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martedì 31 ottobre 2023

Recensione Narrativa: L'ANNO DEL FUOCO SEGRETO a cura di Edoardo Rialti & Dario Valentini.

Curatori: Edoardo Rialti & Dario Valentini.
Anno: 2023.
Genere:  Fantastico / Sperimentale.
Editore: Bompiani.
Pagine: 280.
Prezzo: 25,00 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.  

Attesissima quanto chiacchierata uscita della Bompiani data alle stampe nel giugno 2023, con velleità di fare storia nell'ambito della narrativa fantastica italiana. Ci si propone, nientemeno che, di dar vita a un nuovo sottogenere del fantastico (“Il Novo Sconcertante Italico”) in grado di smarcarsi da qualunque catalogazione (cadendo così nell'indefinito). Propositi dunque ambiziosi, ma costruzione di fondo che susciterà in molti l'impressione di un progetto presuntuoso e pretenzioso.

Edoardo Rialti e Dario Valentini, curatori del volume, fanno tesoro dell'esperienza maturata su internet nel laboratorio di scrittura Nazione Indiana, un blog fondato nel 2003 con l'obiettivo di promuovere “voci, testi e idee che non trovano spazio nell'editoria commerciale e nella stampa d'informazione”. Impostazione dunque chiara su cui la Bompiani ha deciso, piuttosto stranamente, di scommettere. Se i propositi sono chiari, il battage pubblicitario dell'editore si è rivelato inadatto a selezionare il pubblico a cui indirizzare il volume. Si è pensato infatti di parlare di “prima antologia del new weird italiano” (generando una polemica infinita tra gli addetti ai lavori alimentata dal "provincialismo" tipicamente italiano dei lettori che si approcciano al genere) e di esporre (da Feltrinelli) il volume nella sezione dedicata alla letteratura horror. Scelte queste ultime che hanno condotto L'Anno del Fuoco Segreto nelle mani di un pubblico solito ad approcciarsi a una narrativa, la weird, che si prefigge di ricreare atmosfere e/o contenuti della narrativa popolare fantastica americana degli anni trenta. Ecco dunque che viene in ballo una netta dicotomia tra le intenzioni pienamente centrate dai curatori (proporre un qualcosa di non commerciale) e la definizione di weird per come è conosciuta dai lettori (tralasciando tutte le seghe mentali di critici e accademici che si arrovellano sul nulla).

In prefazione si legge: “la presente antologia è nata sia per inserirsi nel dibattito sul superamento di vecchie e stantie contrapposizioni sia per lanciare sfide tematiche e stilistiche... attraverso la fuga da categorie e definizioni previe... e una tensione espressiva, che possa essere libera e imprevedibile come quella della poesia, che non deleghi mai la meraviglia alla trama ma sempre e anzitutto al bagliore dello stile.” Rialti e Valentini, che firmano la premessa, hanno senza ombra di dubbio le idee chiare, in quanto il loro volume rispecchia e non tradisce l'impostazione iniziale. I venti scrittori chiamati all'adunata, del tutto alieni dal panorama del vero weird italico (quello curato dai vari Gianfranco De Turris, Andrea Vaccaro, Luigi Boccia fino alla Delos), decostruiscono gli stilemi del fantastico, talvolta con verve parodistica e derisoria (si vedano i racconti di Vanni Santoni e di Luca Ricci), per dar sfogo a narrazioni non lineari, spesso difficili da seguire con continui sbalzi (i due racconti dei due curatori ne sono un fulgido esempio), infarcite di allucinazioni (Andrea Zandomeneghi arriva a immaginare un rapporto sessuale con un pesce siluro), sesso perverso e persino inserimento di dialoghi oltraggiosi che arrivano a comprendere le bestemmie (Rialti).

Ne viene fuori un volume provocatorio che cerca di riscrivere le coordinate di un genere di nicchia a cui si interessano soprattutto i lettori medi, lavorando su un piano sperimentale/accademico dove lo stile e la costruzione vengono notevolmente anteposte ai soggetti di volta in volta proposti. Sono davvero pochi i racconti aventi una struttura e un'atmosfera "canonica" e quando si trovano il lettore ha una sorta di sensazione di comfort per ritrovarsi in territori conosciuti. Scelte davvero temerarie dal punto di vista editoriale, visto che il tutto viene fatto in un periodo e in una nazione in cui, per contrastare l'emorragia dei lettori (in Italia si legge sempre meno), molti editor delle major del mondo editoriale hanno cercato di rendere sempre più accessibili i testi attraverso la richiesta di periodi brevi e dialoghi cinematografici da collocare a supporto di trame accattivanti. Si dice infatti che i lettori con un occhio leggono le storie e con l'altro guardano la tv o fanno altro e che, pertanto, non hanno tempo e voglia per seguire le perigrinazioni dello scrittore. Ne deriva che il proposito coraggioso dei due curatori, economicamente parlando, non potrà che essere destinato a fallire. A chi è destinato infatti questo volume? È destinato a finire nelle mani di un pubblico che ama gli sperimentalismi e le masturbazioni mentali (penso ai professori universitari di lettere) oppure a chi intende essere intrattenuto (il lettore medio)? Da come viene collocato sul mercato si sarebbe orientati a pensare che per la Bompiani sia un volume che si rivolge ai lettori del fantastico o, meglio ancora, del weird e dell'horror. Una valutazione, quest'ultima, che non potrà che fare del male all'antologia. Se da un lato, infatti, l'aiuterà inizialmente a vendere qualche copia in più, dall'altro determinerà il proliferare di recensioni ultra-negative espresse da un pubblico che non ha compreso, e neppure gli interessa comprendere (perché non siamo in una giuria in un concorso narrativo), la portata del progetto. Il weird nasce come narrativa di intrattenimento (si veda Howard), di desiderio di sense of wonder (si veda Smith) e, in alcuni casi, di trascendenza (si veda Machen) o di presa coscienza dell'arroganza sociale al cospetto di misteri non a misura di uomo (Lovecraft). Nel volume in questione, invece, si tralasciano tutti i contenuti del weird (forse il solo racconto di Elena Giorgiana Mirabelli e di Roberto Recchioni rispecchiano il genere, la prima con una decostruzione di un rito sabbatico e il secondo con una divertente derisione dell'aldilà), confondendolo talvolta con la fiaba (Andrea Morstabilini e Vanni Santoni), e si guarda quasi sempre al contesto sociale con un piglio che oserei definire punk, dove trovano spazio momenti hardcore e metafore sociali che guardano alle problematiche del momento storico in cui stiamo vivendo (immigrazione clandestina, integrazioni di popoli provenienti da altri paesi, atti terroristici, sesso promiscuo, paura del futuro e deliri vari). Non è forse un caso che tra i racconti più riusciti ve ne siano diversi che sembrano più prossimi al noir (Claudio Kulesko e Luciano Funetta) o all'avventuroso (Laura Pugno). Insomma, di trascendente c'è poco o nulla, così come di soprannaturale.

Confesso che ho fatto grossa fatica a completare la lettura e che, se potessi tornare indietro, certo non ricomprerei il libro, visto anche l'esoso prezzo. Poco importa, poi, se la veste grafica e la confezione siano sontuose ed eleganti. Non si compra certo un libro dalla copertina. Contrariamente ai curatori, credo che stile e contenuti debbano andare di pari passo e se uno dei due deve essere sacrificato questo debba essere lo stile. E se è vero che nella poesia lo stile talvolta è più importante dai contenuti, è altrettanto verso che poesia e prosa sono, a mio modesto modo di vedere, due cose ben distinte. Pretendere di anteporre lo stile alle trame comporta inevitabilmente un appesantimento della lettura e questo spaventa i lettori e, talvolta, rende evanescente il senso ultimo della storia fino a rischiare di trasformare il prodotto in un asettico esercizio di stile finalizzato a mettere in mostra la padronanza e la tecnica dello scrittore.

L'Anno del Fuoco Segreto è dunque un prodotto alieno da quanto vi sia in circolazione, che ben sposa l'idea dei curatori di proporre un qualcosa di nuovo (un po' come si fece a suo tempo con Gioventù Cannibale) ma che, dall'altro lato, è lontano anni luce dal weird, dal new weird e dalla narrativa di genere. Siamo piuttosto alle prese con un'antologia autoriale, che vede nella narrativa fantastica convenzionale un qualcosa da superare in favore di leziosismi, che non so a quanti lettori potrebbero piacere, e di soggetti che riportino la riflessione da aspetti reputati aria fritta (quelli legati al mistero della vita) a questioni pragmatiche legate all'esperienza del comune vivere.

Caldamente sconsigliata a chi pensa di trovare testi alla Lovecraft, alla Matheson, alla King e via ancora alla Barker, alla Laymon o alla Campbell. Da valutare l'acquisto per chi apprezza gli sperimentalismi e chi ha una passione per lo strano e l'ultra bizzarro. Forse proprio in quest'ultima valutazione si può definire il volume la “prima antologia italiana di weird” intendendo per “weird” il “bizzarro” e fuori dall'ordinario.

domenica 29 ottobre 2023

Recensione Cinema: COLOUR FROM THE DARK di Ivan Zuccon.

Regia, Fotografia e Montaggio: Ivan Zuccon.
Anno: 2008.
Genere: Horror.
Attori Principali: Debbie Rochon, Michael Segal, Marysia Kay, Gerry Shanahan, Matteo Tosi.
Sceneggiatura: Ivo Gazzarrini.
Musiche: Marco Werba. 
Durata: 92 Minuti.

Commento a cura di Matteo Mancini.

Colour from the Dark, sesto lungometraggio firmato da Ivan Zuccon, segna il balzo definitivo del regista nell'horror di serie A. Dico questo perché, al di là dei limiti di budget e della distribuzione pressoché inesistente in quel circuito italiano che lo spettatore comune è solito conoscere (quello dei multisala), la pellicola in questione ha tutto per inserirsi nell'elenco di una top five dei migliori film horror italiani del primo decennio di secolo. Girato nel 2008 con cast artistico a forte presa britannica, Colour from the Dark incrocia la narrativa di H.P. Lovecraft (mero spunto iniziale col suo The Colour out of Space) a quel gotico rurale che aveva fatto la fortuna di Pupi Avati (“La Casa dalle Finestre che Ridono”) al cinema e, successivamente, di Eraldo Baldini in narrativa. Scritto dall'amico e già collaboratore Ivo Gazzarrini (grande cultore di Richard Laymon e di splatterpunk), il film non segue le tematiche lovecraftiane ma le piega e le reindirizza verso un orrore più nostrano che converge marcatamente nel filone esorcistico (tra tutti spiccano i rimandi ad Amityville Possession di Damiano Damiani). La storia è ambientata in Italia, negli anni della seconda guerra mondiale, nel 1943. Siamo in quel Polesine menzionato dal mockumentary (Road to L.) di Federico Greco e Roberto Leggio che, appena tre anni prima, aveva cercato di convincere, col coinvolgimento di critici come Sebastiano Fusco, che Lovecraft avesse visitato il Polesine negli anni venti e lì vi avesse concepito le storie sui Grandi Antichi. Niente di più falso, ovviamente. Gazzarrini preferisce prendere il contenitore lovecraftiano per svuotarlo dai contenuti tipici del solitario di Providence e riempirli con una cultura più da folklore italico in cui si sembra voler suggerire la morte delle religioni tradizionali (si noti l'esecuzione dell'ebrea e la scena in cui viene sotterratta una croce) a favore di un qualcosa che riemerge dagli abissi della terra (e non dallo spazio come con Lovecraft). La struttura del film segue il canovaccio già visto ne La Fattoria Maledetta da cui però si discosta aggiungendo alle contaminazioni ambientali (chiari omaggi ai pomodori giganti che poi imputridiscono) la tematica della corruzione spirituale (questa presente anche in Lovecraft) giostrata da uno spirito demoniaco liberato inavvertitamente da un pozzo.

Da un punto di vista tecnico, il film segna un grosso balzo in avanti nella carriera di Zuccon. Il regista dispone di maggiori fondi e di un'attrezzatura di solito non presente su questi set. Fa largo uso infatti di binari smontabili, che sposta di location in location, così da poter muovere la telecamera in rapidi carrellate laterali. La bravura del regista sta soprattutto nel mantenere costante la tensione. Sorretto da interpretazioni convincenti e da alcuni momenti in cui la fotografia (a tratti discontinua in qualità) si rivela eccezionale (penso ai tramonti col cielo incendiato e alle inquadratura sulla magione ripresa in campo lungo), il film tiene sulle spine e non annoia mai lo spettatore. Già in precedenza talentuoso con pellicole ispirate dalla narrativa di Lovecraft, Zuccon costruisce qua la sua scalata verso il mondo del professionismo. Nell'arco di dieci anni passerà a collaborare come montatore per Pupi Avati (“Il Signor Diavolo”) e direttore della fotografia per Claudio Lattanzi (“Everybloody's End”) affermandosi quale nome di culto nel circuito underground (termine che, come abbiamo detto, gli va di certo stretto).

Vincente la scelta di girare il film col coinvolgimento di collaboratori inglesi e irlandesi. A parte il prezzemolino Michael Segal (qua in un ruolo non muscolare e dai toni più pacati del solito), già visto in altre produzioni di Zuccon e italianissimo (l'anno dopo lo ritroveremo nell'interessante In The Market di Lorenzo Lombardi), sono le attrici a dominare la scena. La canadese Debbie Rochon, in un ruolo assai complesso per il continuo passare da un atteggiamento aristocratico a uno lascivo e quindi indemoniato, spicca su tutti. La quarantenne (all'epoca) è una veterana in tali ruoli, arrivando dalle produzioni della Troma, presso le quali era considerata un vera e propria scream queen. Piace anche Marysia Kay (bellissimo l'omaggio iniziale a Carrie) e ovviamente il disperato Segal che cerca di salvare una famiglia destinata alla degenerazione.

Non manca la componente ematica, comunque, a dispetto del prologo, non preponderante. Livello apicale, da questo punto di vista, un crocifisso conficcato nell'occhio di un prete (il non esaltante Matteo Bosi).

Da segnalare infine le buone musiche di Marco Werba che, l'anno dopo, verrà selezionato da Dario Argento per il commento sonoro di Giallo. Ottimo esempio di cinema a basso costo.

Buona la versione DVD curata dalla Home Movies, una versione ricca di extra, seppur sprovvista di doppiaggio italiano (il film è stato recitato in inglese). Audio 2.0. Oltre le interviste del cast tecnico e artistico, desta curiosità l'inserimento di un cortometraggio degli esordi (e si vede) di Zuccon: Una Favola di Morte (1997). Vietato ai minori di anni 14.

Il regista, montatore e direttore della fotografia 
IVAN ZUCCON.

 

venerdì 27 ottobre 2023

Recensione Narrativa: I PRINCIPI DEL MARE di Andrea Gualchierotti.

Autore: Andrea Gualchierotti.
Anno: 2022.
Genere:  Fantastico sottogenere Sword and Sorcery.
Editore: Edizioni Il Ciliegio.
Pagine: 256.
Prezzo: 15.00 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.

Nemo propheta in patria ricorda una vecchia locuzione latina, eppure in Italia, a dispetto di quanto si voglia far credere con costanti critiche e atteggiamenti provinciali talvolta sorretti da invidie e cattiverie gratuite, vi è una vasta pletora di abili intessitori di trame oscure. Senza stare a chiamare in causa i numi tutelari che hanno portato in alto il tricolore fin dagli anni ottanta e novanta, penso ai vari Valerio Evangelisti, Gianfranco De Turris, Danilo Arona, Eraldo Baldini fino allo splatter di Paolo Di Orazio, è sotto gli occhi di tutti che nell'ultimo ventennio, probabilmente grazie allo sviluppo di internet e alla possibilità di intessere più agevolmente relazioni tra appassionati e addirittura tra aspiranti scrittori, vi sia stata un'importante proliferazione del fantastico italiano. Accanto a nomi riconosciuti anche a livello internazionale, quali Lucio Besana, Alessandro Manzetti (idolo, come ci ricorda un famoso ghost writer, non solo ai Bram Stoker Awards ma anche alla sagra del cicatiello) e Luigi Musolino (fresco finalista al World Fantasy Awards), ve ne sono altri pronti a varcare i confini nazionali (Ivo Torello, Cristiano Demicheli, Francesco Corigliano e persino Cristiano Saccoccia) con alle spalle una lunga sequela di potenziali crack, giusto per ricorrere al nostro tanto caro gergo ippico che, Massimiliano Allegri a parte, viene costantemente incompreso. Il romano classe 1978 Andrea Gualchierotti, di cui oggi facciamo conoscenza, appartiene a questo terzo gruppo di autori, avendo tutte le caratteristiche per potersi confrontare ad armi pari con i veri maestri del genere e quando dico “maestri” intendo quelli a caratura internazionale.

Legato a una narrativa che affonda le proprie tradizioni nel mito, Gualchierotti è un vero e proprio classicista, che guarda alla mitologia delle origini e, al tempo stesso, cerca di fondervi atmosfere ed elementi provenienti dal weird utilizzando ambientazioni mediterranee (da qui la definizione di “fantastico mediterraneo”). Evidenti sono i temi trattati dai suoi romanzi, con titoli quali Gli Eredi di Atlantide (2015), Le Guerre delle Piramidi (2017) e La Stirpe di Herakles (2019). Se già questo non bastasse a dimostrare la caratura, possiamo aggiungere il ruolo di vice direttore della rivista Hyperborea, quello di collaboratore della rivista trimestrale Dimensione Cosmica e di altri periodici, oltre a una serie di racconti “prestati” per antologie curate dal Maestro Gianfranco De Turris.

 
Il numero di Weird Tales, uscito nel novembre del 1932,
che ha ispirato la copertina del romanzo.
 

I Principi del Mare, edito nel 2022 dalla comasca Edizioni Il Ciliegio, è un tipico esempio della narrativa dell'autore.

Il romanzo prende le mosse laddove si chiudeva l'Odissea di Omero e lo fa con uno stile e una padronanza degna non solo di un cultore, ma di un professore. Gualchierotti attinge dal celebre poema alcuni personaggi secondari e ne introduce altri di totale invenzione. Plasma per tali vie una sorta di seguito dove, al posto di Ulisse (comunque presente), sale in cattedra un nuovo personaggio,  Alkas, in apparente contrapposizione al personaggio della tradizione. Eppure, tra i due, verra' a crearsi una sorta di sovrapposizione. Pur volendolo combattere e procedendo per un percorso inverso, Alkas matura la medesima esperienza del piu' famoso rivale vivendo sulla propria pelle un destino assimilabile.

La struttura segue uno sviluppo “episodico”, proponendo una serie di avventure aventi valenza di prove da superare per poter procedere oltre. Allontanato dal padre dalla terra di origine - così da proteggerlo da un pericolo imminente - Alkas peregrina nei territori ellenici seguito dall'ombra di Ulisse (personaggio di cui si percepisce la presenza e che si paleserà solo alla fine). L'eroe di Itaca è infatti tornato presso il suo regno, facendo scempio di coloro che, in qualche modo, hanno cercato di approfittare della sua assenza per conseguire vantaggi personali e prendere la mano dell'amata Penelope. Tra i caduti vi è il fratello di Alkas, erede al trono del regno di Dulichia. Proprio questo fatto (narrato dallo stesso Omero) è lo spunto da cui prende le mosse l'autore per costruire il suo “fantastico mediterraneo”. I Principi del Mare, sebbene nessun critico lo abbia scritto, è un romanzo di formazione a contenuto avventuroso e magico (“Poco era rimasto del giovane fuggiasco partito da Dulichia”). Attraverso un lessico estremamente curato e aulico (forse non adatto ai lettori che amano leggere le storie volgarizzate da dialoghi da bettole tipici di certi sottogeneri in voga ai tempi odierni), Gualchierotti riproduce il mondo omerico e lo miscela agli stilemi e agli archetipi di quel ramo del fantasy che il critico e scrittore Lyon Sprague de Camp ha ribattezzato sword & sorcery. La spada e la magia, infatti, sono al centro di questa opera, in cui fa la sua comparsa anche l'orrore. La violenza e le brutalità barbariche fanno spesso capolino, ma vengono sempre trattate senza compiacenza del macabro. Spedito nel regno dell'immaginaria Thyrreion (il cui nome, forse, arriva da Thyreon), Alkas dovrà fare i conti con dimostrazioni di forza muscolare, tradimenti, streghe, viaggi infernali in una dimensione ctonia, mostri marini riemersi dagli abissi (da qui la copertina, a sua volta ripresa e rielaborata da un numero di Weird Tales), indovini, sacrifici rituali umani, spiriti diabolici (Ecate e Tifone) e battaglie all'arma bianca, il tutto in vista di una vera e propria evoluzione spirituale che culminerà in un epilogo metaforico che allude a una vera e propria trasfigurazione eroica/trascendentale. Un finale degno di un vero eroe che, tuttavia, è pregno di tristezza e malinconia, poiché il prezzo da pagare ha comportato la perdita di coloro che si è amato e onorato e, al tempo stesso, ha consumato i sogni, le speranze e l'umanità dei superstiti che non hanno piu' motivo per calpestare le polveri del mondo terrestre.

Molti i momenti intrisi di quel sense of wonder che non dovrebbe mai mancare in certe narrazioni. Si va dallo scontro marino tra Alkas e un essere rettiliforme acquatico, passando per la lenta discesa in un Ade popolato da mostri vampirici fino alla sala degli specchi dell'indovino Golgos, dove è possibile vedere passato, presente e futuro.


I Principi del Mare è dunque un romanzo indicato a chi ama i classici, il mito greco (Gualchierotti dispensa citazioni) e la narrativa fantastica di inizio novecento, con qualche reminiscenza di autori quali Abraham Merrit e Roger Zelazny. Più che il pulp alla Robert E. Howard, infatti, è l'eleganza stilistica a spiccare e una malinconia tragica di fondo che non offre un ristoro eroico quanto, piuttosto, una sublimazione su una scala che sta al di sopra dei piaceri terrestri e che pretende il dolore, la sofferenza e l'oltranzismo bellico quali condizioni propedeutiche per l'elevazione. Un'ottica dunque che vede nell'ultimo viaggio verso la morte l'occasione per la conquista del nuovo mondo.

 
L'autore Andrea Gualchierotti.
 
"Una volta bevuto al calice dell'avventura e della morte, non si torna più indietro. "
 

martedì 24 ottobre 2023

Recensione Narrativa: IL PERICOLO di Dick Francis.

Autore: Dick Francis.
Titolo Originale: The Danger.
Anno: 1983.
Genere:  Poliziesco / Giallo.
Editore: Sperling & Kupfer (1988).
Pagine: 358.
Prezzo: Fuori catalogo.

Commento a cura di Matteo Mancini.

Torna su queste pagine, a distanza di oltre due anni, Dick Francis, fantino in ostacoli e scrittore particolarmente in auge negli anni ottanta e novanta (qua trovate, in una mia precedente recensione, la biografia dell'autore http://giurista81.blogspot.com/2021/05/recensione-narrativa-il-cattivo-perde.html). Il romanzo di quest'oggi, The Danger, è stato pubblicato nel 1983 e proposto in Italia a ridosso degli anni novanta dalla Sperling & Kupfer.

Francis concepisce il tutto come ipotetica unione di tre racconti aventi per protagonista Andrew Douglas, un consulente/detective al soldo di un'associazione di caratura intercontinentale (la Liberty Market) specializzata nella risoluzione dei sequestri di persona. La storia si dipana in tre stati. Si parte dall'Italia (Bologna), quindi si prosegue in Inghilterra e infine a Washington. La struttura, per rendere l'idea, è quella dei serial televisivi, con vari episodi tenuti uniti da un fil rouge che ha il suo collante in Andrew e la sua relazione platonica con Alessia Cenci, una jockette (e non un'amazzone come è erroneamente riportato dalla traduzione) che ha liberato dai sequestratori a inizio romanzo. Dopo aver risolto ogni singolo caso, Douglas torna a Londra dove, passati alcuni giorni di relax in cui aiuta Alessia Cenci a recuperare dalla sindrome post-traumatica da stress, attende un nuovo incarico dalla centrale operativa della società per cui lavora. Curiosamente si troverà coinvolto, di volta in volta, in quattro casi aventi tutti a oggetto rapimenti di soggetti legati al mondo delle corse dei cavalli. Il disegno criminale, come presto comprenderà, ha una matrice comune rappresentata da un elegante individuo, che nessuno ha visto di persona ma di cui Douglas ha fornito un possibile identikit, solito ingaggiare la manovalanza criminale locale per concretizzare i suoi piani criminali.

Il taglio del romanzo è, piuttosto che giallo, poliziesco. Douglas collabora con i carabinieri, quindi con la polizia inglese e infine con quella americana, in modo da mantenere segreta la propria identità e quella della Liberty Market (vera e propria forza occulta dietro la liberazione degli ostaggi). È un esperto di tecniche di indagine e soprattutto conosce la psicologia dei malviventi. Francis da dimostrazione di essersi documentato sull'argomento, probabilmente imboccato da un consulente. Cita persino il caso Moro e le Brigate Rosse, plasmando un soggetto all'epoca molto sentito ma oggi, in tutta verità e per fortuna, decisamente passato di moda.

L'analisi delle psicologie delle vittime dei rapimenti e dei parenti di queste è il punto di forza di un testo che procede, per il resto, a sbalzi. La tensione non è crescente, ma irregolare e spalmata in tutta la narrazione. Francis parte in quarta, proponendo un'azione di polizia che non fornisce i desiderati effetti, per seguire Andrew Douglas nelle sue azioni e nella sua capacità di indirizzo e di direzione delle indagini, ma anche nei suoi rapporti interpersonali extra professionali.

Pur non essendo, in tutta probabilità, uno dei migliori romanzi dello scrittore, The Danger si rivela quadrato e ben congegnato. Pecca, è vero, di didascalismo nel precisare con puntiglio i vari aspetti legati alla piaga dei rapimenti, tuttavia si rivela convincente persino nelle scene d'azione. Non mancano blitz militareschi, sparatorie, intercettazioni ambientali, messaggi telefonici minatori, richieste di denaro difficili da assolvere e rocambolesche fughe. C'è spazio anche per le corse dei cavalli, le visite a scuderia, gli allenamenti e per un epilogo a sorpresa che non sposta comunque il romanzo dalle parti del giallo. Rispetto ad altri lavori di Francis, il riferimento al mondo dell'ippica è indiretto e non strettamente connesso al soggetto che ben avrebbe potuto essere ambientato in altro contesto. Gradevole, ma nulla più.

 
L'autore Dick Francis.
 
"E' una gran bella cosa aggiustare le ali spezzate di un uccello. Ma poi, quando lo liberi, ti porta via il cuore. Lei non avrebbe avuto bisogno di me, lo avevo sempre saputo, una volta che la sua tempesta si fosse placata. Avrei potuto tentare di trasformare la sua dipendenza in una storia d'amore, ma sarebbe stato stupido: crudele per lei, insoddisfacente per me. Lei doveva piano piano rinascere alla sicurezza e alla sua indipendenza e io mi dovevo trovare una compagna forte e simile a me. Nè aggrapparsi né lasciare che l'altro si aggrappi sono un buon fondamento per la riuscita di un rapporto a lungo termine."

giovedì 19 ottobre 2023

Recensione Narrativa: LA LEGA DEI FALLITI di Bruno Majorano.

Autore: Bruno Majorano.
Anno: 2022.
Genere:  Sport / Commedia.
Editore: Homo Scrivens.
Pagine: 168.
Prezzo: 15.00 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.

Facciamo oggi la conoscenza di un “nuovo” editore per le pagine di questo blog. È la volta della napoletana Homo Scrivens, casa editrice indipendente estremamente interessante per gli appassionati di narrativa fantastica, grazie a un catalogo in cui sfolgorano nomi di maestri quali Gianfranco De Turris, Carmine Treanni, Max Gobbo, Luca Crovi, oltre che inediti di Edgar Rice Burroughs e Wilkie Collins per la prima volta tradotti in italiano.

Sono, al momento, sette i volumi di questo editore che sono presenti nella mia biblioteca (in un caso è presente anche un racconto dello scrivente) che, a poco a poco, presentero' e analizzero', contando anche di amplificare questo numero. Il libro di oggi non ha nulla a che fare col fantastico. La Lega dei Falliti, pubblicato nel 2022 dal giovane giornalista Bruno Majorano (redattore classe 1988 de Il Mattino di Napoli), è una cronaca sportiva - supportata da un mix di elementi autobiografici miscelati ad altri di fantasia - che segue le gesta annuali di un manipolo di ragazzi che ha deciso di prendere parte a un torneo di “calciotto”.

Majorano sceglie la via della commedia, con i suoi aneddoti sopra le righe e lo stile ampiamente scanzonato. Tra le tante bizzarrie si ricordano il gruppo di ragazze, appostate dietro la porta della squadra supportata, che alzano la maglietta mostrando la loro mercanzia per far fallire i giocatori avversari nei momenti topici della gara (un qualcosa del genere si è visto anche nel film Le Riserve). Memorabile anche il giocatore puzzolente, dall'evocativo soprannome di “Chernobyl”, che, con la sua scia nauseabonda, costringe gli attaccanti avversari a girare lontani dall'area di rigore e dunque a essere meno pericolosi. E, ancora, il padre scatenato che grida dalle tribune togliendosi giacca e cravatta o gli accompagnatori che gridano improbabili suggerimenti dalla panchina fornendo bottigliette dal misterioso contenuto rigenerante. Punto di forza sono dunque le caratterizzazioni dei personaggi, ognuno dei quali con un buffo nomignolo riconnesso a una loro particolarità di solito fisica o comportamentale (divertente “La Piaga”, una sorta di Crisantemi della Longobarda di Banfi). Si forma così la storia di un'armata Brancaleone che, da totale outsider, si scopre talmente competitiva da giungere in finale.

La nostalgia è il sentimento che spicca su tutto, allegria compresa. Il volume, che sembra esser stato scritto quale tributo di una giovinezza passata da anni e al tempo stesso quale inno di quell'amicizia che - nel giro di qualche anno - andrà sempre più a modificarsi in altro, guarda al pasato e rinverdisce i ricordi personali di quei lettori, coetanei dell'autore, che certi episodi li hanno vissuti in prima persona. Chi, tra gli appassionati di calcio nati negli anni ottanta, non ha preso parte a un torneo amatoriale di calcio a sette o calcio a cinque? Ne deriva la possibilità di rispecchiarsi nei tanti personaggi surreali che popolano le pagine, tra reti, papere, goliardate, fidanzate gelose, amori bramati e altri falliti, cene, viaggi ed esami universitari da superare. Un'epoca, forse la migliore nella vita di ogni uomo, in cui il futuro è ancora evanescente e in cui i sogni a occhi aperti consentono di affrontare la vita con una gioia e una carica che andranno presto a ridimensionarsi con le delusioni o i mancati riscontri della vita.

Lo stile è estremamente brioso, squisitamente “napoletano” per il suo modo di far colore e “caciara”. Come si potrebbe definire una squadra che va in campo col nome di “Lega dei Falliti” e le maglie sponsorizzate con la scritta “Rutto Libero”?

La Lega dei Falliti è dunque una lettura leggera, ironica, utile per passare qualche ora in distensione e rilassatezza. Poco importa se il finale non sarà quello atteso. Piacerà a chi ha disputato certi campionati amatoriali di calcio a sette o calcetto perché, pur raccontando di altri, consentirà la possibilità ai lettori di tornare indietro negli anni immedesimandosi nei panni dei bizzarri protagonisti.

Un'unica considerazione: i ragazzi che compongono la Lega dei Falliti sono presentati come degli improvvisati (molti arrivano da altri sport, qualcuno non ha mai giocato), ma in realtà, per vincere certi tornei, sono sempre stati necessari giocatori passati, quantomeno a livello giovanile, da squadre importanti. Parola di chi qualche torneo e campionato ha avuto la fortuna di vincerlo.


Ps: Majorano, a fine romanzo, suggerisce dieci libri da leggere di argomento sportivo. Mi permetto di suggerirne un undicesimo che, ne sono certo, piacerà senz'altro anche all'autore: Il Mister di Manlio Cancogni.

 

L'autore Bruno Majorano

Il calcio non è la metafora della vita. Ne è il riassunto.”

domenica 15 ottobre 2023

Recensione Narrativa: L'ANELLO AVANTI E I SERPENTI ALLE SPALLE

Autore: Daniele Scasseddu.
Anno: 2021.
Genere:  Azione / Poliziesco / Horror / Giallo.
Editore: Dream Book Edizioni.
Pagine: 240.
Prezzo: 15.00 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.

Secondo capitolo di un'ideale trilogia, che ruota attorno alle avventure del Vice Questore aggiunto Hima Terra, pubblicato dalla pisana Dream Book Edizioni. A presentarlo è l'amico (non solo di penna) Daniele Scasseddu, scrittore classe 1976 originario di Taranto, ma trapiantato in pianta stabile a Pisa dove svolgeva, prima della prematura scomparsa avvenuta nel novembre del 2022, l'attività di poliziotto presso la Questura di Pisa prima e successivamente presso la Polaria. Cultore di horror e di narrativa thriller, con particolare predilezione per Jeffrey Deaver (se non ricordo male), ho avuto il piacere di conoscerlo di persona parlando inizialmente di Cowens e Rideout (giocatori del Bari calcio degli anni '80) e poi di narrativa (fui io, indirettamente, a portarlo presso l'editore che poi lo avrebbe lanciato). Persona entusiasta, mossa da una sfrenata energia che gli conferiva linfa per presentarsi davanti a chiunque potesse aiutarlo a compiere il grande salto. Super promotore di sé stesso, arrivò a consegnare il suo primo romanzo a Matteo Salvini a termine di un comizio, oltre che a cercare di convincere (su mio assist) Lamberto Bava a ritornare a mettere mano alla macchina da presa prendendo di base un suo romanzo. Grande cultore del fascino femminile e di indole spiccatamente romantica, era mosso da un atteggiamento che lo portava a sognare a occhi aperti programmando in grande, senza valutare le difficoltà che, sovente, caratterizzano l'ambiente artistico. Giunto a scrivere in eta' già matura, ha potuto offrire ai suoi lettori solo due romanzi, sebbene ne avesse altri due in cantiere, uno dei quali molto articolato e di matrice fantastica legato a un aereo in volo con a bordo un numero di passeggeri destinati a fare i conti con un angelo/demone per decretare l'unico destinato a salvarsi dalla morte.

Preceduto da Hima (Dream Book, 2020), L'Anello Avanti e i Serpenti alle Spalle amplia una delle tematiche più care all'autore ovvero il mondo del dark web. Scasseddu si muove soprattutto dal film Hostel Parte 2 (2007) di Eli Roth, contaminandolo con elementi ripresi da Il Cartaio (2004) di Dario Argento, dal romanzo di Giorgio Faletti Io Uccido (2002) e dalla pellicola The Torturer (2005) di Lamberto Bava, ma anche da Resident Evil (2002) di Paul W. Anderson e dal film I Mercenari. Un mix che, al di là della traccia principale, offre spunti di riflessione ulteriori che sembrano sottendere un movente ben più ampio rispetto a quello sadico/lucrativo. Si fa infatti riferimento al finanziamento di un progetto (complottista) sanitario di controllo sociale che ruota attorno a una formula chimica in grado di influenzare l'RNA prodotto dalle cellule umane per installare, attraverso di somministrazione medica (vaccini?), una sorta di comando suicida da attivarsi a comando in caso di disottemperanza alle istruzioni dell'Organizzazione. Una tematica questa su cui, probabilmente, avrebbe dovuto giocare il terzo capitolo.

Come già si può intuire, i gialli di Scasseddu non sono “gialli” mainstream tradizionali e non sono neppure opere che mutuano il medesimo schema narrativo restando fedeli a una data formula collaudata. Si tratta invece di testi diversi tra loro che sposano meccanismi e sviluppi tipici del cinema hollywoodiano di genere. Non è un mistero, del resto, che l'autore - nella sua fiducia incondizionata - li abbia concepiti proprio in prospettiva di uno sbocco cinematografico/televisivo. Se Hima è un romanzo più incline a rispettare i canovacci del genere, con i suoi colpi di scena e un'indagine che segue i delitti di un serial killer, pur cercando di esaltare con descrizioni calibrate le vie e i luoghi più importanti della città di Pisa (in questo è un vero e proprio spot pubblicitario di promozione turistica), il secondo capitolo internazionalizza il contesto scenico e allarga il contenitore fino ad abbracciare generi molto lontani tra loro.

Tutto ha inizio con la scomparsa della figlia di un rinomato imprenditore di Taranto, una ragazza sparita nel nulla dopo una serata passata in un pub di Sofia. Da qui prende le mosse un intrigo internazionale, innescato da strani indizi rilevati sul web, che da Taranto e Pisa (le due città più care all'autore) si sposta fino in Bulgaria, arrivando a interessare la CIA. Un'associazione a delinquere di stampo internazionale con base a Veliko Tarnovo, la Cruciatus (dal latino “tortura”), organizza rapimenti e assassinii vendendo le esecuzioni a clienti, sparsi nel mondo, impegnati in aste dove si confrontano a suon di centinaia di migliaia di euro. “E' l'organizzazione criminale più ricercata a livello mondiale che vendeva filmati live di gore estremo accessibili solo a una ristretta cerchia di facoltosi.” Chi si aggiudica le sfide (anche a base di partite di poker) decide, interagendo con i boia, le modalità di tortura e le condotte che gli esecutori devono tenere al cospetto delle vittime designate.

Scasseddu gestisce il plot attraverso due filoni di indagini, apparentemente slegati, che vedono i vari protagonisti sovrapporre i propri ruoli per mettere le mani su Cruciatus. Si delinea per tale via una sorta di guerriglia che scopriremo essere intestina. Da una parte abbiamo un'indagine prettamente poliziesca, con contenuti canonici legati a truffe, furti ed estorsioni tipiche della vita comune, tanto da vedere coinvolti le figure istituzionali (questore, procuratore, poliziotti) e i riferimenti normativi (codice penale, codice di procedura penale, TULPS); dall'altra invece prende campo un vero e proprio blitz condotto da mercenari al soldo di diversi mandanti, con tanto di ex miliziani della Wagner Group, droni militari, daini spia robotizzati, elicotteri, sieri che amplificano il dolore e persino caccia di appoggio.

A muoversi sono svariati gruppi che, per ragioni diverse, si attivano per porre fine all'egemonia dell'organizzazione che domina il circuito del dark web. Polizia, investigatori privati, parenti delle vittime e concorrenti criminali si lanciano tutti, ognuno per conto proprio, nella crociata contro il male, ma attenzione... nei romanzi di Scasseddu non vi sono personaggi stereotipati tanto che la forza corruttrice del male arriva ovunque. Potremmo definire L'Anello Avanti e I Serpenti alle Spalle (citazione dal film Il Camorrista) un romanzo politicamente "scorretto", dove non vi sono né eroi integerrimi né antieroi che seguono ideali contro il sistema. Ognuno ha ragioni prettamente egoistiche, talvolta giustificabili talaltra non migliori dei criminali cui si da la caccia. I protagonisti di Scasseddu sono, a loro modo, viziati da mali oscuri, sia che siano affetti da disturbi nella sfera sessuale, sia che siano inficiti da turbe mentali oppure attratti dalla bramosia di potere. Le figure che dovrebbero ispirare la fiducia del cittadino vengono in ogni caso travolte, instillando un clima di incertezza che alla fine lascia smarriti i lettori. Dimenticatevi i vari Coliandro, Montalbano e altre figure centrali del giallo all'italiana di impronta letteraria. Nelle opere di Scasseddu, psichiatri, poliziotti, procuratori, questori e persino bambini sono portatori di un gene malato che conduce alla perversione e porta alla morte. Un'impostazione, questa, piuttosto atipica che personalizza il testo e gli conferisce un quid. Non siamo infatti alle prese con delinquenti comuni, piuttosto con soggetti che dovrebbero rappresentare la faccia del bene salvo sposare altri ideali.

In questo secondo capitolo, che può esser letto anche tralasciando la lettura del primo (di cui però vi sono chiari rimandi), si assiste a una vera e propria commistione di generi. Ne viene fuori un romanzo "multi-genere" a prevalenza action in cui convergono giallo, horror splatter, fantascienza, bellico, poliziesco, adventure, sentimentale e persino la poesia. Un coacervo di situazioni e di sviluppi che rendono il progetto non semplice da gestire, sebbene Scasseddu riesca a cadenzare e chiudere il lavoro in modo piuttosto egregio. Ne vien da sé la costruzione corale. I personaggi sono tanti, ma nonostante questo si opera un lodevole tentativo di caratterizzazione che, probabilmente (ad avviso di questo recensore), va oltre il necessario. Il romanzo, infatti, soffre di un'eccessiva caratterizzazione espressa per vie didascaliche. Anziché spalmare nella narrazione gli aspetti funzionali a delineare le psicologie, si sceglie la scorciatoia della descrizione introduttiva. Ecco che i momenti d'azione vengono interrotti da lunghe parantesi che sospendono la storia per rivelare al lettore il passato del personaggio che entra in gioco. Una scelta studiata a tavolino che, tuttavia, spezza il ritmo e fa pensare a quegli appunti che vengono richiesti, fuori testo, agli sceneggiatori per delineare il background dei personaggi così da agevolare gli attori a calarsi meglio nelle parti.

Altre parentesi, tra un capitolo e l'altro, sono rappresentate da una manciata di “frammenti dal dark web” ovvero inserti extreme horror messi in scena con piglio visivo e concessioni truculente. L'autore è molto bravo in queste descrizioni, soprattutto per come gestisce e cadenza le scene, mostrando i clienti di Cruciatus nell'atto di sublimare e contrastare le scene di violenza filtrate dai monitor con le loro tranquille attività giornaliere.

Tra le parti migliori del libro vi è anche la mattanza nel fiume infestato dai coccodrilli e il lungo assedio (vero cuore del romanzo) nei sotterranei del quartier generale della Cruciatus, un fortino protetto da un sistema di controllo computerizzato gestito da un'intelligenza artificiale che ricorda “La Regina Rossa” di Resident Evil.

La passione di Scasseddu si muove a trecentosessanta gradi, libera di regalare citazioni ai generi che più preferisce, quasi a voler dimostrare di essere un autore completo in grado di destreggiarsi in ogni contesto. Rispetto a Hima, quantomeno l'edizione da me letta (quella prima dell'arrivo presso la Dream Book), aumentano esponenzialmente la cura nei dettagli e il lavoro di ricerca. Scasseddu snocciola nomi e caratteristiche delle tante armi utilizzate, menziona nel dettaglio l'oggettistica militare, le tecnologie hardware e software, corredando il tutto con quaranta note a piè di pagina. Migliorano anche lo stile e la tecnica narrativa. Un po' come avvenuto per Hima, la costruzione delle frasi è più elaborata rispetto alla media dei gialli italiani contemporanei. Qui però, grazie al lavoro di revisione e consulenza offerto da Dream Book, i periodi non sono più ridondanti, diventano asciutti ed efficaci. Spariscono le ripetizioni, cala l'aggettivazione e soprattutto l'abuso negli avverbi. La pulizia lessicale ha fatto notevoli passi avanti, a dimostrazione di un processo di maturazione dell'autore ancora in evoluzione (purtroppo stroncato definitivamente nel suo sviluppo), soprattutto in fase di costruzione del soggetto (come spiegherò meglio in conclusione). All'autore piace colorare le frasi e regalare aforismi, impreziosendo il tutto con spruzzate di romanticismo (tipico di Daniele), talvolta smielato, che sembra quasi voler combattere contro la componente maligna che ammorba la narrazione. Momenti dolcissimi da romanzo rosa si alternano ad altri da extreme horror, con eviscerazioni, amputazioni di arti e persino abbozzi di stupri che vengono sospesi da promesse d'amore, baci e frasi poetiche. Non a caso molti personaggi sono interessati da storie sentimentali (aspetto questo che potrebbe far storcere il naso ai puristi del genere). Ciò che convince meno, ad avviso di questo recensore, è la volontà di ricercare a ogni costo l'epilogo a sorpresa. Se in Hima tale soluzione appare più giustificabile, qua sembra avere una matrice forzata soprattutto perché i colpi di scena diventano multipli. Ancora più inverosimile è la scelta di far confluire tutti i personaggi a Veliko Tarnovo, alcuni dei quali in modo ingiustificato (penso a Monica Kai e ai conviventi di Hima, sua figlia in prima battuta) tanto che, sebbene i fatti siano ambientati in Bulgaria, quasi tutti i protagonisti sono i poliziotti o professionisti di Pisa. Una limitazione e una coincidenza, quest'ultima, strumentale all'impianto giallo ma del tutto inverosimile.

L'Anello Avanti e i Serpenti alle Spalle è a ogni modo un romanzo d'intrattenimento ad ampio spettro di generi che, pur apparendo sovraffollato e con un concentramento di personaggi poco verosimile, riesce a tenere viva l'attenzione del lettore. Ideale per i cultori del sottogenere horror torture porn, ma anche per i cultori della narrativa d'azione. Più che un giallo stile "Gialli Mondadori" è un romanzo da "Segretissimo". 

 
L'autore Daniele Scasseddu, in compagnia (non visibile)
di un ispiratore del romanzo ovvero il regista di
THE TORTURER.
 
"A volte capitano cose che neppure il diavolo mette in conto, forse perché il male è talmente beffardo da essere l'unico a poter scherzare con sé stesso."