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venerdì 28 luglio 2023

Recensione Narrativa: IL CUSTODE DELLA POLVERE di Joseph Payne Brennan.



 
Autore: John Payne Brennan.
Anno: 2022.
Genere:  Antologia Horror.
Editore: Dagon Press.
Pagine: 198.
Prezzo: 15.90 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.

Prima antologia assoluta interamente dedicata allo scrittore weird Joseph Payne Brennan, già apparso in Italia nel corso degli anni in una dozzina di antologie collettive.

Prevalentemente poeta, Brennan pubblicò qualcosa come diciotto raccolte di racconti, specializzandosi soprattutto nell'orrore e nel soprannaturale, senza disdegnare poliziesco e western. Fu cultore di Edgar Allan Poe, studioso di Howard P. Lovecraft, fondatore di riviste macabre, corrispondente di scrittori quali Donald Wandrei, Manly Wade Wellman, Frank Belknap Long e autore di qualcosa come quattrocento racconti e due romanzi. Come si può intuire da questo scarno profilo, fu soprattutto uno scrittore pulp, un intrattenitore popolare capace di rimodulare quanto già apparso sulla scena per proporlo in modo accattivante e coinvolgente.

Lanciato dalla morente Weird Tales, seppe costruirsi un'aura di culto grazie ad August Derleth e ai successivi riconoscimenti firmati da Maestri di primo piano quali Stephen King e Thomas Ligotti (che lo ha descritto quale "il miglior poeta che il weird abbia mai avuto"). Una dimostrazione di stima resa non certo per cortesia, visto che lo stesso King, nel 1980, offrì una propria introduzione a un'antologia di Brennan presentandolo ai lettori come uno dei suoi Maestri.

Pietro Guarriello, con la sua Dagon Press, nel 2022 pensa bene di saggiare il terreno degli appassionati, predisponendo (anche in vista di un secondo volume non ancora apparso sul mercato editoriale) una raccolta non originale che riunisca i quattro racconti pubblicati dall'autore sulla mitica Weird Tales a sei ulteriori storie riconducibili, più o meno in modo evidente, alla narrativa di Howard P. Lovecraft. Ne viene fuori un libro snello, corredato da una piccola introduzione e postfazione di Brennan nonché da un saggio riassuntivo dello stesso Guarriello sulla biografia e sulla produzione dell'autore. Il risultato finale è all'altezza delle aspettative. Il Custode della Polvere (2022) infatti è un'antologia che non delude l'appassionato di pulp e di weird dei tempi d'oro. Certo, pensare di trovare racconti dotati di eccezionale originalità sarebbe un errore. Brennan è un narratore, piuttosto che un autore che traccia nuove strade. Ripropone grandi classici, ma lo fa senza tradirne i contenuti e soprattutto le atmosfere. Il lettore si trova alle prese con storie dal ritmo crescente, dove i mostri si palesano e dove l'orrore arriva sempre dall'esterno dell'uomo. Salvo qualche rara eccezione (The Green Parrot o The Calamander Chest) la paura non è sfumata, ma viene determinata da creature, spesso e volentieri aliene, frutto di evocazioni demoniache oppure vomitate dagli abissi dell'oceano per un qualche fenomeno naturale (uno tsunami, una tempesta o un movimento tellurico). Di fronte all'inesplicabile l'uomo non può far altro che fuggire, sebbene non manchino tentativi di lotta e contrasto che vanno a buon fine debellando il male. È un orrore dunque “mostruoso” che non di rado affonda le mani nel sovrannaturale, chiamando in causa saperi connessi agli antichi indiani di America (le ambientazioni sono tutte statunitensi) o legati a culti preesistenti alla venuta dell'uomo. Netto l'amore per i contesti ambientali a sfondo naturalistico. I sentieri di campagna, i boschi, le paludi o i villaggi abbarbicati sulla costa e battuti dalle onde dell'oceano sono gli scenari che dominano e incastonano le avventure dello scrittore che, per il resto, cerca di stimolare il senso dell'olfatto. Olezzi, odori nauseabondi e marcescenza accompagnano molte storie, anticipando al lettore l'entrata in azione del male.

La resa narrativa è veloce, snella, con una particolare visionarietà cinematografica. Non c'è dunque da restare sorpresi se le storie di Brennan abbiano colpito molti lettori statunitensi fino a intaccare la fantasia degli scrittori della seconda parte del novecento. Sono storie che divertono gli appassionati, tengono sulle corde e offrono finali convincenti nello stile di quella narrativa orrorifica d'estrazione pulp di inizio novecento.

 

NEL DETTAGLIO

Tra i testi proposti spicca Slime (“Viscidume”, 1953), un vero e proprio precursore di beast movie quali Lo Squalo o il “nostro” Shark Rosso nell'Oceano. Una primordiale creatura degli abissi, dalla forma sfuggevole (“sembrava un grande cappuccio svolazzante, e poi una viscida pozzanghera nera di limo vivo e fluente che scorreva a velocità incredibile”), si ritrova sbattuta sulla terraferma a seguito di movimenti tellurici e del maremoto interconnesso. Rintanata in una palude, si adatta all'ambiente e prende a dar sfogo alla sua fama insaziabile, ingurgitando piccoli mammiferi finché, in seguito, non finisce per aggredire e assorbire viandanti e cacciatori sprovveduti. La polizia e l'esercito, allarmati da testimoni e da cittadini, iniziano a indagare sul mistero legato alla scomparsa di una serie di individui. Vengono pertanto organizzate pattuglie e trappole che portano alla lotta finale col mostro, così da evitare che riprenda la via del mare.La luce sarà l'arma con cui fronteggiare l'occulto. Brennan cadenza all'insegna dell'intrattenimento e del sense of wonder, tenendo sempre viva l'attenzione del lettore. L'epilogo con i lanciafiamme modernizza i richiami all'orrore cosmico di matrice lovecraftiana per aprire la via a Hollywood e ai B-movie da drive-in. Non a caso il racconto funse da ispirazione per Blob Il Fluido che Uccide (1958) ma, soprattutto, per una serie di pellicole che esploderanno negli anni settanta dopo il successo del beast movie di Steven Spielberg.


Più convenzionali, ma comunque efficaci per i loro contenuti necrofili e nauseabondi, sono i più maturi Forringer's Fortune (“Il Tesoro di Forringer”, 1975) e Jendick's Swamp (“La Palude dei Jendick, 1987). Il primo è un dichiarato omaggio a Howard P. Lovecraft, che viene espressamente nominato nel testo, ma anche a The Body Snatcher di Robert L. Stevenson. Si assiste alle azioni di trafugamento salme di un vecchio gestore di un banco dei pegni, che si muove sfruttando misteriosi cunicoli sotterranei che si snodano per miglia sotto la città, fino a condurre al cimitero del posto. Interessante, sulla scia del racconto di Stevenson, il legame che si viene a intrecciare tra questo viscido e sporco personaggio e il protagonista, in qualche modo attratto dall'uomo. L'obiettivo del profanatore è dichiaratamente illecito. Intende infatti sottrarre gioielli e oggetti di lusso sepolti con le salme, un tema già affrontato da un'altra prospettiva da Brennan col racconto che da il titolo all'antologia e che è anch'esso presente nel lotto. Qua Brennan si supera per il senso dell'orrore e per le continue allusioni al mondo dell'occultismo. Il profanatore è uno studioso di testi vietati tanto che Brennan snocciola titoli legati alla stregoneria e alle arti occulte. Sono questi riferimenti e questa padronanza della materia che legano il protagonista all'uomo. Forringer's Fortune è un testo marcio, nauseabondo, con i protagonisti che “nuotano” tra topi e ossari. Il finale ricorda vagamente il Modello Pickman di Howard P. Lovecraft per la volontà, tipica di Brennan, di mettere in scena l'orrore nella forma di un “mostro” alieno e tentacolare che proviene dall'altrove (forse dagli abissi marini).

Non troppo dissimile è Jendick's Swamp che modifica le ambientazioni riportandole nell'ambito dei boschi e delle paludi. Uno scrittore di racconti e uno sceriffo brancolano in un'area limacciosa alla ricerca della villa di una famiglia di degenerati spariti nel nulla. La magione, fatiscente, appare sul crinale di una collina attorniata dagli alberi e dagli acquitrini. È crollata su sé stessa e sembra non rivelare segni di vita. Un forte olezzo si diffonde dalle stanze, non a sufficienza da dissuadere i due indagatori dall'analisi del luogo. Cannibalismo, sacrifici umani, depezzamenti e un essere ultracentenario sorretto dagli influssi malefici di un demone (Iththaqua) capace di materializzare in cielo mostrando, tra le nubi di una tempesta, il suo volto costituiscono gli ingredienti di un racconto del terrore di buona fattura. Da notare un omaggio, non so quanto voluto, al Malpertuis di Jean Ray, nella parte in cui si dice che una divinità sopravvive solo se c'è qualcuno che ancora le dedica preghiere e in lei crede. Menzione speciale anche per il pittore Francisco Goya, espressamente citato da Brennan.


Buono è “l'urbano” On the Elevator (“Nell'Ascensore”, 1953) che si ricollega al precedente Slime. Ancora una volta Brennan sposa l'idea dell'orrore senza forma che proviene dal mare, spostando il tutto in città. L'orrore bestiale si miscela a un qualcosa che, per struttura narrativa e forma dei personaggi, si approssima al giallo. Un essere avvolto da un impermeabile, durante una notte di tregenda, penetra all'interno di un albergo. Il portiere, troppo indaffarato per accorgersene, nota solo un soggetto barcollante, forse un vecchio ubriaco, chiamare e penetrare all'interno dell'ascensore. È l'inizio di un incubo che non avrà risposta, con la polizia chiamata a risolvere il mistero di un omicidio perpetrato in modalità bestiali da un killer sparito nel nulla.


Vette di horror soprannaturale di discreta fattura sono garantite da The Willow Platform (“La Piattaforma di Salice”, 1973), un racconto che omaggia la narrativa “naturalistica” alla Algernon Blackwood, tanto che si cita persino la figura del “wendigo” (oltre il rimando ai salici). Un vagabondo rinviene all'interno di un rudere contadino un grimorio di evocazione demoniaca che porta alla materializzazione di un elementale sospeso oltre la terza dimensione. Brennan parla di viaggi astrali, evocazioni, esseri mostruosi che si muovono in una fitta vegetazione di salici. L'epilogo, pressoché identico al più breve e meno efficace The Seventh Incantation (“Il Settimo Incantesimo, 1963), porta alla morte dello sprovveduto che cerca di misurarsi con l'occulto senza avere le competenze per gestirne gli effetti collaterali.


The Keeper of the Dust (“Il Custode della Polvere”, 1962) tratta un altro grande classico: l'ira dei demoni chiamati a difendere le tombe egizie profanate da irrispettosi occidentali. Un tombarolo, di rientro dall'Egitto, trova stranamente il suo appartamento avvolto dalle polveri e dalla sabbia. In poco tempo, si ritrova prigioniero di una realtà altra, dove un demone dal corpo di bambino deforme si materializza per punirlo per aver sottratto uno scarabeo da una tomba di una mummia. Ottima la ricostruzione scenografica e la lenta spirale onirica che conduce al claustrofobico epilogo.


Sono sorretti da un minor senso dell'orrore trascendentale le altre storie. The North Knoll (“Il Poggio a Nord”, 1964) parla di un genius loci che presidia una collinetta nell'aperta campagna e aggredisce chi entra nei confini della sua area. The Green Parrot (“Il Pappagallo Verde”, 1952) è una classica ghost story di inizio carriera, con un viandante (uno scrittore che si è concesso una pausa) che si imbatte, imboccando un viottolo campestre preso come scorciatoia, in una vecchietta che insegue uno strano pappagallo verde sfuggitole dalla voliera. Intenzionato ad aiutare la donna, l'uomo rischia di perdersi nei sentieri boschivi e di farsi sorprendere dal freddo glaciale. Rientrato presso la locanda in cui è solito cenare, lo scrittore viene informato di essersi imbattuto in due fantasmi. Esercizio di stile, nulla più.

Più curioso e riuscito è The Calamander Chest (“Il Baule di Calamandra”, 1954), l'ultimo racconto di Brennan per Weird Tales. Il Baule di Calamandra è un classico racconto che giostra su un oggetto maledetto acquistato a basso prezzo in un antiquariato. Curiosa, e poi rubata da Stephen King (racconto The Moving Finger, 1990), l'idea del dito adunco che fuoriesce misteriosamente dal baule e ipnotizza l'acquirente sparendo ogni volta all'interno dell'oggetto senza che, all'apertura del mobile, sia visibile alcunché di strano. Sviluppo di storia stereotipato (i tentativi di disfarsi del baule non hanno esito positivo), ma ben gestito fino all'inevitabile finale.

CONCLUSIONI

Dunque un lotto di racconti che sapranno deliziare il palato dei fan delle storie più popolari alla weird tales ovvero testi che trattano il soprannaturale con una resa stilistica alleggerita da virtuosismi o preziosismi letterari.

La confezione della Dagon Press, non immune da refusi, è più che buona e messa in commercio a prezzo ghiotto. All'interno trovate inserite anche le locandine dei volumi in cui sono uscite le prime versioni dei dieci racconti proposti. Gradimento assicurato

 
 
Joseph Payne Brennan

"H. stava manipolando forze maligne, entità che probabilmente esistevano quando la terra era ancora giovane. La natura ha sperimentato con molte forme di vita - e non tutte appartenevano necessariamente al piano fisico. Probabilmente alcune di quelle... cose... sono esistite e sono scomparse, e gli elementi esili di cui erano composte non hanno lasciato tracce... forze primitive che, in un certo senso, esistono ancora in un altro tempo, si potrebbe dire in un'altra dimensione."

martedì 18 luglio 2023

Recensione Narrativa: HORROR ACADEMY a cura di Alessandro Manzetti.

Curatore: Alessandro Manzetti.
Edizione: Collection a serie limitata.
Anno: 2021.
Genere:  Antologia AA.VV. Horror / Giallo / Dramma.
Editore: Independent Legions.
Pagine: 228.
Prezzo: 16.90 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.

Prima antologia di un lodevole progetto lanciato dall'Academy letteraria di Alessandro Manzetti. Il boss dell'Independent Legions ha infatti avviato da anni e in veste di mentore un percorso di studi di scrittura creativa e di approfondimento narrativo (non solo dedicato al genere horror) rivolto ad aspiranti scrittori o a chi è in cerca di affinarsi. Dunque una sorta di diploma non riconosciuto in ambiente didattico, ma di prestigio in ambito editoriale. L'antologia Horror Academy è il primo sbocco di tale progetto e si preannuncia, per noi lettori, come una serie di opere in cui pescare aspiranti nuovi maestri. Manzetti, soggetto alquanto influente anche oltreoceano (due volte vincitore del Bram Stoker Award) e legato a un'infinità di contatti con scrittori e curatori internazionali, ha pensato bene di presentare i suoi pupilli affiancando agli stessi un gruppo, di volta in volta diverso, di maestri internazionali. Ne viene fuori un'iniziativa più unica che rara, a dir poco lodevole e ideale trampolino di lancio per autori nostrali sconosciuti al grande pubblico ma dal talento sempre più stimolato dai corsi di Manzetti. Un'occasione straordinaria e un grosso motivo di soddisfazione per le nuove leve dell'horror italico, al punto da vedere il proprio nome stampato in compagnia di più di un nume tutelare del settore.

Questa prima antologia (la seconda è già uscita), infatti, annovera dieci “nuove proposte”, tra cui spiccano nomi di autori già letti e conosciuti quali Andrea Berneschi, il recensore Enrico Graglia e Anna Silvia Armenise, a cui si affiancano otto maestri del settore, tra cui guru assoluti quali Ramsey Campbell, Richard Christian Matheson, David Schow e John Skipp.


L'antologia, venduta in modalità collection e con copie numerate, è a serie limitata, essendo state pubblicate solo 299 copie (motivo in più per acquistarla). È al momento ancora disponibile, peraltro al modesto prezzo di 16,90 euro, presso il sito della casa editrice. Il livello generale è più che sufficiente. Salvo un paio di gioielli e un pugno di racconti buoni, si assesta su un livello medio molto omogeneo dove la cura dello stile tende a prevalere sui contenuti. Una caratteristica questa che si percepisce molto di più nella lettura dei racconti degli scrittori dell'accademia di Manzetti. Confrontando i due gruppi di racconti, infatti, si percepisce un leziosimo (spesso oltre limite) che ammorba le storie degli allievi del deus ex machina dell'Independent. In buona sostanza, si evidenzia una sorta di approccio orientato a offrire un esercizio di stile al lettore o a scuoterlo pizzicandogli le corde emotive, piuttosto che a intrattenerlo sul versante del soggetto. Domina, inoltre, un'impostazione votata al drammatico, piuttosto che al sense of wonder o al mystery. Manzetti sembra aver voluto far emergere dal subconscio dei suoi allievi un orrore interno, vuoi che sia dovuto a un abbandono patito per la morte di una compagna, piuttosto che a una separazione violenta generata da un suicidio o ancora a uno stupro patito in infanzia o agli abusi inflitti da un marito padre-padrone. È dunque l'orrore sociale, talvolta (meno di quanto si possa pensare) filtrato sotto la deformante lente del fantastico, a guidare le penne della scuderia Manzetti. Seguono logiche diverse i racconti dei Maestri, salvo le storie di Skipp e Schow che appaiono in linea a quelle degli aspiranti scrittori. Sono infatti storie più classiche, lontane da quell'hardcore horror o extreme horror caro all'editore, in cui si cercano di riscrivere figure archetipiche come il licantropo o lo zombi e in cui si riconoscono molti omaggi alla narrativa di Edgar Allan Poe. Ecco che Horror Academy viene ad acquisire un taglio adatto a tutte le tipologie di lettori, con concessioni al giallo e al dramma sociale piuttosto che al fantastico di natura soprannaturale (comunque presente).


ANALISI NEL DETTAGLIO

Andiamo ora a vedere nel dettaglio i racconti.

Personalmente, mi sono piaciuti in modo particolare quattro racconti, tutte griffe da haute couture. Ramsey Campbell, autore di due racconti (uno in comunione con Nicola Lombardi), calamita l'interesse di questo recensore. In un Pallido Mattino di Pioggia, un survival apocalittico scritto a quattro mani col “nostro” Nicola Lombardi, conquista la perla del miglior racconto dell'antologia. Cadenzato dal tradizionale ritmo blando e dai toni crescenti dello specialista di Liverpool, è una storia costruita con maestria, in cui i dettagli del malessere e delle anomalie rispetto alla comune quotidianità si infiltrano, quasi impercettibili, nella storia contribuendo a mettere a fuoco una realtà alienante destinata a subire una metamorfosi irreversibile di valenza darwinesca. Campbell e Lombardi non fanno altro che mascherare, con la loro avventura, un ammodernamento de La Notte dei Morti Viventi di Romero. Si tratta di una delle poche storie strutturate dell'antologia, ovvero di un elaborato che va oltre il semplice evento/scorcio per affacciarsi su una realtà in divenire. La storia si apre occhieggiando a Il Vecchio Crudele dello stesso Campbell (lo trovate nell'antologia dell'Independent Legion I Figli del Buio), da cui vengono riprese l'inquietante e claustrofobica metafora sulla vecchiaia nonché l'ambientazione all'interno di un ospizio. Da qui la storia si espande e invade il campo dell'orrore di matrice mostruosa e cosmica. È infatti in corso una bizzarra invasione, con le immancabili tv che forniscono iniziali informazioni su base ipotetica, che sembra plasmata guardando, oltre a Romero, un po' a Cell di Stephen King e un po' al meno noto Schegge d'Inferno di Rich Hawkins (lo potete leggere in Splatterpunk Fighting Back sempre della Independent Legions). Il finale in crescendo e gli indizi sparsi all'interno della storia rendono il racconto molto buono, riscattando il ritmo lento e blando di apertura. Un gioiellino, poco da dire.

Molto riuscito è anche l'altro racconto di Campbell, ovvero Lo Spettacolo Continua. Testo molto più criptico e sfumato, che guarda al passato con nostalgia e, al tempo stesso, omaggia con grande senso della claustrofobia Edgar Allan Poe (penso al finale de Il Gatto Nero). Un commerciante, ossessionato di subire furti per mano di sconosciuti, sfonda il magazzino che ha sul retro del proprio locale. È infatti convinto che dall'interno di quel luogo qualche “topo di appartamento” abbia trovato la maniera per mettere a segno i furti che funestano il quartiere. Si troverà per tale via preda di un incubo labirintico, tra ricordi e suggestioni che tornano a galla dall'infanzia e soprattutto in balia di un orrore alimentato dai giochi di luce e dai rumori. Eccezionale la descrizione dello stato dei luoghi, con un cinema fatiscente che, nell'oscurità, torna a respirare sotto un letto di polvere e di ragnatele che gli conferiscono l'aspetto di un cadavere mummificato. L'epilogo, assai ambiguo, offre ampi spazi di interpretazione al lettore, squarci ipotetici che si aprono in favore di conclusioni molto diverse tra loro (dalla ghost story alla follia, passando per un incubo alimentato dall'aver sgolato qualche gallone di troppo di un alcool a basso prezzo).

Segue logiche molto diverse e più immediate Richard Christian Matheson. I racconti di questo figlio d'arte sono fucilate, ben rese da periodi brevi e immediati. Non fa eccezione Il Film. Il ritmo, rispetto a Campbell, diviene vorticoso, mentre si contrae la lunghezza della storia. Come per Lo Spettacolo Continua, il momento apicale del soggetto si consuma in un cinema dall'aria dismessa. Questa volta siamo in pieno deserto, in un contesto che suggerisce lo scoppio di una qualche guerra nucleare. Atmosfere alla Mad Max, tra punkettoni e scoppiati di ogni specie che vagano per strade polverose guidando bolidi imbottiti di anfetamine e alcool. Matheson impressiona per la capacità di scioccare, col suo stile asciutto e conciso. Il suo è un distopico caratterizzato da poche pennellate che rendono percettibile l'immagine di un mondo futuro flagellato da malattie epidemiche, abuso di droghe e presenza di hippie che hanno del tutto cancellato la civiltà a noi conosciuta. Tutto questo preoccupa un gruppo di pseudo militari reazionari che intendono ripulire il marcio che soffoca la Terra. Ecco che entra in gioco il cinema, un luogo di depurazione e di pulizia sociale, visto quale strumento di eliminazione. Interessante il parallelismo che viene a delinearsi tra la sala cinematografica e le docce di eliminazione dei campi di concentramento nazisti. Matheson non specifica niente, ma è impossibile non costruire questo macabro il parallelo.

Un altro racconto di alto valore è L'Assassino Evanescente di Jonathan Maberry, un giallo che nulla ha a che fare col genere horror e che, forse, appare un po' fuori luogo per il progetto. A parte questo, si tratta di un racconto che sarebbe piaciuto molto ad Alfred Hitchcock, perfetto per le antologie dallo stesso presentate negli anni settanta. Protagonista è nientemeno che monsieur Dupin, il celebre indagatore nato dalla fantasia di Edgar Allan Poe (ispiratore, tra gli altri, dello Sherlock Holmes di Arthur Conan Doyle). Maberry punta tutto su caratterizzazioni e dialoghi, a dir poco esilaranti, andando a ricostruire a ritroso, dalla “semplice” analisi della scena del crimine, un omicidio avvenuto nella Parigi dell'ottocento tra lo sbigottimento dell'inetta polizia e dell'immancabile amico che assiste alle mirabolanti doti analitiche dell'indagatore. Ecco che un cruento delitto, avvenuto nell'ufficio di un antiquario interessato all'arte orientale, viene risolto, quantomeno per quel che riguarda la dinamica. Interessanti le argomentazioni iniziali in cui Dupin spiega la sua posizione sul paranormale e, in particolare, sulla sua certezza circa l'inesistenza dei fantasmi. Piacerà moltissimo ai cultori di Agatha Christie ed Edgar Wallace.

Questo, a mio avviso, è il top dell'antologia. Gli altri racconti, per contenuti (non per stile o ricercatezza linguistica), si assestano a livelli di qualità inferiore.

Tra gli italiani, probabilmente il migliore, colpisce per capacità narrative ed eleganza espositiva Graffiti di Liana Africa; un dramma storico ambientato a Siena, caratterizzato dalla sensibilità tipicamente femminile (il senso di libertà tarpato), dove la protagonista si ritrova rinchiusa in manicomio per volere di un marito despota. Lessico e costruzione dei periodi da prima classe per un soggetto che, forse, avrebbe reso meglio al servizio di un dramma. Africa sembra quasi aver modificato l'epilogo per far virare il tutto verso un horror in odore di revenge per interposta persona. L'idea del fantasma/amico immaginario è inflazionata e fa perdere punti al racconto. La scrittrice, comunque, è da tenere d'occhio, poiché la padronanza linguistica è magistrale.

Voglio Farti una Sorpresa di Andrea Berneschi (con cui ho avuto il piacere di dividere il palco della Serra Trema, anni fa) soffre di “problemi” simili. Anche qua una buona prima parte, seppure meno elegante, in cui si rievoca l'infanzia dei lettori anni ottanta. Una gruppo di ragazzini inganna il tempo intrattenendosi con una serie di giochi che, una trentina di anni fa, si facevano per la strada, tra soldatini e macchinine, mentre i genitori passano il tempo in cucina a gustarsi i telefilm d'epoca (Dallas). Sono anni in cui i ragazzini si ritrovano per le scale dei condomini e per i cortili. Un'epoca ormai svanita, divorata da internet, cellulari e computer. In questo contesto si inserisce il tentativo di invasione, se tale effettivamente è (e non un'allucinazione), di alieni che assumono le sembianze dei genitori. Ecco che Berneschi cade nel cliché abusato, pur riuscendo a colpire i giusti punti nella prima parte.

Piace per capacità di regalare brividi Paolo Bertoglio col surreale Il Signore dei Venti, un racconto che mi ha ricordato certi elaborati del pellerossa Owl Goingback (penso a Sigillato con un Bacio, consultabile all'interno dell'antologia Tribal Screams). Una bizzarra entità ectoplasmatica, padrona dei venti caldi, si desta dalle mura di una casa abbandonata dirimpettaia a quella del protagonista e intrattiene con questo uno strano rapporto di collaborazione. L'essere, capace di materializzarsi in una forma aberrante, è in realtà un portale aperto su un'altra dimensione, un luogo dove tornano a muoversi coloro che sono trapassati e dove il protagonista sogna di ritrovare la compagna di vita. Elaborato breve, non certo un capolavoro ma dotato di quel sense of wonder che latita nell'antologia.

Non troppo dissimile, per l'epilogo, Sa Reula – Il Ballo dei Morti di Andrea Mungiello, una storia intrisa di malinconia e rimpianti che si chiude all'insegna di un orrore che assume valenza di speranza. Un mix tra certi racconti di Arthur Machen (“I Bambini Felici”) e Philip Fracassi (“Morte, Il Mio Migliore Amico”) con una danza macabra finale che ricorda i temi della tradizione pittorica del basso medioevo.

Dolore del distacco insuperabile anche per il serial killer che, nella speranza di ricostruire il corpo della compagna deceduta per cause naturali, compie mattanze in Il Verde Esatto di Niccolò Ratto. Gioca sulla componente poetica dei primi corteggiamenti e del desiderio di vedere sbocciare un'amicizia nell'amore dei sogni Enrico Graglia col suo Infernòt, una sorta di contro-fiaba dall'epilogo crudele dove l'orrore è puramente correlato alla cattiveria umana.

Cerca la via della filosofia e soprattutto del parallelismo tra istinto omicida e dipendenze dall'alcool (e droghe) Josh Malerman, che ricorre in via metaforica all'archetipo del licantropo per il suo Un'Ultima Trasformazione. Buone alcune dissertazioni, in cui si cerca di responsabilizzare le condotte umane così da evidenziare il libero arbitrio che domina ogni decisione, a prescindere da attitudini e inclinazioni. Finale cruento e ben calibrato, ma costruzione generale filacciosa e tirata per le lunghe. Ricorda molto la frase "questa è l'ultima" che caratterizza i buoni auspici di chi si dichiara prossimo a liberarsi da una dipendenza.

John Skipp e il suo Clown Depresso sposano, piuttosto che l'orrore, il dramma esistenziale. Un disgraziato, costretto a racimolare i soldi per tirare a campare interpretando il ruolo di clown in circhi squallidi di infimo livello, viene adescato da uno spacciatore dai denti marci che gli propone la cessione di una partita di spinelli. È una trappola, un inganno ordito da una prostituta che intende esorcizzare il suo incubo più grande, utilizzando come valvola di sfogo il povero protagonista. Violento, ma entro i limiti, costituisce un chiaro esempio di quello che potremmo definire uno splatterpunk; una storia tra ultimi, tra degrado, follia e paranoia.

Gioca sul thriller onirico Andrea Guido Silvi, salvo aggiungere un poco convincente finale di matrice horror. Il suo Il Mangiagranchi parte in quarta. Una ragazza completamente nuda fugge tra i canneti, di notte, tra fango e pozze d'acqua. Un serial killer, alle sue spalle, le sta dando la caccia munito di fiocina. Inizio molto promettente su cui si struttura un intreccio tra sogno premonitore e precognizione di fatti che, in realtà, capitano ad altri. Regolamento di conti finale con un serial killer che uccide e depezza le vittime per alimentare i granchi della sua riserva (!?). Finale horror, di matrice fantastica, poco giustificato, con la vendetta che si personifica nella forma di un ragazza che si trasforma (incomprensibilmente) in una sorta di mega granchio.

Buio, Lampo di Anna Silvia Armenise gioca sui ribaltamenti dei ruoli alla The Others, chiamando in causa magia voodoo (si parla di Baron Samedì) e irruzioni in abitazioni viste da una prospettiva distorta. Stile molto elegante, tensione crescente sulla scia de Lo Spettacolo Continua di Campbell, ma soggetto poco innovativo ed epilogo già visto. Un buon esercizio di stile.

Salvatore Vivenzio con L'Eredità cadenza in modo angoscioso un racconto sul male di vivere, con dei cimeli (una vecchia radio che non funziona più, un occhio di vetro e una pistola nazista) appartenuti al nonno suicida che condurranno alla pazzia il protagonista, sempre più isolato, non supportato dalla moglie e disoccupato. Da approfondire i riferimenti a una realtà ulteriore (o è solo follia?), che manda messaggi da un mondo che non si vede e che, forse, si manifesta attraverso occhi di vetro e vecchie radio.

Orme è una revenge story dai tratti onirici che Sergio Mastrillo conduce con taglio volutamente frammentato. Una vittima di pedofilia, ormai cresciuta, trova la via per vendicarsi del prete che ha abusato di lui. Parte finale ambientata in Finlandia, con un omicidio simbolico a dimostrazione della morte dell'animo del protagonista, ormai incapace di amare. C'è qualcosa da registrare.

Fai Correre il Sangue Dove Vuole è un omaggio di Manzetti a Dracula di Bram Stoker. Mina Harker, evidentemente, non è stata liberata dal sortilegio del Conte e va in caccia di giovani da vampirizzare. Lo stile, come spesso avviene con Manzetti, prevale sui contenuti della storia che si dimentica presto (non ce ne voglia).

Il Lungo Velo Nero di David Schow lo abbiamo già analizzato in occasione della recensione de I Figli del Buio ed è, anch'esso, una storia legata al dramma (tra tradimenti amorosi e regolamenti di conti).

 

CONCLUSIONE

Che dire alla fine: Vale l'acquisto? La risposta è "si", poiché è un progetto editoriale unico che fa bene e sprona gli aspiranti scrittori italiani interessati al fantastico, dando loro un'occasione da raccontare ai nipotini. Il prezzo e la cura, sia a livello editoriale che di editing, sono molto buoni. Il livello medio dei racconti è più sufficiente, con punte di eccellenza. Manca, ad avviso del sottoscritto, un approccio al genere votato all'intrattenimento dei lettori. A parte alcune storie dei Maestri (Campbell, Matheson e Maberry), Manzetti, che qua accantona truculenze e violenze estreme, pare più interessato all'eleganza della prosa dei suoi allievi e a una forma di orrore che nasce dall'interiorità, alimentato da disagi, disturbi e cattive relazioni interpersonali col prossimo. Manca quasi del tutto l'impluso a meravigliare il lettore con quel tocco, a esempio, che rese epica una rivista come weird tales. La domanda, in fondo, per comprendere l'alchimia che rende indimenticabile un racconto è sempre la stessa, per banale quanto possa sembrare: perché leggiamo narrativa horror? Qualcuno potrebbe dire per sentirci attorcigliare le budella e provare quei brividi che, specie in estate, possono salvarci dall'apatia oppure perché intendiamo esorcizzare le nostre paure o, ancora, perché vogliamo divertirci sognando per interposta persona quanto non ci permetteremmo mai di fare in prima persona (per citare un vecchio saggio criminologico di Robert Simon). Personalmente, la risposta che più mi piace e che credo più calzante per comprendere le ragioni di un genere, il macabro, che fa storcere il naso a psicologi e puritani passa dall'impulso a evadere dalla realtà e da quanto possiamo vedere e vivere nella scialba esistenza che ci costringe ogni giorno a sguazzare, alla stregua di pesciolini intrappolati in una sfera di cristallo, per il divertimento di Divinità che sfuggono al nostro limitato senso della vista. E' dunque il sense of wonder, a mio avviso, a tracciare la linea di confine oltre la quale tendere con l'immaginazione. Raccontami quanto già io non conosca. Non ho bisogno che tu mi ricordi le bassezze e le tristezza di questa vita. Imbocca la via del meraviglioso, di un mondo altro che incrocia il suo cammino col nostro, alterandolo e dando testimonianza di un qualcosa che non siamo in grado di comprendere e che, per usare un'espressione alla Protagora, non è a misura di uomo eppure può a noi manifestarsi in un'ottica distorta e parziale. Te che sei benedetto dall'estro della scrittura, fammi sognare e non mi ricordare che siamo banali e arroganti formiche che pretendono prove e dimostrazioni per aprire la nostra mente, abbarbicate su relativi schemi mentali legati a strutture sociali frutto di periodi storici. Non mi ricordare che a noi interessa solo vivere alla giornata, scorgendo nella vita e negli aspetti materali che la caratterizzano il nostro unico e primario interesse. Non mi ribadire che siamo così ottusi da ricercare in noi stessi o in quanto possiamo toccare le fonti dell'orrore più assoluto, dimenticandoci che è invece l'ignoto e l'incomprensibile il mare magnum in cui dovremo imparare, se la vita ha davvero un senso, a saper nuotare... prese di Cthulhu permettendo, poiché i veri Giganti sono altri, non certo chi sguazza sulla superfice dell'apparenza, e perché l'unica cosa certa è che siamo semplici creature di passaggio nel mondo della materia. 

Il curatore Alessandro Manzetti

Il lupo ha convinto l'uomo che sia più profondo il proibito di quanto invece è accettato.”