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mercoledì 28 dicembre 2022

Recensione Narrativa: I RACCONTI DI DAGON di AA.VV.


Curatore: Piero Guarriello.
Introduzione: Fabio Calabrese.
Anno: 2018.
Genere:  Antologia AA.VV. Weird.
Editore: Dagon Press.
Pagine: 260.
Prezzo: 16.90 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.

Antologia da collezione per i cultori delle opere che proseguono nel solco tracciato dal Solitario di Providence. L'esperto Pietro Guarriello, deus ex machina della rivista Studi Lovecraftiani, raduna in anticipo sul Maestro Gianfranco De Turris (che proporrà qualcosa del genere un paio di anni dopo, in un'antologia formata da due volumi in cui avrò io stesso l'onore di esser presente) un lotto molto variegato e qualitativo di autori per allestire un progetto antologico dedicato al cosiddetto Cosmic Horror. I Racconti di Dagon infatti, a distanza di quasi trent'anni, da seguito alla raccolta Gli Eredi di Cthulhu (Solfanelli, 1990) a cura di Gianfranco De Turris, da cui arrivano alcuni autori con altri che ritroveremo nel successivo Il Ritorno dei Grandi Antichi (Delos, 2020).

Pur essendo un'edizione indipendente, uscita per la casa editrice Dagon Press, siamo alle prese con un lavoro ottimo sotto ogni versante che avrebbe meritato maggiore visibilità. I testi sono curati e ben editati nonché corredati da illustrazioni che accrescono la proposta. Guarriello schiera diversi autori che costituiscono la serie A del fantastico, con molteplici vincitori del Premio Italia, diluendoli con emergenti che si faranno valere nel corso degli anni, saggistici in versione narratori, nomi noti del circuito delle fanzine e persino un racconto di un ghost writer di cui non si conosce l'identità. Nessuno dei proposti è un debuttante o un autore da considerarsi uno scrittore della domenica. L'antologia in questione ha infatti natura di testo vero, sebbene molti scrittori siano di nicchia e per lo più sconosciuti al pubblico degli appassionati.

Il livello è estremamente omogeneo, con qualità piuttosto costante e rari casi di storie non riuscite. Manca un po' l'originalità, inoltre il gusto è un po' troppo derivativo, ma questo è un limite pressoché difficile da superare per un volume celebrativo dell'arte di uno scrittore caratterizzante quale H.P. Lovecraft.

Fabio Calabrese, di cui purtroppo manca un contributo letterario, introduce bene l'argomento e presenta, uno a uno, i vari racconti.

Se le antologie, sovente, sono caratterizzate da alti e bassi, qua si stenta a trovare racconti che surclassano gli altri, con solo un paio di storie deludenti. Tra i Maestri si annoverano le presenze di Donato Altomare, Errico Passaro, Nicola Verde, Claudio Foti, ma attenzione a non sottovalutare nomi meno noti eppure qua in condizione di rivaleggiare, soprattutto per lo stile e le assonanze con la penna del solitario. Autori come Fabrizio Valenza, Renzo Giorgetti, Marco Gordini e Pierluigi Della Minola riescono a regalare momenti di estrema tensione con qualità degna di uno scrittore internazionale. Va invece a Mauro Pennisi e al suo Il Look di Innsmouth l'elogio per aver realizzato il racconto più originale dell'antologia, grazie a un riuscito tentativo di ammodernamento delle tematiche lovecraftiane traslandole nella vita dei teenager del giorno d'oggi. Vediamo ora di seguito i vari racconti proposti e le loro caratteristiche. 

RECENSIONE NEL DETTAGLIO

I Racconti di Dagon è la dimostrazione pratica di quanto di buono ci sia in Italia nell'ambito della narrativa fantastica, senza troppo bisogno di Accademie e pubblicità. Sedici racconti proposti, di cui almeno tredici di ottimo livello, con i restanti tre, a parte uno, poco incisivi, per brevità, firmati da autorevoli firme del genere. Questo per dire che molti dei racconti più riusciti sono qua firmati da autori di fama minore, talvolta neppure più giovani.

Chi scrive queste righe non lo fa per amicizia o per regalare complimenti a chi, peraltro, non è da tempo nella sua lista delle simpatie. Questo per sottolineare che quanto vi apprestate a leggere è frutto di una reale convinzione e non già, come fa qualcun altro, di biechi calcoli opportunistici per strappare pubblicazioni o volumi in omaggio o magari tentativi di fare polemica, che peraltro dovrebbero sempre essere ben accetti poiché, come diceva uno scemo del villaggio, "l'importante è che se ne parli".

Bene, partiamo a presentare i racconti.

Tra tutti spicca, e non era affatto facile vista la qualità generale, l'eccellente La Gente della Marea firmato da Christian Sartirana, che io conosco soprattutto come recensore di libri (lo ricordo su club ghost), oltre che autore pubblicato in qualche antologia della meritoria weird book. La prova di Sartirana, qua, è da autentico Maestro del genere, con un racconto che avrebbe sicuramente meritato la pubblicazione su Weird Tales. A parte qualche banale e irrilevante refuso, l'artigiano rilegatore di libri (questa la sua professione) regala ai lettori un racconto che propone una metamorfosi ambientale piuttosto originale, immaginando una città sarda che per anni vive e si sviluppa come qualsiasi altra città salvo poi muoversi come se fosse la superficie di una conchiglia poggiata sopra il mare. Descrizioni ambientali evocative e affascinanti, tra sabbia e lingue di mare che si snodano per le strade di una città crollata alla maniera di una visione post-apocalittica. La tensione è progressiva e la rivelazione finale ottimamente gestita. Una piccola perla, poco da dire, purtroppo non premiata se non con la pubblicazione in questa ottima antologia.

Eccellente è altresì Sorgerà dall'Abisso di Marco Gordini, autore con una lunga frequentazione nelle fanzine, che miscela - in chiave metaforica - storia, giallo, riferimenti biblici (dagon e la bestia dell'apocalisse) e horror, con un lungo racconto nel racconto che unisce le ritualità lovecraftiane a quelle del cristianesimo, fino a incarnare Benito Mussolini nella bestia dell'apocalisse, tra preti terrorizzati e morti violente accertate in un paese di campagna dove le autorità, in quanto conniventi, preferiscono non avventurarsi.

Pazzesco, pur se ostico in alcuni passaggi che appaiono un po' leziosi, il visionario Il Creatore dei Mondi di un tale Paolo Poli, presumibile nome di copertura del vero autore (neppure Guarriello dice di sapere chi sia). Si tratta di un viaggio nelle profondità più siderali dello spazio, verso l'essere padre dell'universo. Una creatura tutt'altro che interessata alle vicende umane, che si muove come le mitologiche divinità che rimandano al pantheon olimpico. Uno scienziato, ideatore di un potentissimo visore, scruta oltre i confini delle umane possibilità, ben al di là della via Lattea e fino al punto in cui lo spazio è in continua espansione, vedendo tutto col dettaglio di un binocolo che scruta l'orizzonte terrestre. La pazzia sarà l'unica via di fuga, poiché le speranze umane saranno completamente distrutte dalla triste realtà esistenziale su cui si poggia la vita.

Questi sono, a mio avviso, i tre migliori racconti. Si badi bene, si sta parlando di veri e propri piccoli capolavori. Altri tuttavia hanno realizzato storie eccelse. Il semisconosciuto (non me ne voglia) Mauro Pennisi, col suo Il Look di Innsmouth, offre un ottimo esempio di ammodernamento delle tematiche lovecraftiane, facendo tesoro degli studi in psicologia, materia in cui è laureato. Un tentativo forse non esaltato dai puristi della letteratura lovecraftiana che io, invece, ho apprezzato molto. Introdotta da un notevole prologo dal retrogusto fantasy ambientato nel Paleocene, la storia sposta presto la sua ambientazione ai tempi moderni, all'interno di una scuola superiore in cui le ragazzine badano alla forma piuttosto che alla sostanza. Pennisi plasma l'ormai sempre più frequente tema della chirurgia estetica al tema del ritorno dei grandi antichi, qua impegnati a modellare, nel vero termine della parola, i propri adepti. Leggero di stile, ma estremamente accattivante. Eccellente la parte nel laboratorio del chirurgo, con un'evidente critica al "culto" dei corpi anteposto alla sostanza delle anime.

Sceglie, con grande tatto e conoscenza dei luoghi, contesti esotici l'eccellente Claudio Foti, nome che non ha bisogno di presentazioni tra gli appassionati, sebbene - a mio avviso - sia un autore un po' troppo sottovalutato. Il suo Fakarava tratta una metamorfosi di un uomo che, alimentato da strani pesci puliti dai locali (una sorta di santone tatuato e muscoloso, ma col volto di Franco Franchi!?) e somministrati crudi, si trasforma, giorno dopo giorno e tra incubi e dolori fisici, in un pesce. Eccellente la cornice ambientale e la ricostruzione degli usi locali. Siamo infatti in Polinesia, tra meduse killer e squali dalle pinne nere pronti ad azzannare i turisti incauti.

Simile, ma meno riuscito e più in linea a tematiche kafkiane, è Dentro la sua Carne del recentemente scomparso Elvezio Sciallis. L'erotismo subentra a contaminare il genere ed è l'unico racconto in cui avviene questo, con l'involuzione di una donna al rango di bestia. La giovane, ricercatrice scientifica, viene incaricata dalla FarmaThys di recuperare presso la casa di uno scienziato trucidato da un barbone ogni ricerca o brevetto non ancora consegnato. In un clima di isteria collettiva che avvolge la città di Nizza, la giovane protagonista finirà assuefatta dal clima delirante che pervade la villa del professore. Ai testi scientifici subentrano i volumi esoterici e magici nonché la convinzione che il ronzio degli insetti e il suono delle cicale, debitamente trattati, possano influenzare i comportamenti e le scelte degli uomini.

Un capolavoro stilistico lo confeziona il per me sconosciuto Pierluigi Della Minola, autore de La Casa Pallida. Connubio tra Poe e Lovecraft, a metà strada tra L'Orrore di Dunwich e La Caduta della Casa degli Usher, ha il limite di essere un racconto estremamente derivativo, che gioca sulle tematiche lovecraftiane delle relazioni tra consanguinei, dell'isolamento tra i boschi e della presenza di mostri che incombono nell'oscurità pronti a sconquassare la realtà. Della Minola rimodula il tutto in un'avventura da incubo degna delle opere dei prosecutori del ciclo di Cthulhu. La tensione c'è ed è molta, forse addirittura si tratta del racconto più terrificante dell'antologia. Purtroppo manca l'originalità. Le capacità dello scrittore, peraltro un classe '46, sono notevolissime.

Si va sul sicuro con Donato Altomare, nome storico e pluri premiato al Premio Italia anche nell'ambito della fantascienza, che tuttavia propone un racconto poco lovecraftiano, ma non per questo meno interessante. Di Notte, Viaggiando, infatti, è un bel mix di sottogeneri e archetipi del terrore, che prendono le mosse da un cliché piuttosto consolidato sulla scia del racconto di Stephen King Mrs. Todd's Shortcut (La Scorciatoia della Signora Todd). Padre e figlio, a bordo della loro automobile, prendono una scorciatoia per ridurre il tempo di marcia, ma si ritrovano con l'auto in panne in un ambiente isolato nel cuore di un'invalicabile foresta. Un luogo in cui entità infernali assumono il controllo dei corpi, un po' come ne L'Invasione degli Ultracorpi e ne prendono il posto in una vera e propria invasione silenziosa. Altomare suggerisce rimandi al genere zombie, poi vira verso un eccellente finale in odore di scritture bibliche, col diavolo (non lo chiama così ma si intuisce) che si appresta a dominare sulla terra, in un'ottica però diametralmente opposta a quella che sarebbe logico attendersi. Ottimo racconto.

Che dire poi di Lovecraft forever di Renzo Giorgetti, ricercatore e saggistica qua prestato con costrutto alla narrativa? Finzione e realtà si miscelano in una riscrittura del funerale di Lovecraft. Condotto all'obitorio in attesa dell'inumazione, la salma del celebre scrittore viene visitata da strani esseri alieni. Cuttle mutilation, alieni e figure assimilabili ai “magri notturni” accompagnano l'ultima notte del nostro, tra omicidi e originali furti. Narrato alla stregua di un collage fatto di articoli di giornale, verbali di polizia, deposizioni testimoniali, referti medici e pagine di diario, Lovecraft Forever centra il bersaglio e offre un buon intrattenimento. Quando si dice saper prendere il cervello di un scrittore...

Nicola Verde, altra firma autorevole pubblicata su Mondadori, trasferisce i Miti di Cthulhu in Sardegna, con un racconto storico-antropologico intitolato Il Fiato della Bestia. Gli ingredienti sono quelli del Maestro, tra bizzarre maschere carnevalesche, tavolette su cui sono incisi segni di un alfabeto sconosciuto e divinità aliene dalla forma antropomorfa, eppur dotate di caratteristiche ittiche. Realtà e incubo si mischiano e si compenetrano, mentre coloro che gli autoctoni chiamano sos mannos attendono sotto i nuraghi. Un ricercatore cerca di venire a capo del mistero, ma dovrà vedersela con i guardiani di un altro mondo.

Tavolette evocative sono al centro degli intrecci di almeno altri due racconti, a mio avviso meno riusciti. Uno di questi è La Pietra Grigia di Francesco Brandoli. Saggista di qualità, Brandoli propone un dilatato elaborato dallo stile lovecraftiano che gioca con visioni dantesche (si cita il cocito), pseudobiblia e una strana pietra capace di proiettare mentalmente il protagonista verso una realtà ulteriore e incombente, dove gli uomini sono ridotti al rango di dannati. Carino, ma meno articolato di altri.

Su coordinante simili si muove il più inflazionato (per tematiche e struttura) Lapis Niger di Davide Galati, che gode di un ottimo inizio all'insegna del pessimismo, dove la conoscenza apre una visione di morte sovrana che domina la bellezza e ogni primizia della vita. Il prologo, tuttavia, si perde in un sviluppo centrale, pur se esposto con un certo gusto culturale, dove si presenta il “solito” rituale di evocazione delle forze oscure poi interrotto dall'eroe di turno giunto a salvare la ragazza amata.

Più legato ad Arthur Machen è Il Visitatore di Fabrizio Valenza, che propone una sorta di inversione dei canovacci legati al piccolo popolo dello scrittore gallese. Se in Machen esponenti di un'altra realtà subentravano in quella umana, qua avviene l'opposto. A interferire con il mondo dei protagonisti è un prete finito, senza riuscire a comprendere il perché (probabilmente richiamato da un sortilegio), in un mondo altro dove si compiono sacrifici umani in onore di antiche divinità.

Questi sono i tredici racconti che mi hanno più colpito. Tra i tre meno incisivi, a mio avviso, ci sono quelli di due grandi scrittori: Errico Passaro e l'emergente Luigi Musolino, solitamente eccellente, e qua un po' svogliato, con un elaborato frettoloso che viene annichilito dalla concorrenza. Il suo Trasporti Eccezionali è una fiammata scritta in un'ora di impegno, con una creatura ittica, dalle forme antropomorfe, alla guida di un autocarro su cui, un po' come in un celebre racconto di Anders Fager, si trova un mostro pronto a riprendere possesso della terra, se non fosse per l'incidente provocato dall'idiota di turno che centra in pieno il mezzo. Esercizio di stile, carino ma nulla più.

Va sullo sperimentale Errico Passaro, firma ultra premiata, con Fungi, un tentativo di mettere in prosa un incubo lirico lovecraftiano, dove emergono le idee un po' razziste dell'autore e la propensione all'incubo.

L'ideale maglia nera, quale peggior racconto (non me ne volete), va a Luca Limatola e a Il Giorno della Festa, un racconto che palesa difficoltà sia stilistiche che contenutistiche. Il soggetto è modesto e trito e ritrito, un misto tra Stephen King (penso a I Figli del Grano) e L'invasione degli Ultracorpi. Una coppia di fidanzati si perde per le lande statunitensi e finisce in un paese campagnolo dove finirà per essere sacrificata dai cittadini che bramano di impossessarsi dei loro corpi. Si prova a giocare la carta dell'extreme horror, ma non funziona. Punteggiatura discutibile, periodi eccessivamente lunghi. Un racconto palesemente amatoriale, che meriterebbe, come minimo e ad avviso dello scrivente, un lavoro di editing per poter riuscire a essere al livello del resto dei racconti.


In chiusura I Racconti di Dagon è una delle migliori antologie italiane che mi è capitato di leggere nell'ultimo periodo. Purtroppo penalizzata da una visibilità contenuta e, forse, dall'essere monotematica (ma questo potrebbe essere anche un punto di forza), ha tuttavia il punto di forza di presentare una selezione ben curata sia dal versante stilistico che contenutistico. Di certo, uno dei migliori lavori curati da Pietro Guarriello che meriterebbe di aver maggiore visibilità, così da promuovere operazioni del genere puntualmente soffocate dall'importazione di autori esteri non poi così superiori (a mio modo di vedere). Imperdibile per i lovecraftiani, garantisce il Mancho.

Il gentleman Pietro Guarriello,
curatore dell'antologia.

"Coloro che sono eterni, e sanno di esserlo, non danno scampo al tempo e vedono, fissano, in tal modo ogni cosa: il loro sguardo vaga dall'ovunque e la loro presenza può mantenersi a noi lontana. Ed essi sanno schioccare verso una direzione, e la vibrazione vola, vola lontano su quel bagliore, finché, fermata infine la corrente, là sarà il loro sguardo, e appariranno i limiti del nostro mondo. "

giovedì 22 dicembre 2022

Recensione Narrativa: UN'ALTRA REALTà - Racconti del Mistero di Arthur Machen

Curatore: Piero Guarriello.
Anno: 2022.
Genere:  Antologia Weird.
Editore: Dagon Press.
Pagine: 166.
Prezzo: 14.90 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini. 

Antologia per i completisti della narrativa dello scrittore gallese Arthur Machen. Dopo le antologie imprescindibili Il Gran Dio Pan e Altre Storie Soprannaturali (Mondadori, 1982), I Tre Impostori (Fanucci, 1977) e Le Creature della Terra (Fanucci, 1987) nonché le interessanti (ma meno importanti) Oltre la Soglia (Tranchida Editori Inchiostro, 1993) e Un Frammento di Vita (Hypnos, 2018) arriva questa nuova collezione, a cura di Pietro Guarriello, edita da Dagon Press sotto il titolo Un'Altra Realtà – Racconti del Mistero (2022).

Si tratta di un collage di racconti, poesie, pezzi “similar giornalistici” e saggi presi, in qua e in là, dalle varie pubblicazioni di Arthur Machen apparse in un arco temporale di oltre quaranta anni (1890-1937). È un Machen pressoché inedito in italiano, se si eccettua il racconto Un Duplice Ritorno, già apparso in un trittico edito dalla Hypnos. Il venir meno dei diritti di autore, stante il decorso di oltre settant'anni dal decesso del diretto interessato, ha favorito negli ultimi cinque anni la pubblicazione di una serie di racconti inediti che hanno visto Dagon Press e Providence Press molto attive. Svariati inediti (in italiano) sono stati infatti pubblicati sulle riviste Zothique (2020) e Providence Tales (2018). Un interesse forte che ha portato all'emersione della quasi totalità dei racconti non ancora conosciuti nella nostra penisola. Un'Altra Realtà contribuisce ad assolvere al compito di rendere più estesa la conoscenza italiana della produzione del gallese. Dodici racconti (undici dei quali inediti in italiano), una poesia e un saggio vengono per tale via presentati ai più fedeli appassionati dello scrittore.

Pietro Guarriello articola il volume con estrema cura, anticipando i vari elaborati con una breve sintesi introduttiva che aiuta a comprenderne i contenuti, ma soprattutto inserisce, in calce a ogni storia, una lunga serie di note che rendono più esaustiva la fruizione del tutto. Marco Maculotti inoltre, con la sua prefazione, conferisce valore accademico al progetto.


Purtroppo, nonostante le ottime premesse e il buon lavoro editoriale, l'antologia non può che rivelarsi un prodotto di estrema nicchia. Il meglio di Arthur Machen, romanzi compresi, è già stato pubblicato e quello che resta non è di prima scelta. La sensazione è che si sia raschiato il barile per provare a portare in superficie qualcosa di sufficientemente interessante per deliziare gli oltranzisti. Al di là dei soggetti assai poco commerciali, ne viene fuori una lettura che, ancora una volta, evidenzia la potenza evocativa dell'autore e la sua capacità di suggerire un qualcosa che sta oltre ma che, ben di rado, si palesa in modo definitivo e certo, lasciando adito a fraintendimenti, allusioni e sospetti. Sono infatti le impressioni, le intuizioni e le interpretazioni dei personaggi (e dei lettori) a suggerire un fantastico che, forse, neppure sussiste.

La qualità dei racconti, tutti assai brevi, è ben lontana dagli apici dello scrittore, sebbene ne sia evidente la mano. Tornano, quali leitmotiv, la trasmutazione ambientale e le peregrinazioni nelle vie di Londra, viaggi che portano i viandanti a perdersi in strade e vicoli in cui non si erano mai imbattuti e dove abbracciano il mistero. Ecco ne Il Rituale (1937) due cittadini, in marcia per Londra, trovarsi catapultati in una via dove un gruppo di ragazzini mette in scena un rituale che culmina con la morte simbolica di uno di loro. Il tutto viene interpretato dagli osservatori alla stregua di un gioco ispirato a un rito africano in onore di un piccolo popolo locale. Qualche giorno dopo, forse non a caso, dalla lettura del giornale emerge che in quel quartiere un giovane, dedito a uno strano gioco, è stato trovato inspiegabilmente morto colpito da un collasso. Che sia stato vittima della maledizione alla base di un rito che sarebbe stato bene non scimmiottare?


Similare, ma più sfumato e reso evanescente, è Il Circolo Scomparso (1890), un chiaro omaggio alla narrativa di Stevenson. Machen ripropone il retrogusto vittoriano che caratterizzava molti dei racconti londinesi de I Tre Impostori. Due amici, un po' alticci e sorpresi dalla pioggia torrenziale, riparano all'interno di un club di iniziati dove, periodicamente, gli associati vengono chiamati ad aprire una pagina di un libro (dei morti?). Chi troverà l'unica pagina nera presente all'interno sarà chiamato a scomparire. I due ospiti, stupiti dall'espressione di terrore scolpita nel volto del prescelto, si chiedono se l'uomo sarà assassinato o se tutto sia un rito simbolico avante un qualche significato misterico. Pur se ammoniti a non rivelare niente di quanto visto, cercheranno di indagare sul fatto, specie dopo che il giornale ha riportato la notizia della misteriosa scomparsa dell'individuo in questione. Ogni tentativo di venire a capo del mistero, tuttavia, viene reso vano dal fatto che niente sembra esser accaduto. Il luogo dell'incontro, infatti, è un edificio abbandonato non corrispondente all'eleganza di quello di alcuni giorni prima, mentre il conoscente che ha immesso i due nel club afferma di non averli visti quella sera e si dice all'oscuro dell'esistenza di una simile associazione. Che il vino abbia fatto brutti scherzi e che il tutto sia stato un bizzarro scherzo orchestrato dal fato? Al lettore il compito di trarre le dovute conclusioni.


Atmosfere evocative, pur se sfumate, con Notte di Mezza Estate (1924), che si colloca dalle parti de La Collina dei Sogni. L'autore contrappone al clima grigio e frenetico di Londra la magia della campagna inglese, per dare luogo a una sorta di viaggio di iniziazione nel mistero (secondo i curatori nel sesso). Dopo aver scritto le proprie impressioni, il protagonista viene attratto dalla campagna e, più precisamente, da un bosco su cui si affaccia la camera in cui dovrà pernottare. Uscito nell'oscurità rischiarata dagli astri, il giovane si addentra nella vegetazione fino a scoprire una processione di donzelle, verosimilmente nude, dedite a un rituale imprecisato che strizza l'occhiolino all'erotismo. Niente però è reso in modo univico e tutto è interpretabile.

Ottimo Un Duplice Ritorno, in cui un beffardo camuffamento porta un predatore sessuale a presentarsi sotto mentite spoglie, al fine di copulare con una donna convinta di essere in compagnia del marito. Già letto nell'edizione Hypnos, si tratta del racconto che portò Oscar Wilde a chiedere informazioni su Machen fino a invitarlo, ammirato, a un pranzo in ristorante. Sempre di doppio, questa volta effettivo e nella forma di una sorta di sdoppiamento astrale, si parla in Johnny e il Doppio.


Quanto sopra, oltre al saggio finale Un'Altra Realtà - in cui Machen si interroga sull'eventuale esistenza di un mondo altro o di un aldilà e di quanto questo quesito possa stimolare la narrativa - rappresenta il meglio del libro.

Sono portatori di spunti filosofici La Visione del Dottor Duthoit, dove una lotta tra formiche diviene metafora della prima guerra mondiale e, più in generale, di una battaglia perenne che investe tutte le creature della terra rispondendo a un possibile riflesso di una guerra celestiale, e Morduck la Strega che invece, rifacendosi a un caso di cronaca, evidenzia la presa di distanza di Machen dall'occultismo popolare fatto di stregonerie e attività medianiche gestite da cialtroni e truffatori.

Meno interessanti gli esercizi stilistici costituiti da L'Isola delle Ombre (sorta di fanta-geografia con annessa fanta-politica, sul modello de I Viaggi di Gulliver, che ha al centro un'isola immaginaria e i suoi costumi) e Psicologia (elucubrazioni di uno scrittore che, guardando fuori dalla propria finestra, si interroga sulla duplice natura dell'uomo, valutando quanto di marcio vi sia nella parte oscura che non emerge nei comportamenti esterni ma che incombe, pronta a esplodere, nell'animo di ogni persona). Chiude Il Fantasma della Pentecoste, inusuale ghost story utile a evidenziare quanto la guerra ancora in corso abbia modificato i passatempi e le abitudini dei cittadini, con un fantasma che tende a non riconoscere più gli ambienti a lui abituali.

Lo Strano Caso di Emily Weston e Il Mistero di Islington sono invece due pezzi giornalistici, pescati da casi di cronaca e mascherati da gialli, che propongono contenuti mystery che lasciano fino alla fine col sospetto circa la corretta ricostruzione del caso. Quale sia la verità e la realtà oggettiva resta pertanto una questione non facilmente decifrabile.


In conclusione, siamo alle prese con un'antologia unicamente per studiosi e completisti, tuttavia molto ben curata e presentata. La lettura è veloce e di non eccessivo impegno. La proposta abbraccia l'intera carriera narrativa dell'autore e questo determina la presenza di racconti in grado di rispecchiare la cifra stilistica dell'autore, sebbene i contenuti non siano all'altezza dei racconti più famosi. Evitabile nel caso di lettori generalisti, occasione ghiotta per gli altri.

ARTHUR MACHEN

Non ho nessun dubbio che una gran parte dei fenomeni spiritici siano prodotti da veri e propri ciarlatani. Ma sono incline a credere che esista un certo numero di manifestazioni che non hanno nulla a che vedere con la frode... Il cosmo umano è un mondo dove alcune regioni non sono ancora state scoperte, e nemmeno congetturate, come se fosse il centro di un potere del quale non sappiamo niente o quasi, di forze che si manifestano solo raramente, in un individuo su un centinaio di migliaia.”

mercoledì 7 dicembre 2022

Opere di Mancini Matteo: LIBERO SAMALE, LO PSICHIATRA DELL'INCUBO, di Matteo Mancini

PRESENTAZIONE VOLUME LIBERO SAMALE, LO PSICHIATRA DELL'INCUBO di Matteo Mancini, Edizioni Profondo Rosso.

A cura di Matteo Mancini.
 
Ormai uscito da giugno 2022, seppure in una versione lancio (ovvero acquistabile presso lo store e il negozio dell'editore), Libero Samale, Lo Psichiatra dell'Incubo si appresta a invadere le biblioteche telematiche nella sua ultima versione.
Si tratta di un volume senza precedenti nell'ambito dell'editoria italiana, essendo il primo saggio interamente dedicato a uno scrittore del circuito editoriale delle edicole. Libero Samale, meglio noto ai lettori dei Racconti di Dracula, col nome fittizio Frank Graegorius, è la punta di un iceberg assai profondo e scandalosamente ignorato non solo dagli accademici, ma anche dagli appassionati dei tempi odierni. Vi è stato negli ultimi quaranta anni un atteggiamento di boicottaggio verso una serie di romanzi che hanno costituito la base per lo sviluppo della nostra cinematografia di genere. Gialli, bellici, fantascientifi e horror che hanno perso, alla lunga, la loro battaglia con le major milanesi (Mondadori e Rizzoli su tutte) e per questo sono stati cancellati dalle coordinate del genere. Persino validi volumi curati da studiosi e appassionati, come le guide divulgative dell'Odoya, tendono a ignorare pressoché integralmente questi testi. Il volume Lo Psichiatra dell'Incubo si propone di stimolare un interesse finalizzato a un lavoro di recupero di un mondo sterminato e del tutto sconosciuto, verso una riscoperta del fantastico e del pulp italiano del tutto sacrificato a favore di quello d'oltreoceano. E' giunto il momento di riscoprire le "nostre" identità, dando avvio a uno studio che possa aiutare a comprendere anche la genesi del cinema di genere.
Il volume ripercorre la vita e l'intera produzione del terrore dell'autore. Tutti i romanzi horror (i "dracula" per intenderci) sono analizzati nel dettaglio, singolarmente e in una visione comparata e colletiva che possa permettere al lettore di comprendere il messaggio (altamente esoterico) lasciato da Libero Samale. Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia, l'autore ha infatti colorato i romanzi di una sottotraccia occulta che va ben al di là delle mere intenzioni di intrattenimento richieste dall'editore. Un testo dunque imperdibile per chi ha vissuto l'epoca dei gialli e degli horror delle Edizioni Periodiche Romane (ERP), ma anche un'occasione di riscoperta per un pubblico più giovane e voglioso di conoscere le origini del pulp italiano. Faranno seguito altri volumi caratterizzati dal medesimo imprinting.
 
Il volume è stato già recensito e apprezzato da svariati lettori, tanto che potete trovare su internet un'intervista che mi è stata dedicata dall'Osservatorio Cinema e Media Entertaiment CINEMONITOR e alcune recensioni. Qua i link:

Intervista Cinemonitor: https://cinemonitor.it/libero-samale-la-monografia-di-mancini-fa-luce-sul-maestro-della-letteratura-weird-italiana/
 
Recensione Horror Magazine: https://www.horrormagazine.it/13792/la-nostra-recensione-di-libero-samale-lo-psichiatra-dell-incubo
 
Presentazione video dell'autore:  https://www.youtube.com/watch?v=SyK9yBGFmDg

Per l'acquisto:  http://www.profondorossostore.com/it/libri/400-libero-samale-lo-psichiatra-dellincubo.html (si evidenzia che la descrizione del testo non è quella corrispondente al volume).

domenica 4 dicembre 2022

Pillole di approccio psicologico e filosofico di Matteo Mancini.

ACQUISIRE LA CONOSCENZA DI SE' STESSI. PRIMO STEP VERSO IL SUCCESSO PSICOLOGICO.

                                                       Ve lo do io lo Yoga, Matteo Mancini contorsionista.

 

A Cura di Matteo Mancini.


Liberarsi dai condizionamenti esterni e dal mood manipolativo: Spunti di Riflessione.

Il primo step da affrontare per chiunque cerchi di liberarsi dai cordami che imbrigliano il libero sviluppo deve, a mio avviso, partire da una premessa: salvo problemi effettivi di salute (che hanno coloro che hanno difficoltà quali tumori, ictus e altre patologie indipendenti dalla volontà umana, si noti che io non considero le difficoltà psicologiche una malattia bensì uno status mentale reversibile individualmente e autonomamente senza il ricorso a medicine), la maggior parte delle afflizioni che minano l'esistenza individuale provengono dal “nostro” interno (e non da fattori esterni). In sintesi estrema, siamo noi a porre le condizioni del nostro insuccesso (rispetto al nostro obiettivo iniziale e non rispetto ai parametri sociali). In altre parole, siamo noi stessi (esseri umani) che ci induciamo in una condizione emotivamente negativa, vuoi perché temiamo di perdere le cose che possediamo (soldi in primis), vuoi perché temiamo di perdere le persone che amiamo (che non si dovrebbero perdere come perdiamo gli oggetti, in quanto a differenza degli oggetti le persone dovrebbero avere un attaccamento di valenza spirituale, e per "spirituale" intendo ciò che muove la “macchina umana”, vale a dire il corpo con cui ci presentiamo nella società) o vuoi perché siamo ambiziosi o perché, soprattutto, temiamo di esser riconosciuti in categorie che l'educazione che abbiamo ricevuto qualifica come i “cattivi” e i “brutti” (da evidenziare, a esempio, l'atteggiamento di coloro che non manifestano apertamente i propri orientamenti sessuali perché temono la squalifica che ne deriverebbe).
 
Premesso che affermo tutto questo a seguito di impressioni personali acquisite nel corso degli anni e non certo perché io sia un addetto ai lavori e, ben che meno, un maestro di vita o un santone che ha conquistato la pace dei sensi (sono anche io a combattere in campo, peraltro in un contesto generale che spesso e volentieri trovo banale e poco stimolante), invito il lettore sui banali (in apparenza) punti di riflessione che metto qui di seguito, posto che ogni cammino di autocoscienza (chiamiamolo così) deve essere personale e non equiparabile a quello delle altre persone. Non c'è una formula magica per la conquista della felicità, ma milioni di strade alternative tutte valide in generale ma non nello specifico. Così come non vi è una sola verità, ma molteplici. Il punto qui di seguito apre la porta a tutta una serie di altri aspetti, da affrontare in seconde sedute, procediamo per ordine.
 
Centrale, a mio modo di vedere, per ogni persona, perché da questo discendono tutte le “strategie” e le decisioni che un essere pensante guidato dalla coerenza e che ha il controllo di sé stesso (si noti che il controllo totale di sé stessi è quasi impossibile da ottenere) va a prendere, è: COSA CERCO NELLA (E DALLA) VITA E PERCHé VOGLIO QUESTO. Sembrerebbe una considerazione banale e scontata, eppure non lo è affatto.
Premesso che ogni risposta che viene data a questa domanda, ivi compreso la più superficiale e materialistica, è corretta, in quanto ogni persona ha obiettivi, preferenze e valutazioni personali che dovrebbero essere diversi rispetto a quelli degli altri (dico “dovrebbero” perché in realtà siamo schiavi dell'effetto moda, che non avviene solo con i capi firmati ma per tutte le cose, senza renderci conto che dimostriamo di non essere liberi nelle nostre scelte). Non si deve mai finire col modificare la nostra vita, perché qualcun altro non vuole che si centri quello che ci eravamo prefissati o perché realizzare i nostri fini è eticamente riprovevole (si noti come questo punto sia totalmente in contrasto con i processi e le regole che determinano la moda). Pertanto, piaccia o non piaccia alle persone che ci circondano, questa è una domanda a cui nessuno può sbagliare nel rispondere. Dovrebbe quindi essere la domanda più gradita tra le tante possibili, eppure si rivelerà la più ostica e persino evasa o negata. È la diretta estrinsecazione del “conosci te stesso” di cui parlava Socrate. “Te stesso” può essere diverso dal “Te stesso” degli altri, può persino essere diametralmente opposto a quello di una collettività avente in comune la medesima impostazione. Questo non significa che il metro di raffronto porti a giudicare qualcuno dei soggetti in esame quale persona sbagliata, si è soltanto al cospetto di una diversità apprezzabile con un semplice paragone (non a caso esistono le categorie). Il termine “non normale” è solo una valutazione suffragata da un'osservazione di un dato sistema da cui si pescano informazioni, in altri termini una valutazione fredda e oggettiva dovuta al confronto tra il singolo e la maggioranza che costituisce una data popolazione (e mai una valutazione soggettiva nel merito della questione). Se il 90% delle persone tira testate nel muro ed è convinto di abbatterlo e persiste, pur spaccandosi la testa, nel compiere l'atto mentre il 30% desiste perché dice che si farebbe male; le persone normali di questo insieme sarebbero quelle che sbattono la testa e non le altre (la cosa cambierebbe nella valutazione del merito, specie se analizzato da chi arriva da un altro sistema solare). Il parametro, infatti, è sempre costituito dal contesto. Il contesto è sempre oggettivo (è il contenuto di un insieme), ma si muove sulla base di un giudizio iniziale che è soggettivo e cioè, nel nostro caso, che tirare la testa nel muro porta al crollo dello stesso. 
 
Dalla comprensione di questa domanda iniziale e dalla relativa risposta che diamo discende tutto il resto. Se non viene sbrogliata la matassa relativa a questo punto il soggetto persisterà a vagare nel deserto in una notte buia priva di stelle e senza bussola (e quando uno  ha merda, come dice la Legge di Murphy, le cose vanno tutte male, infatti sarebbe da considerare anche il fatto dell'escursione termica del deserto, dai calori si passa presto alle gelate). Per fortuna, ognuno di noi, quantomeno a livello inconscio, sa cosa stiamo cercando, ma a volte siamo noi stessi a non volerlo ammettere. Il subconscio sa molto di più dell'Io cosciente e quello che c'è nel subconscio è puro e non influenzato da quello che invece viene governato dall'Io cosciente. Ecco che nei libri viene spesso suggerito di lasciar correre la parte irrazionale. 
 
È fondamentale, a mio modo di vedere, non porsi freni in questo primo step, perché di freni (di qualunque natura essi siano) ce ne sono dietro ogni angolo e se già noi stessi ce li poniamo ci mettiamo nella medesima condizione di chi affronta una sfida dicendo che la perderà sicuramente; un approccio, questo, che frustra l'individuo nell'atteggiamento psicologico, non porta a dare quel qualcosa in più che, a volte, fa miracoli e carica a livello emozionale. Occorre avere quella che gli imprenditori chiamano la “vision”, ossia la visione, intesa nel senso della prospettiva del “sogno”. Questo dovrebbe costituire l'essenza della c.d. legge dell'attrazione. Si è sentito milioni di volte la frase che dice “solo credendo a un sogno, il sogno si può realizzare” o “solo tentando una soluzione impossibile questa si può realizzare” o, come diceva Einstein, “una cosa è impossibile finché non arriva un pazzo che dimostra il contrario” (pazzo perché rompe lo schema che nessuno osa superare). Se credi in un sogno fai di tutto per realizzarlo, perché ti reputi idoneo a realizzarlo e perché se lo realizzano gli altri lo puoi realizzare anche te. Non esistono grandi differenze di fondo tra una persona e l'altra, quando queste sono infanti e all'inizio del loro cammino esistenziale, ciò che cambia, alla lunga, è la dedizione, la perseveranza, la volontà di centrare gli obiettivi e, da ultimo, quella che io chiamo la cattiveria agonistica. Un approccio positivo genera emozioni positive, le emozioni positive lavorano sulla convinzione delle persone e le convinzioni delle persone portano all'azione, l'azione porta ai risultati e questi alla crescita. È importante, quando non si è forti mentalmente, circondarsi di persone positive, perché ti spronano a migliorare mentre le persone frustrate ti frenano e operano, anche involontariamente, in un processo opposto, fatto di presunta comprensione e giustificazione degli insuccessi per motivi esterni alla persona che era in azione. Le persone di cui ci circondiamo difficilmente ci aiuteranno su questo punto. La maggior parte delle persone non è pienamente realizzata (anche perché ricercano valori e aspetti di valenza materialistica e questo porta alla perenne insoddisfazione, perché i desideri generano altri desideri e, un po' come quello che gioca al casinò non può sempre vincere, non è possibile esaudirli tutti) e questo porta alla frustrazione e alla disillusione che viene trasmessa, seppur di riflesso, sugli altri. “Se non ce l'ho fatta io, non ce la farai neppure te” è quello che viene comunicato. C'è un passaggio in un film con Will Smith (titolo La Ricerca della Felicità) dove spiega bene questo aspetto. Credere in un sogno non deve tuttavia portare a generare un'ossessione, ma a delineare un obiettivo cui tendere, un “miraggio” di crescita continua (scopo della vita, secondo me, non può essere altro che lo sviluppo dello spirito, visto che tutto il resto sarà destinato a sparire dopo il nostro passaggio). Non sempre la vita concede quanto noi vogliamo (e a volte questo è persino un bene), ma se l'approccio che abbiamo scelto è un approccio positivo (cioè creativo e propositivo nel senso che insistiamo a creare e a non fossilizzarci sui punti che abbiamo conquistato) e ci prefiguriamo e impariamo ad apprezzare le cose buone che riusciamo ad ottenere (il famoso bicchiere mezzo pieno, anziché mezzo vuoto), evitando di lasciarci bruciare le energie dalle negatività, il nostro sarà sempre un cammino in crescita e per esserlo non dobbiamo accontentarci ed essere remissivi (ma neppure diventare schiavi del sogno o frustrati dagli insuccessi che devono sempre esser visti quali trampolini di lancio verso il successo futuro, un insuccesso ci offre spunti di riflessione per comprendere gli errori che non impareremmo se non sbagliassimo mai). In questa fase, infatti, può essere utile quella che io chiamo la modalità “mi importa 'na sega” (quando ci vogliono ci vogliono). Che cos'è la “modalità mi importa 'na sega”? Pensate una platea di studenti cui viene propinata questa spiegazione, certamente si metterebbe a ridere, ma solo perché non ragionerebbe sul punto, lasciandosi condizionare dalla terminologia utilizzata. È quella modalità in cui il soggetto cerca di perseguire un dato risultato, perché gli interessa acquisire la convinzione (elemento fondamentale in psicologia) di poter eseguire o fare una data cosa e, al tempo stesso, si disinteressa del “premio” finale (che altro non è che la famosa soddisfazione che viene dal riconoscimento altrui, una cosa di cui il soggetto deve disinteressarsi in quanto il giudizio altrui non lo deve mai e dico mai riguardare, perché altrimenti finirà in modalità manipolazione e perderà la sua individualità). Non essere legati al risultato finale (promozione, premio in denaro, encomi e via dicendo) è una condizione mentale che porta il soggetto a elevarsi dal resto delle persone, perché svincola l'individuo agente dal collare del ricatto sociale. In Fight Club c'è un passaggio in cui si dice: Le cose che possiedi alla fine ti possiedono. Una persona (a prescindere che sia un estimatore dei C.S.I.) in modalità “mi importa 'na sega” in chiave positiva (ovvero costruttiva e non alla deriva e in balia degli eventi) è una persona odiata dal sistema sociale a cui ognuno di noi fa parte, in quanto non è (o lo è meno) controllabile e pertanto viene soggetta a essere isolata, derisa e screditata (ma questo non è importante). Il sistema sociale punta ad allevare pecore non autocoscienti, piuttosto, come dovrebbe fare un governo che attiva tutte le intelligenze di un paese, che leoni guidati da una loro filosofia di vita, poiché le prime si dirigono e si annullano nei gruppi mentre le seconde attaccano (nel senso di analisi critica) e non sposano le idee di un gruppo in quanto hanno le proprie (mentre le pecore hanno le idee che sono state loro imposte con l'arte della libera scelta tra una rosa di soluzioni possibili, pena l'esclusione dal gruppo). La società che noi conosciamo è costruita secondo uno schema premiale (e squalificante all'opposto, un po' come si fa nell'addestramento degli animali), ma il vero premio deve essere solo quello che percepisce la tua mente (da intendere come spirito). I singoli soggetti non devono avere il bisogno di ricevere l'approvazione altrui, anche se a ognuno piace essere adulato. Il soggetto deve sapere da solo quando procede secondo la sua bussola e quando invece è fuori rotta e per saperlo deve aver sciolto il punto qui oggetto di esame, solo così sarà meno soggetto al mood manipolativo.

sabato 15 ottobre 2022

Recensioni Narrativa: SANGUE SELVAGGIO a cura di Nicola Lombardi.

Curatori: Nicola Lombardi
Anno: 2018.
Genere:  Antologia AA.VV Horror / Weird Western.
Editore: Weird Book.
Pagine: 214.
Prezzo: 17.50 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini. 

Lodevolissima iniziativa a cura di Nicola Lombardi, giallista e soprattutto maestro del terrore italico da oltre trent'anni. Lo scrittore romano, nell'occasione, si “riduce” a selezionatore e predispone per l'emergente Weird Book (casa editrice da tenere d'occhio) un'antologia dedicata al weird western. Otto racconti dei più famosi specialisti italiani della narrativa del terrore, eccezionalmente prestati al western.

Criticata da alcuni lettori, Sangue Selvaggio intrattiene dalla prima all'ultima pagina, trovando nelle scenografie il punto di forza. Salvo un'eccezione offerta da Musolino, emerge l'immagine di un western torrido, flagellato da tempeste di sabbia, in cui pistoleri, più o meno indolenti, devono vedersela con la violenza selvaggia degli indiani ma anche con le mille insidie dell'ambiente. Più che la lezione garantita dai western di Robert Ervin Howard o del western che dominò nelle sale cinematografiche negli anni sessanta e settanta, si sente marcatissima l'influenza dei racconti di Joe Lansdale, di Jack Ketchum, di Valerio Evangelisti e persino di Michael Crichton. Il western viene ibridato, oltre che dall'horror (licantropi, leggende indiane, streghe), dalla fantascienza. Ologrammi che fungono da sfondo a sfide che ricordano il romanzo Il Mondo dei Robot, ma anche sortilegi connessi al palo-mayombe che provocano squarci dimensionali che rapiscono e spostano nel tempo e nello spazio personaggi e armamenti vari. Le citazioni non si contano. Il lettore più smaliziato può persino divertirsi a individuare personaggi battezzati con nomi che hanno fatto la storia del cinema di genere, quali Doug Bradley (l'interprete che ha personificato al cinema Pinhead nella saga Hellraiser), Waltz (cognome di uno degli attori feticcio di Quentin Tarantino), Ketchum e persino la riproposizione di un John Wayne divenuto vampiro.

Un altro aspetto comune è caratterizzato da alcuni fil rouge ritornanti, quali le teste mozzate, le tempeste di vento, lo sciamanesimo, i saloon, le eviscerazioni e, naturalmente, i pistoleri e le loro armi (debitamente descritte).

Sebbene non tutti i racconti siano originali, l'intrattenimento è sempre garantito, grazie ad abilità stilistiche che non lasciano rimpiangere firme internazionali. Brillano, su tutti, Danilo Arona e Luigi Musolino, due veri fuoriclasse. Arona con Malongo provoca un brainstorming nel lettore, ben metaforizzato dalle terribili tempeste di sabbia che investono i protagonisti. In apparenza difficile da seguire, il racconto è un mosaico di tasselli decostruiti e rimodulati secondo una logica deformante. A metà strada tra magia nera, rimandi al Pazuzu de L'Esorcista e a una serie di tematiche già affrontate da Arona in altri testi, persino saggi (il Santa Ana, altrimenti detto “Il vento del diavolo”), Malongo arriva a cucire episodi del lontano far west con le operazioni militari nella Guerra del Golfo dei primi anni novanta. Estremamente onirico e visionario, è il soggetto che regala le scene più affascinanti dell'antologia (bellissima la parte con il carrarmato americano disperso nel deserto irakeno).

Eccellente è anche Teste di Luigi Musolino, senza ombra di dubbio il racconto più elegante per scrittura e gestione della tensione. Musolino è un vero e proprio maestro (ma di quelli con la M maiuscola), uno scrittore in grado di rivaleggiare con firme ben più note d'oltreoceano e che non è mai stato menzionato al Bram Stoker Award (dovrebbe esserlo, visto chi riceve premi a ripetizione). Il suo racconto, peraltro l'unico ad avere un'ambientazione glaciale, è una progressiva discesa verso la follia, ai piedi di una catena montuosa interessata da lontane leggende indiane e infestata da teste umane volanti. Una sorta di giallo che evolve in una maledizione ultraterrena. Finale ad alta tensione, con punte di orrore degne delle pagine di weird tales. Chapeau, per dirla alla Goggi.

Interessante, ma fortemente debitore del soggetto del film Bone Tomahawk (2015), Bad Lands di Stefano Di Marino. Cultore del genere (sua la guida Odoya sul cinema western), ma soprattutto firma della collana Segretissimo della Mondadori, Di Marino porta su carta l'azione e la truculenza della pellicola di Craig Zahler, di cui riprende l'idea della contaminazione tra western e presenza di una tribù di indiani trogloditi praticanti il cannibalismo. Extreme horror a tutti gli effetti, ma mai volgare e sempre attento a garantire l'intrattenimento.

Questi sono i tre testi migliori, a cui si aggiunge il “finto western” John Wayne, una sorta di giallo ambientato in epoca moderna che si trasforma in horror e che ha il pregio di essere il romanzo più ambiguo dell'antologia, aperto a diverse soluzioni di interpretazione. Lo firma lo specialista di romanzi sui vampiri Claudio Vergnani, che anche qua non resiste al gradito richiamo (pur se accennato in un unico dettaglio). Divertente l'inizio, con un circo itinerante che propone la sfida tra un misterioso pistolero uguale in tutto e per tutto a John Wayne (infatti è proprio lui) e gli spettatori del pubblico che intendono misurarsi con la velocità dell'uomo (ma è davvero un uomo?). Tra echi a Crichton e altri che ricordano il racconto breve Pistolero fuori Tempo di Edward Wellen, Vergnani sviluppa una trama gialla con un gruppetto di indagatori che cercano di venire a capo alla misteriosa coincidenza che porta alla scomparsa di una serie di soggetti che hanno incrociato il loro destino alla presenza ambulante del circo. Attenzione all'epilogo, visto che la soluzione suggerita per risolvere il mistero potrebbe non essere quella reale. Molto carino.

Brillano meno, per motivi diversi, gli altri racconti. Luigi Boccia (The Grinder) propone un bizzarro revenge movie con un pistolero soprannaturale, capace di incendiare con la mente i nemici per effetto di misteriosi esperimenti subiti per mano di un mad doctor. Scritto molto bene (l'unico che ha rimandi allo spaghetti western), con una buona caratterizzazione dei personaggi, sconta un finale un po' troppo frettoloso.

Claudio Foti, cultore di Robert Ervin Howard, presenta Il Lascito di Stella Caduta, un curioso mix di erotismo, fantasy e horror che trasla in ambito western il mito di Excalibur. La dama del lago diviene una sirena, la spada un tomahawk e Re Artù il famoso Cavallo Pazzo che ucciderà, qualche giorno dopo munito della speciale arma destinata all'eletto, il Generale Custer. A tratti molto buono, è un racconto un po' ripetitivo nella sua parte centrale e forse troppo statico nella messa in scena, con una struttura perfetta per una rappresentazione teatrale.

Problemi di originalità per gli altri due, sebbene L'Oro degli Olandesi di Maico Morellini sia il racconto più in linea alla tradizione degli anni trenta del weird western che popolavano i pulp magazine americani. Il finale nelle viscere della terra ricorda certe storie di Howard, sebbene a impressionare sia la parte iniziale con l'entrata in scena dello sciamano russo. Un po' confusa la relazione tra spiriti indiani e spiriti della steppa.

Chiudiamo l'analisi con Uomini e Bestie di Gianfranco Staltari, che mette in scena una caccia a un enorme lupo che infesta un villaggio western. Un soggetto che sconfinerà nell'abusatissima traccia connessa alla presenza di un licantropo frutto di una maledizione dovuta al mancato rispetto della natura. Niente di originale, eppur scritto sufficientemente bene.

Da evidenziare la spettacolare copertina di Giorgio Finamore, senza ombra di dubbio il più talentuoso illustratore di copertine nel panorama italiano di genere degli ultimi dieci anni.

Plauso dunque per Nicola Lombardi e questo Sangue Selvaggio, che ha il merito di presentarsi quale antologia horror diversa per ambientazioni e in grado di offrire uno sguardo tricolore su un sottogenere, quello del weird western, assai poco trattato. Niente di estremamente innovativo, ma lettura perfetta per divertirsi pur se con qualche refusetto di troppo (banali errori di battuta che non inficiano il testo).

mercoledì 5 ottobre 2022

Recensione Narrativa: CUJO di Stephen King.

Autore: Stephen King.
Titolo Originale: Cujo.
Anno: 1981.
Genere:  Horror / Drammatico.
Editore: Sperling & Kupfer.
Pagine: 378.
Prezzo: 10.90 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.

Scritto sotto l'effetto di alcool e droga, tanto che Stephen King arriverà a dire di ricordare poco del periodo in cui fu scritto, Cujo è un romanzo breve più ascrivibile al drammatico che al genere horror. Il fantastico è del tutto assente, sebbene si tenti di introdurre pochi convincenti rimandi al baubau che minaccia i piccoli, palesandosi da armadi. Un modo per dire che il male è sempre in agguato e non per forza di cose connesso alle creature dell'oltretomba.

L'ispirazione del testo arriva da un episodio della vita reale capitato all'autore. Bisognoso di far riparare una moto, l'asso del Maine si sentì ghiacciare quando, giunto nel cortile di un meccanico di campagna, vide fuoriuscire dall'officina un grosso San Bernardo col fare tutt'altro che amichevole. L'animale, dalle movenze goffe, alzò la testa nella sua direzione e prese a ringhiare, prima di esser richiamato dal suo proprietario. Niente di tragico avvenne quel giorno, ma si innescò la scintilla che generò l'incendio nell'infiammabile mente dello scrittore.

Così nel 1981, dopo Firestarter (“L'Incendiaria”) e prima di Christine La Macchina Infernale, uscì una sorta di versione de Lo Squalo di Stephen King, con un cane rabbico (l'orrore è giustificato) che va in giro a uccidere persone al posto della macchina di morte di Spielberg (l'orrore è gratuito). Se è pur vero che questo è il tema principale del romanzo, ivi compreso l'attacco continuo a danno dell'auto dei due protagonisti (in luogo della barca dei tre eroi del film), sarebbe comunque riduttivo parlare di Cujo nei termini di una semplice beast story. King infatti intreccia alla storia principale una serie di sotto trame, tanto da fare del romanzo uno spin-off de La Zona Morta (1979). Si torna infatti nell'immaginaria Castle Rock e si fa riferimento a eventi legati al precedente romanzo, sebbene gli stessi non abbiano alcun ruolo nella storia in questione. La bravura nella delineazione dei personaggi porta King a caratterizzare al dettaglio le famiglie al centro dell'intreccio. Sappiamo tutto di queste: le loro aspettative, i loro sogni, ma anche le loro paure, le loro scappatelle sentimentali e i loro problemi accomunabili a quelli delle famiglie operaie o della piccola borghesia, con le difficoltà di arrivare alla fine di ogni mese, tra mutui e imprevisti. King fa ancora di più, scendendo nelle psicologie dei personaggi (cane compreso). Fornisce in particolare un anticipo di quanto farà anni dopo con Dolores Clairborne, Rose Madder e Il Gioco di Gerald. Entra infatti nella mente di due madri. La psicologia femminile è gestita con talento e ruota attorno a donne che vivono un momento difficile nella vita di coppia col relativo marito. Da una parte abbiamo una madre che, contrastata da un coniuge violento e manesco, lotta per sottrarre il figlio dalla squallida vita di campagna che lo attende nell'immediato futuro, cercando di fargli capire che in città esistono alternative molto più allettanti. Dall'altra abbiamo una madre in crisi psicologica che si tormenta per aver tradito il marito assenteista. In tutto questo si inserisce il “mostro”. King sviluppa in modo molto interessante il male, che si insinua in modo subdolo, prolifera sottotraccia e solo alla fine esplode. Il Mostro infatti non è una creatura malvagia per sua volontà, bensì un vittima di un morbo che distrugge il sistema nervoso e conduce nelle maglie della follia. Il San Bernardo giocherellone e amante dei bambini diviene un demonio assetato di sangue. Le descrizioni che lo riguardano sono notevoli e fanno presa sull'animo gentile e sensibile del lettore che, alla fine, si dispiace quasi più per le sorti del cane che per quelle dei protagonisti (si contano quattro morti).

Ne viene fuori un romanzo estremamente realistico e quadrato, peraltro con uno degli epiloghi più tragici dell'intera produzione del “nostro”. Non a caso i produttori della trasposizione cinematografica affidata alla direzione di Lewis Teague non se la sentiranno di mutuare l'epilogo del romanzo e alleggeriranno la drammaticità, superando in tal modo il taboo più grande per un genitore: la morte del proprio figlio.

Qualità indubbie quindi, pur se diluite da un intreccio troppo dispersivo e a tratti ripetitivo che interrompe di continuo l'azione principale. King struttura il testo portandolo avanti da tre/quattro punti di vista: abbiamo quello del cane che, di volta in volta, finisce con il coincidere con quello delle vittime nel momento in cui le stesse diventano tali (la più interessante), quello del marito della donna imprigionata nell'auto e quella della moglie del proprietario del cane. La seconda e terza traccia portano l'azione lontano da Castle Rock. In queste parti si parla di tutt'altro. Comprendiamo i problemi lavorativi di un uomo che teme il licenziamento dalla sua società impegnata nel campo pubblicitario e, dall'altro lato, venivamo bombardati dalle paure di una madre stanca del proprio matrimonio e intenzionata a strappare il giovane figlio da un futuro che lo porterebbe sulle orme del padre. In mezzo a tutto questo irrompe il grandguignol. King preme sul pedale dell'acceleratore e estrae dal cilindro uno dei migliori romanzi sugli animali killer anche perché, cosa non da poco conto, l'ira bestiale viene giustificata e, così facendo, esorcizzata dalla natura dell'animale. Responsabile delle morti quindi non è il San Bernardo, mero veicolo del demone, ma il morbo trasmesso dal morso di un pipistrello.

Per i motivi indicati, Cujo, pur non essendo un'opera principale nella produzione kinghiana, resta un romanzo sufficientemente riuscito e che offre punte eccelse di tensione e di coinvolgimento emotivo. Difficile dimenticarselo.

 
Il poster del film del 1981.
 
"Forse tutto quello che era successo prima era stato solo un sogno, niente più che una breve attesa dietro le quinte... Le scuole, gli amici, appuntamenti e le sere a ballare... le sembrava che fosse tutto un sogno, come forse sempre appariva la gioventù quanda si diventava vecchi. Non c'era più niente che contasse qualcosa, niente che fosse qualcosa, al di là di quel silenzio e di quell'aia infuocata di sole dove la morte era già passata e dove aspettava di giocare ancora le sue carte, tutti assi. E il vecchio mostro vegliava mentre suo figlio scivolava, scivolava, scivolava, via."