mettere in un barattolo le proprie feci e poi le si quotino milioni di euro alle aste! Al limite posso considerare la provocazione, la trasgressione, ma null’altro! Idem vale per la scultura. Per fortuna, ai tanti imbrattatele contemporanei, si oppongono artisti di notevole spessore, come Roberto Ferri, Saturno Buttò e Carlos Barahona Possollo, che cito anche nei miei romanzi. Specificatamente a Saturno Buttò è dedicata la mia nuova silloge di liriche gothic di prossima pubblicazione. Concludo che anche l’architettura moderna mi lascia freddo se non, addirittura, genera in me un profondo disgusto. Così anche per quella religiosa. Le ultime chiese belle sono state costruite in stile neogotico, o neoromanico. Pensa che, invece, nei paesi ortodossi, come la Grecia, la Bulgaria, la Russia, i luoghi di culto vengono ancora edificati nello stile neobizantino!


M.M: La tua città Roma, per ora, è sempre presente nelle tue storie. C'è un motivo particolare oppure ti rifai al monito di Stephen King che raccomanda sempre ai suoi allievi di scrivere di luoghi e cose di cui gli stessi hanno conoscenza diretta?

F.M.: Beh, diciamo che approvo quello che afferma Stephen King. Inutile ambientare storie in città che non si è mai avuto occasione di visitare e delle quali si ha solo una visione imperfetta, derivata da foto o da notizie tratte da internet o da terzi. La città ove si ambienta un romanzo dev’essere ῎vissuta῎, almeno a mio parere! Poi, però, per quanto riguarda Roma, c’è anche un altro motivo: Roma è effettivamente una città ῞magica῞, esoterica, con quartieri diversissimi uno dall’altro, ma anche con un patrimonio storico artistico che non ha uguali al resto del mondo. 

La sirena ha sempre attratto l'immaginario
dello scrittore FAUSTO MARCHI.

M.M.: Un'altra caratteristica della tua produzione è il ruolo giocato dalle creature mitologiche, in particolare la sirena. Ed è forse proprio questa figura che funge da raccordo tra i tuoi due romanzi fin qui pubblicati. Da dove arriva questa fascinazione?

F.M.: Le sirene mi hanno sempre attratto. Il fascino di queste crudeli, ma sensuali, creature marine mi perseguita sin da quando ero ragazzo. Vederle nude, aggrappate agli scogli battuti dalle onde, mentre cercano di attirare l’attenzione dei marinai con canti e gesti osceni ha sempre scatenato la mia fantasia. E poi gli oceani - specie quello Atlantico - in tempesta mi hanno sempre affascinato! D’altronde sono un appassionato di Lovecraft e di William Hope Hodgson, scrittori nel quale il mare e l’unione di esseri umani con creature acquatiche, oppure l’orrore degli abissi marini, è sempre presente. Due film usciti da poco mi hanno affascinato: "The Lighthouse῎ e ῞Cold Skin῞, entrambi ambientati in fari isolati. Comunque, c’è un altro ῞leitmotiv῞ che mi perseguita, ed è quello delle trombe marine! Da bambino io, mio fratello, mamma e mia nonna eravamo in una spiaggia di Porto Recanati: ci eravamo attardati, nonostante il tempo non prometteste bene, e alla fine ci accorgemmo che sulla spiaggia eravamo rimasti solo noi e un bagnino. All’improvviso il cielo si fece ancora più cupo, iniziò a piovere e all’orizzonte apparve la cupa sagoma di una tromba marina che si avvicinava. Non sapevamo che fare, ma per fortuna il bagnino ci venne incontro, aprì una cabina e ci chiuse dentro, raccomandandoci di non uscire fino a tempesta passata. Così facemmo; quando, dopo un interminabile lasso di tempo, uscimmo, notammo che la sabbia aveva coperto parte della pedana di legno della cabina, ma la tromba marina era scomparsa. Il bagnino ci raggiunse e disse che, per fortuna, il turbine aveva rasentato la riva, ma non si era spostato sulla terraferma. Ancora adesso, in molti miei scritti, ambientati nel mare, appare una tromba marina…


M.M.: Se ne ῎La Casa del Gufo῎ il gusto per la narrativa di genere si miscelava con la narrativa classica, con La Vestale di Dagon ti inserisci dichiaratamente nel solco dei prosecutori dei Miti di Cthulhu. Dalla lettura emerge l'impressione di un condensato in cui raccogli tutte le tue passioni, dagli studi di scienze biologiche che hanno accompagnato i tuoi studi universitari, passando per le organizzazioni segrete legate a un paganesimo dei primordi fino al gusto per la narrativa del terrore. È forse il tuo romanzo manifesto?

F.M: Forse. Ma forse no. Io ero portato più per le lettere. Durante gli studi superiori facevo sempre il tema migliore, non solo di tutta la classe, ma di tutto l’istituto. Però venivo da un indirizzo tecnico e pensavo di non avere le basi sufficienti per un corso di laurea in lettere; non ero a conoscenza che esistevano anche corsi di laurea in letteratura moderna oppure in storia dell’arte o antropologia. Quando lo seppi ormai avevo iniziato a dare esami in Scienze Biologiche e lasciai perdere. Poi interruppi gli studi perché mi misi a lavorare e la cosa finì lì. Certo, il desiderio di prendermi una laurea in materie letterarie mi è rimasto e non è da escludere che possa iscrivermi a un’università online. Devo solo trovare lo stimolo giusto.


M.M.: Quello che non cambia mai nelle tue storie è il ruolo della donna, una perfetta erede della biblica Eva. Penso all'adescatrice de La Vestale di Dagon o all'indifesa Lavinia che poi si scopre essere una vera e propria sacerdotessa associata, da alcuni, al demonio. Quanto in questo gioca la tua visione nel mondo della donna?

F.M.: A vent’anni stavo con una ragazza dai capelli rossi (rutilismo) e occhi verdi, una vera ῞streghetta῎; lei si interessava di astrologia e di tarocchi, ma aveva anche un carattere vagamente sadico. Lasciò il segno, perché le donne con i capelli rossi hanno sempre esercitato un fascino profondo sulla mia psiche…in fondo le sacerdotesse celtiche avevano i capelli di un mogano chiaro, come le donne irlandesi. Ne ῞La casa del gufo῞, il protagonista si porta dietro un trauma adolescenziale legato alle trecce di quel colore e anche Lavinia, ne ῞La vestale di Dagon῎, ha i capelli di uno stopposo mogano. Pure le albine mi rendono inquieto, infatti Vittoria, nello stesso romanzo, come ben sai, è albina.


M.M.: Dalla consultazione delle librerie internet, al momento, risultano a tuo nome due romanzi e una raccolta di liriche neogotiche, tuttavia ho la sensazione che tu possegga, nel proverbiale cassetto, diverso materiale inedito, soprattutto sul versante dei racconti fantastici. Ci ho visto bene? Di cosa si tratta? Puoi anticiparci qualche trama?

F.M.: Sì. Ho voluto cimentarmi anche nel genere thriller. È una scommessa che ho fatto con me stesso! Vedi, può sembrare strano, ma scrivere un romanzo giallo è molto più impegnativo e complesso che scrivere un racconto horror. Nell’horror e nel fantasy la mente corre libera e si può ignorare la logica, almeno in parte; nel giallo tutto questo non accade e la trama deve svolgersi in maniera razionale, gli elementi si devono perfettamente incastrare tra di loro come un complicato puzzle. Ho terminato un thriller, una via di mezzo tra il giallo hard boiled, alla maniera di Dashiell Hammett e Raymond Chandler, e il mystery, vagamente alla Dan Brown. Di più non ti voglio dire, per invogliare la sorpresa.


M.M.: Ti faccio ora una domanda aperta, in bianco, il classico argomento a piacere bramato nelle interrogazioni a scuola a cui ti avrebbe fatto piacere rispondere.

F.M.: Beh, francamente mi sarebbe piaciuto avere il dono di saper disegnare e dipingere bene come mio fratello: avrei messo su tela i miei incubi e le mie morbosità!


M.M.: Grazie a Fausto Marchi per il tempo che ci ha dedicato e un cordiale augurio per i prossimi impegni.

F.M: Grazie a te Matteo, per l’intervista e per l’ottima e oggettiva recensione del mio romanzo ῞La Vestale di Dagon῞.

L'omaggio alla narrativa di Howard P. Lovecraft
di FAUSTO MARCHI.

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