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mercoledì 29 marzo 2023

Recensione Saggi: STORIA DEI LICANTROPI di Luca Barbieri.



Autore: Luca Barbieri.
Anno: 2011.
Genere:  Saggio.
Editore: Odoya.
Pagine: 380.
Prezzo: 20.00 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini. 
Bibbia assoluta sui licantropi e, più in generale, sui mutaforma di tutte le tradizioni del mondo.

Luca Barbieri, redattore della Sergio Bonelli Editore, cultore della tradizione western nonché autore dell'antologia weird western Five Fingers, regala qua un libro diverso rispetto alle tematiche di cui è solito interessarsi. Ricordiamo infatti l'ottimo saggio Storie di Pistoleri (Odoya, 2010) per non parlare delle sceneggiature per i fumetti Tex, Zagor, Martin Mystere e Dragonero. Luca è stato altresì vincitore del Premio Rill e terzo classificato al Giovane Holden. Il suo Storia dei Licantropi è un qualcosa di molto diverso, sebbene il marchio dell'autore trapeli nell'interesse continuo per il western che non manca di palesarsi. Siamo infatti alle prese con un lungo e articolato viaggio nel mondo dei licantropi, tra leggenda, religione, criminologia, mito e cultura di massa. Barbieri, che conosco da quasi venti anni avendolo avuto da narratore in antologie da me curate (I Bastardi senza Storia, 2012) oltre che ad aver condiviso con lui l'editore dei primi passi (Il Foglio Letterario di Piombino), mette al servizio del lettore tutto il suo talento. Supportato dall'accattivante veste grafica che solo l'Odoya riesce a garantire, lo scrittore ligure presenta la materia con una semplicità tale da non rendere mai pesante la lettura e, al tempo stesso, senza tralasciare l'importanza dei contenuti. Lo studio, mai banale, prende l'abbrivio dalla mitologia e dal confronto col vampiro (talvolta promiscuo e coincidente, talaltra subordinato), per proseguire col folklore, l'antropologia, le distinte morfologie secondo i vari resoconti, gli usi dei guerrieri (soliti vestirsi con pelli di lupo o di orso) in cerca di stimolare l'istinto e l'ardore bestiale. Non da ultimo l'atteggiamento dell'inquisizione, annebbiata dalla convinzione di vedere nel mito licantropico la mano di satana o la maledizione di Dio. Ecco così i verbali di confessioni più o meno estorte o rese da invasati dediti all'uso di sostanze psicotrope, caratteristica legata anche alle pratiche di sciamanesimo da cui il mito del licantropo prende avvio. Quindi il lato psicotico, clinico, la relazione con malattie quali la rabbia, la porfiria o l'ipertricosi e di come queste abbiamo influito sulle azioni di criminali convinti di tramutarsi in mostri e in tale veste andare in giro a fare scempi e omicidi. Ma non c'è solo questo... Dalla realtà alla finzione il passo è breve e, al tempo stesso, inevitabile, in quanto niente che faccia parte del mito è scevro dall'essere rimasticato, rinnovato e riproposto dalla cultura moderna dall'ottocento a oggi. Ecco allora il licantropo nella letteratura, nel fumetto, nel cinema e persino nei videogiochi, basti ricordare il celebre Altered Beast della casa di produzione giapponese Sega. Barbieri non tralascia niente e non si limita a una panoramica, cerca, piuttosto, di approfondire i vari aspetti e di farlo in un ordine cronologico, così da mostrare lo sviluppo delle tematiche attorno alla figura del licantropo. Il lupo, tuttavia, non è il solo animale in cui l'uomo, a quanto pare, può trasformarsi al palesarsi dei certi elementi propedeutici. Barbieri indaga sui mutaforma dell'Africa, del Sud America e dell'estremo oriente, in una visione a trecentosessanta gradi dove niente viene lasciato addietro. Aneddoti, cronache, leggende, sguardi sul mondo western con particolare attenzione alle credenze dei pellerossa e ai romanzi di Valerio Evangelisti (che è anche prefattore). Vengono sconfessati miti (quello del morso che infetta o delle trasformazioni legate al sorgere della luna piena), confermati luoghi comuni sulla figura (quali la necessità delle pallottole d'argento o di altre armi legate a questo particolare metallo per uccidere la bestia), rivelate dicerie, convinzioni, tra trame di libri e film che si prestano per dare vita a flash su dietro le quinte e curiosità, tra registi, attori, sceneggiatori e addetti agli effetti speciali. C'è inoltre una lunga parte concentrata sulle leggende italiche, proposte regione per regione, correlate ai mutaforma. Quali bonus track vi sono omaggi a creature criptozoologiche come il chupacabras e il wendigo  che col licantropo hanno poco da spartire.
Trecentocinquanta pagine illustrate per venti euro di prezzo. Una sola parla in conclusione: imperdibile.
 
La dedica sulla mia copia.
 
"Sciamano intossicato dagli allucinogeni, guerriero in preda a una rabbiosa furia, malato di mente ossessionato dai propri deliri, bracciante che si abbandona a sfrenata estasi, assassino che lega i propri istinti criminali ai moti della luna, ostile e schivo misantropo che cerca la solitudine di boschi e foreste, profano dell'occulto affiliato a qualche antica fratellanza, professionista di erbe e pozioni perseguitato dal Sistema, sfortunato essere umano colpito da una malattia devastante e rarissima... in queste forme il licantropo esiste."

sabato 25 marzo 2023

Recensione Narrativa: E IL SUO SORRISO ESPANDERA' L'UNIVERSO di Gwendolyn Kiste.


 
 
Autore: Gwendolyn Kiste.
Titolo Originale: And Her Smile Will Untheter the Universe.
Anno: 2017.
Genere:  Antologia Horror.
Editore: Independent Legions (2022).
Pagine: 168.
Prezzo: 21.90 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.
Primo libro in assoluto a essere presentato in italiano della giovane americana Gwendolyn Kiste, che l'anno successivo all'uscita della presente antologia And Her Smile Will Untheter The Universe (2017) vincerà il Bram Stoker Award col romanzo The Rust Maidens (2018) e lo bisserà in altre due occasioni.

Alessandro Manzetti la presenta in anteprima sul numero 3 della rivista Molotov per poi dare alle stampe, nel maggio 2022, il suo primo volume in lingua italiana.

Recensitrice teatrale presso il Pittsburgh City Paper nonché regista indipendente, Kiste è un'autrice dark fantasy che dimostra di avere a cuore il mondo femminile, i diversi e la lotta contro i soprusi di qualunque natura essi siano, lasciando intendere di esserne stata lei stessa vittima in adolescenza. Cresciuta nel segno dell'horror, sua grande passione, con E il Tuo Sorriso Espanderà l'Universo traccia le coordinate di un'antologia anti-fiabesca dove al centro di tutto sono le donne e le ragazze, lasciando ai margini la figura degli uomini (sia che siano padri, educatori o fidanzati) visti come irrispettosi, egoisti e intenzionati a relazionarsi con la donna quali padroni che seguono unicamente i loro propositi.

Quattordici racconti, tra cui quello che da il titolo al volume, per una lunghezza complessiva di 167 pagine e con estremi costituiti da racconti di quindici pagine contrapposti ad altri di tre abbondanti.

Prevale una componente psicanalitica e metaforica, all'insegna del surreale e del grottesco. Kiste cerca di stimolare la componente emotiva del lettore, meglio se femminile per una più agevole immedesimazione nei personaggi di volta in volta funestati da problemi, minacce o incomprensioni. La struttura dell'intreccio va in secondo piano, così come i contesti di riferimento restano quasi sempre sfumati. Assistiamo a fatti incomprensibili senza che se ne capisca la ragione, come una madre che genera uccelli venendo per questo isolata da tutti ma non dalle sue creature (Qualcosa Preso in Prestito. Qualcosa di Blu) o come un gruppo di donne costrette di continuo a ricoprire i propri scheletri con la pelle estirpata al prossimo, così da muoversi liberamente in società (Pelle come Miele e Pizzo). In altre parole non vengono spiegate le premesse né le conclusioni dei casi bizzarri che tengono viva l'attenzione. Il lettore viene lanciato al cospetto di un fantastico sovente iperbolico, dando tutto per scontato o, in alternativa, subendo la cosa senza indagare al riguardo. Così assistiamo a storie distopiche dove si intuisce esser successo qualcosa che ha modificato la società e i sistemi educativi. In Dieci Cose da Sapere sulle Dieci Domande una sconosciuta epidemia porta all'improvvisa e progressiva smaterializzazione di tutti coloro che si sentono inadeguati. Invece di far luce sul fenomeno, i medici e i professori della scuola pensano a proporre dei test psicologici in grado di scoprire ed emarginare quali “devianti” coloro che sono destinati a finire preda dell'insolito virus. Qualcosa di simile avviene in Campo Estivo, dove un centro ludico si trasforma in lager (rimandi velati ai forni crematori) di educazione distorsiva dei futuri cittadini, attraverso un lavaggio del cervello che passa dalla proposizione di una serie di immagini legate al culto della violenza, a cui i ragazzini, pena supplizio, devono reagire sorridendo e divertendosi. Qui la Kiste, riprendendo la saga filmica de La Notte del Giudizio, accenna ai “Giorni Rossi” quale eventi straordinari previsti dal calendario in cui è concesso dar sfogo, durante l'anno, alla violenza repressa (eppure alimentata in gran segreto).

Atmosfere distopiche e fantascientifiche anche per Pelle come Miele di Pizzo, forse il miglior racconto dell'antologia. Qui la Kiste affonda nell'extreme horror proponendo una forma evoluta (o involuta) di umanità, alternativa alla “normale”, che è rimasta priva di carne e pelle e che se ne va in giro in forma scheletrica, salvo coprire il "corpo" con la pelle estirpata ai “normali” in modalità Buffalo Bill ne Il Silenzio degli Innocenti. Bello il finale dove si muove una critica all'apparenza del corpo per esaltare l'importanza di ciò che sta sotto. L'amore infatti è un altro dei temi centrali dell'antologia e tocca il suo apice nel visionario La Sposa di Lazzaro, in cui si ribadisce il pessimismo dell'autrice che vede l'amore quale un incendio che brucia tutto nell'immediato per trasformarsi in qualcosa di morto dopo la passione iniziale, poiché non si può pretendere di controllare e modificare chi ci sta al fianco. Anche qua abbiamo una situazione surreale rappresentata da una donna che, per motivi imprecisati, prende fuoco ogni notte e si incenerisce salvo rinascere dalla cenere a ogni risveglio. 
Rappresenta l'incubo della gravidanza Qualcosa Preso in Prestito. Qualcosa di Blu che ricorda molto da vicino il più qualitativo L'Incubatrice di Paolo Di Orazio, con una donna vittima di un loop di gravidanze misteriose che la portano a partorire, invece di ibridi alieni, degli uccelli.

Si indirizzano verso l'anti-fiabesco racconti come Tutte le mele rosse sono appassite diventando grigie e Le Principesse della Torre. Nel primo si ribalta la fiaba de La Bella Addormentata. Un campo fatato (o maledetto) diviene motivo di speranza e di sogno (su cui altri lucrano) delle famiglie che hanno in casa una giovane ragazza. Le ragazze che mangiano una mela del campo, infatti, cadono preda di una narcolessia da cui potranno riprendersi solo col bacio dell'atteso principe azzurro. Risvegliate all'insegna dei festeggiamenti, si troveranno schiave di una vita nuziale che non sarà come si sarebbero aspettano, poiché non avranno alcuna voce in capitolo sulle scelte da fare. L'altro racconto è molto più originale e propone, senza che se ne spieghi la ragione, un misterioso sortilegio per il quale alcune bambine di dieci anni sviluppano, d'improvviso, una corazza (una sorta di burka metallico che lascia scoperti solo dei buchi per alimentare e recuperare i bisogni fisiologici) che le avvolge da capo a piedi portandole a essere viste come fenomeni da baraccone (ovviamente da isolare) e, al contempo, quali esseri protetti da un guscio invalicabile da bulli e potenziali stupratori. Kiste è brava a costruire sotto questa traccia una storia d'amore saffico tra una normale e una diversa che, ovviamente, porterà la famiglia della protagonista a prendersela con la stessa, accusandola di essere malata e vedendola quale colpevole persino di un tentativo di stupro operato nei suoi confronti da un manipolo di compagni di scuola.

Non mancano i racconti horror più classici. L'Uomo nel Ripostiglio è una sorta di omaggio a I Ratti nel Muro di Lovecraft, giostrando il tutto con l'idea dell'amico immaginario; Audrey di Notte è una ghost story abbastanza convenzionale incentrata sulla vendetta mossa da una giovane suicida contro il fidanzato che l'ha tradita unendosi con la sua migliore amica; Attraverso la Terra e il cielo propone i malefici di una strega che intende perseguitare il marito della sorella reputandolo responsabile della morte della stessa; Il Requiem della vasca con i piedini parla di ingerenze familiari e della follia di una ragazza che non accetta il suicidio della sorella rifiutandosi di ripulire la vasca dove questa si è tagliata le vene; Trovami Mamma invece fa leva sul dolore di una madre che ha perduto per malattia la giovane figlia, ma si convince che questa giochi ancora a nascondino in casa (venendo per questo abbandonata dal marito); E il suo sorriso espanderà l'universo, infine, propone l'ossessione di un cinefilo convinto di poter entrare in relazione empatica con un'attrice deceduta cinquant'anni prima, guardando i cinque film che l'hanno vista protagonista (ci sono rimandi al film Videodrome e all'omicidio cui fu vittima Sharon Tate).


Alla fine esce fuori un quadro dedicato agli emarginati e ai diversi, attraverso il quale Kiste scarica tutta la sua ira sugli insensibili, sugli egoisti e su chi vorrebbe rendere omogeneo il genere umano. Le tante protagoniste femminili, tutti i racconti propongono donne nel ruolo di protagoniste, sono contornate da soggetti insensibili, esseri pronti ad abbandonare chi è in difficoltà (sia che sia una figlia, un'amante o un'estranea) e a non comprendere i diversi punti di vista. Se ci sono dei complici questi non possono che essere altre donne (solo in due casi abbiamo il concorso di masch). La realtà che sembra emergere è quella di un mondo che propone due alternative: o si scende a patti con la società o si viene isolati. Nelle storie della Kiste, però, arriva sempre il moto di ribellione. E così ecco l'universo esplodere (E il suo sorriso espanderà l'universo), il terreno fatato prendere fuoco (Tutte le mele rosse sono appassite diventando grigie), gli infelici accedere a quarte dimensioni (L'Uomo nel Ripostiglio) o i cattivi morire per effetto di malefici.

Piacerà moltissimo alle ragazze mentre, a mio avviso, sarà meno apprezzato dai maschi per il voler puntare troppo sulla componente emotiva a danno degli intrecci (non più che accennati).

Da un punto di vista editoriale. Si fa notare che l'edizione è un'hardcover, dunque copertina rigida, non proprio economica e non scevra da refusetti (niente di irresistibile). Può piacere e, a quanto pare, ha venduto piuttosto bene.
 
L'autrice Gwendolyn Kiste.
 
 
"Non puoi domare il fuoco. Puoi provare a contenerlo o estinguerlo del tutto, ma se lo neghi, neghi l'essenza di ciò che lo fa accendere, ciò che lo rende selvaggio, ciò che ci fa amare le cose che non possiamo controllare."

lunedì 20 marzo 2023

Recensione Narrativa: LA STREGA DEL RITANO di Daniele Vacchino.

Autore: Daniele Vacchino.
Anno: 2022.
Genere:  Giallo.
Editore: Novilunio Stampe Amatoriali.
Pagine: 292.
Prezzo: 15.50 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.
La Strega del Ritano è un giallo dalla sostanza estremamente tragica che ci permette di incontrare di nuovo lo scrittore vercellese, classe 1982, Daniele Vacchino. Penna elegante e colta che, per motivi personali, predilige muoversi nell'ambito dell'editoria indipendente se non, come in questo caso, delle autoproduzioni.

Già letto e recensito in occasione del dittico di racconti (uno di Davide Rosso) ricompreso sotto il titolo Ritualis, edito da Il Foglio Letterario di Piombino, Vacchino presenta qua un romanzo dalla struttura solida, che getta luce sul mondo rurale della provincia piemontese (i fatti vanno in scena a Sallugia) e sul periodo oscuro degli anni venti del secolo scorso (rappresentati dal clima di sospetto verso i dissidenti del regime fascista). Cadenzato dal lento imporsi del fascismo (c'è una sorta di parallelismo col delitto Matteotti e le falsità che stanno alla base della ricostruzione dell'omicidio), il romanzo procede lentamente a ritroso, seguendo l'indagine condotta da un investigatore privato improvvisato. Matteo Comisso, guardiano di chiusa sul fiume Dora Baltea, si trova, suo malgrado, a cercare di far luce sulla scomparsa di una giovane ragazza che ha visto, in lontananza, passare di notte sul ponte prospicente alla sua abitazione. Una sagoma evanescente seguita, a distanza, da un uomo. Visto con sospetto dai carabinieri della vicina Livorno Ferraris, in quanto cacciato da Torino dall'insegnamento per idee politiche non allineate all'emergente movimento di Mussolini (e solo per questo considerato un potenziale delinquente), Comisso riuscirà a superare le superstizioni locali e i sospetti per venire a capo del mistero.

Tutto ruota sui sospetti che insistono sulle posizioni di quattro distinti personaggi. Dietro i contorni gialli, in aggiunta, vi è un substrato da ghost story (a inizio romanzo prevalente) fatto di credenze e rimedi popolari adottati per arginare l'azione di un presunto spirito a caccia di vendette (chiamato “La strega del Ritano”). "La violenza subita dalla giovane l'aveva imprigionata in un limbo di rabbia. Il torto patito aveva impedito alla sua anima di migrare sulle spiagge del paradiso e il suo fantasma reclamava vendetta. Un'invidia nei confronti dei vivi agitava le membra dello spirito stregato: era sua intenzione trascinare nelle tenebre dell'isola altre persone, per scaricare su di loro il male."
La storia si apre infatti con la scomparsa di una giovane vista misteriosamente penetrare nell'isola del Ritano, un luogo evitato da tutti i campagnoli in quanto teatro di un feroce omicidio avvenuto nei primi del novecento, senza averne più fatto ritorno. L'evento si verifica proprio in corrispondenza dell'apertura della tomba della ragazza che il paese ha ribattezzato “La Strega del Ritano” e che è la vittima dell'assassinio che ha portato all'abbandono dell'isola. Vacchino mette in dubbio la soluzione del primo omicidio. Forse l'assassino incarcerato dai carabinieri non era l'effettivo autore del delitto. Emergono infatti strane analogie, elementi ritornanti e atti di un vandalismo sacrilego che, in apparenza, sembrerebbero tutti ascrivibili a una medesima matrice. Lo sviluppo dell'indagine, a ritroso, è lento e riflessivo (Comisso torna spesso a radunare gli elementi raccolti così da interrogarsi sul loro significato e, al contempo, permettere ai lettori di metabolizzare con calma il tutto e tirare le fila del mistero). Nel romanzo non avvengono fatti, ma si lavora su quanto è già successo. Vacchino dimostra di possedere una profonda sensibilità (gli ultimi due capitoli sono addirittura commoventi) nel delineare i profili psicologici dei personaggi, ciascuno dei quali morso da un dolore profondo che ne tortura l'anima e che, di conseguenza, alimenta un possibile movente (gelosia, invidia, frustrazione e volontà di nascondere un evento che potrebbe sconvolgere la vita privata). Ne esce fuori un giallo colto, giocato sull'introspezione dei personaggi e dunque assai distinto dai meccanismi del pulp e del giallo popolare per il suo essere giostrato sulle coordinate della tragedia e del dramma umano piuttosto che sull'azione, sulla tensione e sul grandguignol. Al centro della storia infatti vi è un dolore che produce ulteriore disperazione, sebbene i soggetti si muovano tutti con nobiliari intenzioni, nonché un pessimismo che non si libera neppure nel finale, in un certo senso, ristoratore. L'attenzione per la cura delle ambientazioni è un altro dei punti di forza. Vacchino fa rivivere la Sallugia degli anni venti del novecento, con gli usi, le superstizioni e i passatempo dell'epoca. Emerge inoltre un'impostazione da cui si evince l'innegabile qualità di osservatore dei comportamenti umani posseduta da Vacchino. I personaggi si muovono a seconda di un linguaggio corporeo che, sovente, lascia trapelare meccanismi di difesa che vengono adottati per cercare di proteggersi dalle domande più imbarazzanti o per cercare di celare segreti destinati a essere scoperti. A poco a poco, infatti, trapelano dettagli che consentono a Matteo Comisso di comprendere sempre più il mistero su cui cerca di venire a capo. Lui stesso ha visto qualcosa, ma solo alla fine riuscirà a mettere a fuoco la visione. All'epilogo tutto diventa chiaro e logico in un romanzo in cui a spiccare, più che il soggetto, è lo stile aulico e curato di Vacchino, un autore meritevole di frequentare i salotti più alti del giallo italiano.

Il volume, dopo circa 270 pagine, in appendice, si chiude con la proposta di un ulteriore racconto, Rebus Notturno con Nebbia, che propone un omicidio commesso da due distinti soggetti agenti che si scoprirà poi essere, con l'artificio un po' forzato di una seduta spiritica, indotto e pianificato dalla vittima stessa.
In conclusione La Strega del Ritano è un giallo fruibile da lettori di ogni estrazione culturale e che potrebbe persino partecipare a selezioni extra-genere. La sua cura per il folklore campagnolo, per la delineazioni dei contorni di una società non più esistente e per il suo concentrarsi sui drammi che corrodono la psiche umana (vuoi per la perdita di un figlio, vuoi per l'impossibilità di poter manifestare un proprio credo o per non riuscire a trovare quella voglia di vivere che solo un amore può offrire) rendono il testo un volume non ascrivibile alla lettura di intrattenimento puro. La Strega del Ritano è un qualcosa di più elevato e in grado di smuovere la sensibilità del lettore. Il senso di amarezza e di tristezza, alla fine, prevalgono su tutto e lasciano l'idea di una visione disillusa della vita, dove il vero amore persiste a restare una chimera. A ogni buon conto, regge anche l'intelaiatura gialla. 

L'autore Daniele Vacchino.

"Era forse il senso di ridare linfa a un corpo dissanguato ad avere spinto all'azione Matteo? Donare animo a un cuore senza battiti poteva in fondo essere l'ultimo tentativo per infondere una spinta anche al suo, di cuore?"

sabato 18 marzo 2023

Recensione Narrativa: 5 BIGLIETTI PER UN DRIVE-IN di Mattia De Pascali.

Autore: Mattia De Pascali.
Anno: 2022.
Genere:  Antologia Horror / Grottesco / Satirico.
Editore: Cut-Up.
Pagine: 130.
Prezzo: 16.90 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.
Sfolgorante debutto in narrativa del regista/sceneggiatore indipendente Mattia De Pascali, dottore magistrale in Cinema, Televisione e Produzione Multimediale e attualmente docente. Sebbene De Pascali sia conosciuto soprattutto nel circuito underground del direct to video (mondo dei dvd), grazie alla regia di film quali McBetter e Il Tuo Sepolcro... La Mia Alcova, la sua parentesi narrativa rischia di offuscare quella che dovrebbe essere la sua dimensione prediletta. De Pascali arriva alla narrativa per il tramite del cinema, più per necessità che per una scelta autoriale. L'impossibilità di trasferire sul digitale (una volta avremmo detto su pellicola) le sue idee, lo porta ad adattare per la carta stampata una serie di soggetti pronti a essere tramutati in sceneggiature per il cinema. È del resto notoria l'estrema difficoltà, persino per soggetti affermati, di realizzare un film, specie in materie, come quelle amate dall'autore, incentrate sul fantastico e sull'horror.
Per una porta che si chiude, però, ce n'è (quasi) sempre una che si apre, talvolta un vero e proprio portone. Grazie all'approdo alla Cut-Up, piccola casa editrice indipendente di La Spezia dotata di un catalogo dedicato al fantastico di assoluto rispetto dove trovano spazio Maestri quali Danilo Arona, Moreno Burattini, Stefano Fantelli, Paolo Di Orazio e Alessandro Manzetti, il novello scrittore di origini salentine ha messo in mostra al grande pubblico tutto il suo talento. Senza timore di smentite, 5 Biglietti per un Drive-In è uno dei debutti più promettenti, nell'ambito dell'editoria italiana di genere, che mi sia capitato di leggere negli ultimi venti anni. Si badi bene, scrivo questa affermazione libero da qualsiasi tipologia di legame con l'autore e l'editore.

Dieci storie, proposte quali immaginari dittici di un gruppo di cinque appuntamenti cinematografici da trasmettere in un ipotetico drive-in dedicato agli z-movie. Avventure scanzonate, talvolta violente e talaltra più allegre, ma tutte capaci di far riflettere i lettori senza mai dimenticare la necessità di intrattenere. Attraverso uno stile narrativo estremamente asciutto ed efficace, dietro al quale non può che nascondersi un lungo lavoro di revisione e di snellimento, De Pascali plasma avventure intrise di un'ironia dissacrante che si aggiunge all'iperbolicità delle situazioni proposte. La comicità si unisce alla narrativa di genere. Poco importa se lo stilema, di volta in volta seguito, sia legato alla fantascienza, all'horror, al poliziesco, al thriller, al peplum o al western. Dietro l'ilarità, De Pascali cela il dramma, l'amarezza per una società malata sotto ogni suo versante. Dunque un approccio estremamente maturo dietro l'apparenza della leggerezza e dello scanzonato. La lezione cinematografica offerta da registi quali John Carpenter e George A. Romero (citati indirettamente dai racconti) è manifesta e torna in auge in una generazione che sembra aver dimenticato l'importanza di un certo modo di fare cinema, cioè quello di sfruttare il genere per parlare di aspetti concreti dell'attualità. De Pascali è un innamorato del cinema di intrattenimento, dell'horror e dei momenti grandguignol, ma, al contempo, ha uno stile autoriale. In altre parole, predispone storie su più livelli di apprendimento. La superficie di genere, con ritmo spesso vorticoso e con situazioni accattivanti, è strutturata su un telaio dai contorni e dalle tonalità opposte a quell'ilarità percepibile a una prima lettura. Ecco che al lettore arriva un malessere, una feroce critica verso un mondo che probabilmente l'autore (difficile dargli torto) non reputa ottimale. Politica locale, politica internazionale, religione, scuola, democrazia, mondo medico sono solo alcune delle ispirazioni che fanno affondare i soggetti nel grottesco e, se vogliamo, nella satira. 5 Biglietti per un Drive-In diviene pertanto contenitore di generi e di argomenti, capace di intrattenere e per buona parte dei racconti (non tutti) regalare risate ai lettori, ma di quelle risate che alla fine svaniscono e si trasformano in altro, riflettendo bene su cosa si è riso, così da interpretare di nuovo il tutto, guardandosi attorno e notando che si sta ridendo di quanto noi stessi rappresentiamo quale parte integrante di una certa società. Va in scena la morte di noi stessi, della nostra anima rappresentata da quei sogni che avevamo da bambini, dalle idologie, dai credi religiosi e dalle aspirazioni poi tradite col passaggio in età adulta. Intuiamo dunque quanto siamo stati vittime delle manipolazioni mentali giostrate dai sistemi educativi, siano essi rappresentati dalla famiglia, dalla scuola o dalla religione. Stiamo così ridendo della nostra parte più intima, violentata e stuprata senza che noi si sia fatto nulla per preservarla e aiutarla a crescere. Ecco che 5 Biglietti per un Drive-In diviene un'antologia meritevole di ricevere riconoscimenti come il Premio Italia, quale migliore opera prima (e non solo).

APPROFONDIMENTO CON SPOILER
Premesso che siamo al cospetto di un lotto di dieci racconti tutti di livello estremamente qualitativo, sia per stile che per contenuto, è opportuno spendere alcune parole per ognuno di essi.

Il Punto più Basso nella Vita del Signor Massimo è probabilmente il capolavoro (si, avete capito bene) dell'antologia. Un delirio kafkiano che prende le mosse alla stregua del romanzo Dalle nove alle nove dello scrittore ceco Leo Perutz per ripiegare dalle parti di Lovecraft. Un nano che non riesce a trovare posto nel mondo del lavoro, di passaggio davanti a una scuola, si trova scambiato dalle bidelle quale fanciullo destinato al primo anno delle elementari. Condotto a forza nell'aula, scoprirà una realtà impazzita, dove i bimbi subiscono lavaggi del cervello condotti da professori alieni che tradiscono le loro sembianze umane. Echi di Essi Vivono di Carpenter, ma anche di Lovecraft, Kafka e Perutz si miscelano a forgiare una perla di rara potenza.
Gestito in modo maestrale è il western parodistico, ma con azione e momenti di tensione da vigore tarantiniano, Spara il Prossimo Tuo, col quale De Pascali omaggia il cinema di serie z (vuol essere un complimento) dei vari Mario Caiano (la protagonista è a caccia del cinese Shangai John, chiaro rimando allo Shangai Joe di cui al film), Demofilo Fidani (un personaggio si chiama Miles Deem) e Ferdinando Baldi (regista di Odia il Prossimo Tuo). Cadenzato da un soggetto folle oltremisura e incentrato sulla morte di un ragazzone nero intenzionato a ridurre le dimensioni del proprio pene per non essere troppo penetrante per il suo amante omosessuale, Spara il Prossimo Tuo è degno dei racconti western più comici della saga Brekinridge Elkins di Robert Ervin Howard. Protagonista è una donna dal nome alquanto evocativo (Squirt Evans) e in perfetta linea per l'epilogo caratterizzato da un'esplosione di acqua. Geniali, ma da saper cogliere, i costanti ammiccamenti dell'autore. Notevolissimi, come anche in altri racconti, i dialoghi cadenzati secondo i ritmi cinematografici.
Un altro racconto divertente come pochi altri mi sia capitato di leggere è Maciste contro i figli di Puulana (i giochi di parole sono ovviamente voluti). Qui a cadere sotto la lente deformante dell'autore è il peplum, a cui viene cucita addosso una critica sociale dell'odierna democrazia che in origine non competeva al genere. In azione abbiamo il vanitoso Maciste, un energumeno che vaga per lande romaniche per aiutare coloro che hanno bisogno del suo aiuto o che lui crede necessitino un suo intervento. Tutto forza e muscoli, ma niente cervello (tanto che gli rubano tutto) finisce vittima di un popolo (gli Ommemer, ovvero gli “uomini di merda”) che lo rinchiude fraudolentemente in una fogna dopo che ha compiuto l'ennesima idiozia. Esilarante il commento sulla democrazia, vista quale governo di un popolo attraverso l'espressione di una maggioranza dove tra i più pullulano i deficienti. Parodia allo stato puro, anche piuttosto estrema, eppure intelligente. Gli americani direbbero: funny.

Molto buoni, ma con un substrato tragico dove il divertimento non riesce a trapelare sono Il Deludente Caso del (quasi) Dottor Pontini e La mia Luna, i tuoi Farò. In diverso modo, si tratta di racconti che evidenziano il fallimento dei sogni dell'infanzia e, al tempo stesso, la chiusura mentale della periferia campagnola italiana o, più verosimilmente, del paesello meridionale. Tragico e disperato il primo, una sorta di riscrittura del mostro di Frankenstein (il mostro diviene tale per via del rigetto dell'umanità e non per una sua natura) filtrato da Lo Strano caso del Dottor Jekyll & Mr. Hyde (con colpo di scena finale), quanto melanconico, nostalgico e persino commovente il secondo (una vera e propria perla che ricorda una sequenza del film Keoma di Castellari). In entrambi i casi si registra il ritorno al paese di origine di un ragazzo che ha cercato l'affermazione nel mondo “civile” della città ma che, tuttavia, si accorge che non si può sfuggire dalle proprie origini sia per quanto riguarda i pregi che i difetti. Funge da unione dei due testi Non Tornerà, un thriller parodistico che parte dalla crisi economica che determina la chiusura dei bar per giungere a un attacco alla deriva della violenza sempre più invocata quale arma di difesa da delitti o presunte aggressioni (in realtà di scarsa sostanza).

Da evidenziare l'attenzione dell'autore sull'idiozia umana (bassezza di contenuti e valori) di dare lustro alla superficie delle cose, al culto del corpo contrapponendo tali aspetti alla dimensione interna e umana ovvero all'anima che contraddistingue (o che dovrebbe) un individuo dall'altro. Della serie bello è buono e brutto è cattivo. Eloquente è Il Regno dei Morti giocato sulla bella e viziata figlia di papà che si lamenta perché non può fare la vacanza che sognava e che si muove convinta e compiaciuta dal fatto che tutti le osservino il fondo schiena su cui ha lavorato per tutto l'anno. Un'egoista che non è poi troppo diversa dai vicini bagnanti che parlano, a suon di luoghi comuni, del fenomeno dell'immigrazione e sul fatto che certe popolazioni sanno solo lamentarsi, perché è nella loro natura vivere male e non migliorare. L'ironia beffarda di De Pascali giunge all'epilogo, quando un'invasione di zombi, intenti a camminare sul fondale marino (citazione a La Terra dei Morti Viventi di George A. Romero), si appresta a conquistare proprio quel mondo che è destinato a soccombere perché retto da lamentosi incapaci di vivere bene e propensi solo alla lamentela (leitmotiv della produzione dell'autore).

L'antologia viene poi completata da quattro ulteriori racconti, tra cui il fantascientifico Brain Runner, che si muove sulle coordinate offerte dal film Dreamscape (1984) dileggiando il fenomeno dei mammoni, della meritocrazia (assente) e dei politici inetti (da evidenziare i dialoghi volutamente sgrammaticati con cui si esprime il primo ministro), e il bellico Buck in Emant chiara parodia dell'intervento statunitense nella guerra del golfo (di cui il petrolio diviene l'unica ragione) con i soldati statunitensi destinati a diventare da potenziali stupratori a materiale di rifornimento per astronavi aliene (!?).

Forse meno riuscito è Il Ghigno, un delirio splatter intriso di ironia attraverso il quale viene suggerita una critica alla piaga della pedofilia che coinvolge i parroci, ma in cui non si salvano neppure i medici e il loro modo criptico di esprimersi dietro al quale, suggerisce l'autore, si nasconde l'incapacità di cogliere la vera natura del problema.


Per concludere, consiglio a gran voce l'acquisto di 5 Biglietti per un Drive-In. Un'antologia capace di intrattenere, divertire e, al contempo, lasciar trapelare evidenti critiche alla società contemporanea. Apprezzata dal regista Lamberto Bava, che ha curato una breve recensione, è composta da poco meno di centotrenta pagine per il modico prezzo di 16,90 euro. Da marzo 2023, disponibile anche su Amazon. Imperdibile.
 
L'autore Mattia De Pascali.
 
"Ma se avete questa possibilità di scelta, perché dunque vivete così male?
"Perché in questa città abbiamo qualche saggio ma anche tanti scemi. E' la maggioranza, straniero."

mercoledì 8 marzo 2023

Bando/Proposta per realizzazione di un'antologia dedicata alle SPICY HORROR STORIES a cura di Matteo Mancini.


SPICY HORROR STORIES
 
Selezione di racconti aperta a tutti




A cura di Matteo MANCINI.

Spicy Horror Stories è un progetto che ho avviato a metà marzo 2023, stimolato dalle letture di una serie di amici scrittori particolarmente capaci nel miscelare all'erotismo l'orrore della tradizione letteraria di fine ottocento/primi novecento e l'impulso cinematografico degli anni sessanta generato dai prodotti griffati Hammer, guardando, al contempo, al tentativo di ammodernamento operato dalle riviste pulp americane degli anni trenta e, successivamente, da quelle italiane degli anni sessanta e settanta, facendo riferimento, in particolare, alle serie KKK e I Racconti di Dracula. Potrebbe essere un'idea, giusto per comprendere il genere, pensare ai film di Jess Franco, Jean Rollin o alle copertine di Boris Vallejo (proposto nella foto scelta sopra). 

Mi è sorta così l'idea, a distanza di oltre dieci anni dalla mia ultima curatela (I Bastardi senza Storia, pubblicata nel 2012 da Il Foglio Letterario), di organizzare un nuovo progetto antologico. 

L'intenzione è quella di predisporre un'antologia, composta da un numero variabile di racconti ciascuno dei quali presentato da un autore diverso, dedicata alle SPICY HORROR STORY. Il proposito è quello di proporre una tipologia di horror caratterizzato da forti contenuti erotici (resi con stile elegante e non col ricorso della “scorciatoia” dell'hardcore) che ben si distingua dall'attuale corrente dell'hardcore horror. Non si ricerca l'estremo, ma si richiedono, in altri termini, dei racconti horror (ma potrebbero andar bene anche fantastici in senso più ampio del termine, fino a comprendere la fantascienza) aventi le seguenti caratteristiche:

- devono essere possibilmente legati (soprattutto per atmosfere e stile narrativo finalizzati a creare il c.d. sense of wonder nel lettore) alla tradizione del genere fantastico, anche se questo non vuol dire dover utilizzare per forza di cose gli archetipi tradizionali; 

- si deve evitare di utilizzare un linguaggio fatto di termini volgari (perché, a mio avviso, distruggono l'atmosfera e rendono povera la lettura), questo non vuol dire che non vi devono essere scene hot, anzi... 

- devono esserci contenuti di fondo che siano centrati sul tema erotico, in altri termini, la parte erotica non deve essere una sfumatura fine a sé stessa, ma deve avere una valenza caratterizzante all'interno di un racconto fantastico e attraverso la quale lo scrittore intende comunicare un qualcosa di suo; 

- pur se spicy devono comunque essere storie fantastiche o, comunque, legate a un thriller tendente all'horror (che non vuol dire, per forza di cose, splatter o violenza, anzi...) che abbia una finalità non di colpire allo stomaco il lettore generando raccapriccio o ribrezzo, quanto, piuttosto, meravigliarlo, inquietarlo o farlo riflettere.

 

Lunghezza della storie: non è tassativa. Direi di utilizzare come riferimento il limite massimo della 60.000 battute.

Dead Line di consegna: non è tassativa. Mi piacerebbe avere il materiale per novembre 2023, così da poter cercare un editore (si accettano candidature o proposte).

Compensi: non posso garantire niente, se non di fare in modo che il progetto, se andrà in porto, sia pubblicato su volume antologico cartaceo.

Destinatari della proposta: selezionerò una serie di autori su invito, tra scrittori conosciuti che hanno già pubblicato racconti del genere e altri scrittori con cui ho collaborato con le esperienze con Profondo Rosso, Gianfranco De Turris e Il Foglio Letterario. Ben vengano inoltre proposte da parte di altri scrittori interessati al progetto. Contattatemi, se interessati, qua nei commenti o su facebook (nome MATTEO MANCINI) così che vi possa dare in privato la mia email.

domenica 5 marzo 2023

TRILOGIA DELL'INCUBO II - IL RITORNO di Maurizio Bianciotto.

Autore: Maurizio Bianciotto.
Edizione: e-book kindle.
Anno: 2019.
Genere:  Antologia Horror.
Editore: Santi Editore.
Pagine: 128.
Prezzo: 2.00 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.

La difficoltà nella scrittura, così come in qualunque aspetto della vita comune, non sta nel creare qualcosa di buono, ma nel riconfermarsi dopo aver lasciato intravedere delle qualità che possano offrire la sensazione di essere al cospetto di un potenziale crack. Dopo aver pubblicato l'interessante Trilogia dell'Incubo (2018), a meno di un anno di distanza, Maurizio Bianciotto torna alla carica con un nuovo progetto che segue, in tutto e per tutto, il primo trittico di storie dedicate alla narrativa del terrore.

Trilogia dell'Incubo II, infatti, è l'ideale sequel, una sorta di remake, se vogliamo, dell'opera attraverso la quale, dopo una serie di storie western, lo scrittore torinese si era approcciato all'horror. Il rischio di ripetersi, l'eventualità di non essere capace di superare quanto già proposto e la paura di aver sparato i colpi migliori viene sorprendentemente spazzata via da un lotto di storie che, se vogliamo, supera in qualità la prima antologia ed evidenzia il profilo di un grande intrattenitore dotato di uno stile maturo che ben figurerebbe in contesti di maggior prestigio.

Bianciotto ha ben poco da invidiare ai professionisti. Gli manca forse il coraggio per sganciarsi dai collaudati schemi del genere ma, quanto ad abilità narrative, è indubbiamente un narratore di razza.

Si conferma la cifra stilistica funzionale a commistionare la storia contemporanea a quell'orrore germinale legato alla tradizione e al folklore degli albori del genere. Vampiri, zombie, licantropi e streghe sono i protagonisti delle storie e vengono proposti in ossequio al gusto classico, figlio degli insegnamenti dei grandi autori di fine ottocento e dei primi del novecento.

Abile nello scandire i tempi narrativi, Bianciotto ricorre a una prosa estremamente scorrevole, depurata da leziosismi o da fronzoli estetici finalizzati a imbellettare i contenuti. Lo stile è essenziale, eppure perfetto a generare le giuste atmosfere. Notevoli e curati i dialoghi, così come le caratterizzazioni. I racconti sono perfette macchine per intrattenere un pubblico di massa, così da fare di Bianciotto un degno erede dei narratori italiani che negli anni sessanta e settanta furoreggiavano nelle edicole. Non sorprende che i testi, secondo quanto ci ha riferito l'autore stesso, siano stati apprezzati dallo sceneggiatore (tra gli altri del regista Lucio Fulci) Dardano Sacchetti. Fa dunque specie vedere uno scrittore di tale caratura sepolto in un underground che difficilmente potrà offrirgli la visibilità che meriterebbe. Dal mio punto di vista, non posso pertanto che invitare i miei pochi lettori ad acquistare gli ebook di Bianciotto, peraltro facilmente acquistabili anche su Amazon a un prezzo pressoché nullo.

I RACCONTI NEL DETTAGLIO



I Vampiri di Cerna Gora. Weird War story degna erede dei racconti alimentati da The Bowmen di Arthur Machen e, prima ancora, dalle storie belliche intrise di contenuti soprannaturali pubblicate nell'ottocento da Ambrose Bierce, attraverso la quale Maurizio Bianciotto si dimostra un narratore poliedrico a suo agio in ogni componente e sfaccettatura della narrativa di genere.

Siamo nel corso della seconda guerra mondiale, in Jugoslavia, con i nazisti alle prese con i partigiani agli ordini di Tito. Ancora una volta troviamo impiegati in cammei personaggi realmente esistiti (nella prima antologia avevamo avuto, tra gli altri, Himmler), quali il leader dei fascisti croati Ante Pavelic. Alla stessa maniera si conferma la cura del contesto storico in cui si muovono i personaggi dell'immaginazione. Bianciotto cita i nomi dei gruppi in azione (gli Ustascia croati) denotando una vera e propria passione per la storia contemporanea e un interesse sugli atteggiamenti psicologici tenuti dai membri dei distinti eserciti orientati al reciproco disprezzo.

Ammoniti circa la maledizione gravante su un promontorio costantemente avvolto dalle nebbie, gli uomini agli ordini dell'arrogante tenente Manfred Bolke, ufficiale SS, intendono sconfessare le superstizioni e conquistare la vetta del monte Cerna Gora, letteralmente la “Montagna Nera”. Dovranno vedersela contro un nemico ultraterreno rappresentato da un'orda di soldati caduti in precedenti battaglie che si muovono, all'incombere delle tenebre, sotto le vestigi di passati eserciti, vuoi che siano turchi o austro-ungarici. Una caratterizzazione, questa, che ricorda il romanzo da edicole degli anni sessanta Il Destino e la Strage pubblicato a firma Max Dave (in realtà di Carlo Belli) all'interno della serie I Racconti di Dracula.

Ne esce fuori una storia costruita su un doppio binario costituito, da una parte, dall'indagine della Gestapo finalizzata a comprendere lo stato mentale del Tenente Bolke - unico superstite di un manipolo di uomini trucidati in battaglia - e, dall'altro lato, dal diario dello stesso militare che racconta di un conflitto intrapreso contro esseri a metà strada tra i vampiri e gli zombi.

Le doti dello scrittore sono di nuovo il piatto forte dell'elaborato. Bianciotto è un abile intrattenitore, in grado di miscelare immagini cinematografiche alla tradizione letteraria di inizio novecento. Nella fattispecie si affida a un immaginario che rimanda alla serie cinematografica dei “Resuscitati Ciechi” di Amando De Ossorio e, al tempo stesso, ripropone l'idea del male ultraterreno di estrazione stokeriana ovvero una pestilenza potenzialmente in grado di diffondersi dalla periferia dell'Europa per sconvolgere gli equilibri e la pace del cuore della civiltà. Probabilmente il miglior racconto del lotto.

L'Eccentrico Sir Williams. Storia classica alla weird tales, in cui torna in gioco la figura del licantropo seppure in una chiave di condanna (nella prima antologia si parlava di una setta di licantropi divenuti tali per rivoluzionare l'ordine costituito). Scandito con classe e capacità linguistiche invidiabili, sconta un soggetto che non è né vuole essere originale. L'autore pesca a piene mani dai film dell'Hammer e, soprattutto, dai racconti pulp di Robert Ervin Howard (anche se non ammesso).

Sul versante della struttura, L'Eccentrico Sir Williams è un elaborato condotto su un doppio binario temporale. Da una parte le rivelazioni in esclusiva di un ex ufficiale dell'esercito inglese che ha invitato - presso la sua villa ai margine del bosco - un vecchio commilitone per svelare il proprio segreto, dall'altro il flashback sugli scontri del 1898 avvenuti nel cuore del Sudan ai tempi in cui i due erano impegnati sul campo di battaglia. È infatti proprio dal passato che giunge la soluzione del mistero che avvolge la vita del maggiore Williams, un uomo che si è isolato da tutto e da tutti e che è stanco della vita. Ecco che, a differenza di Lycanthropus (racconto presente nella prima antologia), le capacità soprannaturali sono il prodotto di una maledizione che squalifica dalla vita comune, assumendo la valenza di un'infezione potenzialmente epidemica orchestrata da un nemico maligno quale via attraverso la quale condurre a morte l'avversario nella sua lontana madre patria. Imprigionato dai sudanesi, l'ex ufficiale viene costretto a combattere corpo a corpo in un'arena di fortuna contro un mostro dai tratti licantropici. Vincente nello scontro, il giovane inglese non avrà tempo per gioire. La morte, infatti, avrebbe reso ben più gaudio lo spirito, poiché il morso subito sarà il motivo per il quale i dervisci provvederanno alla liberazione del poveretto con la speranza maligna che possa essere ricondotto nella lontana Inghilterra. Evidentemente, non sempre vincere un confronto è la soluzione migliore per l'anima di un uomo.

Racconto privo di sottotracce di valenza critica, eppure molto maturo da un punto di vista tecnico tanto da fare di Bianciotto un nome da appuntare sul taccuino dei nomi da ricordare.

La Diva dell'Hard. Racconto che evoca le spicy story di Ed Wood contenute nell'antologia Splatter, con Bianciotto che riprende l'argomento dal precedente Il Ritratto della Contessa (inserito nella prima trilogia) per proporlo sotto un'ottica più moderna e meno legata al gotico.

Penalizzato da un'eccessiva dilatazione nella prima parte di elaborato, dove l'autore trova il modo di omaggiare titoli western tra cui l'italiano La Preda e L'Avvoltoio, la storia entra in lenta carburazione con gli artifici tipici del genere, quali il sogno premonitore. Centrale l'elemento del sesso che viene trattato con una certa intelligenza e un alone prettamente malinconico. Bianciotto non è un aderente alla “moderna” corrente dell'hardcore horror. Il lessico non è mai volgare, salvo un paio di espressioni. I momenti piccanti, pur se presenti, non scadono in sproloqui da bettola. Emerge, di converso, una sottotraccia molto interessante che conferisce valore alla storia. L'attrazione fisica da una parte e la voglia di corrompere i valori della morale dall'altra. La prima è personalizzata da un giovane italiano che scopre che vicino alla sua abitazione è giunta in vacanza una famosa attrice hard. Comunista convinto e un po' bigotto, il giovane, pur manifestando lo sdegno per il mondo peccaminoso del sesso promiscuo, non riesce a resistere al richiamo della carne e viene attirato dalla bella strega che vuole solo divertirsi e rubargli la vita (nel testo si parla di sangue, ma si farebbe meglio a parlare di cervello). Il giovane incarna i valori del ragazzo modello (“educato, gentile e timido, non avrei potuto fare una scelta migliore”) ed è questo a stimolare il desiderio predatorio della donna. L'attrice ama il controllo, una sensazione di sfrenata emozione che la rende simile a una divinità che modera piacere e dolore. ”Plasmare gli altri, farne degli oggetti nelle tue mani, è una cosa a dir poco inebriante. Soprattutto quando sono gli altri che si illudono di dominarti e di possederti.” È un personaggio, un po' come la protagonista del film Ecstasy interpretato da Moana Pozzi, che ha tutti gli uomini ai suoi piedi e che, tuttavia, non riesce a sentirsi completa poiché i partners sono fusti che non le scuotono la mente essendo presi dalle sue forme tanto da farne un oggetto di piacere. Ecco delinearsi un dramma che vedrà soccombere entrambi i personaggi, vittime di una tragedia in cui neppure la dimensione del sogno illusorio potrà conferire ristoro. Quando, dopo l'amplesso, la donna chiede al giovane se è felice lui risponde: “se l’appagamento fisico può dare la felicità, allora sono felice”. Il condizionale è d'obbligo, perché l'appagamento fisico è solo una parte della problematica legata al rapporto amoroso. A spiccare infatti sono i contenuti intrinseci di cui si fa portatore il testo, in particolare l'idea della vacuità dell'amore, quando lo stesso viene ricercato nei corpi e nella soddisfazione fisica piuttosto che nella complicità mentale e nell'unione spirituale cui devono tendere due anime veramente gemelle chiamate a intraprendere quel percorso di felicità che conduce all'ideale ermafrodita simbolo della perfetta unione alchemica.

Bianciotto usa il classico della pronuncia del vero nome della strega per portare alla morte dell'attrice che, in realtà, è già stata arsa sul fuoco, ma il sogno menzognero di un amore impossibile persiste anche oltre la morte: “Nei suoi amplessi onirici con Vanessa Scott e poi in quelli reali aveva realizzato i propri desideri ed appagato ogni sua fantasia ma ora si rendeva pienamente conto che quello non significava essere felici. La felicità era passeggiare per Praga con una splendida ragazza che lo amava per ciò che lui era, sinceramente, senza calcoli o secondi fini. E poiché questa condizione perfetta si realizzava soltanto in sogno, cominciò a desiderare la notte, il magico momento in cui sarebbe potuto fuggire da una realtà che non gli apparteneva per vivere, sia pure solo in modo onirico, attimi bellissimi ed appaganti.” Questo per dire che la bellezza del corpo è una chimera cui un comune mortale non può ambire, se non per un'esclusiva seduta di sesso estremo dietro cui si nasconde la vuotezza dei contenuti.

CONCLUSIONI

Maurizio Bianciotto è uno scrittore da recuperare, caldamente consigliato a chi sia appassionato del fantastico delle origini - quello figlio di Bram Stoker, dei prodotti della Hammer, dell'erotismo dei romanzi italiani del terrore delle edicole (Racconti di Dracula e KKK) - e a chi ama leggere storie che mischiano i grandi protagonisti della storia contemporanea (vuoi che siano nazisti, soldati austro-ungarici o militari inglesi dell'epoca vittoriana) ai grandi archetipi dell'orrore quali licantropi, vampiri, streghe e zombi. Dotato di uno stile leggero e mai pesante, le sue storie sono perfette per la massa essendo strutturate su un grande senso di intrattenimento. Trovate su amazon i suoi ebook a 2,00 euro. Qua per l'acquisto: https://www.amazon.it/Trilogia-dellincubo-ritorno-Maurizio-Bianciotto-ebook/dp/B07PW493Y4

giovedì 2 marzo 2023

Recensione Narrativa: TRILOGIA DELL'INCUBO di Maurizio Bianciotto.

Autore: Maurizio Bianciotto.
Edizione: e-book kindle.
Anno: 2018.
Genere:  Antologia Horror.
Editore: Santi Editore.
Pagine: 144.
Prezzo: 2.00 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.

PRESENTAZIONE AUTORE E ANALISI GENERALE

Maurizio Bianciotto è una novità assoluta che arriva direttamente dal panorama underground delle pubblicazioni digitali senza aver trascorsi o segnalazioni in concorsi apicali nell'ambito del fantastico e del weird. Cultore, più che mero appassionato, di storia e soprattutto di quel cinema commerciale legato ai grandi capolavori inglesi griffati Hammer, ma anche alle produzioni di genere italiane degli anni sessanta e settanta e a un mondo sommerso e sconosciuto fatto di pellicole russe mai giunte nella nostra landa e visionate dall'autore in lingua originale, grazie alle pubbliche relazioni intrattenute negli uffici del piacere con le burocrati e funzionarie che mai un savio di mente si sognerebbe di incontrare negli alti piani dell'amministrazione pubblica.

Torinese, classe 1970, autore di molteplici e-book legati soprattutto al genere western e al bellico, con Trilogia dell'Incubo, messa in vendita (anche su amazon) a partire dall'ottobre del 2018, ha dato avvio al suo tributo al genere dell'orrore figlio degli insegnamenti della prima metà del novecento. Le sue storie, pur se derivative, spiccano sempre per la capillare attenzione nella delineazione delle caratterizzazioni (vezzi caratteriali, armi, divise, abitudini locali), dei contesti ambientali spesso legati al folklore dell'Est Europa (Ungheria soprattutto) e dei riferimenti storici riportati sempre in abbondanza. L'erotico, il giallo e l'azione vengono, di volta in volta, a impreziosire canovacci legati ai grandi archetipi dell'orrore della tradizione, trasformando un semplice racconto fantastico in altro. Il vampiro, il licantropo e lo zombi sono i grandi protagonisti del trittico qua oggetto di esame realizzato per la distribuzione dalla Santi Editore.

Il livello dei racconti è qualitativo, specie per i dialoghi (notevoli per la "categoria") e la gestione dei tempi narrativi. Manca un po' di originalità, talvolta latente per un approccio citazionista così evidente da essere sottolineato dai continui rimandi a scrittori, registi, film e persino fumetti italiani degli anni settanta. Bianciotto non vuole rivoluzionare il genere, ma regalare il suo atto d'amore per un mondo che, evidentemente, adora. Ecco allora lo sguardo proiettato verso la tradizione piuttosto che in direzione di quell'orrore contemporaneo fatto di splatter o di una traslitterazone in chiave quotidiana o sociale delle grande paure dell'uomo moderno. Per tale via arrivano i cammei di personaggi realmente esistiti quali la contessa Bathory (ribattezzata sotto altro nome) e persino Himmler, così come le ambientazioni sono sovente nel passato, tra il 1880 e il 1943.

In vendita al modico prezzo di due euro (qua il link per l'acquisto https://www.amazon.it/Trilogia-dellincubo-Maurizio-Bianciotto-ebook/dp/B07JC46Z4V/ref=sr_1_10?qid=1677790544&refinements=p_27%3AMaurizio+Bianciotto&s=books&sr=1-10), La Trilogia dell'Incubo è un'antologia di circa 140 pagine molto scorrevole e ben scritta, tanto da dare la sensazione che dietro alle storie vi sia la mano di un narratore esperto. Al di là della superficie delle storie, emerge un atteggiamento di sfavore nei confronti della religione e delle dittature (vuoi che siano politiche che religiose), nelle quali l'autore tende a vedere la matrice e la ragione di ogni male.

Vediamo nel dettaglio i racconti.

 
ANALISI DETTAGLIATA

Il Ritratto della Contessa è un dichiarato ed evidente tributo al sottogenere del vampirismo classico. Bianciotto mischia Dracula (soprattutto la parte iniziale con Harker ospitato presso il castello del Conte) alla contessa sanguinaria Erszebet Bathory (la vampiressa del racconto è costruita sul modello della nobildonna ungherese), in un continuo rimando di citazioni che strizzano l'occhiolino ai prodotti cinematografici della Hammer, passando per i romanzetti da edicola calibrati su un connubio fatto di sesso e terrore (citata la serie Terror, ma è individuabile una matrice comune anche a I Racconti di Dracula). Non si contano gli omaggi, per un soggetto che è fedele alla tradizione di inizio novecento, per contesto scenografico (ambientazione est europea, a trecento chilometri da Budapest, in un castello isolato) e atmosfere (bufere di pioggia, tra fulmini e tuoni), ma che, al contempo, si abbandona alla contemporaneità rappresentata da un protagonista che racconta la storia in prima persona con tutte le ingenuità del giovane moderno, tanto da rendere partecipe il lettore dei suoi pensieri (non certo filosofici) incentrati su una valutazione della bellezza femminile filtrata dai modelli spinti del cinema hardcore. Una visione, questa, da cui si lascia corrompere (“In fondo, in una donna l'aspetto esteriore è sempre quello che conta di più...”). Tra le scene più piccanti vi è una sorta di riproduzione della scena di Harker sedotto da una vampiressa, che fu poi la prima scena che venne in mente a Bram Stoker. La corruzione dei valori genera un dolore che svanisce e si tramuta in perverso piacere (“Non provo nessun timore quando mi attira a sè. Fremo di gioia quando le sue labbra si avvicinano al mio collo e la mia felicità è al culmine quando i suoi canini straziano la mia gola.”), ideale via attraverso il quale la perversione viene lasciata figliare altrove (forse è questo il motivo per cui la contessa lascia scappare la sua preda).

Bianciotto dimostra di essere un ottimo narratore, soprattutto nella costruzione dei dialoghi. Opta per un romanzo scritto in prima persona, che perde qualcosa nei pensieri libidinosi del protagonista e nel continuo ammiccamento circa la vera natura dell'ospite, un approccio questo che rende prevedibile il successivo sviluppo del testo dai risvolti un po' telefonati.

Le stigmate del vampirismo d'autore, tuttavia, ci sono. La corruzione dei valori e il progressivo allontanamento dalle fede (“ho sempre trovato difficile affidarmi ad un dio che predica la rassegnazione ed il perdono”), rappresentato da un'abiura espressa dal protagonista al cospetto di una donna seducente che alla fine si rivelerà essere quella che tutti aspettavano fosse, incarnano la matrice comune alle origini. Ecco che Il Ritratto della Contessa è un elaborato classico, caratterizzato da venature erotiche mai volgari, e da qualche momento di tensione rappresentato soprattutto dalla forza evocativa di una serie di quadri che propongono momenti di tortura e di morte che rapiscono l'attenzione del protagonista. Piacerà ai puristi del genere allineati ai vecchi stilemi.


Lycanthropus. Racconto nella tradizione del folklore legato all'archetipo del licantropo (ci sono alcune innovazioni, tipo le metamorfosi scandite dall'assunzione di pastiglie scatenanti) su cui Bianciotto ricama con classe, lavorando sul background e sulle caratterizzazioni a corollario dell'intreccio. La storia è lineare, gestita senza colpi di scena tanto che il finale giunge telefonato. Ciò detto, lo stile, i dialoghi e la gestione dei tempi sono eccellenti. Bianciotto ha evidenti qualità e sa essere ottimo narratore, anche se forse è un po' troppo legato ai contenuti classici. Appassionato di arte, gioca di nuovo sugli elementi pittorici rappresentati da quadri dai soggetti evocativi (qua il ritratto di un licantropo). Allo stesso modo torna l'artificio letterario del sogno/incubo svelatore e del viaggio. A tratti onirico, Lycanthropus segue per il resto gli stilemi del giallo, partendo da una strana lettera da cui poi si innescherà un sanguinoso omicidio su cui il protagonista e un poliziotto si troveranno a indagare.

Punto di forza sono l'ambientazione e lo studio che l'autore fa, in relazione all'impero austro-ungarico e alle differenze tra austriaci e ungheresi che si guardano, rispettivamente, con sospetto e reciproca superiorità. Siamo ancora in Ungheria, questa volta nel 1880 nella cittadina di Gyor. Bianciotto lavora sulla tradizione, parla del tempio romano presente in città, del culto di Mitra e della repressione per mano cristiana consequenziale all'Editto di Teodosio del 391 d.c.. Proprio questa è la sottotraccia su cui si struttura il testo. L'autore opera una feroce critica della religione cristiana, vedendone la matrice di mali in origine assenti. Alla stessa maniera dei cattolici, i seguaci di Mitra erano in legati al culto dell'anima salvo poi trasformarsi in individui votati alla perpetrazione della carne in quanto perseguitati e costretti con la forza ad abiurare ai propri credi. Ecco così assumere la qualità di rivoltosi (una posizione che può accomunarsi, se vogliamo, a quella legata alla caccia di Satana dal paradiso), tanto da sposare gli insegnamenti dei negromanti e mutuare, per tale via, la propria esistenza nel tempo.
“Trasformarono il loro credo da religione della luce a religione delle tenebre”.
Emerge ancora una volta una visione di stampo materialista, che porta con sé una critica che lascia trapelare la supposizione, peraltro evidenziata da studiosi del calibro di Marx, di un approccio manipolatorio e ottenebrante operato della religione cattolica sulla mente degli uomini. “Quale migliore vendetta nei confronti dei cristiani e del loro inutile dio, che non è in grado di salvarti dalla morte e pretende una fede incondizionata in cambio di...di cosa? Della vita ultraterrena, quando sappiamo benissimo che la vera vita è un fatto esclusivamente materiale e composto di bisogni primari? Mangiare, respirare, accoppiarsi, non porsi nessun assurdo limite morale. Questa è la vera esistenza e per rappresentarla non vi è nessuna creatura più degna del lupo. Invincibile, libero, spietato”.


SS Campo 5 – Protocollo Apocalisse. Dopo il vampiro e il licantropo, è il turno di un altro grande archetipo dell'orrore classico: lo zombi.

Forse ispirato dal fake trailer di Rob Zombi Werewolf Women of the S.S., inserito nel progetto Grindhouse del duo Tarantino-Rodriguez, arriva un altro bizzarro esperimento nazista diretto a creare dei soldati invincibili e, al tempo stesso, scatenare un virus letale a danno degli avversari americani e russi impegnati nel secondo conflitto mondiale. Prendendo le mosse dalla tradizione haitiana e da film come Ho Camminato con uno Zombi, uscito nel medesimo anno in cui è ambientata la storia, ovvero il 1943, Bianciotto miscela gli stilemi del sottogenere ricorrendo alle soluzioni romeriane (colpo in testa per uccidere i non morti e l'inconveniente del cannibalismo). A gestire l'operazione vi è un manipolo di ufficiali SS e di soldati chiamati a operare un ordine di insabbiamento richiesto da Himmler, anch'esso presente nella storia.

Eccellenti i dialoghi e le caratterizzazioni, così come la cura nel delineare gli armamenti, le divise e la gestione dei campi. Eloquente infine la brutalità dei modi nazisti, così come non mancano densi stralci intrisi di un'azione da war movie con inserti gore in stile La Notte dei Morti Viventi. Il grande Reich, o forse i sistemi politici in generale, non amano gli uomini pensanti. “Purtroppo lei è un ottimo soldato ma un pessimo nazista. La Germania di Adolf Hitler non ha bisogno di gente come lei. Gente che si pone domande, che non crede incondizionatamente, che porta in sè il seme del dubbio e di conseguenza della disfatta. No, mi creda, nel nostro glorioso Reich non sappiamo che farcene di gente del suo livello” 

 

La successiva trilogia del terrore
pubblicata da Maurizio Bianciotto.

"Apprezzo gli uomini che non sentono il bisogno di ostentare i propri meriti."