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venerdì 31 luglio 2020

Recensione Narrativa: X COME OCCHI di Laird Barron.



Autore: Laird Barron.
Titolo Originale: X's for Eyes.
Anno: 2015.
Genere: Modern Weird (fantascienza + weird + black humor + spy story + pulp tarantiniano).
Editore: Edizioni Hypnos, 2016.
Collana: Visioni.
Pagine: 96.
Prezzo: 8,90 euro.

A cura di Matteo Mancini.
Torniamo a presentare Laird Barron, giovane promessa del new weird già insignita di importanti attestati quali lo Shirley Jackson Award e il Bram Stoker Award e da noi analizzato in occasione della proposta della Mondadori del romanzo La Cerimonia (in precedenza pubblicato dalla Hypnos). Questa volta, lo scrittore che vive ai confini del mondo, nella glaciale Alaska, prende per mano i lettori per “proiettarli” ai confini dell'universo, dove un potente extraterrestre dalle forme impalpabili vive immobilizzato e annoiato, guardando all'uomo e i tanti mondi che costellano il buco nero che ci sovrasta alla stregua di uno scienziato che, tra uno sbadiglio e l'altro, spia dalla lente di un microscopio. Torna la tematica lovecraftiana, e prima ancora dunsaniana, dell'uomo zimbello di creature extraterrestri superiori proposte quali veri e unici Dei del creato che nutrono ben pochi interessi verso l'uomo. Più che ancora nel precedente romanzo, l'asso dell'Alaska plasma il mondo weird delle origini, chiamando in causa anche Azathoth (mitica divinità del pantheon lovecraftiano), perché così viene chiamato impropriamente l'essere spaziale dal momento che “ama Lovecraft e ci esplora attraverso le distorte narrazioni dell'autore.” Il fine viene tuttavia perseguito con uno sviluppo tutt'altro che lineare, ma soprattutto con caratterizzazioni e personaggi del tutto fuori dalle righe. Ne emerge uno stile piuttosto intricato, che richiede almeno due letture per poter cercare di incasellare tutti i riquadri del grande puzzle ideato dalla magia della penna. Inoltre il tutto è intriso di un'ironia che va ben oltre il grottesco, sconfinando in un black humor difficilmente dimenticabile

X's for Eyes, tradotto dalla Hypnos “X Come Occhi”, è un romanzo di anti-formazione, se mi concedete l'espressione, che vede due fratelli figli di papà, di dodici e quattordici anni (e mezzo, ci tengono a precisare), comportarsi alla maniera di due quarantenni tamarri: guidano una spider, tracannano scotch, fumano Old Gold, si muovono con al seguito il fucile da caccia del padre e si “ingroppano” prostitute del night, ma non solo... anziché andare a scuola come tutti i ragazzini classe 1942 (anno di nascita del più grande), frequentano i corsi che un tale Sifu Kung Fan, chiamato col poco rassicurante soprannome de “La Morte dai Mille Tagli” (sorta del derivativo tarantiniano Pai Mei), tiene in Himalaya presso “Il Tempio del Leopardo delle Nevi”, sorta di organizzazione che richiama “La Tana delle Tigri” del cartoons giapponese. Qui “un allievo su tre finiva per soccombere, spesso con dipartita favolosamente orribile”. “Sifu Kung Fan è uno dei più turpi e malvagi disgraziati che abbia mai calpestato il suolo di questo pianeta” si dice. Un sorta di X's for Mister, passatemi la battuta. I suoi corsi prevedono “ginnastica sopra voragini senza fondo; istruzioni in metodi avanzati di avvelenamento che includono l'essere avvelenati; sotterfugi da maestro che comprendono tentativi di assassinio nei confronti degli allievi”, il tutto in un clima polare in cui la fame strizza le budella, gli scontri sono all'ultimo sangue e le torte di riso sono presentate con un lieve e dolce strato di curaro a velo.

«Plissken, che cosa stai facendo?»
Il citazionista LAIRD BARRON.

Capite già da questo quanto il gusto per le contaminazioni di Barron sia qua espresso alla massima potenza. Eppure non basta... perché il "nostro", al weird e al pulp tarantiniano, aggiunge una sorta di cyberpunk ante litteram (con omaggi anche a Terminator, La Mosca e Johnny Mnemonic) innestato su una fantascienza impossibile (dato che la storia è ambientata nel 1956) fatta di sonde spaziali programmate per fare un giro di diciotto mesi attorno a Plutone e ritorno, frammenti di memoria hardware che si fondono alla carne umana, guerre corporative tra multinazionali che si spiano a vicenda, organizzazioni di invasati religiosi che inneggiano verso il mistero stellare, computer che modulano il loro linguaggio in parola e si esprimono verso i protagonisti trovando soluzioni alla maniera di Kitt in Supercar... E poi sparatorie, sangue a ettolitri, carrellate di morti, inseguimenti aerei in contesti scenografici mozzafiato (siti neolitici) e fughe in profondità artiche, in cui si piomba avvinghiati dentro un bob sparato in cunicoli alla maniera dell'introduzione sul campo di battaglia dei concorrenti de L'Implacabile - Running Man, dove affiorano portali alieni protetti da energia extraterrestre, con sovietici e americani che si contendono la scoperta venendo beffati dai due fratellini terribili. Sono i due "cazzari", in mezzo a dottori, scienziati, militari e sapienti, a perforare il campo magnetico, grazie ad alcune “sillabe profane” di origine aliena, comunicate attraverso "il tempo del sogno" (una tecnica che potenzia il subcosciente che costituisce, a sua volta, una porta per l'infinito), che provocano l'esplosione delle teste di chi le ascolta (Cronenberg docet).

Insomma, un gran bel polpettone che Barron riesce a portare a casa con una spiccata dose di esperienza e un sapiente mestiere nel condensare un materiale che avrebbe potuto debordare in un romanzo interminabile. Cinema, narrativa weird e persino poesia, con i continui rimandi a The Emperor of Ice-Cream pubblicato nel 1922 da Wallace Stevens, si miscelano tra loro in un “anda e rianda” esilarante, in cui niente si prende sul serio, persino il tempo e lo spazio, e che, eppure, regala alcuni capitoli degni del weird delle origini (penso a La Casa sull'Abisso di Hodgson) e induce a pensare, in chiave metaforica, a una realtà assai più orribile di quella che potrebbe sembrare.
Un sole nero dominava l'orizzonte sopra i monti appuntiti come spine. Il suo disco ingoiava un buon terzo del cielo. Un ribollente tremolio di fiamme illuminava l'orlo della circonferenza. Ciò che restava della volta celeste fuggiva via incurvandosi in un nero senza stelle, fra screziature rosa dello stesso colore dei capezzoli di una regina del burlesque che gli era capitato di conoscere...” questo lo scenario che si para davanti a uno dei due protagonisti, nel momento in cui si trova proiettato nello spazio, su un mondo al di là in cui viene inseguito dai tanti profili deformi del suo stesso essere ("sono il flagello della tua esistenza"), mentre dall'alto il Dio dell'universo lo scruta e gli parla, alla maniera di un demone che propone accordi di natura faustiana. 

X Come Occhi, pubblicato nel 2015 e subito edito, sul finire del 2016, da Hypnos, si presenta quindi quale novella di formazione o, meglio ancora, quale iniziazione all'alta società di una coppia di figli di papà che scoprono, attraverso una serie di assurde avventure, le nefandezze della propria famiglia e come questa sia riuscita a tenersi al vertice delle politiche mondiali. Spettacolare la parte con tutti gli ascendenti di famiglia che popolano, con le loro teste staccate dai corpi, “il cratere sul monte dell'inferno” tra arpie, ciclopi, streghe e atti di cannibalismo rituale.

Prova dunque superata per Laird Barron. X Come Occhi, pur presentando qualche errore di battuta (egregio comunque il lavoro, tutt'altro che semplice, di traduzione e adattamento firmato Andrea Bonazzi), è la miglior novella inclusa nella collana Visioni, forse quella a cui più si adatta l'espressione di modern weird. Storia folle che prende le mosse dalle origini del genere, modernizza il taglio pulp aggiornandolo ai cliché del duemila e va a toccare, con ilarità e uno scatenato stile orientato al grottesco, tematiche tutt'altro che fantascientifiche e che regolano i rapporti di vita comune, proponendo ancora una volta quell'immagine lingottiana (Thomas Ligotti è un autore di cui Barron costituisce ideale prosecuzione) di uomo (o meglio politico) burattino di entità superiori che, tra organizzazione segrete e multinazionali di ogni sorta, manovrano il tutto nell'ombra e nell'anonimato più assoluto.

La copertina americana del romanzo.

"I mortali esistono nel nostro dominio come coscienza fornita di sostanza. I sogni danno l'illusione della carne; i vostri corpi fisici sono stati distrutti istantaneamente dallo ziqqurat. Da particelle infinite, voi verrete rigenerati."

mercoledì 8 luglio 2020

Recensione Narrativa: I RACCONTI DELLA BESTIA di Aleister Crowley



Autore: Aleister Crowley.
Curatori: Jacopo Corazza & Gianluca Venditti.
Anno: 2019.
Genere: Antologia horror.
Editore: Edizioni Arcoiris.
Collana: La Biblioteca di Lovecraft.
Pagine: 146.
Prezzo: 13,00 euro.

A cura di Matteo Mancini.
Volume destinato a diventare una punta della collana La Biblioteca di Lovecraft per le Edizioni Arcoiris di Salerno, ma soprattutto per il duo fiorentino composto da Gianluca Venditti e Jacopo Corazza che ne sono i curatori e ideatori. Erano decenni che si attendeva una proposta del Crowley narratore di racconti brevi. Nel mio piccolo avevo cercato di incentivare un'opera del genere, vedendovi in prima battuta un doveroso tributo a una figura che, al di là delle provocazioni e dei suoi vezzi discutibili, è da ritenersi una pietra miliare nell'ambito della narrativa fantastica ed esoterica, e, in seconda battuta, intuendo una presa sotto il profilo commerciale non certo da trascurare. Purtroppo, vittima di un ingiustificato ostracismo, "la grande bestia", come amava autodefinirsi, non era mai stato tradotto in Italia, se si eccettuano due racconti proposti - in anticipo di alcuni mesi rispetto al volume dell'Arcoiris - dalla Hypnos, il romanzo La Figlia della Luna edito nel 2005 dalla Arktos e, ovviamente, i testi più impegnati di magia (Magick su tutti).
Dunque questo recensore non può che lodare oltremisura l'iniziativa della casa editrice di Salerno che viene così, seppur parzialmente, a coprire una falla che non aveva motivo di esistere.

Esoterista, scalatatore di montagne, scrittore, poeta, pittore, agente segreto di sua maestrà britannica, inventore di un nuovo credo, affiliato a ordini massonici (prima tra tutti la Golden Dawn), operatore di magia rossa, questo e altro era Aleister Crowley, vera e propria icona maledetta del novecento. Personaggio capace di ispirare romanzi e opere di maestri della letteratura mondiale quali Maugham, Hemingway, Pessoa, oltre che diventare un mito per l'hard rock e l'heavy metal, al centro di capolavori firmati Led Zeppelin, Iron Maiden e Ozzy Osbourne (che a lui dedicherà il celebre pezzo Mr. Crowley), nonché della cinematografia.
Perché allora un personaggio di tale caratura è stato così bistrattato nella nostra penisola? Verrebbe da dire per bigottismo e per l'incapacità di scindere l'uomo dall'artista o comunque dall'operatore di magia, spesso e volentieri associata (a torto) col satanismo. Crowley è stato un seccente, uno squallido opportunista che usava le donne per piaceri sessuali, dilapidatore di capitali, personaggio indesiderato da stati esteri (fu cacciato dall'Italia), cocainomane, implicato in operazioni sempre ai limiti del lecito dove talvolta si sono pure verificate morti sospette, nonché provocatore e organizzatore di scherzi prossimi al procurato allarme. Insomma, Aleister Crowley era un qualcuno a cui piaceva attirarsi le attenzioni e che sapeva calamitare l'opinione pubblica in ossequio al motto per cui non importa che se ne parli bene o male, purché se ne parli.

Quanto sopra non interessa e non deve interessare, se non per tracciarne un profilo, a uno studioso o a un appassionato di narrativa. I Racconti della Bestia è una raccolta non ufficiale, realizzata, pescando tra i circa sessanta racconti dell'autore, dai curatori in funzione del loro gusto personale. Il volume dimostra a chiare note le qualità narrative, clamorosamente sottostimate, dell'autore. I dieci racconti presentati, molti dei quali pubblicati postumi, evidenziano un'illuminata capacità nel costruire un'atmosfera allucinata ed estraniante, spesso prevalente sull'intreccio. Luca Baldoni, traduttore dei racconti, ha dovuto metterci del suo per rappresentare la verietà lessicale inseguita dall'autore. Prosa prossima alla poesia, linguaggio ricercato e frasi brevi e secche costituiscono il marchio di fabbrica di Crowley. Salvo un paio di eccezioni, i racconti sono fulminei, piccoli quadri resi dinamici dall'arte della parola. Ne emerge la visione di un Crowley sadico, contraddistinto da un'ironia macabra tendente al black humor. Spicca anche l'innegabile componente narcisistica che lo caratterizzava, ne è un esempio l'ottimo At The Fork of The Roads (Al Bivio, 1909), in cui Crowley beffeggia un personaggio che rimanda al Premio Nobel per la letteratura William Butler Yeats, suo antagonista per la direzione della Golden Dawn. Crowley, non senza arroganza (che però fa simpatia, concedetemi di spezzare questa lancia in suo favore, data l'importanza monumentale del personaggio attaccato), parla di "poetastro, mago dilettante" affetto da una "cupa gelosia per un uomo più giovane e di gran lunga miglior poeta." Come si fa a non trattenere il sorriso di fronte a tanto ardimento, coraggio e intraprendenza? Il confronto tra Yeats e Crowley, ovviamente, è tutto in favore dell'irlandese, eppure il magus dimostra di non essere uno sprovveduto. Il Bivio, pur nella sua pomposità, è un autentico gioiello che tratta di magia nera con punte di un sadismo che sconfinano nella necrofilia e nello splatter. La parte terminale del racconto è eccezionale e di spaventosa presa onirica. Spiriti ectoplasmatici, fatture e contro fatture sono al centro del narrato. Sempre sulla magia nera, con un'evocazione satanica stimolata dal sapiente pizzicare delle corde di un violino, è The Violinist (La Violinista, 1910). Testo criptico che giunge alle porte dell'ipnotismo, carico di rilievi simbolici non di facile presa. Una donna, sembra l'amante di Crowley, evoca un succubo suonando davanti a un grande pannello a mosaico formato da quadranti su cui sono riportate lettere di una lingua sconosciuta, così da formare una partitura impossibile per la mente umana.
Legato a un orrore più convenzionale, eppur intriso di un sadismo compiaciuto e di una blasfemia di fondo che rimanda al Cristo, è The Vixen (La Volpe, 1911), storia di una licantropia molto particolare che si innesta in una competizione tra due donne che pretendono di conquistare l'amore del medesimo uomo.
Piomba nella crudeltà più profonda l'atmosferico A Masque (In Maschera, 2010), racconto riscoperto nel 2010, in cui la magia e il romanticismo di un amore in riva al mare si trasformano nel più bieco degli omicidi. Un essere mostruoso, un nano peloso, irrompe nella casa della donna che lo ama, una creatura di fascino quasi mariano, per attendere la nascita del proprio figlio, così da "tirargli il collo come una gallina e gettarlo contro il muro." Non avrà miglior sorte l'amata, penetrata da una coltellata nel ventre, mentre il crocifisso appeso al muro cade a terra nel segno della sconfitta del Dio dei cieli. Il racconto fa da contraltare al romantico The Color of my Eyes (Il Colore dei Miei Occhi, 2010) sorta di fantasy in cui Dio disquisisce con l'arcangelo Sandalfon i misteri della creazione.

Se i cinque racconti sopra menzionati sono forse i più interessanti per la capacità di scioccare il lettore e di colpirlo allo stomaco o, anche, di impressionarlo per il sense of wonder, rientrano in schemi più classici e prossimi al giallo The Face (La Faccia, 1920) e Robbing Miss Horniman (Il Furto della Signorina Horniman, 1918). Nel primo dei due racconti, il più riuscito ed elegante, un medico cinese offeso per esser reputato di razza inferiore rispetto a quella europea, e dunque inadatto a sposare una ragazza scozzese che ha preso una cotta (corrisposta) per lui, organizza una tremenda vendetta inducendo i suoi calunniatori a ucciderlo sotto ipnosi, così da macchiarli a vita quale corrispettivo della offesa ricevuta. Questo perché un cinese "deve salvare la faccia anche a costo della morte, ma si rifiuta di ferire gli altri." L'altro racconto è una macchinosa avventura, all'insegna dell'astuzia, ordita da più soggetti in contemporanea per sottrarre una collezione di diamanti a una donna inferma.

Gli altri tre racconti appaiono più allucinati, ma dimostrano la verve di un poeta del macabro. Illusion d'Amoreux (1909) è la delirante invocazione di una donna che pretende di copulare con un Dio nero che la condurrà all'annichilimento. The Soul Hunter (Il Cacciatore di Anime, 1910) è il pazzesco diario di un mad doctor che compie sperimentazioni sadiche su una cavia umana allo scopo di sottrarne l'anima e capirne la natura.Which Things are an Allegory (Queste Cose sono un'Allegoria, 1990) è una critica alla società inglese che intende mostrare su uno stesso piano personaggi squallidi e quelli considerati autorevoli per dire che, alla fine, siamo tutti uguali.

Tutto questo fa de I Racconti della Bestia una delle uscite più attese e degne di menzione tra tutte quelle pubblicate dall'editoria del fantastico tra il 2019 e il 2020, portando i riflettori degli appassionati sui cataloghi, ancora in formazione, de La Biblioteca di Lovecraft.
Un ultimo cenno per l'edizione, che predilige la velocità e il formato tascabile ai volumi Mammut. Raffigurazioni interne e una quarta di copertina assai ispirata amplificano le sensazioni positive. Manca forse un'analisi sull'autore in premessa, ma su questo si può ovviare ricorrendo ad altri testi. Si spera che il connubio Crowley-La Biblioteca di Lovecraft possa continunare, magari con la proposizione in italiano delle avventure dell'indagatore dell'occulto dell'autore ossia Simon Iff.

Volume da avere in biblioteca e destinato a divenire oggetto da collezionisti.

ALEISTER CROWLEY

"L'anima non è che una parola, una parola vana - un campo di battaglia per gli stolti filosofi, gli stolti teologi. Un giocattolo. Ma la consapevolezza? E' questo che intendiamo quando diciamo anima, noi altri. Nel dopo dobbiamo ben vivere da qualche parte. Ma è forse, come pensava Descartes, atomica? Oppure fluida, ora qui, ora là? O è solo una parola per la totalità della sensibilità corporea? Come supponeva Weir Mitchell. Bene, vedremo."




martedì 7 luglio 2020

Recensione Narrativa: IL GIGLIO NERO a cura di Jacopo Corazza & Gianluca Venditti



Autore: AA.VV.
Curatori: Jacopo Corazza & Gianluca Venditti.
Anno: 2020.
Genere: Narrativa Nera.
Editore: Edizioni Arcoiris.
Collana: La Biblioteca di Lovecraft.
Pagine: 160.
Prezzo: 13,00 euro.

A cura di Matteo Mancini.
Terzo numero della collana La Biblioteca di Lovecraft, progetto nato nel settembre del 2019, per il volere dei fiorentini Jacopo Corazza - noto DJ ed esperto di musica rock - e Gianluca Venditti, confluito poi nei cataloghi della salernitana Edizioni Arcoiris. Un'idea che ha portato, in quella che appare al momento una rigogliosa rinascita dell'editoria weird, al formarsi di un nuovo gruppo di appassionati/esperti intenzionati a sdoganare in Italia il fantastico d'autore con una filosofia orientata a guardare all'intero parco di potenziali acquirenti. La collana, infatti, si struttura in modo da proporre volumi destinati a un pubblico di neofiti e incentrati su quei racconti elogiati da Lovecraft, nel suo Supernatural Horror in Literature (1927), e, al tempo stesso, a riscoprire testi per un pubblico di nicchia finiti nel dimenticatoio o mai tradotti in italiano. Proprio in questa seconda chiave di lettura, sul finire del 2019, La Biblioteca di Lovecraft ha proposto la prima antologia italiana interamente dedicata ai racconti di Aleister Crowley, l'esoterista nero passato alla storia quale satanista più famoso del novecento. I Racconti della Bestia, questo il titolo dell'antologia (presto recensiremo il volume), è stato un atteso successo che ha acceso l'entusiasmo dell'editore e dei due personaggi alla base del progetto, così da far andare in cantiere altri quattro progetti al momento in attesa di pubblicazione ma già reclamizzati (uno dei quali dedicato alla narrativa consigliata da Lovecraft).

Il Giglio Nero è una raccolta di sei racconti, che potremmo definire macabri (piuttosto che weird o horror) per rendere più omogena la definizone, aventi valenza di tributo reso dai due curatori alla loro città del cuore: Firenze. "La terza uscita rappresenta un nostro umile quanto sentito omaggio alla nostra terra" confessano i curatori. Idea dunque carina, piuttosto originale e di sicura presa sul mercato locale, ma non solo in riferimento a esso. Corazza e Venditti, infatti, propongono due inediti affiancati ad altri quattro racconti assenti da un po' di tempo nelle antologie collettive messe in commercio dalle major. Inoltre, a due mostri sacri quali Horace Walpole e il "nostro" Luigi Capuana, vengono presentati autori non troppo reclamizzati neppure nell'ambito dei lettori di nicchia. Vengono infatti ripescati i vari Marghanita Laski, Wilhelm Hauff, Fergus Hume e Pearl Norton Swet.
Veste grafica elegantissima, col suo formato tascabile coloratissimo e denso di raffigurazioni e appendici utili a ricostruire il contesto storico degli elaborati via via proposti, l'antologia convince anche per la presentazione dei contenuti. Le traduzioni, tutte inedite e ben curate da un lotto di quattro traduttori, tra i quali lo stesso Gianluca Venditti, sono di grande qualità. Briose, mai pesanti, orientate a svecchiare testi risalenti all'ottocento o alla prima parte del novecento tanto da farli sembrare contemporanei. Ecco che Il Giglio Nero, pur nel suo essere legato a una narrativa classica del tempo che fu, si presta quale ideale libro da ombrellone. Poco impegnativo, di veloce lettura, scorre via fluido, calando storie truculente e cupe in territori insoliti per la natura degli scrittori. Così diviene estremamente curioso trovare Horace Walpole, il cosiddetto fondatore del romanzo gotico col suo Il Castello di Otranto (1764), impegnato a narrare la storia di un amore impossibile e tragico tra due giovani fiorentini, in quel di Pisa, durante la rivolta dei pisani, a fine 1400, incentivata dalla discesa in Italia di Carlo VIII di Valois. Il suo Maddalena or the Fate of Florentines (Maddalena o Il Destino dei Fiorentini, 1826), una vera e propria caccia all'uomo ai danni dei fiorentini (si noti che nel testo le scuole di Pisa e Firenze vengono elogiate da Walpole quali famose in tutta Europa), è un racconto postumo che, in precedenza, era stato pubblicato dalle Edizioni Tracce in un'antologia di nicchia intitolata Amori e Rovine. Racconti gotici dei maestri del genere (2000). Più che un testo gotico, si tratta di una storia romantica, dai risvolti tragici, incastonata in un clima di guerre sanguinolente, con arti squarciati a colpi di spada e volti insanguinati che lordano chiome e volti rendendoli irriconoscibili. A convincere, tuttavia, è il contesto storico-geografico che trasforma il tutto in un racconto "in costume" che ricostruisce un'epoca sepolta dal tempo e ricolloca Pisa al centro della nascita del romanzo gotico, come dimostrano anche il racconto Il Vampiro (1819) di John Polidori (origini pisane per via paterna) e il romanzo Frankenstein (1818) scritto da Mary Shelley ispirandosi agli esperimenti di un dottore pisano (Vaccà Berlinghieri). Il racconto chiude l'antologia per quello che è un vero e proprio testacoda guardando ai rapporti con Pisa (che di palle nel proprio stemma ne ha il doppio rispetto a quello dei Medici, concedetemi la precisazione). Tutto, di fatti, aveva preso le mosse con un racconto inedito in italiano intitolato The Tower (La Torre, 1955). Nulla a che fare con il mitico campanile di Piazza dei Miracoli, ma comunque una torre (chiamata del Sacrificio) anch'essa pendente, collocata alle porte di Firenze e, per giunta, realizzata da un artista in odore di magia nera (Niccolò di Ferramano). L'autrice, poco tradotta nella nostra landa, costruisce il testo più claustrofobico della collezione, tutto giocato sulle emozioni della protagonista e sulla sua paura del vuoto e del buio. Racconto allusivo, suggerisce un epilogo tragico ma lo lascia intendere solo al lettore più attento. Purtroppo l'elaborato prende le mosse da una premessa poco verosimile, che funge quale forzatura su cui costruire il resto. La protagonista, infatti, pensa bene di sfidare i 470 scalini che si inerpicano all'interno della torre quando ormai il sole sta per tramontare. Risultato finale? Semplice, si troverà a discendere nell'oscurità più pesta, perdendo punti di riferimento e sanità mentale.

E' invece ambientato, tra le altre location europee (Francia e Turchia), nel cuore di Firenze Die Geschichte von der Abgehauenen Hand (La Mano Mozzata, 1826) del teutonico Wilhelm Hauff. Elaborato proposto anche dalla Mondadori nel 1993, è un elegante giallo grandguignol dalla magica atmosfera. Un mercante turco, conosciuto anche quale medico, viene indotto in errore da un misterioso individuo, che vaga con un maestoso e sfarzoso mantello rosso nel cuore della città, a decapitare, dietro lauto compenso, una ragazza già deceduta o quantomeno così viene presentata all'uomo. Il racconto di Hauff è probabilmente il più interessante del lotto per quanto riguarda le valenze intrinseche, col suo epilogo moralizzante, sebbene mitigato da un finale che rende giustizia al protagonista, in cui si punisce quell'avidità dell'uomo che esorcizza ogni forma di ragionamento e rende cieca la vista.

Di caratura addirittura superiore La Redenzione dei Capilavori (1900) di Luigi Capuana, l'unico testo dotato di sense of wonder della collezione. Elaborato breve, ma sufficiente a brillare quale gustoso gioiello nell'orificeria di Venditti e Corazza. Si tratta di uno dei racconti più antologizzati dell'autore, sebbene assente da circa venti anni nelle varie novità editoriali. Costruito sull'idea che l'artista possa dotare le proprie opere di un seme germinale da cui soggetti particolarmente dotati possano, attraverso il magnetismo, conferire vita a quanto immortalato, La Redenzione dei Capilavori guarda in chiave originale alla produzione di Poe, E.T.A. Hoffmann e Oscar Wilde (l'epilogo è un omaggio al coevo Il Ritratto di Dorian Gray). Capuana però non si ferma a questo, ma colora il tutto con una presa di distanza dal materialismo scientifico e dall'incapacità dell'uomo pragmatico di sognare. "Più la scienza va avanti più diviene ignoranza... Ogni mistero schiarito ce ne mette subito innanzi parecchi altri e maggiori." Interessante l'idea che l'opera d'arte sia dotata di una scintilla vitale assimilabile a quella infusa da Dio nella creatura di fango dallo stesso plasmata. "Il pensiero umano, creando un'opera d'arte, non poteva agire diversamente dal pensiero divino che agisce nella natura.  Si trattava dell'identica forza creatrice con la sola differenza che il pensiero divino opera nella natura direttamente e indirettamente, per mezzo dell'umano organismo, nell'opera d'arte." Da qui arriva la provocazione (ma è anche una metafora che sottolinea l'immortalità del capolavoro che sopravvive al suo autore e alle generazioni che ne seguono) secondo la quale "tra quattro o cinque secoli, i veri capilavori di pittura e di scultura non esisteranno più, cioè non staranno più chiusi nelle gallerie, ma andranno attorno per il mondo, vivi, immortali e genereranno altri esseri, immortali al pari di loro." Il legame con Firenze qua è molto sottile, rispetto alle precedenti opere, ed è costituito dal quadro oggetto degli esperimenti, rubato dalla Galleria degli Uffizi.
Sulla stessa linea, ma meno interessanti, sono i restanti due racconti, entrambi incentrati su oggetti provenienti dalle famiglie fiorentine finiti, per diverse vie, in giro per l'Europa. In Hagar of the Pawnshop (Il Crocifisso, 1898), capitolo di un romanzo più ampio di Fergus Hume, un crocifisso racchiude al suo interno un pugnale che permette, senza destare sospetti, al suo possessore di vendicarsi della moglie e dell'amante della stessa proprio come successo in passato a Firenze al creatore dell'oggetto. Più orientato al fantastico, sebbene prevedibile in ogni suo sviluppo, The Medici Boots (Le Scarpette dei Medici, 1936) di Pearl Norton Swet, addirittura pubblicato a suo tempo su Weird Tales. Delle scarpette da collezione sono lo strumento attraverso il quale si diffonde una maledizione che spinge all'omicidio chiunque le calzi. Non si sottrarrà alla maledizione la giovane che cadrà nella tentazione di provarle.

Questo il contenuto de Il Giglio Nero, un'antologia interessante che propone Firenze e anche Pisa in un'ottica diversa da quanto siamo abituati a vederle ai giorni nostri e sparge un pizzico di mystery e granguignol che non sdubbia mai quando siamo alle prese con la narrativa nera. Pollice alzato.

Uno dei due curatori:
JACOPO CORAZZA.

"I toscani non credono se non nella realtà, specie in quella realtà, assai più reale e vera di quella fisica, che è lo spettro della realtà; tutta la vita terrena non è che lo spettro di quella infernale: la terra è popolata di spettri d'alberi, di monti, di uomini, di animali; ma i toscani sono i soli che abbian occhi per vederli." (da Maledetti Toscani, Curzio Malaparte).