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giovedì 25 marzo 2021

Recensione Narrativa: LE NUOVE INDAGINI DI STEVE HARRISON di Robert Ervin Howard.

 
 
 
Autore: Robert Ervin Howard.
Anno: 1976-84.
Genere: Poliziesco Pulp.
Editore: Providence Press, 2020.    
Pagine: 284.
Prezzo: 19,90 euro.


A cura di Matteo Mancini. 

Tornano le indagini del detective Steve Harrison con un lotto di racconti usciti postumi tra il 1976 e il 1984. La Providence Press, ancora artefice del recupero, omette il frammento completato negli anni ottanta da Fred Blosser (The Mystery of Tannernoe Lodge) ma, al tempo stesso, impreziosisce la collezione con un racconto, sempre di Robert E. Howard, del ciclo noir Kirby & Gorman (Sons of Hate), e una parte saggistica curata da Rick Lai in cui si ricostruisce, mediante l'intreccio con altre serie dell'autore, la vita di Harrison e dei personaggi che ne popolano le avventure.

Se nel primo volume aleggiava un'atmosfera orrorifica ed esotica, qua la componente gialla e criminale diventa preponderante e anche l'esotismo non è sempre presente. Non vi è alcuna traccia del paranormale, anche quando tale evenienza si affaccia quale possibile spiegazione degli eventi, Harrison lo scaccia subito. Ci sono tuttavia due casi di stati ipnotici talmente forti da convincere i destinatari di essere i terminali di disegni paranormali. In un caso abbiamo un bandito che crede di essere l'incarnazione di un antico guerriegliero siriano, in un altro un giovane ragazzo terrorizzato da una voce che pensa riconducibile a un fantasma intenzionato a farlo impazzire.

Harrison si trova a lavorare su casi che, spesso lo vedono coinvolto casualmente o perché invitato per via anonima dagli stessi autori coinvolti nei delitti al fine di utilizzarlo quale alibi. Spesso alle prese con individui che agiscono per eliminare testimoni scomodi di processi penali oppure per acquisire appetitose eredità o gioielli di particolare valore, solo in un caso si trova contrapposto ai boss mafiosi orientali che popolano l'underground di River Street. È il caso di Erlik Khan, di cui qua viene presentata l'avventura omessa nel primo volume (dove invece è presente il sequel): Lord of the Dead (Il Signore dei Morti).  Si tratta forse del racconto più riuscito, per effetto dalla tortuosa e sconosciuta rete di bunker in cui Harrison penetra per puro caso e che si snodano sotto River Street tra camere di tortura e un vero e proprio esercito di mongoli. In un altro racconto emerge anche la figura del cinese Ti Woon, colui che “tira i fili su cui gli uomini gialli danzano come marionette”, che, tuttavia, si troverà a collaborare con Harrison in quanto alla caccia di vendetta.

Le altre storie sono convenzionali.  In un caso (The Voice of Death) addirittura, Harrison risolve il mistero legato a uno strano incidente automobilistico provocato da un ragazzo che ha perso il controllo dell'auto piantandosi in modo goffo in un muro.

Abile conoscitore di uomini, Harrison appare qua assai arguto e, pur nel suo muoversi da solitario, in simbiosi con l'apparato di polizia di cui fa parte. Se nel primo volume poteva sorgere qualche dubbio circa la sua appartenenza alle forze dell'ordine in questa raccolta i dubbi vengono dissipati. Harrison è un poliziotto a tutti gli effetti. Sa come trarre le informazioni dai sospettati, li induce a credere di non aver capito le loro reali intenzioni e, per tali vie e passando un po' per scemo, li porta agli errori decisivi in virtù dei quali procedere all'arresto. Appare dunque in una dimensione non solo muscolare, ma anche cerebrale, sebbene non perda mai occasione per liberare i suoi ganci devastanti.

I gialli non sempre sono verosimili e perfettamente calibrati. In alcuni casi si ravvedono forzature, è il caso di The Silver Heel (Il Tacco d'Argento) dove tuttavia si può apprezzare un intricato intreccio che fa cadere sospetti da tutte le parti fino all'inatteso epilogo. The Black Moon (La Luna Nera) e The Voice of Death (La Voce della Morte) sono due gialli di venti pagine piuttosto prevedibili, soprattutto il primo, per lo scarso numero di personaggi, ma non per questo disprezzabili. Più riuscito, rispetto ai due appena citati, è The House of Suspicion (La Casa dei Sospetti), dove un continuo ribaltamento della situazione in una sperduta villa di campagna ridisegna la posizione dei quattro potenziali sospettati di aver attentato alla vita di Harrison (ognuno dei quali giustificato da un distinto movente spesso scatenato da erronee valutazioni), portando alla luce l'elaborato disegno criminoso dell'uomo che vuol fare la pelle al detective utilizzando individui dallo stesso manovrati senza farsene accorgere dagli stessi. Un giallo che poi travalica nell'azione pura e dimostra l'eccezionale duttilità di un autore capace di confrontarsi con ogni genere

Meno interessante rispetto al primo volume, pur se maggiormente curato (si riducono di tanto i refusetti e ci sono delle illustrazioni a corredo), resta comunque un volume fondamentale per chi voglia completare la collezione Harrison. L'intrattenimento è assicurato, sebbene alcuni racconti diano l'idea di costiture meri esercizi di stili per impolpare la saga Harrison.

Si ricorda che nel 2020 le Edizioni Elara hanno fatto uscire un libro che raccoglie, per la prima volta in Italia, in un unico volume l'intera produzione dedicata a Steve Harrison. Presto uscirà su Zotique il mio speciale dedicato al personaggio dopo di che non avrete più scuse per non aprire le porte della vostra bibiloteca personale e permettere al coraggioso indagatore dello scrittore texano di indagare sui vostri gusti personali. Mi raccomando: Stay tuned.

 
Il volume delle edizioni ELARA che ha riunito, per la prima volta in italiano,
tutte le opere che hanno Steve Harrison come protagonista. 
Il testo però è uscito nel 2020, lasciando alla PROVIDENCE PRESS
il merito della riscoperta.
 
 
"Mentire è una brutta abitudine, ma a volte è il modo migliore per ottenere una confessione."
 

domenica 21 marzo 2021

Recensione Narrativa: STEVE HARRISON - DETECTIVE DEL MACABRO di Robert E. Howard



Autore: Robert Ervin Howard.
Anno: 1934-36.
Genere: Poliziesco Pulp.
Editore: Providence Press, 2017.    
Pagine: 192.
Prezzo: 14,90 euro.


A cura di Matteo Mancini. 
Eccoci alle prese con uno dei primi volumi pubblicati dalla Providence Press, casa editrice bolognese impegnata nella divulgazione e nella promozione della narrativa weird. Ci limiteremo qua a una rapida recensione, essendoci stato commissionato un articolo per la rivista Zotique interamente dedicato al personaggio protagonista del volume (numero che dovrebbe uscire a maggio 2021).

Steve Harrison - Detective del Macabro ci permette, per la prima volta in italiano, di fare la conoscenza col detective dell'occulto di Robert Ervin Howard, o almeno così è stato definito da alcuni per il suo indagare in "storie con elementi soprannaturali". In realtà, nelle quattro storie proposte in questo primo volume (sarebbero tre, perché in una di esse, per ragioni editoriali, il personaggio appare ribattezzato quale Brock Rollins), le uniche uscite quando Howard era ancora in vita, Harrison è una figura molto più vicina al poliziotto alla Callaghan piuttosto che a un esperto di esoterismo. Solitario, dal pugno morto forte e sempre accompagnato dall'inseparabile .45. Il suo approccio è squisitamente materialistico, afferma di non credere ai fantasmi né da dimostrazione di conoscere il mondo esoterico o occulto. E' invece un profondo conoscitore degli usi criminali degli asiatici e sa trattare con i malavitosi locali per assumere le informazioni che va cercando, a discapito di una ferrea applicazione della legge. Soggetto impulsivo, focoso, orientato a risolvere i contrasti con la potenzia fisica piuttosto che con l'acutezza dell'ingegno. È un uomo dalla mole ciclopica, muscolare alla stregua di tutti i personaggi più famosi dell'autore. Cade spesso in difficoltà, quasi sempre imprigionato dal cattivo di turno, finendo salvato dal manigoldo di turno che, per l'occasione, unisce gli sforzi con lui per aver la meglio su qualcuno che è ancor più malvagio. Suo malgrado è un perdente, il suo coraggio va di pari passo con l'incoscienza e la fortuna che lo porta a ridestarsi ogni qualvolta che sembrava in balia del nemico.

Le storie lambiscono il fantastico, cariche di un grandguignol che non disdegna il ricorso del gore ma lo fanno più per le atmosfere e i contesti scenografici, peraltro resi esotici dalla natura dei personaggi che sembrano usciti da un episodio della saga Fu Manchu di Sax Rohmer (palese fonte di ispirazione della serie), che per i contenuti.

Gli intrecci sono semplici, perfetti per una resa cinematografica o per una serie a fumetti. Howard non ha velleità autoriali, si limita a raccontare storie che scorrono via veloci divertendo l'appassionato di pulp. La saga Harrison, infatti, è pulp all'ennesima potenza, peraltro estremamente violenta. Harrison si sposta da paludi infestate da caimani, in cui si celano reietti e gli eredi dei profughi haitiani dediti ai riti voodoo, ai sobborghi di una cittadina del sud-est americano (penso alla Florida, per la presenza di paludi) infestata da orientali dediti al crimine organizzato. Cinesi, mongoli, persino afghani dominano nel quartiere presieduto da Harrison, che, addirittura, impartisce ordini a una polizia negletta incapace di sopperire al pericolo che viene dall'est.

I casi vedono all'opera ladri di gioielli haitiani che si improvvisano officianti voodoo, eredi che pensano bene di far impazzire chi potrebbe ridurre la fetta dei beni loro spettanti, pazzi furiosi che intendono assumere il controllo cittadino o acquisire formule per la realizzazione di un'arma chimica in grado di ribaltare il governo cinese. Trafugamenti di cadaveri, informatori crocifissi in fumerie d'oppio, topi famelici divoratori di corpi umani, teste decapitate collocate quali soprammobili nei salotti di casa, sigarette avvelenate, scorpioni killer, droghe allucinogene, presunti spettri indiani che rivelano la natura umana di raffazzonati travestimenti, inseguimenti automobilistici, fucilate, scazzottate, lotta all'arma bianca e persino esplosioni con bombe a mano e omicidi rituali. Tutto questo e altro è il materiale di Steve Harrison – Detective del Macabro, a dimostrazione di quanto Robert Ervin Howard fosse avanti anni luce rispetto alla sua epoca. Un vero e proprio regista d'azione di un cinema, in quegli anni, ancora non capace di supportare il suo estro visionario.

Tra i racconti presenti spicca per violenza e capacità di disturbare il lettore I Ratti del Cimitero, un giallo portato in scena come se fosse un horror. Sposa l'avventura in stile cannibal movie cinematografico ante litteram Zanne d'Oro. I Nome nel Libro Nero e Il Segreto della Tomba, invece, fanno parte di una mini-serie che vede Harrison contrapposto a un'associazione di stampo mafioso condotta da un boss mongolo che intende assumere il controllo della città e, perché no, del mondo, una sorta di Fu Manchu di Howard che risponde al nome di Erlik Khan.

L'edizione è piuttosto curata. Ci sono alcuni refusetti, ma cose di poco conto. Molto buona l'introduzione ("Steve Harrison: Messa in Scena Macabra per un Detective"), che non viene firmata da alcun autore e che ricostruisce la vicenda editoriale del personaggio. Ottimo il prezzo. Sarà seguito da un secondo volume, Le Nuove Indagini di Steve Harrison, uscito nel 2020 a chiusura della serie.

 

L'autore ROBERT ERVIN HOWARD
 
 
"L'azione diretta, per quanto disperata, è sempre la scommessa migliore."

sabato 20 marzo 2021

Intervista a FAUSTO MARCHI a cura di Matteo Mancini.


 
 
INTERVISTA A FAUSTO MARCHI
 
A cura di Matteo Mancini.

La lettura de La Vestale di Dagon, edita nel 2018 dalla casa editrice romana Il Seme Bianco, ci ha permesso di avvicinare un interessante scrittore non più giovanissimo eppure ancora da conoscere a dovere persino dagli appassionati della narrativa weird ed esoterica. Fausto Marchi, questo il suo nome, ha all'attivo quattro pubblicazioni avviate da due sillogi di liriche neogotiche raccolte in un unico volume Prolegomeni Abissali e Sinfonie di Cigni Neri (2013) proseguite dal noir La Casa del Gufo (2013). Scambiamo quattro chiacchiere con lui, così per conoscerlo meglio e scoprire i retroscena delle sue storie. 


M.M.: Ciao, Fausto. Innanzitutto, complimenti per la tua produzione, specie per il tuo ultimo romanzo uscito, ormai, tre anni fa nella versione edita da Il Seme Bianco. Come hai iniziato a scrivere? Hai seguito anche te il percorso dei concorsi narrativi oppure vieni da altri percorsi formativi?

F.M.: Ciao Matteo. Prima di tutto permettimi di ringraziarti per la dettagliata e obiettiva recensione del mio romanzo ῞La Vestale di Dagon῎. Rispondo subito alla tua domanda: il mio percorso inizia a quattordici anni; a quell’età trovai nel giardino di casa un numero dei mitici ῞Racconti di Dracula῎, per la precisione ῞Il Castello delle Rose Nere῎, di Frank Graegorius. Sicuramente qualche inquilino dei piani superiori l’aveva letto e poi se ne era disfatto in quel modo barbaro! Lo lessi tutto di un fiato e da quel momento mi innamorai della collana e ordinai anche i numeri arretrati, almeno quelli che erano disponibili. Un resoconto della mia ῞conversione῞ a quella serie è descritta nella bella monografia di Sergio Bissoli ῞Il Mito dei Racconti di Dracula῞. Dopo circa un anno di lettura sopraggiunse in me il desiderio di emulare quelli che, a quel tempo, consideravo i miei eroi, cioè i vari autori della collana, che si celavano sotto pseudonimi. Certo, i miei erano tutti raccontini che si svolgevano sempre in Irlanda, oppure Inghilterra o Normandia, in sperduti borghi di pescatori; ricordo ancora il titolo di uno di essi: Plenilunio su Shelton, nel quale il ruolo del licantropo era sostituito da quello di una fanciulla che si trasformava in una sorta di feroce ῎gatto mammone῞.


M.M.: Mi pare di capire che la tua principale vocazione artistica sia per la poesia. Puoi parlarci della tua raccolta di liriche edita per Sacco Editore?

F.M.: Prolegomeni Abissali e Sinfonia di Cigni Neri sono due sillogi di liriche scritte e formulate in maniera classica, cioè la raccolta è composta quasi esclusivamente da sonetti e strofe saffiche, queste ultime alla maniera del Pascoli e di Enrico Thovez. Molti dei miei sonetti però hanno rima del tipo ABCD ABCD oppure ABCD DCBA, per dare maggiore solennità al verso. Ho sempre ammirato i poeti francesi del Parnassianesimo e quelli del Simbolismo; penso che la magnificenza e la perfezione ritmica dei loro versi siano, ai tempi nostri, ineguagliabili. Soprattutto sono legato a poeti come Maurice Rollinat e Robert de Montesquiou autori di raccolte di liriche raffinate, in pieno stile decadente. La silloge di Maurice Rollinat ῎Les Nevroses῞ per noi gotici sono tutto un programma. Anche Robert de Montesquiou scrisse in maniera classica varie liriche tra cui ῎Les Hortensias Bleus῞, ῎Les Perles Rouges῎ e ῞Les Paons῞, tutte indegnamente ignorate dai nostri traduttori e dalle nostre ῎belle῎ case editrici, indaffarate a proporre i soliti ῞noti῞, dei quali abbiamo le tasche piene, come Quasimodo, Ungaretti e Montale! È una cosa indecente che tanti (sconosciuti) bravissimi poeti simbolisti e decadenti dell’Italia umbertina siano caduti nel dimenticatoio e mai più pubblicati!


M.M.: Da scrittore e frequentatore di piccole case editrici, mi è sempre stato detto che i volumi dedicati alla poesia hanno un impatto molto difficile, in termine di vendite, sul mercato. Come è andato, da questo punto di vista, il tuo volume?

F.M: Mediocre, però come tutti! È bene chiarirci! Carmina non dante panem! Ovvio che la poesia circola in un numero ristretto di ῞adepti῎ e non vende! Basti pensare a Sandro Penna, morto quasi in povertà e ora, giustamente, considerato uno dei più grandi poeti italiani della seconda metà del Novecento!
Il problema è che, con il verso lirico, ognuno si improvvisa poeta e scrive frasi che potrebbero andare bene per una raccolta di buone intenzioni, di fioretti pregni di un sentimentalismo vuoto e nulla più! Pablo Neruda diceva che i primi tempi scriveva dieci poesie al giorno! Male, molto male! Quella è poesiola della sera, non vera poesia! La lirica va pensata, rimodellata e perfezionata! 

Il debutto letterario di 
Fausto Marchi avviene 
con una raccolta di sonetti e strofe saffiche.

M.M: Oltre alla poesia, sei un profondo studioso di esoterismo e la tua cultura, anche da questo punto di vista, emerge in modo evidente dai tuoi romanzi. Hai persino fatto parte dell'Ordo Templi Orientis, legato alla discussa figura di Aleister Crowley. Cosa ricercavi in questo tuo avvicinamento agli ordini esoterici e che esperienza hai avuto? Che ruolo ha avuto Crowley nello spingerti verso questa organizzazione religiosa di matrice iniziatica?

F.M.: Allora, ci tengo a precisare Aleister Crowley non ha avuto alcuna influenza nei miei romanzi! La mia (breve) partecipazione nell’Ordo Templi Orientis è durata fino al primo grado iniziatico, dopo aver ricevuto il grado zero! Poi ne sono uscito per forti disarmonie verso il loro modo di intendere la magia e altre cose. Il discorso sarebbe molto lungo, ma qui ti posso dire solo che io ero innamorato di una operatività classica di fare Magia Cerimoniale, alla maniera della Golden Dawn, ma questo non avvenne perché gli insegnamenti di Crowley erano per una nuova concezione Thelemica che non mi addiceva. Devo ammettere però che le ragazze nell’O.T.O. erano notevoli e con un accattivante look molto dark e gothic. Concludo dicendo che, uno degli ossimori dell’insegnamento di Crowley è quello di aver inserito nel suo paradigma rituale insegnamenti tratti dalla Kabala ebraica e questo mi apparve come un vero e proprio controsenso per un’organizzazione magica che pretendeva di rifarsi al paganesimo! Comunque, attualmente sono tornato al cristianesimo e sono di religione ortodossa.


M.M.: Dalla lettura dei tuoi romanzi, pur se non ancora numericamente cospicui, si percepisce già un certo marchio di fabbrica. Atmosfere dark, decadenti, spesso di ambientazione rurale, accompagnano i protagonisti delle tue storie spingendoli in vortici onirici in cui l'erotismo ha un ruolo importante. Figure femminili borderline ammaliano i tuoi ricercatori di misteri, quasi corrompendoli, in trame inizialmente gialle o poliziesche che si trasformano, strada facendo, in vere e proprie storie del terrore. Ecco che le tue storie richiamano da una parte la narrativa classica di matrice decadente di fine Ottocento e, dall'altra, la più moderna narrativa esaltata dai pulp magazine e dalla cinematografia di registi quali Jess Franco e Jean Rollin. Cosa ci puoi dire a riguardo, in merito al rapporto tra le tue storie e le tue passioni letterarie? Cosa ti interessa, in particolare, nell'ambito della narrativa dark?

F.M.: Beh, il problema è complesso. Dopo le letture adolescenziale ho voluto perfezionarmi, imponendomi la lettura (anche se con notevole sforzo di volontà) dei grandi scrittori classici dell’Ottocento francese, russo e italiano. Così ho iniziato con Fogazzaro (la cui Malombra mi ha profondamente deluso dato che, avevo prima visto lo sceneggiato e mi aspettavo un romanzo più dinamico, invece è lento con alcune dialoghi insopportabili e involuti), poi Sergeevič Turgenev (Un Nido di Nobili e Padri e Figli…altra fatica!), Fëdor Dostoevskij (ottimo e sempre attuale) , Tolstoj (anche con lui lettura piacevole), quindi i francesi , soprattutto Dumas, padre e figlio, Gustave Flaubert (del quale ho apprezzato Salammbo, ma non L’Educazione Sentimentale, che ho avuto il coraggio di leggere fino alla fine, ma a caro prezzo psicologico!), per passare poi a letture più consone alla mia forma mentis, cioè gli ῎Scapigliati῞ italiani e i Decadenti sia italiani (D’Annunzio e Tarchetti) che francesi, non solo i ῎maggiori῎, come Karl Huysmans, ma anche i cosiddetti ῞minori῞ tipo Rachilde, Loti, Pierre Louÿs, Jean Lorrain, i belgi come Georges Rodenbach e via dicendo. Ma anche un genere ῞minore῞ ha contribuito alla mia crescita di scrittore, stimolando la mia morbosità: si tratta del cosiddetto ῎romanzo bizantino῞ in voga nella Francia fin de siecle, soprattutto Jean Lombard e Paul Adam. Si tratta di romanzi che si svolgono, come evince, in una Bisanzio decadente e nevrotica, sempre sull’orlo di crollare sotto i popoli invasori. In ῎Bysance῞ di Paul Lombard, Viglinitza, principessa con madre di origine barbarica, ma bizantinizzata, dai capelli rossi (tornerò sul tema del rutilismo), vive le sue turbe mistico sensuali; giungerà vergine al matrimonio, ma il giovane nobile che la sposerà verrà accecato la prima notte di nozze, per non contaminare con il suo sguardo le perfette nudità della principessa! Formidabile! Tutto questo mi ha permesso di impadronirmi di uno stile ῎dotto῎ e ῞classico῞, scevro da sperimentalismi fuorvianti. Ovviamente ho anche apprezzato, nel campo poetico, sia i Parnassiani che i Simbolisti, i quali hanno sicuramente influenzato le mie liriche gothic.


M.M.: A parte Joris-Karl Huysmans, gli scrittori russi e la scuola del terrore rappresentata da maestri quali Poe e Lovecraft, sappiamo che sei un grande estimatore della serie I Racconti di Dracula che, negli anni Sessanta-Settanta, ha tenuto alta la bandiera della narrativa popolare italiana nelle edicole. Quale è stata la tua esperienza con questa serie e quali sono, se ce ne sono, i romanzi che reputi imperdibili che consiglieresti a un amico?

F.M.: Come scritto poco innanzi la mia prima lettura - ovviamente escludendo i testi scolastici - è avvenuta proprio a causa della fortuita scoperta di uno dei ῞Racconti di Dracula῎ nel giardino dell’appartamento, dove abitavo con i miei in via Montevideo, ai Parioli. Devo dire però che ora, rileggendoli, a parte l’aureola romantica che nutro nei loro riguardi, la prosa mi sembra troppo schematica e riduttiva: i periodi sono brevi, la punteggiatura difetta di virgole e punti e virgola. Certo, scrittori come Frank Graegorius, al secolo Libero Samale, si elevano di un gradino su tutti gli altri, però molti erano seriali e ripetitivi, anche se, a loro discapito, bisogna ricordare che erano vincolati a un numero ben definito di pagine e a tempi ridotti per la stesura dei loro racconti. Rimane comunque il fascino di quel periodo. Racconti imperdibili? Quasi tutti quelli di Frank Graegorius, almeno fino ai primi Anni 70’…poi ῎Vampir, Mostro di Sangue῎ (di Giuseppe Paci, ndr), ῎Il Canto degli Annegati" (di Gualberto Titta, ndr), ῞La Prigioniera di Roccia῎ (un capolavoro!, di Franco Prattico, nr), ῞La Bara sulla Riva῎ (di Giuseppe Paci, ndr), ῞Il Mostro delle Nebbie῞ (di Giuseppe Paci, ndr), tanto per citarne qualcuno

 
M.M.: Veniamo al tuo romanzo di debutto, La Casa del Gufo, credo un tributo a quel mondo decadentista esaltato da romanzi quali Controcorrente. È stato definito un connubio di “letteratura trascendentale alla Poe infarcita da chiare influenze decadentisti con brevi incursioni nella letteratura post-moderna.” Quanto ti rivedi in questa classificazione? Puoi narrarci qualche aneddoto sul romanzo?

F.M.: La Casa del Gufo nasce come mio primo impegno di scrittore di romanzi. Siamo nel 2008 e venivo da una forte depressione psichica. Ero ῞carico῞ di nozionismi, ma la poesia iniziava ad andarmi stretta. Avevo conosciuto, nella mia militanza nell’Ordo Templi Orientis, un mondo che mi attraeva: ragazze dark gothic, alcuni atteggiamenti trasgressivi e via dicendo. Poi ne ero uscito e impegni famigliari mi avevano tenuto lontano da tutto questo. Mi ero dedicato ad attività sportive. Come il tiro con l’arco primitivo, il trekking, l’arrampicata free climbing, l’archeologia sperimentale, lo sci di fondo (che pratico tutt’ora) e via dicendo. Un incontro, prima su di un forum dark fetish, poi dal vero, con una ῞tipa῞ molto particolare, oserei dire ῎borderline῎, è stata per me la ῎spinta῎ necessaria a convertire in scrittura le mie fantasie. Quel romanzo narra di un uomo, un ῎flâneur῎ che vaga per le strade di una Roma fatiscente, sotto un cielo quasi sempre cupo, oppresso da ricordi adolescenziali che hanno deviato la sua sessualità dirottandola verso uno strano feticismo, un’ossessione erotica. L’incontro, casuale, con una giovane dalla personalità morbosa e praticante il sadomaso, alimenterà un’attrazione reciproca. Ma i fantasmi del passato sono lì presenti e in agguato, e solo un flashback finale risolverà il problema. 

Uno strano festicismo è al centro del primo romanzo 
di Fausto Marchi, un noir con elementi horror.

M.M.: Già ne ῞La Casa del Gufo῎, così come nel tuo successivo romanzo, emerge uno spiccato stile descrittivo, legato soprattutto alla passione per l'arte. Quadri, sculture, monumenti, architettura sembrano giostrare un ruolo centrale nelle tue storie, in particolare la pittura pare avere sempre una funzione anticipatrice di quanto poi andrà a verificarsi nel corso della storia. Sei forse uno scrittore che elabora le proprie idee guidato da impulsi visionari che un quadro può indubbiamente sintetizzare e, al tempo stesso, alimentare oppure c'è un altro motivo?

F.M.: Devo ammettere di essere sempre stato una sorta di ῞esteta῞! Forse perché provengo da una famiglia di artisti: mio nonno dipingeva (fece anche una perfetta copia della Casta Susanna del Guido Reni), come anche mio padre e mio zio; poi, mio fratello Roberto ha dalla sua un vero curriculum artistico perché ha frequentato il liceo artistico e l’Accademia di Belle Arti a via Ripetta e sin da bambino disegnava benissimo. Ho sempre apprezzato l’arte figurativa, specie quella della seconda metà dell’Ottocento, soprattutto le correnti del Simbolismo, dell’arte ῞Pompier (tanto degradata dalla critica ufficiale) e i Preraffaelliti. Non ho mai amato l’amore per i ῞primitivi῎, il cubismo, il fauvismo e via dicendo… li considero forme artistiche che si allontanano dai canoni classici che greci e romani ci hanno tramandato. E che dire dell’arte ῎concettuale῞, ῞astrattismo e via dicendo? Lungi da me il voler parlare di ῞arte degenerata῞, ma non posso accettare che si facciano passare per opere artistiche il fare un foro o dei tagli su di una tela, o mettere in un barattolo le proprie feci e poi le si quotino milioni di euro alle aste! Al limite posso considerare la provocazione, la trasgressione, ma null’altro! Idem vale per la scultura. Per fortuna, ai tanti imbrattatele contemporanei, si oppongono artisti di notevole spessore, come Roberto Ferri, Saturno Buttò e Carlos Barahona Possollo, che cito anche nei miei romanzi. Specificatamente a Saturno Buttò è dedicata la mia nuova silloge di liriche gothic di prossima pubblicazione. Concludo che anche l’architettura moderna mi lascia freddo se non, addirittura, genera in me un profondo disgusto. Così anche per quella religiosa. Le ultime chiese belle sono state costruite in stile neogotico, o neoromanico. Pensa che, invece, nei paesi ortodossi, come la Grecia, la Bulgaria, la Russia, i luoghi di culto vengono ancora edificati nello stile neobizantino!


M.M: La tua città Roma, per ora, è sempre presente nelle tue storie. C'è un motivo particolare oppure ti rifai al monito di Stephen King che raccomanda sempre ai suoi allievi di scrivere di luoghi e cose di cui gli stessi hanno conoscenza diretta?

F.M.: Beh, diciamo che approvo quello che afferma Stephen King. Inutile ambientare storie in città che non si è mai avuto occasione di visitare e delle quali si ha solo una visione imperfetta, derivata da foto o da notizie tratte da internet o da terzi. La città ove si ambienta un romanzo dev’essere ῎vissuta῎, almeno a mio parere! Poi, però, per quanto riguarda Roma, c’è anche un altro motivo: Roma è effettivamente una città ῞magica῞, esoterica, con quartieri diversissimi uno dall’altro, ma anche con un patrimonio storico artistico che non ha uguali al resto del mondo. 

La sirena ha sempre attratto l'immaginario
dello scrittore FAUSTO MARCHI.

M.M.: Un'altra caratteristica della tua produzione è il ruolo giocato dalle creature mitologiche, in particolare la sirena. Ed è forse proprio questa figura che funge da raccordo tra i tuoi due romanzi fin qui pubblicati. Da dove arriva questa fascinazione?

F.M.: Le sirene mi hanno sempre attratto. Il fascino di queste crudeli, ma sensuali, creature marine mi perseguita sin da quando ero ragazzo. Vederle nude, aggrappate agli scogli battuti dalle onde, mentre cercano di attirare l’attenzione dei marinai con canti e gesti osceni ha sempre scatenato la mia fantasia. E poi gli oceani - specie quello Atlantico - in tempesta mi hanno sempre affascinato! D’altronde sono un appassionato di Lovecraft e di William Hope Hodgson, scrittori nel quale il mare e l’unione di esseri umani con creature acquatiche, oppure l’orrore degli abissi marini, è sempre presente. Due film usciti da poco mi hanno affascinato: "The Lighthouse῎ e ῞Cold Skin῞, entrambi ambientati in fari isolati. Comunque, c’è un altro ῞leitmotiv῞ che mi perseguita, ed è quello delle trombe marine! Da bambino io, mio fratello, mamma e mia nonna eravamo in una spiaggia di Porto Recanati: ci eravamo attardati, nonostante il tempo non prometteste bene, e alla fine ci accorgemmo che sulla spiaggia eravamo rimasti solo noi e un bagnino. All’improvviso il cielo si fece ancora più cupo, iniziò a piovere e all’orizzonte apparve la cupa sagoma di una tromba marina che si avvicinava. Non sapevamo che fare, ma per fortuna il bagnino ci venne incontro, aprì una cabina e ci chiuse dentro, raccomandandoci di non uscire fino a tempesta passata. Così facemmo; quando, dopo un interminabile lasso di tempo, uscimmo, notammo che la sabbia aveva coperto parte della pedana di legno della cabina, ma la tromba marina era scomparsa. Il bagnino ci raggiunse e disse che, per fortuna, il turbine aveva rasentato la riva, ma non si era spostato sulla terraferma. Ancora adesso, in molti miei scritti, ambientati nel mare, appare una tromba marina…


M.M.: Se ne ῎La Casa del Gufo῎ il gusto per la narrativa di genere si miscelava con la narrativa classica, con La Vestale di Dagon ti inserisci dichiaratamente nel solco dei prosecutori dei Miti di Cthulhu. Dalla lettura emerge l'impressione di un condensato in cui raccogli tutte le tue passioni, dagli studi di scienze biologiche che hanno accompagnato i tuoi studi universitari, passando per le organizzazioni segrete legate a un paganesimo dei primordi fino al gusto per la narrativa del terrore. È forse il tuo romanzo manifesto?

F.M: Forse. Ma forse no. Io ero portato più per le lettere. Durante gli studi superiori facevo sempre il tema migliore, non solo di tutta la classe, ma di tutto l’istituto. Però venivo da un indirizzo tecnico e pensavo di non avere le basi sufficienti per un corso di laurea in lettere; non ero a conoscenza che esistevano anche corsi di laurea in letteratura moderna oppure in storia dell’arte o antropologia. Quando lo seppi ormai avevo iniziato a dare esami in Scienze Biologiche e lasciai perdere. Poi interruppi gli studi perché mi misi a lavorare e la cosa finì lì. Certo, il desiderio di prendermi una laurea in materie letterarie mi è rimasto e non è da escludere che possa iscrivermi a un’università online. Devo solo trovare lo stimolo giusto.


M.M.: Quello che non cambia mai nelle tue storie è il ruolo della donna, una perfetta erede della biblica Eva. Penso all'adescatrice de La Vestale di Dagon o all'indifesa Lavinia che poi si scopre essere una vera e propria sacerdotessa associata, da alcuni, al demonio. Quanto in questo gioca la tua visione nel mondo della donna?

F.M.: A vent’anni stavo con una ragazza dai capelli rossi (rutilismo) e occhi verdi, una vera ῞streghetta῎; lei si interessava di astrologia e di tarocchi, ma aveva anche un carattere vagamente sadico. Lasciò il segno, perché le donne con i capelli rossi hanno sempre esercitato un fascino profondo sulla mia psiche…in fondo le sacerdotesse celtiche avevano i capelli di un mogano chiaro, come le donne irlandesi. Ne ῞La casa del gufo῞, il protagonista si porta dietro un trauma adolescenziale legato alle trecce di quel colore e anche Lavinia, ne ῞La vestale di Dagon῎, ha i capelli di uno stopposo mogano. Pure le albine mi rendono inquieto, infatti Vittoria, nello stesso romanzo, come ben sai, è albina.


M.M.: Dalla consultazione delle librerie internet, al momento, risultano a tuo nome due romanzi e una raccolta di liriche neogotiche, tuttavia ho la sensazione che tu possegga, nel proverbiale cassetto, diverso materiale inedito, soprattutto sul versante dei racconti fantastici. Ci ho visto bene? Di cosa si tratta? Puoi anticiparci qualche trama?

F.M.: Sì. Ho voluto cimentarmi anche nel genere thriller. È una scommessa che ho fatto con me stesso! Vedi, può sembrare strano, ma scrivere un romanzo giallo è molto più impegnativo e complesso che scrivere un racconto horror. Nell’horror e nel fantasy la mente corre libera e si può ignorare la logica, almeno in parte; nel giallo tutto questo non accade e la trama deve svolgersi in maniera razionale, gli elementi si devono perfettamente incastrare tra di loro come un complicato puzzle. Ho terminato un thriller, una via di mezzo tra il giallo hard boiled, alla maniera di Dashiell Hammett e Raymond Chandler, e il mystery, vagamente alla Dan Brown. Di più non ti voglio dire, per invogliare la sorpresa.


M.M.: Ti faccio ora una domanda aperta, in bianco, il classico argomento a piacere bramato nelle interrogazioni a scuola a cui ti avrebbe fatto piacere rispondere.

F.M.: Beh, francamente mi sarebbe piaciuto avere il dono di saper disegnare e dipingere bene come mio fratello: avrei messo su tela i miei incubi e le mie morbosità!


M.M.: Grazie a Fausto Marchi per il tempo che ci ha dedicato e un cordiale augurio per i prossimi impegni.

F.M: Grazie a te Matteo, per l’intervista e per l’ottima e oggettiva recensione del mio romanzo ῞La Vestale di Dagon῞.

L'omaggio alla narrativa di Howard P. Lovecraft
di FAUSTO MARCHI.

venerdì 19 marzo 2021

Recensione Narrativa: IL DEMONE DI FEBBRAIO di Gérard Prévot.


Autore: Gérard Prévot.
Titolo Originale: Le Démon de Février.
Anno: 1970.
Genere: Antologia Racconti Neri.
Editore: Agenzia Alcatraz, 2020.
Pagine: 232.
Prezzo: 14.00 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini. 

IL PROGETTO
Antologia che segna la via di un nuovo e ambizioso progetto sposato dall'Agenzia Alcatraz. La casa editrice milanese ha chiuso un contratto che per gli appassionati di narrativa fantastica non può che costituire un inatteso e mai sperato dono. Attraverso un accordo raggiunto con Jean-Baptiste Baronian, storico direttore della collezione belga Marabout Fantastiques, l'Agenzia Alcatraz si propone di sdoganare in Italia il meglio del famoso e decantato catalogo. La Marabout, casa editrice specializzata in volumi tascabili, fu fondata nel 1949 da André Gérard e contribuì, a partire dal 1961 (e per i successivi sedici anni) con la pubblicazione della leggendaria antologia di Jean Ray Les Vingt-cinq Meilleures Histoires Noirs et Fantastiques, alle fortune di autori quali Jean Ray, Michel de Ghelderode e Thomas Owen, lanciando scrittori belgi al fianco dei più grandi interpreti della letteratura fantastica internazionale. In essa hanno trovato residenza tutti i maggiori scrittori locali dediti al fantastico che, sulla scia dei più famosi Jean Ray e Thomas Owen, hanno dato il là a una vera e propria scuola: La Belgique de l'etrange.

Curiosamente l'Agenzia Alcatraz decide di avviare il suo catalogo, che mantiene la veste grafica dei numeri originali confermando le splendide copertine di Henri Lievens, con un autore inedito nella nostra penisola: Gérard Prèvot. Pur se non menzionato nelle guide pubblicate dall'Odoya e, prima ancora, in volumi attenti alla narrativa fantastica di matrice francofona quali Les Maitres de l'Etrange (“Maestri della Letteratura Fantastica”, edizioni Edipem, 1983), Prévot è un nome che già da anni circolava nelle riviste nostrane. Cesare Buttaboni, nel 2011, lo cita, pur se marginalmente, nel suo articolo dedicato alla letteratura del fantastico belga pubblicato sulla rivista di letteratura e fantastico della Hypnos.

Nome dunque abbastanza sconosciuto, la cui produzione è avvolta da un fitto mistero e per questo tale da destare grande interesse negli appassionati. L'Agenzia Alcatraz propone così ai suoi lettori non una, ma addirittura due delle quattro antolgoie di Prévot edite dalla collana Marabout. Ci interessiamo qua de Il Demone di Febbraio (l'altra è La Notte del Nord) pubblicata in Belgio nel 1970, dopo esser stata inviata per posta a Baronian col titolo provvisorio di Contes de la Mer du Nord.

L'AUTORE

L'approccio di Prévot al fantastico, anche se sarebbe il caso di dire al "macabro", è particolare, sembra più legato ai riscontri del mercato che a una vera e propria predilezione. Non a caso non dimostra  di possedere quel sense of wonder tipico degli specialisti, legandosi a una concezione classica alla E.T.A. Hoffmann o alla Edgar A. Poe in cui il disagio e la minaccia arrivano più dall'interno dell'uomo che a causa dell'intervento del soprannaturale. A ogni modo giunge al genere solo dopo aver frequentato altre branche della letteratura. Quando scrive l'antologia che lo porterà a mutare i propri interessi sembra non crederci veramente, neppure allega un numero di telefono alla domanda di pubblicazione. Invia il tutto per posta da Parigi a una collana specializzata, mentre lui è lettore per le Editions Gallimard (evidentemente non interessate al lavoro). Ha già quarantanove anni, aspetto non di poco conto. Questo però non deve far pensare a un autore tardivo, tutt'altro. Nato nel 1921, Prèvot è un uomo di profonda cultura e ha un passato ricco di avvenimenti. Partigiano durante la seconda guerra mondiale, partecipa alla liberazione nazista militando tra le file della Brigata Piron. Giornalista presso i quotidiani Le Peuple e La Citè sul finire degli anni quaranta, si trasferisce a Parigi nel 1954 dove decide di stabilizzarsi trovando un ruolo di collaboratore per le edizioni Gallimard e Lettres Françaises. Tenta la via, poco fortunata, del teatro, predisponendo drammi teatrali. Grande appassionato di musica classica nonché di scacchi, hobby che traspirano dai suoi racconti, scrive romanzi drammatici già negli anni sessanta ma senza successo, si dedica anche alla poesia con una certa predilezione per i poeti maledetti. È però l'incontro a Bruxelles con Baronian che lo rende popolare, anche se solo in Belgio. Il direttore di Marabout resta impressionato dal testo che è pervenuto in redazione. Lo trova "molto fresco e originale" e decide di rispodere all'autore, chiedendo un appuntamento per la sottoscrizione di un contratto. E' l'inizio di una breve ma proficua collaborazione che porterà Prévot a essere tradotto in via marginale in Romania, Germania, Olanda e arrivare ora in Italia in modo organico come mai avvenuto in altro stato europeo.

Dopo aver pubblicato Le Démon du Février, con postfazione di Franz Hellens (scomparsa nell'edizione italiana), Prévot decide di specializzarsi nella narrativa breve di matrice fantastica così da dare seguito con altre tre raccolte alla propria esperienza col catalogo Marabout. Escono: Celui qui Venait de Partout (1973), Le Nuit du Nord (La Notte del Nord, 1974) e Le Spectre Large (1975), per un totale di cinquantaquattro racconti così ripartiti: ventuno racconti per la prima antologia, dieci per la seconda, tre per la terza e venti per l'ultima

Con lo pseudonimo di Red Port, sempre per Marabout, tra il 1974 e il 1975, da alle stampe sei ulteriori volumi che danno il via alla serie fantascientifica per ragazzi Dan Dubble. Scompare prematuramente nel novembre del 1975 per complicazioni legate al diabete.
 
La copertina originale uscita
nel 1970 per Marabout.
 
CONSIDERAZIONI GENERALI SULL'ANTOLOGIA
Autore raffinato, amante delle citazioni riconducibili al mondo dell'arte (cita persino Modigliani) e alla musica classica di compositiori quali Mozart (di cui sembra nutrire una stima infinita), Chopin e Bach che spesso accompagna i personaggi. Niente a che vedere, dunque, con la cultura popolare legata alla narrativa pulp o al coacervo di entità diaboliche sdoganate dall'immaginario legato al mondo orrorifico (vampiri, lupi mannari, alieni, mummie, mad doctor, mostri soprannaturali non trovano habitat nelle storie del belga). Certo, è palese uno sforzo teso a rendere gli elaborati appetibili alle grandi masse, grazie all'introduzione di un humor talvolta dissacrante o, in altri casi, ad atmosfere che evocano un orrore figlio di entità ectoplasmatiche. Potremmo così definire Prévot uno scrittore erede di un modo di trattare il fantastico tipico di quei grandi maestri di inizio ottocento, in cui il disagio è generato da un malessere interiore e non da un pericolo che viene da altre dimensioni (vuoi spaziali o legate all'aldilà). Ecco che il belga ha un forte legame con la realtà, da cui non cerca di evadere ma a cui tutto riconduce. Il suo è un orrore psicologico in cui spiccano la paura di vivere, il terrore di amare, l'ossessione di non essere, disagi che snaturano la morte fino a proporla quale infatuazione che tutto placa e tutto addolcisce, liberando da ogni responsabilità. Leggendo le storie de Le Démon du Février si ha l'impressione di essere al cospetto di un allievo di E.T.A. Hoffmann, Edgar A. Poe o Gerard de Nerval, piuttosto che degli autori griffati weird tales o di natura esoterica (si pensi ai narratori inglesi di inizio novecento, tipo Machen, Blackwood, Hodgson e via dicendo) in voga all'epoca in cui scriveva Prévot. Certo, lo stile è ammodernato, reso più fluido e spesso giostrato in funzione di epiloghi all'insegna dell'inatteso, in cui i ribaltamenti dei ruoli sono di casa. Prévot dedica molta cura ai prologhi (inizia spesso con considerazioni di natura generale poi esplicitati dal racconto che segue) e ai finali, non disdegnando un'ironia nera che lo rende autore dotato di uno spiccato sarcasmo. Fraintendimenti, allucinazioni, visioni premonitrici percepite come reali ma solo successivamente comprese per la loro reale veste, previsioni destinate a realizzarsi a testimonianza dell'ineluttabilità del destino e situazioni in cui il fantastico è percepito quale ipotesi che può avere anche una spiegazione terrena sono gli ingredienti che condiscono le sue storie. Ecco che il fantastico dell'autore belga svanisce il più delle volte in storie "semplicemente" nere dove si celano assassini, smemorati e individui sprofondati nelle maglie dell'alterazione psicofisica, vuoi per l'insorgenza della pazzia, per l'influsso negativo della solitudine o per emozioni quali paura o rabbia ovvero per l'influenza dei fumi dell'alcool. Uomini disperati, che vagano per vie avvolte dalle nebbie, di solito di notte, nel nord dell'Europa, tra Belgio, Olanda, Germania, Scozia e Norvegia (fino ad alcune storie ambientate negli Stati Uniti e, addirittura, in Mongolia), trovando ristoro in piccole bettole dove, seduti ai tavolini, si raccontano le loro vicende davanti a un boccale di birra e a una scacchiera.
Sono rarissimi i racconti puramente fantastici. Sui ventuno proposti, tralasciando le premonizioni e le visioni che anticipano eventi futuri, così come gli elaborati allusivi (dove il fantastico è solo suggerito quale interpretazione alternativa ad altra terrena), i racconti davvero fantastici sono appena due (La Petite Gare de North Berwick e Les Fous de Damme), peraltro beffardi e non privi di humor. Ciò, ovviamente, non rende meno interessante la lettura, anche se è bene esser consci del prodotto che si va a leggere, onde evitare di restarne delusi pregustando orrori di matrice cosmica o soprannaturale di cui poi non si trova traccia (sbagliato, a mio modo di vedere, l'accostamento con Ray). Prévot inventa poco, Le Démon du Février non mostra la produzione di un autore originale, piuttosto evidenzia l'eleganza di uno scrittore capace di rimasticare quanto già apparso e trasformarlo in una veste capace di impressionare per le emozioni che riesce a evocare piuttosto che per la particolarità delle trame. Certo, come in ogni antologia ci sono dei racconti che lasciano il segno e fanno guadagnare punti al libro. Vediamo allora qua di seguito, per chi non teme gli spoiler, l'analisi (pur se breve) di tutti i racconti.

La doppia offerta dell'Agenzia Alcatraz.

CONSIDERAZIONI PARTICOLARI SULL'ANTOLOGIA: ATTENZIONE SPOILER

Possiamo provare a raggruppare i ventuno racconti de Le Démon du Fèvrier in tre sotto categorie. Ci sono, pochi, i racconti soprannaturali, i racconti con elementi soprannaturali e poi ci sono gli altri racconti, per lo più neri o legati a una disperata dimensione psicologica.

Del primo gruppo di storie fanno parte due dei racconti più riusciti dell'antologia: La Petite Gare de North Berwick (La Piccola Stazione di North Berwick) e Les Fous de Damme (Il Giullare di Damme). Il primo testo è forse il più spaventoso del lotto, una ghost story in piena regola degna della tradizione anglosassone (ambientazione nell'alta Scozia) o dell'antologia Il Demone del Moto. Racconti Fantaferroviari di Stefan Grabinski. La demolizione di una vecchia stazione di mare diviene motivo di liberazione di un fantasma che prende a insidiare il custode del cantiere. Quest'ultimo, in preda alla solitudine e ai fumi dell'alcool, non riesce a far fronte al fantasma che, poco a poco, distrugge sempre più le rovine rimaste, preannunciando futuri incidenti ferroviari e la morte violenta di tutti i soggetti coinvolti nel progetto. La follia della situazione e la paura di perdere il posto induce il custode a non denunciare al datore di lavoro quanto succeda di notte, finché la situazione non diventerà insostenibile. Il fantasma si farà sempre più ardito, tanto da spingere psicologicamente il custode a lanciarsi nel vuoto. Prévot potrebbe fermarsi qua, suggerire un fantastico che in realtà potrebbe ricevere altra spiegazione (allucinazione audiovisive dettate dall'isolamento e dall'ebbrezza alcolica) e invece chiude il tutto in modo ironico, con il fantasma, non quello della scalcinata North Berwick (troppo povera per permettersene uno), ma uno di una paese confinante che confessa la propria condotta precisando di “essersi assicurato personalmente della morte violenta di tutti i coinvolti” nel progetto della stazione confessando la propria natura ectoplasmatica (da notare ancora l'ambiguità con la quale Prévot piace giocare, tanto da suggerire l'azione diretta del fantasma nell'eliminazione di tutti gli operai e non una sua semplice ricerca della causa di morte per avvalorare il racconto).

Già da questo testo si evincono molte delle caratteristiche tipiche della narrativa di Prévot. Abbiamo un orrore delicato, a metà strada tra l'orrore psicologico e l'interazione di forze ectoplasmatiche. In tale quadro si inseriscono le previsioni future che sembrano dimostrare l'ineluttabilità di un destino a cui gli uomini non possono sfuggire e chi dotato di maggior sensibilità riesce ad anticipare, talvolta dettando proprio le condizioni affinché lo stesso si verifichi. Una tematica che, quasi richiamando il titolo originale dell'antologia, è in linea a quella rintracciabile nel romanzo The Mystery of the Sea (1902) di Bram Stoker. Si prosegue con l'ambientazione notturna, a un passo dal mare, tra vento, nebbia e persino neve a forgiare il clima glaciale del nord e si conclude con la follia del protagonista che non riesce più a vivere e trova nella morte l'illusione di felicità. Nel testo vediamo il povero custode lanciarsi nel vuoto, convinto di finire tra le braccia della donna amata che, invece, si trova dall'altra parte dell'oceano. In questa parte tragica conclusiva si percepisce un'altra sottotraccia del belga ovvero l'allusività all'interazione di forze dell'oltre capaci di suggerire gesti estremi attraverso uno stato di ipnosi in cui cadono i destinatari dei loro assalti. Ecco che La Petite Gare de North Berwick è un degno rappresentante della narrativa di Prévot.

Con Les Fous de Damme si rafforza l'idea di un qualcosa di soprannaturale che induce gli uomini al suicidio, sempre facendoli lanciare nel vuoto. Prévot ribalta però l'orrore e fa sembrare la stregoneria una sorta di giustiziere in soccorso dei più deboli così da porre fine alle malefatte umane. Ci spostiamo a Damme, in Germania, dove una tradizione annua, in scena la terza settimana di quaresima, falcidia la popolazione felina in ricordo alla credenza che i gatti fossero responsabili delle pestilenze di cui soffrivano nel medioevo le città. La mattanza è destinata a terminare grazie a Kolwezi, un gatto africano fatto dono da uno stregone e di proprietà di un bambino di dodici anni in vacanza dai parenti in quel di Damme. Il bimbo sembra essere in un rapporto soprannaturale col gatto, quasi fosse lui il soggetto "magico" che scatena la serie di suicidi e non il felino: “gli dissi due parole per avvisarlo.” Per tre anni, il lancio dalla torre dei gatti avrà pertanto una truce sorpresa. Dall'alto volerà sul selciato, sfracellandosi al suolo, anche l'uomo incaricato del ruolo di boia, evidentemente ipnotizzato da Kolwezi, ogni volta incolume. La manifestazione, dopo tre anni di incidenti che porteranno al decesso anche del sindaco, verrà modificata: al posto dei gatti si lanceranno dei peluche. Ecco che Prévot omaggia racconti come The Squaw (1893) di Bram Stoker e The Cats of Ulthar (1920) di Howard P. Lovecraft in difesa della popolazione felina che, a quanto pare, ha sempre un suo eroe mandato dagli inferi per fare giustizia.

Stregoneria e allusioni sono al centro anche del racconto, Le Démon du Février (Il Demone di Febbraio), che avvia e conferisce il titolo all'intera antologia. È il primo di quei racconti con elementi soprannaturali che lasciano il lettore scegliere tra la casualità o l'esistenza di misteriosi fili che tessono trame diaboliche. Qui Prévot gioca con l'alterazione tra la previsione, talvolta così forte da sovrapporsi alla realtà come avviene in L'Affaire du Café de Paris (L'Enigma del Café de Paris), e la percezione del destinatario convinto di vederla già realizzata nonostante questa non si sia ancora compiuta. Così il protagonista de Le Démon du Février, un essere sembrerebbe dotato di poteri soprannaturali dato che garantisce a una danzatrice che non si brucerà se ballerà dentro il fuoco (“te lo assicuro”), viene scioccato dalla rivelazione di una strega che gli riferisce che una coppia di suoi due amici è rimasta vittima di un caso di omicidio-suicidio. Il giovane, sconvolto, si reca all'abitazione dei due per verificare con mano se i due siano effettivamente deceduti, ma niente è davvero accaduto. La gioia scema però presto in disperazione. Quello che il giovane non sa è che è solo l'inizio di un incubo destinato ad avere un finale già scritto di cui lui sarà l'involontario ispiratore, dando il via a una tragedia dettata dalla gelosia. Simile per costruzione, ma con uno sviluppo più ampio e un'ambientazione più interessante, è L'Affaire du Café de Paris. Qui il protagonista, durante una passeggiata notturna, vede la testa mozzata di una donna tra le zampe di un gatto. Certo che si sia verificato un omicidio in città, si rifugia in casa per timore di finire sotto investigazione. I giornali del giorno dopo tuttavia non riportano alcuna notizia compatibile con la visione. C'è un particolare però che ronza nella testa dell'uomo, una decorazione ammirata tra i capelli che lo porterà a individuare l'identità della donna. Solo che... la donna è viva e del teschio non si sa più niente... almeno per un anno.

Il destino si compie anche nel sarcastico Des Lions, Un Jour (Dei Leoni un Giorno) che evoca alla memoria By Water (Per Acqua) di Algernon Blackwood. La profezia di una zingara getta nel panico un uomo che fa di tutto per evitare che vengano a determinarsi i presupposti affinché la stessa si verifichi, ma il destino lo si incontra proprio sulla strada presa per evitarlo... Similare è il fiabesco Le Diable dans le Forteresse (Il Diavolo nella Fortezza) con Prévot che si sposta i suoi lettori in uno sparuto regno della Mongolia, dove un dittatore fa fronte alla profezia di un monaco adottando misure drastiche che si riveleranno insufficienti a placare l'ira del diavolo. Certo di aver impedito allo stesso di esser entrato nella propria fortezza, il dittatore dovrà arrendersi alla constatazione del fatto che il demonio non si trasforma solo in esseri animati, ma è capace di trasformarsi anche in rosa ("Il demonio quando si traveste può prendere qualsiasi aspetto voglia").

Altro racconto con elementi soprannaturali è Les Confidences de Gert Verhoeven in cui una donna, che si scoprirà essere probabilmente una divinità (se accettate la dimensione soprannaturale), si lancia alla ricerca dell'unico superstite di una spedizione di marinai scesi su un'isola deserta. Qui, i sette componenti dell'equipaggio hanno violato un tempio dedicato a una crudele divinità scolpita, a loro modo di dire, nella pietra. Sei di questi sono improvvisamente morti, uno no. Gert Verhoeven, diventato una star televisiva, cerca di giustificare il motivo per cui è sopravvissuto: “Se sono ancora vivo, è perché non l'ho guardata. Loro l'hanno guardata tutti. Tutti. Tutti e sei.” Solo alla fine della chiacchierata però l'uomo si chiede chi sia la sconosciuta giunta a interrogarlo, comprendendo di non avere a che fare con una giornalista e di aver visto in faccia colei che potrebbe essere... ci siamo capiti, no? Il pensare all'umanizzazione delle gorgone di Malpertuis (1943) di Jean Ray potrebbe non essere fuori luogo.

Similare per costruzione, sempre sospesa tra fantastico e ossessione che si nutre del passato, è Un Jardin dans l'Ile d'Arran (Un Giardino sull'Isola di Arran) in cui un ex soldato tedesco cerca di fuggire agli incubi della guerra, in particolare dall'ossessione di aver denunciato un ebreo per aver salva la vita. Influenzato dal racconto della domestica, che ha per cognome la traduzione in francese del cognome dell'ebreo deceduto, si convince di esser circondato da un fantasma che inizia a temere possa essere quello dell'ebreo. In preda alla paranoia, l'ex soldato si libera dalle sofferenze impiccandosi a un albero. La tematica viene ribaltata in Les Amours de Pergolèse (Pergolesi) che vede uno scrittore depresso, intento a bruciare le proprie opere, interrompere la propria condotta e riconquistare la felicità perduta, dopo aver ricevuto l'inattesa visita di una donna che, sulle prime, non riesce a riconoscere... è la tutrice di un tempo, deceduta da anni e segretamente innamorata di lui.

Chiudiamo il lotto di racconti con l'inusuale e un po' fuori luogo Le Mathématicien (Il Matematico), una vera e propria fiaba degna dell'antologia Under the Sunset (1881) di Bram Stoker. Prévot esalta qua l'epoca della fanciullezza e mostra come l'erudizione scientifica possa condurre lontano da quella felicità che solo i bambini riescono a raggiungere.

I rimanenti undici racconti, dunque più della metà dell'antologia, sono storie dove del fantastico non vi è la minima traccia. Sono racconti per lo più macabri, tra il mystery (si veda la spy story Le Rapport Venu du Rhim, che si sgonfia in una storia di amore malato), il farsesco (rappresentato dal grottesco La Trajectoire, dove il protagonista fa credere a tutti di essersi lanciato verso la luna e di non poter più far ritorno sulla terra, così da far sparire le proprie tracce) e il giallo psicanalitico. Di questi il migliore è sicuramente l'argentiano L'Amnésique (La Smemorata), un vero e proprio gioiello macabro che richiama alla memoria soluzioni alla Edgar Allan Poe, tra cadaveri murati nei muri, sorelle in competizione per il medesimo uomo e un evento traumatico che ha comportato la perdita della memoria della protagonista alla ricerca di una verità rimossa. Un racconto notevole, tra i migliori dell'antologia, tutto orientato al tentativo di recuperare il passato. Appartenente al medesimo genere è La Doublure (Il Doppione), che tratta di una giovane e dei suoi incontri notturni con un'ombra pronta a difenderla e a esaudire ogni richiesta. Il potere sulla forza sconosciuta porterà la donna a ordinare omicidi a danno dei propri casi, salvo poi scoprire che, in realtà, non vi è alcun doppio ma una sorta di sindrome dello sdoppiamento della personalità.

Omicidi al centro della narrazione anche in Le Feu Purificateur (Il Fuoco Purificatore) dove va in scena la vendetta di un uomo ai danni del compagno della propria amante. Il piano, orchestrato nei minimi dettagli, subirà un inatteso fuori programma che porterà alla morte di un terzo innocente. L'assassino scoprirà il tutto anni dopo, per puro caso, brindando con quella che sarebbe dovuta essere la vittima del suo delitto.

Edgar Allan Poe torna alla luce ne Le Guitariste de Minuit (Il Chitarrista di mezzanotte) che riprende la vera storia dell'invenzione del barone von Kempelen, un automa (detto "Il Turco") capace di battere a scacchi qualunque avversario che osasse sfidarlo. Una geniale invenzione che celava nella sua natura un diabolico imbroglio di matrice terrestre. Prévot strizza l'occhio sia agli studi di Edgar Allan Poe, che poi si ispirò al personaggio in questione per stendere il celebre Von Kempelen and his Discovery (1849), sia all'incendio che avvolse Filadelfia distruggendo il macchinario. Forgia così una storia che pende sempre più in un patologico intriso di una morbosità che conduce i protagonisti a infatuarsi dei manichini. Un bizzarro collezionista americano tiene in mansarda una serie di automi, tra cui un giocatore di scacchi imbattuto in ogni confronto. Quello che i suoi ospiti non sanno è che all'interno dell'automa si muove un nanetto italiano. Quest'ultimo, un tale Allegri, si convince di sentire lamentare l'automa dallo stesso manovrato e pensa così di rendergli omaggio provocando un'alterazione all'automa chitarrista che allo scoccare della mezzanotte esce a suonare un pezzo che strappa gli applausi di tutti i presenti rubando pertanto la scena a tutti gli altri automi. Il sabotaggio costerà caro a tutti, Filadelfia compresa.

Gioca con le coincidenze Par Temps de Pluie et de Brouillard (Incuranti della Pioggia e della Nebbia), proponendo un anonimo incontro tra un passante in cerca di qualcuno che gli accenda la sigaretta e una coppia di anziani. Un banale scambio di battute che si tramuta in episodio potenzialmente al centro del furto di un portafoglio, solo che il portafoglio in questione è stato lasciato a casa fin dall'inizio della passeggiata... Il tentativo di recupero del presunto derubato si trasformerà pertanto nella vera rapina. Classico racconto in cui Prévot ribalta i ruoli, prendendosi beffa dei luoghi comuni e della sfiducia nel prossimo. Davvero molto carino pur nella sua semplicità. Anche qua echeggiano alla memoria, soprattutto per la cornice ambientale (fitta nebbia), alcuni racconti minori di Algernon Blackwood, quali Confession (Confessione).

Sposano il romanticismo melanconico destinato a sbocciare nella morte Étrange Éclipse (Strana Eclisse) e La Valse Inderdite (Il Valzer Vietato). Nel primo un poeta all'apice del successo finisce per farsi deprimere dalla produzione di una giovane collega, sua ammiratrice, suicidatasi a ventiquattro anni e da lui conosciuta solo per via dell'azione divulgatrice dei genitori. L'uomo, sempre più preso nella lettura dei testi e chiamato a visitare la camera da letto della sventurata, ne assorbe il male di vivere scoprendo per tale via il vero amore. Niente sarà più come prima e per abbracciare la felicità dovrà prima liberarsi della vita. Nel secondo elaborato il valzer dell'addio di Chopin sembra esser maledetto per l'ascolto di Hans Helmuth, impossibilitato ad ascoltarlo ogni qualvolta lo stesso sta per essere eseguito. Sospensioni di ogni sorta gli inibiscono l'ascolto fino all'ultimo atto della vita che sfumerà proprio sotto la dolce melodia di Chopin.

Le Cadavre de Beachy Head (Il Cadavere di Beachy Head) è un omaggio dichiarato alla travagliata storia d'amore tra Percy e Mary Shelley che si ripropone, in ogni suo aspetto, nella vita di due giovani italiani trasferitesi in Inghilterra (percorso dunque inverso rispetto ai due scrittori).

Correspondence (Corrispondenza) è forse il racconto più debole dei ventuno, una sorta de Il Diario di un Pazzo di Nikolaj Gogol, solo che qua si assiste a una comunicazione epistolare tra un'internata in un ospedale psichiatrico e il direttore di un giornale, attraverso la quale assistiamo a un progressivo scambio di ruoli tra i due partecipanti con la prima che torna savia e il secondo che impazzisce dando luogo a una vera e propria corrispondenza (non solo letteraria) tra i due protagonisti.  
 
Il traduttore LUCA FASSINA
 
In conclusione Le Démon du Février è un libro che si spera possa spianare la via verso la proposizione in italiano di una produzione letteraria, la franco-belga, ancora scandalosamente non distribuita a dovere in Italia. L'Agenzia Alcatraz, avvalendosi delle calibrate traduzioni dello scrittore e critico musicale Luca Fassina, ha compiuto un lavoro a dir poco encomiabile. La veste grafica del progetto è accattivante, la struttura tascabile e la lettura agevole e snella. Da evidenziare il contenutissimo prezzo, appena 14,00 euro per ventuno racconti.
Sul contenuto sono da ricordare almeno sei racconti, dei veri e propri gioielli. La Smemorata è forse il capolavoro per stile, capacità di distillare la tensione, in vista di un epilogo capace di fare luce sull'intero mistero che aleggia durante la lettura. Un elaborato degno, al contempo, di Edgar Allan Poe e di uno di quei spaghetti thriller che popolavano le sale cinematografiche italiane negli anni settanta. Eccezionale anche La Piccola Stazione di North Berwick, una ghost story idonea a popolare una raccolta di storie sui fantasmi marini o su quelli ferroviari. Qualitativi inoltre Il Giullare di Damme, perfetto per essere inserito in una raccolta sui gatti vendicativi al fianco di opere quali The Squaw, I Gatti di Ulthar e Il Gatto del Diavolo di Stephen King, i beffardi Dei Leoni, un Giorno e Incuranti della Pioggia e della Nebbia, caratterizzati da un black humor che gioca sui preconcetti o sull'ineluttabilità del destino, e il fantastico allusivo Le Confessioni di Gert Verhoeven, forse il resto che più si avvicina alla poetica di Jean Ray.
Dunque una raccolta molto qualitativa per stile e la gestione di soggetti non innovativi, ma ben messi in scena. Sicuramente da possedere per completisti e studiosi di narrativa fantastica europea. Da premiare lo sforzo dell'Agenzia Alcatraz, così da permettere a simili iniziativa di proliferare. Lunga vita allora al sodalizio Alcatraz-Marabout. 

L'autore GERARD PREVOT
 
"Il malinteso è all'ordine del giorno. La conseguenza più immediata di questo stato dei fatti è l'ambiguità costante nella quale noi tutti viviamo."
 

lunedì 15 marzo 2021

Recensione Narrativa: i CASI SOPRANNATURALI DEL DR. MUNCING di Gordon MacCreagh



Autore: Gordon MacCreagh.
Titolo Originale: Dr. Muncing, Exorcist.
Anno: 1931-32.
Genere: Ghost Stories.
Editore: Providence Press, 2019.    
Collana: Gli Indagatori del Soprannaturale.
Pagine: 180.
Prezzo: 16,90 euro.


A cura di Matteo Mancini.

Primo numero della neonata collana “Gli Indagatori del Soprannaturale”, a cura delle Edizioni Providence Press. Uscito nel novembre del 2019, il volume che tiene a battesimo questa interessante iniziativa è un ibrido che si colloca a metà strada tra una classica antologia e una rivista specializzata.

Il duo Giacomo Ortolani e Gianfranco Calvitti, avvalendosi delle traduzioni di Andrea Sottana, punta su nomi “nuovi” per l'editoria italiana. Si pescano infatti due racconti degli anni trenta, apparsi sulla rivista pulp Strange Tales, di quaranta pagine circa ciascuno, facenti parte di un breve ciclo di racconti (i due proposti) aventi per protagonista un Dottore dell'occulto (il Muncing di cui al titolo). Autore dei testi è un avventuriero globe trotter prima di oggi mai pubblicato in Italia (il giramondo di origini scozzesi, ma di nascita americana, Gordon MacCreagh), conosciuto soprattutto per libri di viaggi e romanzi alla Edgar R. Burroughs. Il volume viene poi impolpato da un lungo articolo di Tim Prasil finalizzato a definire il detective dell'occulto di matrice letteraria e a fornire una lunga catalogazione, su base cronologica, dal 1800 al 1938, di tutti i detective dell'occulto apparsi nell'ambito della letteratura anglofona. Si completa il volume con un racconto all'apparenza parodistico, intitolato The Last Case of Jules de Granjerque (pubblicato su Fantastic Adventures, nell'aprile del 1943), che ricorda alcuni elaborati di Algernon Blackwood (tra i quali Pistol Against a Ghost) salvo riabilitarsi in un finale che rimanda agli sketch di Franco Franchi quando era solito sfidare il pericolo accorgendosi solo in un secondo momento di aver sfidato la morte (con relativo "terrore a freddo"). Protagonista della storia è un detective “smascheratore di imbrogli su base occulta”, tale Jules de Granjerque (probabile omaggio al ben più famoso Jules de Grandin, personaggio di un  famoso ciclo di Seabury Quinn, da cui riprende il vezzo di esprimersi con esclamazioni francesi), impegnato a dimostrare al suo assistente l'infondatezza del paranormale: “Gli esseri umani non potranno mai esser testimoni oculari delle manifestazioni del paranormale.” Il racconto viene firmato da un'altra novità per l'editoria italiana, ovvero quel David Wright O'Brien, eroe di guerra (perito nella seconda guerra mondiale durante un bombardamento di Berlino), nipote del direttore di Weird Tales. Gli estimatori dell'autore potranno leggerlo di nuovo in un altro volume edito dalla Providence Press ovvero Weird War Tales (lo recensiremo presto).

Di ben altra fattura sono i due racconti che danno il titolo al volume. Pubblicati rispettivamente nel settembre del 1931 (Dr. Muncing. Exorcist) e nel marzo del 1932 (The Case of Sinister Shape) sono due racconti fortemente legati tra loro. L'avventuriero MacCreagh sembra guardare a racconti quali The Nemesis of Fire, appartenente al ciclo John Silence dell'autore Algernon Blackwood, e incentra i due testi sulla figura dell'elementale (“forze primitive senza forma, senza occhi, senza volto; esistono insieme ad altre svariate forme di spiriti dall'altra parte del velo che divide lo spirito dall'uomo”) di cui già Blackwood aveva fatto menzione nei suoi testi. Muncing si definisce “esorcista... un detective di fantasmi” e, come i più illustri predecessori, è titolare di un vero e proprio studio in un'imprecisata città statunitense. A lui si rivolgono cittadini disperati, alle prese con eventi soprannaturali, inviati nel suo ambulatorio dal reverendo del posto. Nel primo episodio il Dr. Muncing è accompagnato da un assistente energumeno, in verità un po' impacciato e pauroso (il Dr, James Terry), e dovrà vedersela con un elementale che si è preso possesso di un'abitazione. Muncing offre, nel corso del testo, delle brevi lezioni sullo spiritismo, qualificandosi quale dotto operatore d'occultismo. Gli spiriti esistono, non ne ha dubbi. Sono sempre esistiti e vivono oltre un velo, non a misura d'uomo, che separa i viventi dall'altro mondo. “È un fatto evidente, risaputo per tutti i secoli dell'esistenza dell'uomo e rincofermato dalla ricerca moderna, che esistano alcune umane forze disincarnate al nostro fianco e attorno a noi. Queste forze funzionano secondo alcune leggi di controllo... Talvolta noi umani creiamo una condizione che ci sintonizza con le vibrazioni di un certo gruppo di forze disincarnate” e queste, assumendo energia da individui predisposti (di solito cagionevoli di salute), entrano nel nostro mondo e manifestano la propria forza distruttiva, assumendo parvenze umane di natura ectoplasmatica.

Lo stile di narrazione è veloce, la costruzione della storia popolare. MacCreagh non segue cliché propri degli scrittori iniziatici, ma guarda al soldo. Il lettore non deve interpretare o ricercare messaggi nascosti. Niente di tutto questo. Siamo alle prese con una narrativa popolare che evoca brividi, distilla momenti di quel terrore tipico della ghost story in un crescente narrativo in cui non sempre arriva l'happy end catartica. Il detective di MacCreagh è un misto tra l'uomo d'azione e quello di intelletto, protendendo più verso quest'ultima figura. Non ricorre ad armi o paccottiglie varie. Non necessita di acqua santa o paramenti religiosi né, tanto meno, dell'interferenza di forze dell'aldilà. Il suo approcciarsi all'occulto è laico, quasi come se l'occultismo fosse un qualcosa di naturale, un fenomeno fisico non ancora decriptato dalla scienza. La sua esperienza è tale da comprendere subito il male contro cui deve opporsi e questo lo porta ad adottare gli accorgimenti del caso. Banali oggetti di ferro (materiale che gli elementali non possono oltrepassare) e la luce (sia solare che artificale) diventano le soluzioni naturali per indurre l'elementale da fronteggiare a contenere le proprie aggressioni e persino a intrappolarlo, così da fargli perdere tutta l'energia necessaria per muoversi nel nostro mondo. Questo perché i fantasmi di MacCreagh sono aggressivi. Odiano e attaccano l'uomo e, se non gestiti, lo uccidono spappolandogli le ossa dall'interno. 

Molto meglio il primo dei due racconti, se non altro per la novità del personaggio e per dei momenti che ricordano The Damned Thing di Ambrose Bierce (bella l'aggressione ai danni di un passante, con lo spirito che salta una siepe). Il fantasma che, a poco a poco acquisisce sembianze che rimandano a una parodia umana, ha una caratterizzazione da predatore animale. Utilizza accorgimenti tattici per indurre in errore i suoi cacciatori e ipnotizza persino le vittime, avvalendosi dell'uomo da cui attinge energia (appunto un ipnotista). Azione e terrore dunque sono le costanti delle due storie, con la seconda che tende a ripetersi sul leit motiv della prima. MacCreagh, questa volta, identifica la città teatro dell'evento paranormale (Ocean City, nel Maryland) e sposta l'ambientazione da una villa di campagna a un hotel, sulla mansarda dello stesso e prima ancora in una serie di stanze noleggiate dai clienti. Muncing, che si troverà a indagare su un omicidio al fianco di un poliziotto, riuscirà a dominare l'elementale causa della morte, probabilmente lo stesso che gli era sfuggito nel primo episodio. Purtroppo il racconto si rivela ripetitivo in più punti, con Muncing che ripete le sue lezioni sugli elementali al compagno d'avventura di turno.

Attraverso il Dr. Muncing, MacCreagh muove una spiccata critica ai fenomeni delle sedute spiritiche e ipnotiche (viste quali veri e propri portali d'accesso al nostro mondo di forze di natura spiritica ostili all'uomo confinati in un altrove non meglio specificato), definendo "idioti" gli operatori improvvisati, e, al tempo stesso, al materialismo del novecento. Chi non conosce il paranormale non deve scherzare con esso. “Siamo diventati meno sensibili dei nostri antenati... non ci sintonizziamo spontaneamente su un certo insieme di vibrazioni; e dunque proclamiamo con veemenza che queste cose non esistono... I nostri avi avevano una diffusa conoscenza della vita spirituale che noi abbiamo affogato nel materialismo moderno”

È curioso verificare quanto i due racconti anticipino, di circa quaranta anni, le idee centrali attorno alle quali William Blatty stenderà il romanzo The Exorcist (1971) poi portato al successo dalla trasposizione di Hollywood. Nel primo dei due racconti di MacCreagh, infatti, lo spirito viene involontariamente evocato attraverso una tavola ouija che permette inconsapevolmente all'operatrice di stendere intere pagine di numeri che, tradotti nelle loro rispettive lettere, sono “l'inizio di un antico incantesimo Indù Yogi per invocare un demonio.” Nel secondo racconto, poi, il Dr. Muncing presagisce l'incontro con lo spirito con cui ha già incrociato le armi, intuendo di esser stato attratto dallo spirito stesso per lo scontro finale, proprio come avvertirà padre Merrin con Pazuzu.La terza e ultima curiosità viene dalla fonte dichiarata da Blatty che fu ispirato da un caso di possessione avvenuto negli anni quaranta a Cottage City, nel Maryland, ovvero il medesimo stato in cui è ambientato il secondo episodio del Dr. Muncing. 

Stranamente, MacCreagh non ha utilizzato il suo personaggio per ulteriori racconti, preferendo interessarsi a un'altro tipo di narrativa. E' conosciuto per il racconto avventuroso The Last of Free Africa, pubblicato a puntate su Adventures nel 1928, e per il resoconto di una spedizione in Sud America intitolato White Waters and Black (1926). Vanta inoltre 147 pubblicazioni su riviste pulp quali Strange Tales, Adventure, Argosy e Short Stories. C'è persino chi abbia scritto che MacCreagh sia stato l'ispirazione per l'ideazione del personaggio cinematografico Indiana Jones. Non a caso, infatti, la sua biografia è costellata da episodi che ben potrebbero sintetizzare le sorti di un personaggio da feuilleton. Attivo in quattro continenti, secondo alcune fonti nato negli Stati Uniti, secondo altre in Scozia. Studia a Parigi salvo poi fuggire a seguito di un duello in cui ferisce uno studente. Convinto di averlo ucciso, si rifugia in India e poi in Africa dove si ricicla, da aspirante antropologo, a cacciatore di animali selvatici da rivendere agli zoo e ai circhi. Abile nell'uso delle armi e nella scrittura, viene arruolato dai servizi segreti britannici. Fallisce il tentativo di darsi al teatro, trovandosi costretto a ripiegare sulla meno allettante carriera di scrittore pulp. Inizia la nuova carriera nel 1913, dopo esser sbarcato a New York. Allo scoppio della prima guerra mondiale si arruola in marina (o aviazione, secondo altre fonti). Negli anni venti torna al gradito ruolo di esploratore. Visita l'Amazzonia, poi torna in Africa, in Abissinia, ponendosi alla ricerca dell'Arca dell'Alleanza e di una tribù perduta di origine ebraica (i Falasha). Di ritorno in patria, passa gli anni che gli restano nel ruolo di conferenziere in giro per gli Stati Uniti.

Se la produzione fantastica di MacCregh resta ancora misteriosa per i lettori italiani, concludiamo segnalando l'uscita di altri due numeri della collana Gli Indagatori del Soprannaturale: Flaxman Low, Detective dell'Occulto e Aylmer Vance. Cacciatore di Fantasmi.


L'avventuriero GORDON MacCREAGH
 
 
"Ci sono cose più orribili in cielo e in terra di quante non ne vengano sognate dalle fedine penali."