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sabato 14 gennaio 2023

Recensione Narrativa: IO UCCIDO di Giorgio Faletti.

Autore: Giorgio Faletti.
Anno: 2002.
Genere:  Thriller.
Editore: Baldini Castoldi Dalai Editore.
Pagine: 682.
Prezzo: 16.00 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.
L'età ormai non più giovanile fa considerare venti anni un periodo relativamente breve, quando un tempo sembravano una vita. Ricordo molto bene quando, ai tempi in cui frequentavo legge, Io Uccido usci, suscitando un clamore e un passaparola tale da far vendere 4 milioni di copie all'improbabile e pur efficace romanziere. Un best seller grandguignolesco, dall'inusuale ambientazione nel Principato di Monaco, per un successo editoriale pazzesco, inatteso e del tutto insospettabile. Del resto il background culturale dell'autore, fin lì accostato al genere comico e alla musica leggera, non lasciava certo presagire a un thriller alla Thomas Harris. Giorgio Faletti all'epoca, per i giovani cresciuti negli anni ottanta, era l'indimenticabile Vito Catozzo del Drive In, varietà cabarettistico che andava in onda sulle reti mediaset nel 1985, quando lo scrivente si apprestava ad andare alle elementari, o, ancora, il cantautore impegnato del brano musicale (Minchia) Signor Tenente, clamorosamente classificato secondo al Festival di Sanremo, dieci anni dopo l'esperienza del Drive In e prima ancora al mitico Derby di Milano (che nei suoi romanzi diventa Ascot, in un'assonanza del tutto ippica) fucina di talenti quali Abatantuono, Beruschi, Claudio Biso, Massimo Boldi, Renato Pozzetto, Paolo Rossi (ma non quello che era un ragazzo come noi) e altri. Un talento poliedrico come ben pochi, capace di passare dalle battute in odore di volgarità al dramma della strage di Capaci, rigenerandosi a ogni esperienza alla stregua del killer "Dente di Fata" di Red Dragon impressionando e crescendo ogni volta in tutti i settori artistici. Un estro in evoluzione capace di stupire sempre la critica e di sfuggire ogni volta a etichettature e catalogazioni. Giurista, comico, cantante, cultore del giallo e dell'horror, paroliere, attore, sceneggiatore, pittore, pilota di rally in prove ufficiali del campionato mondiale, freelance per la rivista di sport motoristici Autosprint e, non da ultimo, inatteso romanziere di thriller e avventurosi dal retrogusto horror. Apprezzato dall'asso del thriller americano Jeffrey Deaver, indimenticabile interprete del professore di italiano di Notte Prima degli Esami (2006), Faletti è stato altresì autore di canzoni di cantanti di grido quali Milva, Mina, Masini e Branduardi. Un outsider capace di conquistare ogni branca dello spettacolo, variando sempre genere e contesto, fino ad affermarsi nella letteratura quale autore di grosso rilievo commerciale. Io Uccido è il manifesto del successo dell'autore, poi artefice, prima dell'improvvisa e prematura morte, di un'antologia e di altri sette romanzi a presa prevalentemente gialla.
Faletti se n'è andato a 64 anni non ancora compiuti, con un epitaffio firmato dall'amico Jeffrey Deaver che ne riassume bene l'importanza: "Uno come Faletti, dalle mie parti, si definisce uno che diventerà leggenda!"

La Graphic Novel tratta dal romanzo nel 2022.


Il Commento al Romanzo

Io Uccido è un thriller afferente alla branca serial killer che Giorgio Faletti, al suo debutto narrativo, decide di ambientare a Montecarlo, dopo aver visto una statistica relativa alla geografia degli assassini seriali in cui figurava lo zero nella casella dello stato del Principato di Monaco.

L'occasione si fa propizia per delineare le strade, i percorsi del circuito cittadino di Formula 1 e quanto rientra nell'immaginario del posto. C'è da ricordare che Faletti è stato un grosso cultore di automobilismo e ha, altresì, preso parte al Rally di Montecarlo del 1998. In Io Uccido confluisce l'amore per questo sport, tanto che il romanzo si apre proprio con un giro d'auto lungo le curve e i falsi rettilinei del tracciato monegasco del mondiale F.I.A.. La prima vittima è proprio un campione del mondo di Formula 1, mentre un artificiere - determinante per penetrare nel bunker del killer - prende il cognome dal pilota (Gachot) che spianò indirettamente l'accesso di Michael Schumacher nella Formula 1.

Ma di cosa tratta il romanzo? Si tratta di un thriller che si snoda su un buon soggetto che prende spunto dal caso Zodiac (serial killer narcisista in sfida con la polizia) e propone uno sviluppo che, due anni dopo, sarà palesemente ripreso da Dario Argento per Il Cartaio (si sostituisce la sfida musicale alla radio con quella del poker al computer). Un misterioso assassino, che asporta la pelle delle facce alle vittime (alla Hannibal Lecter nella fuga dalla prigionia de Il Silenzio degli Innocenti) firmando la scena del delitto con la scritta a sangue “IO UCCIDO” riprodotta con una sorta di grande normografo, preannuncia i suoi omicidi facendo degli indovinelli musicali presso una trasmissione radiofonica di Radio Montecarlo. Il folle interloquisce con il deejay che cura la rubrica, sfidando le forze dell'ordine ad anticiparlo nell'azione. Un eccellente sviluppo iniziale, molto debitore del caso Zodiac, il killer che sfidava la polizia a San Francisco tra il 1968 e il 1974 scrivendo lettere siglate da un cifrario da decriptare. Gli indizi, celati dietro brani musicali, album e riferimenti cinematografici da interpretare per comprendere le generalità della vittima designata, sono reali e possono effettivamente permettere agli indagatori di impedire l'azione delittuosa. Il killer, che parla attraverso uno strumento che ne modifica la voce e copre la fonte delle sue telefonate attraverso una protezione che impedisce agli esperti di rilevarne la provenienza, si definisce “Uno e Nessuno”; un vezzo che porta la stampa e la polizia a battezzarlo col nome Nessuno. Faletti, visti i capitoli intitolati “Carnevale” - dove viene mostrato il punto di vista (o la soggettiva) del killer - e l'abitudine dello stesso di asportare facce (ovvero le maschere con cui gli uomini si presentano nella vita di tutti i giorni), omaggia Luigi Pirandello che a Montecarlo aveva ambientato parte del suo Il Fu Mattia Pascal. Inutile ricordare come il romanzo fosse incentrato su un giocatore divenuto nessuno (per esser riuscito a smarrire la propria identità, così da evadere dalla non gradita vita di tutti i giorni). Sempre a Pirandello si deve inoltre il romanzo Uno, Nessuno e Centomila e il concetto delle maschere sociali.

Gli omaggi di Faletti non si fermano qua, ma sono continui e spalmati su tutto il testo, dalla passione per l'automobilismo a quella per la musica (tra i citati figura Santana) e per il cinema. Arriva persino a omaggiare Lo Squalo di Spielberg, con un memorabile primo omicidio compiuto da un sub che dalle profondità risale ad artigliare la preda (una campionessa di scacchi) che nuota in superficie.

Lo stile narrativo non è troppo leggero. Faletti infarcisce la storia di trame e sotto trame. Al fianco del tema principale (quello del serial killer), vi è una storia che propone un incesto familiare tra un generale e sua figlia nonché una seconda traccia vertente su una coppia di malavitosi americani in combine con le autorità militari statunitensi. Faletti cuce il tutto, facendo interagire (anche forzatamente) e compenetrare i vari personaggi, così da legare le rispettive sorti. Le caratterizzazioni sono esasperate. Persino le vittime hanno una cura nella delineazione delle loro peculiarità molto approfondita, ben oltre a quanto necessario ai fini della storia. Il ritmo, a tratti, è lento, frenato da paragrafi spiccatamente descrittivi che menano il “can per l'aia”.

Tra i difetti più difficili da perdonare, a mio avviso, vi sono alcune incongruenze, quale la capacità del killer di uccidere pur trovandosi sotto l'osservazione della polizia (e non dico altro per non spoilerare) senza che poi si giustifichi la cosa. Scricchiola il profilo finale dell'assassino che Faletti prova a delineare in un epilogo didascalico dove, in una riunione tra poliziotti e psichiatra, si spiegano movente e sviluppo formativo del killer. Una ricostruzione che non collima con lo spirito narcisistico iniziale, dove traspare la volontà di sfidare la polizia per amplificare un autostima verosimilmente latente piuttosto che mettere sul piatto della bilancia un atteggiamento finalizzato a rivelare un'effettiva e irrazionale volontà di essere fermato. La conclusione in stile Psyco, col killer in cella che parla al suo doppio, sembra suggerire uno stato di schizofrenia dissociativa che mal si concilia alla freddezza dell'uomo e alla disinvoltura con cui lo stesso era riuscito a inserirsi con successo nella società. Manca inoltre l'elemento scatenante che porta “Nessuno” ad avviare, a distanza di anni dal primo omicidio, la catena delittuosa su cui ruota la storia.

Faletti cura pertanto aspetti secondari, con un approfondimento sul passato dei poliziotti (tutti decadenti e con un dolore nel passato), introduce una storia d'amore che avvicina soggetti che hanno traumi da superare facendo forza su un comune proposito di riscatto esistenziale, ma poi si perde nella traccia principale. Gli omicidi sono violenti, resi con ottimo estro onirico e questo sorprende per un autore come Faletti, che mai aveva lasciato intuire un certo talento alla Robert Bloch o alla Jeffrey Deaver. Si parla persino di snuff movies, profanazioni di tombe, parafilie in odore di una necrofilia che rimanda al serial killer Ed Gein, altrimenti detto “Il Macellaio di Plainfield” (o a Psyco, si pensi al corpo mummificato con cui convive Norman Bates). Dopo la commissione di un assassinio di un uomo legato a una poltrona, c'è persino un inchino del killer in direzione dalle telecamere che non può che rimandare al film Hannibal, quando Lecter saluta verso le telecamere dopo aver sventrato Pazzi, il poliziotto interpretato da Giannini che gli dava la caccia.

In definitiva, siamo alle prese con un romanzo interminabile, non sempre agile e con diversi momenti di stanca che, a mio avviso, sarebbe stato preferibile contenere, se non tagliare (la storia d'amore dell'agente dell'FBI, la presenza del generale militare e del suo sgherro, la parte della regata sono tutte parti che riempiono oltre il dovuto il tema centrale). Ciò detto, piace il soggetto di base e soprattutto lo spunto grandguignolesco di un autore fin lì conosciuto per altro. Molto buone le scene d'azione, specie quella finale col corpo a corpo tra il killer e uno sgherro che gli da la caccia (e che rimanda un po' a quelli che, disgiuntamente dalla polizia, intenderebbero far fuori Hannibal Lecter). Un debutto sicuramente interessante, ma con qualche limite dovuto alla bulimia creativa e a una non perfetta calibrazione della psicologia del killer, ora narcisista e abile stratega e ora affetto da disturbo dissociativo della personalità.


 
L'autore GIORGIO FALETTI
 
 
"Quelle erano persone ordinarie, piagnucolose, con un'intelligenza al di sotto della norma, perlopiù costrette ad agire in quel modo da una forza più forte di loro e che accettavano le manette quasi come un sollievo. Lui no, lui era qualcosa di diverso... Nella sua mente si agitavano senz'altro pensieri che avrebbero fatto rabbrividire anche il più corazzato degli psicoterapeuti...Era forte, astuto, preparato, addestrato alla lotta."

lunedì 9 gennaio 2023

Recensione Saggi: SQUISITE DIAVOLERIE di Alessandro Manzetti.

Autore: Alessandro Manzetti.
Anno: 2022.
Genere:  Saggio / Antologia Hardcore Horror.
Editore: Independent Legions.
Pagine: 192.
Prezzo: 15.90 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini. 

Al di là dei riconoscimenti internazionali, tre volte vincitore del Bram Stoker Award e dell'Elgin Award, il romano Alessandro Manzetti è un nome che in questi ultimi anni si è imposto (anche con lo pseudonimo Caleb Battiago) all'attenzione degli appassionati italiani della narrativa del terrore in veste di scrittore, poeta e soprattutto editore, proponendo una lunga serie di romanzi e antologie che hanno coinvolto i più famosi nomi internazionali del genere ancora in attività, con ben poche esclusioni. Autorità quali Clive Barker, Ramsey Campbell, Joe Lansdale, Richard Christian Matheson e persino Stephen King sono stati ospiti delle pagine della Independent Legions. Il cruccio di Manzetti, autore anche di saggi tra cui la Guida ai 150 Migliori Libri Horror (2021), Monster Master (2016) e l'ormai in uscita Horror Guru (2023), è lo sdoganamento sul mercato italiano, a suo dire cristallizzato e atrofizzato su sottogeneri ormai sorpassati, delle nuove frontiere dell'horror. Ecco così la proposta, a varie tappe, di racconti e romanzi dei vari Edward Lee, Charlee Jacob, Ryan Harding e molti altri ancora. Una forma di terrore nuova, diversa, figlia di quello splatterpunk ideato a fine anni ottanta dal binomio Skipp-Spector ed esaltato successivamente da Clive Barker, Richard Laymon e Poppy Z. Brite, un orrore lontano dalle atmosfere gotiche ed esoteriche dell'ottocento e del primo novecento e sempre più ancorato a espliciti contenuti sessuali e, al contempo, a un tripudio grandguignolesco di sangue e budella, con torture, martiri, eviscerazioni, stupri e cannibalismo sempre più al centro delle narrazioni. Dunque un prodotto di nicchia all'interno di un insieme (la narrativa del terrore) a sua volta di nicchia, quindi sulla carta difficile da vendere. Ed è qui che prende piede la scommessa di Manzetti, quale editore e rappresentante del genere, ovvero lanciare le nuove frontiere dell'horror, extreme e hardcore, nell'ambito dei confini italiani dove, prima dell'avvento della Independent Legions, erano praticamente del tutto sconosciute, così da cercare di creare un folto numero di lettori interessati alla materia. Squisite Diavolerie è uno dei primi strumenti per tentare di andare a fare saltare il banco degli scommettitori, avendo la sostanza di una guida/catalogo e, al tempo stesso, anche esempio di proposta. L'obiettivo è quindi di dare una rapida e sintetica bussola orientativa ai lettori più estremi o più curiosi. Il volume infatti, uscito in una tiratura limitata (499 copie acquistabili sul sito della casa editrice), non può che essere indirizzato allo zoccolo più duro degli appassionati e, in alternativa, agli studiosi del panorama letterario legato al mondo dell'horror. Difficile, se non impossibile, dirottarlo verso un lettore medio, anche perché la materia proposta è assai particolare e tutt'altro che commerciale.

Manzetti apre il volume con una calibrata e chiara introduzione in cui delinea le differenze, storiche e contenutistiche, tra splatterpunk, extreme horror e hardcore horror, sottogeneri spesso confusi tra loro, se non sovrapposti, a seguito della carica brutale che hanno in comune, pur essendo portatori di sfumature distinte e caratterizzanti che ne determinano una specifica catalogazione. La guida in questione si orienta proprio verso la corrente più di nicchia tra le tre proposte ovvero quella meno conosciuta dell'hardcore, un genere che accoglie il proibito per eccellenza (sesso e violenza), vale a dire un sottogenere che spaventa psicologi, ipocriti e ben pensanti, ma che, in verità, appare anche (qualche volta) un po' troppo contemplativo, mirante a provocare repulsione nel lettore sano o a offrirgli un divertimento pericoloso in quanto potenzialmente in grado, su menti meno sane, di concedere gratificazioni alquanto distorte e devianti governate da sadismo e da parafilie di ogni tipo che potrebbero portare a traviare i contenuti. Manzetti si presenta quale profeta di questo genere, ne esalta i successi oltreoceano e in alcuni paesi europei, lanciandosi con entusiasmo e buona fede in una proposta assai delicata. L'hardcore, infatti, è un genere in cui la componente truculenta e deviante non è al servizio dei contenuti intrinseci che (quando ci sono) intende veicolare, ma assurge a un ruolo trainante lasciando ai contenuti un'eventuale valenza complementare. In altri termini, la componente violenta prevale sul contenuto.


Ma qual'è allora il senso di questo sottogenere e perché alcuni scrittori decidono di trattarlo? Lo spiega, o prova a farlo, Edward Lee cui Manzetti dedica un'inedita e breve intervista. Si tratta di uno scrittore hardcore che va oltre il pulp e che, spesso, tende a stemperare la violenza delle immagini che propone con caratterizzazioni farsesche che piegano il genere verso il grottesco. Lee risponde a una ventina scarsa di domande, attraverso le quali Manzetti ripercorre la carriera dello scrittore, stimola la rivelazione di qualche aneddoto e cerca di far emergere il senso del sottogenere svelandone fini, propositi e contenuti.


Dopo questa prima parte, entra in campo il cuore del volume ovvero la guida/catalogo all'hardcore horror. Manzetti ricalca la struttura del precedente Guida ai 150 Migliori Libri Horror presentando, con brevi commenti (una ventina di righe) e la media voto godreads, quelli che a suo avviso sono i cinquanta migliori libri hardcore horror. Si tratta di una ricerca e di una rassegna totalmente inedita in Italia, tanto che la quasi totalità dei libri non sono stati ancora tradotti in Italia. Alle celebrità Clive Barker, Richard Laymon, Poppy Z. Brite e Jack Ketchum si aggiungono nomi che gli appassionati della casa editrice hanno imparato a conoscere, quali Charlee Jacob, Edward Lee, Brian Keene, Alessandro Manzetti, Paolo Di Orazio, nonché altri totalmente sconosciuti al pubblico italiano e di cui nessuno aveva mai fatto menzione. Ne viene fuori una panoramica, pur se sintetica, molto utile, in particolar modo a chi non disdegna la lettura in inglese, per recuperare testi e autori nuovi, ma soprattutto viene centrato uno degli obiettivi rincorsi da Manzetti ovvero quello di gettare luce su una parte dell'horror internazionale che in Italia era completamente sconosciuto.

A differenza della Guida ai 150 Migliori Libri Horror (non vi erano racconti allegati) e rifacendosi alla struttura di Monster Master (Cut Up Edizioni), il volume prosegue con la proposta di quattro racconti, tutti già editi in altri volumi della casa editrice, funzionali a dare un'esemplificazione dei temi e dello stile proprio del sottogenere.

Manzetti propone due autori italiani e due stranieri, individuandoli tra i più rappresentativi dei due distinti gruppi. Dall'America arrivano Edward Lee e Charlee Jacob, due autori profondamente diversi e al contempo simili, tanto che la Jacob cita palesemente Lee (riferimento va a Mr.Torso). Il quartetto viene aperto da Miss Torso, una storia farsesca, volontariamente inverosimile ed eccessiva, che gioca con presunta presa realistica a stemperare la violenza delle immagini con battute giullaresche e situazioni da film comico. Due idioti sono incaricati di girare e interpretare un film porno con un'ex modella, a cui un boss della mala ha fatto amputare i due avambracci per punizione. Non riusciranno nell'intento a causa delle provocazioni della donna che si diverte a deridere la scarsa virilità (dovuta all'abuso di droghe e a traumi infantili non superati) di coloro che dovrebbero accopparsi con lei, provocandone reazioni violente. Dialoghi sopra le righe, lessico volgare, gore spiccato, ma meno estremo rispetto ad altre opere dell'autore. Riesce a divertire plasmando una sorta di racconto alla Tarantino versione hardcore.

Di ben altra pasta e di caratura superiore è I Giorni della Bestia della recentemente scomparsa Charlee Jacob. Testo complesso, sia per contenuti che per stile, da leggere più volte per apprenderne il senso. A differenza di Lee, che sceglie il taglio pulp e il divertimento politicamente scorretto, la Jacob è una sperimentatrice che miscela stili narrativi molto diversi. Da un lato il lirismo, dall'altro la volgarità da bettola (nei dialoghi) ma anche un approccio da horror classico legato a culti antichi con vaghi rimandi lovecraftiani. Dietro alla violenza visiva e all'insistere su aspetti sessuali, tra sadomasochismo e perversioni di ogni tipo, si celano contenuti esistenziali e filosofici che fungono da condanna a quel mondo che il testo, a una lettura superficiale, sembrerebbe esaltare. Lo potremmo definire un racconto discendente, così da poterlo contrapporre alle storie trascendenti. Ecco che il racconto della Jacob diviene un anti-erotico costruito sull'erotico, dove trovano campo parolacce volgari, falli, organi genitali in bella mostra e, al tempo stesso, citazioni colte a scrittori e filosofi quali Camus, Kierkegaard, Nietzsche e Sartre. Eleganza e volgarità vanno a braccetto alla maniera di una coppia di amanti curiosamente assortita per i modi contrapposti dei due soggetti. Notevoli alcuni capitoli, tra cui uno scavo in Persia che rimanda alla narrativa di Lovecraft (per stile), uno squarcio indietro nel tempo nella Francia del XIV secolo flagellata dalla peste (che ricorda un po' lo stile di Ivo Torello e, se vogliamo, la Milano di Manzoni martellata dalla peste) e la presenza di un grande antico di natura femminile a spasso nel tempo che, alla maniera dei cenobiti di Barker, apre la porta a chi è in cerca del piacere estremo, salvo condannarlo a un inferno fatto di escrementi e sangue. Racconto non comune, difficilmente dimenticabile.

Dopo i due scrittori americani eccoci ad affrontare gli italiani. Manzetti propone il suo Fiori di Carne, una sorta di sci-fi distopica dai contenuti estremi e violenti che, nello stile, fa un po' il verso alla Jacob (non a caso scrittrice cara a Manzetti). Lo stile, rispetto all'autrice americana, diventa ancora più lirico e ricercato nel lessico. L'importanza della forma prevale sulla sostanza, con una cifra espositiva che ricorda un po' i tecnicismi del cyberpunk. Non di facile lettura, vanta un'eccellente potenza visiva (indubbio punto di forza di Manzetti anche in altri testi) che evoca l'estro pittorico di un grande artista della tela. Convince assai meno nei contenuti. Al di là del contesto di una Roma apocalittica ben tratteggiata e che gioca con la blasfemia e il ribaltamento dei valori, si trova poco di interessante sotto il versante del messaggio. Anche qua gli omicidi, le torture e i depezzamenti sono al centro dell'intreccio e culminano con una nuova offerta di carne che rimanda agli scempi di Fritz Haarmann (“Il Lupo di Hannover”), celebre serial killer del novecento realmente esistito.

Chiude l'antologia il notevole L'Incubatrice di Paolo Di Orazio. Dei quattro, è il racconto più proponibile a un pubblico “vergine”. Di Orazio è più legato alla tradizione e non scende nel volgare né sugli attributi sessuali femminili, pur parlando di un originale stupro e dei terrori delle donne, soprattutto quelli legati alla paura del parto e ai rischi connessi alla salute del figlio che sta per nascere. Il suo è una matrioska di incubi che tali sembrerebbero e che invece sono visioni dilatate della realtà. Un racconto onirico, visionario, ambientato in una strana clinica (o è un'astronave? Un laboratorio alieno?) dove le donne vengono condotte a partorire degli ibridi mostruosi. Il bello di questo racconto sta, tra le altre cose, di non essere definito, lasciando ai lettori il compito di completarlo come meglio credono.


Squisite Diavolerie è così un volume diviso in quattro parti assai distinte, rappresentando una promozione di un sottogenere non ancora diffuso in Italia e assai controverso per stile e contenuti proposti, portato avanti da quattro distinti versanti. Da una parte abbiamo un mini saggio divulgativo (introduzione), da un altro l'intervista ai diretti interessati (intervista a Lee), quindi una rassegna di libri da recuperare (guida) e infine quattro racconti, più o meno brevi, nella loro versione integrale. Siamo dunque al cospetto di una base di partenza per chi intenda avvicinarsi o conoscere l'hardcore horror e saperne di più. Ottima veste grafica, qualche refusetto nel testo (errori di battuta). Simpatica la copertina versione ghost rider, senza chiamare in causa il Troisi di Broken Stories. Si attende, a giorni, l'uscita del saggio Horror Guru.



Il tre volte vincitore del prestigioso Bram Stoker Award,
ALESSANDRO MANZETTI
propone la sua più grande scommessa.