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domenica 27 agosto 2023

Recensione Narrativa: DOMENICA NERA di Claudio Paglieri.

Autore: Claudio Paglieri.
Anno: 2005.
Genere:  Giallo / Sport.
Editore: Edizioni Piemme.
Pagine: 365.
Prezzo: 10.50 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.

Ho acquistato questo volume in estate su una bancarella di libri usati per 2 euro, incuriosito dalla trama. Siamo infatti alle prese con un giallo ambientato nel mondo del calcio italiano, addirittura premiato nel 2005 col prestigioso Bancarella Sport.

Ottime premesse dunque, peraltro per un romanzo che ha anticipato di qualche mese lo scandalo che avrebbe condotto la Juventus in serie B e riscritto l'intera classifica del campionato di Serie A. Claudio Paglieri, giornalista del Secolo XIX di Genova, deve il proprio successo dall'aver anticipato lo scandalo che avrebbe sconquassato l'Italia sportiva. Domenica Nera infatti verte proprio sui centri di poteri oscuri che manovrano, dall'interno, il calcio, pilotando partite, risultati, designazioni arbitrali e scommesse. Ne viene fuori un testo fortemente disilluso e pessimista, dove la corruzione va oltre il contesto calcistico spingendosi fino a interessare pubblici ministeri, avvocati, carabinieri, polizia e politica. Insomma, niente di nuovo al fronte, ma virato alle più estreme conseguenze con tanto di arbitri cocainomani, puttanieri e addirittura assassini.

Non si rende conto che questo paese va avanti a forza di piccoli favori, di piccole tangenti, di piccole eccezioni alla regola, e che è inutile e ridicolo restare lì fermo come uno scoglio a cercare di fermare il mare?” afferma il Moggi di turno.

Ottimo spunto iniziale, per un giallo che prende le mosse con un misterioso suicidio di un arbitro, aspramente criticato, trovato impiccato all'interno degli spogliatoi, dopo aver concesso l'ennesimo rigore inesistente, nel corso dell'intervallo di una partita al Marassi di Genova. Il commissario Luciani, disilluso figlio di papà nonché ex promessa del calcio, si troverà a indagare, scontrandosi con un ambiente omertoso e desideroso di abbuiare il tutto in nome della felicità del popolo italiano che non può fare a meno delle partite (Paglieri legge bene anche questa situazione, basti ricordare al periodo covid).

I buoni propositi, a mio modestissimo parere (visto che il romanzo ha ricevuto molte critiche positive), finiscono qua. Pur essendo scritto in un italiano scorrevole (ci sono anche diverse citazioni colte, dalla pittura alla letteratura) e non privo di punte di ironia (gli arbitri hanno suonerie con le sigle di Lupin o La Gazza Ladra), Domenica Nera è infarcito di lunghe digressioni funzionali a caratterizzare oltremisura i personaggi. Ne è un esempio la parte (del tutto inutile) con Luciani che decide di lasciare la fidanzata o di recarsi con la stessa presso l'Ikea, per non parlare delle descrizioni delle partite di tennis che ogni settimana tiene per sviare la tensione. Lo stesso intreccio fatica a decollare e non ha sviluppi ulteriori rispetto all'evento iniziale. Si discute se si tratti di un omicidio oppure di un suicidio, posto che la scena del crimine appare con alcune discrepanze quali cellulari scomparsi, taccuini strappati, parti di penne non rivenute nella loro interezza e chiavi assenti sebbene la porta sia stata dichiarata chiusa dai testimoni. L'azione è assente, i dialoghi – dovuti alle tante escussioni testimoniali - frequenti inoltre vi è un'insistita parte erotica tendente al pornografico, tra il commissario e un'ispettrice delle assicurazioni, del tutto estranea al registro del romanzo e ai fatti di indagine.

Il protagonista, assai disturbato (persino nell'alimentazione) e in passato addirittura protagonista di un'aggressione a un arbitro (motivo questo che difficilmente lo avrebbe potuto portare a diventare commissario di polizia), ha una psicologia alquanto ipocrita: da una parte è integerrimo fino all'autolesionismo, dall'altra libidinoso, materialista e duro (si veda come liquida la propria fidanzata). Personaggio brusco, senza peli sulla lingua e privo di simpatia che costituisce la punta di un iceberg che annovera anche diversi personaggi ricalcati da altri contesti: Rebuffo, il general manager che tutto controlla e tutto dirige, è palesemente costruito su Luciano Moggi, mentre Iannece è copiato da Camilleri essendo il clone di Angelo Catarella dalla serie Montalbano.


Alla fine, viste le premesse e l'ottimo spunto iniziale, Domenica Nera delude le attese, a causa del ritmo lento e degli scarsi sviluppi della vicenda. Paglieri trasforma quello che dovrebbe essere un giallo in un qualcos'altro, una sorta di romanzo denuncia del marciume e dell'ipocrisia che pervadono la società italiana. Alla fine gli indagatori riusciranno a risalire a una verità parziale, utile a far venire a galla il tumore che pervade la società italiana e su cui tutti chiudono gli occhi pur di illudersi di credere a una realtà che tale non è. Ben si presta a introdurre la lettura il commento pubblicato su Panorama presumo nel 2006: “Lo scandalo del calcio? Per scoprirlo non ci volevano mesi di indagini e intercettazioni telefoniche. Bastava leggere Domenica Nera.”

 
L'autore Claudio Paglieri.
 
"Sono corrotti, chiaro. Non tutti, naturalmente. Ma parecchi, soprattutto tra i più famosi. E' come in molti altri mestieri: in politica, in magistratura, nel giornalismo, più sei in alto e più è facile che tu ci sia arrivato a forza di compromessi. Ogni arbitro ha il suo prezzo e non è detto che si tratti di denaro: c'è chi si accontenta di qualche bella serata al night, con hostess di lusso; chi lo fa solo per il potere e la fama e realizza i desideri del Palazzo per restare poi nell'ambiente, in qualche società, o andare in TV."

venerdì 25 agosto 2023

Recensione Narrativa: UN ASSASSINO NELLE TENEBRE a cura di Alfred Hitchcock.

Autore: AA.VV. (a cura di Alfred Hitchcock) 
Serie: Alfred Hitchcock Presenta.
Titolo Originale: Grave Business. 
Anno: 1975. 
Genere:  Antologia Giallo / Poliziesco. 
Editore: Oscar Mondadori (1977). 
Pagine: 188. 
Prezzo: Fuori catalogo


Commento a cura di Matteo Mancini.

Volume dell'interminabile serie Alfred Hitchcock Presenta che si propone di fare il verso, pur se con racconti mediamente più brevi e firmati da autori di qualità inferiore e spesso poco noti, alla serie Ellery Queen Presenta (in Italia proposta con i titoli Estate o Inverno Giallo). Hitchcock si limita a scrivere una prefazione senza ulteriori contributi. Probabilmente non si deve a lui neppure la scelta dei racconti e degli autori, tutti facenti parte della scuderia della collana dove sono stati ripetutamente inseriti. Una serie andata avanti dall'inizio degli anni sessanta alla fine degli anni ottanta.

In questo Un Assassino nelle Tenebre, traduzione in italiano dell'antologia Alfred Hitchcock Grave Business (1975), troviamo quattordici racconti compresi tra le ventisette e le cinque pagine, molti dei quali inediti ad aggiungersi a ripescaggi dalla rivista periodica Alfred Hitchcock's Mystery Magazine.

Il livello, diciamocelo chiaramente, è equilibrato ma modesto, utile a intrattenere il lettore sotto l'ombrellone o un pendolare durante gli spostamenti da casa a lavoro e viceversa. Si tratta di gangster story, brevi legal thriller, qualche storia di tensione, alcuni gialli fulminei e un po' di poliziesco. Insomma, niente di impegnativo. Siamo dalla parti delle crime story in salsa pulp spesso dagli epiloghi beffardi intrisi di venature ironiche, dove figurano avvocati privi di scrupoli, sicari al soldo della mafia, illusionisti votati al crimine, goffi banditi non avvezzi all'arte del crimine (tematica che va per la maggiore), mariti stanchi della propria moglie e ovviamente poliziotti attenti a sfruttare a proprio vantaggio gli indizi lasciati dai delinquenti di turno. Quattordici storie che difficilmente riusciranno a farsi ricordare nel lungo termine. C'è qualcosa di interessante, tuttavia manca l'originalità e la capacità sorprendere il lettore. Anche quando gli epiloghi cercano di volgere verso la sorpresa questa di rado è gestita con maestria. Da questo punto di vista, costituisce un'eccezione il divertente Tra le quattro e mezzanotte (Between 4 and 12) firmato da Jack Ritchie. Ritchie conta qualcosa come 350 pubblicazioni in antologie, di cui 50 per la collana oggetto di esame. È dunque un ospite fisso della serie Alfred Hitchcock Presenta, pur vantando inserimenti anche nella più qualitativa serie Ellery Queen. Potremmo quasi dire che è lo scrittore più conosciuto tra i quattordici oggetto di esame. Premiato nel 1982 con il Premio Edgar, più volte trasposto nella serie tv dell'Alfred Hitchcock Presenta e soprattutto riscoperto negli ultimi venticinque anni dalla Marcos y Marcos che ha tradotto in italiano, a oltre dieci anni dalla sua dipartita, otto romanzi. Uno scrittore quindi che ha avuto un certo riscontro di vendite sul mercato italiano ma che resta lontano anni luce dai grandi maestri del genere.

Tra le Quattro e Mezzanotte, a ogni modo, propone una serie di valutazioni preventive di un assassino che ha già ucciso la moglie e, dopo averne occultato il cadavere, medita di denunciarne la fuga alla polizia prefigurandosi l'interrogatorio e preconfezionandosi le risposte. Ogni tentativo di crearsi un alibi, tuttavia, è destinato a fallire in quanto, senza che l'uomo ne sia a conoscenza, il killer è monitorato da un giornalista a caccia dell'automobilista più disciplinato della settimana. È infatti in programma un concorso a premi intitolato “La settimana del guidatore prudente”. Del tutto interessato a non dare nell'occhio, il killer finisce proprio per il suo modo perfetto di guidare per calamitare l'attenzione della stampa che, convinta di fargli piacere, si appresta a pubblicare sul giornale la targa dell'autovettura su cui l'uomo sta marciando, facendo decadere l'alibi che l'assassino si appresterà a dare alla polizia. Ritchie struttura così la storia con una scansione temporale atipica, ovvero pone in anticipo le premesse che consentiranno al lettore di capire come si concluderà la vicenda.


Un altro racconto che gestisce bene l'epilogo è il fulmineo legal thriller Quell'Unico Giurato (Jury of One) di Talmage Powell, bravo a ribaltare il clima di sospetto verso un potenziale giurato in un processo per volgere tutta l'impostazione in modo diametralmente opposto, così da spiazzare il lettore a fronte di un protagonista che sembrava temere (quando invece era l'inverso) la nomina del giurato sottoposto alla valutazione del giudice. Powell gioca tutto sull'ansia dell'imputato che vede con occhio assai critico una donna di mezza età che sta per essere ammessa come giurata. Attenzione, però, niente è come sembra. Carino l'epilogo.

Prova a lavorare sull'intreccio La Ragazza d'oro (The Girl in Gold), apparso sull'Alfred Hitchcock's Mystery Magazine del settembre del 1970, non a caso tra i racconti più elaborati e lunghi dell'antologia, prossimo alle trenta pagine. Niente di particolare, sia chiaro, tuttavia verosimile. Il mestierante Jonathan Craig elabora un omicidio mascherato da suicidio dietro al quale si cela il furto di una serie di diamanti. La vittima, un affarista nel mercato dei gioielli, potrebbe esser stata uccisa da più individui. Gli indagatori, infatti, devono districarsi tra una serie di sospettati, tra cui un'amante abbandonata, un galeotto a cui la vittima ha rubato la donna e un locandiere manigoldo che ha pensato bene di sfruttare la proverbiale occasione che fa l'uomo ladro, anticipando il piano dell'ex galeotto. La polizia, facendo riferimento a una serie di incongruenze, risolverà il caso grazie all'indagatore Pete Selby, personaggio ritornante di Craig. Carino il finale e piuttosto quadrato nell'intreccio.


Giostrato sulle indagini poliziesche è anche Il Decimo Orologio (The Extra Watch), una simpatica indagine cadenzata dalla penna di Frank Sisk. Una vecchia volpe della polizia fa da nave scuola a una recluta la cui onestà sarà destinata a essere messa alla prova alla fine della vicenda. Un furto di orologi all'interno di un negozio, assaltato nella notte, è il motivo dell'intreccio. Al centro della ricostruzione il modus operandi che permette alla polizia di ipotizzare, con successo, chi si nasconda dietro il colpo e, di conseguenza, muoversi per l'arresto dello stesso. Pubblicato nell'agosto del 1967 sull'Alfred Hitchcock's Mystery Magazine. Carino


Ultimo racconto meritevole di menzione è Un Incarico Importante (An Important Kill), a cui è riservato l'onere di chiudere l'antologia. L'autore è Robert Colby che ci propone un hardboiled dalla buona l'azione e dall'interessante sviluppo dei personaggi. Un sicario della mala si infiltra all'interno di una camera d'albergo per uccidere la vittima designata. Tutto sembra procedere per il meglio, quando il killer si accorge di avere davanti un soggetto diverso da quello che gli è stato mostrato in fotografia. Deve dunque tagliare la corda e abortire il piano. Il tentativo di darsi alla fuga però viene impedito dal soggetto stesso, che scorge l'intruso e chiede spiegazioni. Ha inizio una trattativa tra aggressore e potenziale vittima, una donna attraente, per scongiurare la morte della medesima. Il sicario, impietosito, offrirà una chance di salvezza alla donna, ma lo farà con la furbizia tipica del professionista che il lettore ha imparato a vedere al cinema. Soluzione finale da film western, con una pistola scaricata dai colpi che suonerà a vuoto e il killer che prenderà la sua definitiva decisione. Non certo originale, tuttavia solido e dall'epilogo crudele.


I cinque racconti di cui sopra sono quelli che, a mio avviso, si segnalano in un lotto comunque assai debole. Non che i restanti siano nettamente peggiori, tuttavia sembrano non possedere argomenti innovativi o sufficientemente curiosi per esser segnalati. Spesso le storie sono prevedibili oppure si chiudono in modo spento, per non dire banale, quando del tutto inverosimile. Sonnellino Traditore (A Turn to the Right) di James Holding, per esempio, gioca tutto sull'improvvisa catalessi di un rapitore in fuga nel corso dell'azione delituttosa (con buona pace dell'adrenalina e dalla tensione del caso). Holding parla del fatto durante lo svolgimento del processo a carico dell'imputato, attraverso l'artificio dell'escussione dei vari testimoni, col tentativo del difensore della difesa di far passare il cliente per incapace di intendere e di volere (perché chi altro potrebbe addormentarsi in un'azione del genere!?) salvo essere sconfessato da un medico che riesce a spiegare l'evento attraverso una curiosa quanto improbabile ricostruzione medica. Il bandito, durante la fuga in auto, girava continuamente la testa a destra per tenere d'occhio la rapita, un atteggiamento che lo avrebbe portato al sonno a seguito della pressione operata dal colletto della camicia sulla vena del collo (!?). Non sono un medico, ma mi sembra una boiata come spiegazione.


Altra storia inverosimile è Una vittoria familiare (A Familiar Victory) di Elijah Ellis. Più drammatico che giallo, è un racconto che vede la polizia risalire all'identità dell'assassino di una donna trovata strangolata all'interno della propria abitazione. I sospetti cadono sul marito, che non fa nulla per essere scagionato, anzi... l'uomo ha volontariamente cancellato le prove dell'omicidio, tentando di inscenare una morte accidentale per coprire una verità a lui più scomoda del rischio di finire condannato per omicidio... L'uomo ha infatti scoperto che la moglie lo tradiva e non vuole che la cosa emerga, preferendo apparire agli occhi della società come assassino piuttosto che cornuto (!?). Pubblicato nel marzo del 1968 sull'Alfred Hitchcock's Mystery Magazine.


Fa peggio Il Fattore Comune (The Common Factor) di Richard Deming dove è in azione il serial killer più idiota della storia della criminologia. Un killer del giovedì sera (resta un mistero la scelta del giorno) sceglie in modo decisamente prevedibile le proprie vittime dall'elenco telefonico, uccidendo ogni settimana una donna il cui cognome inizia con la lettera successiva rispetto alla precedente. La cosa potrebbe non sembrare così strana, se non fosse che il “nostro” killer parte sempre in ordine alfabetico e contatta mediante l'invio di un telegramma di auguri tutte le donne indicate fino a trovare quella che gli dichiara (al momento della consegna del telegramma) di abitare da sola in casa. Acquisita tale informazione, l'assassino irrompe di notte il giovedì sera e strangola la vittima con un filo di ferro. Dopo le prime tre vittime, la polizia avrà gioco facile e troverà il cosiddetto case linkage. Interessante la gestione del ritmo, il taglio poliziesco, ma totalmente rovinato da un plot idiota. Deming è conosciuto per essere un autore di novelization tratte da episodi televisivi (tra cui Starsky e Hutch) e alcuni adattamenti per la serie televisiva Alfred Hitchcock Presenta.


Un altro racconto che lascia basiti (in senso negativo) è Un Tipo Comune (Just Above Averange), modestissimo racconto di William Brittain, apparso per la prima volta su Alfred Hitchcock's Mystery Magazine nel giugno del 1970. Tutto giostra sulla descrizione di un ladro che appare, per motivi di raffronto e dunque opinioni soggettive, in modo diverso agli occhi di coloro che lo scrutano. L'isolamento dalla società e la particolare mole del testimone, portano la vittima del furto a descrivere nel fisico l'autore come persona comune (a suo dire) sebbene abbia un fisico piuttosto voluminoso. Tutto qua, con solite frecciate a danno dell'arroganza dei poliziotti di città che mal valutano gli sceriffi della campagna dando loro dei cialtroni salvo poi fare figure barbine.


Meno insulsi gli altri cinque, ma siamo comunque sotto la sufficienza. Piove sempre sul Bagnato, ovvero The Rich Get Richer di Douglas Farr, peraltro già pubblicato nel 1961 sul periodico Alfred Hitchcock's Mystery Magazine, propone il classico tentativo di omicidio, mascherato da evento fortuito, per incamerare l'eredità di un parente. Farr, per vivacizzare il tutto, prova a introdurre la variabile del crollo della borsa di Wall Street del '29 e di una morte che viene archiviata dagli inquirenti come suicidio. L'omicidio dell'uomo infatti non porta beneficio all'assassino per il contemporaneo crollo della borsa (e dunque del patrimonio milionario della vittima), evento non conosciuto né dalla vittima né dal suo assassino. Ecco che Farr si diverte a riscrivere, attraverso gli eventi, quanto pianificato dagli uomini.


Punta sulla tensione Robert Edmond Alter con Un Assassino nelle Tenebre (A Killer in the Dark), che di giallo o poliziesco non ha niente. Un padre di famiglia cerca di portare soccorso alla figlia e un'amichetta che, ignare, stanno giocando a nascondino in una baracca dove è penetrato un serpente a sonagli. Finale imbarazzante, col protagonista che tira martellate su un serpente a sonagli (anche se mi verrebbe da pensare che fosse una biscia) che gli si attorciglia senza morderlo al braccio. Racconto del terrore per bimbi delle elementari.


Pur se caratterizzato da elementi polizieschi, gioca sulla tensione anche Richard Hardwick con Pochi ma Preziosi Centimetri (To Gain an Inch). Un babysitter aggredisce l'uomo che lo tiene in ostaggio minacciando il bimbo affidato alle sue cure con una pistola. Tutto ha inizio con una rapina andata a finire male, col rapinatore, armato di pistola automatica, che dopo aver sparato sei colpi e ucciso due uomini irrompe nell'abitazione del protagonista per cercare di trattare una via di fuga con la polizia. Il babysitter, credendo che il manigoldo abbia sparato tutti i proiettili a disposizione ed essendo spettatore di un film western, si lancia in un azzardoso corpo a corpo. Tutto qua, senza colpi di scena o contenuti di fondo per quella che è la descrizione di una sequenza trita e ritrita, peraltro con un uomo che tiene in modo incomprensibile la porta della propria casa spalancata (ma chi è che tiene la porta di casa spalancata!?).


Il Tocco del Maestro (The Master's Touch) di Helen Nielsen è ben costruito e gestito, salvo prendere una via finale telefonata che fallisce pur volendo sorprendere il lettore. In ballo c'è la preparazione e la successiva esecuzione di una rapina gestita da un ipnotizzatore convinto di sfruttare la professionalità di uno scassinatore, facendo poi dimenticare allo stesso l'azione criminale, così da tagliarlo fuori dalla distribuzione degli utili. Gli andrà male e sarà giocato in astuzia. Vaghi omaggi a La Finestra sul Cortile.


Suo Fratello Baxter (His Broter Baxter) altro telefonato racconto che omaggia William Wilson di Edgar Allan Poe. Un uomo è intenzionato a uccidere il fratello che reputa responsabile di aver messo in fuga la potenziale moglie. C'è un particolare... non esiste alcun fratello, ma un personaggio alla Tyler Durden di Fight Club. Theodore Mathieson (altre sei partecipazioni nella serie) non inventa pertanto niente, dando la sensazione di aver proposto un riempitivo senza spunti personali.

In conclusione, non siamo certo alle prese con un libro da recuperare a ogni costo. Può regalare qualche ora di svago e nulla più. Un po' deludente la confezione, tra refusi e qualità sotto le aspettative. Sorvolabile.

martedì 15 agosto 2023

Recensione Narrativa: NOTTE HORROR 80 a cura di Christian Sartirana.

Curatore: Christian Sartirana.
Anno: 2023.
Genere:  Antologia AA.VV. Horror.
Editore: Acheron Books.
Pagine: 280.
Prezzo: 16.00 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.

Sorpresa sul mercato editoriale italiano condotta in porto da Christian Sartirana. Scrittore, recensore e curatore di antologie, Sartirana allestisce insieme all'Acheron Books (ennesima realtà nostrana impegnata nell'horror di qualità) una seconda antologia, dopo i buoni risultati ottenuti da Satanica, cercando di intercettare i gusti dei lettori nostalgici.

Il progetto, fin da subito interessante, è quello di omaggiare gli anni ottanta come epoca e sovrastruttura sociale, guardando ai cult horror che popolavano le notti estive di Italia 1, quando tutti gli appassionati aspettavano in gloria la “maratona” Notte Horror.

ANALISI GENERALE

Il risultato finale supera le aspettative, probabilmente degli stessi coinvolti. Favorito da un vero e proprio passaparola, il volume si è installato per mesi in prima posizione dei volumi horror più venduti sulla piattaforma amazon e, in un paio di mesi dalla sua uscita, è finito sold out (siamo in attesa della seconda ristampa). Interessante la composizione del lotto degli scrittori: dodici eletti. Tantissimi i giovani, con addirittura una debuttante (la classe '96 Stefania Toniolo) e quattro partecipanti nati negli anni '90. Ad Andrea Cavaletto (sceneggiatore, tra gli altri, di Dylan Dog) e al Premio Urania Claudio Vastano i gradi di ufficiali chamati a guidare un plotone formato da nomi che, probabilmente, potrebbero portare diversi lettori a prendere sottogamba il prodotto. Farebbero decisamente male, perché questo Notte Horror '80 ha tutto per centrare la finale del Premio Italia quale migliore antologia italiana dell'anno nel campo dell'horror.

Sartirana è stato molto, ma molto, bravo a rendere omogeneo il pacchetto. Certo, ci sono racconti migliori di altri, vuoi per l'originalità (Crescizz, batte tutti) vuoi per la capacità di rievocare in modo più convincente il periodo (in questo sono stati bravi in tanti), tuttavia il livello generale non scade mai (e sottolineo "mai") sotto i livelli di guardia. Ci sono ovviamente racconti che a mio avviso, pur essendo stati scritti bene, non propongono niente di innovativo, ma si limitano a costituire un riempitivo comunque idoneo a intrattenere. Ciò detto, tutti i coinvolti (e non lo dico per ragioni personali), dimostrano di poterci stare e riescono a divertire gli appassionati in nome di quel coinvolgimento che era tipico dei racconti del secolo scorso. Dimenticate l'hardcore Horror, l'Extreme o gli sperimentalismi autoriali che costringono a leggere più e più volte un testo e magari a non capirci nulla o a perdere il filo. Qua si opta per un'impostazione cinematografica. I racconti sono confezionati con piglio “visivo”, traducibili pertanto in film, con stili narrativi veloci che non appesantiscono mai la lettura. Il gore c'è e pure in abbondanza, ma non è mai oltraggioso o contemplativo.

I CONTENUTI

La composizione della rosa di scrittori è frutto delle scelte di Sartirana, che punta su uno zoccolo duro di scrittori, tra cui la mia “vecchia” conoscenza Simone Corà, il finalista Mystfest Decimo Tagliapietra e i già citati Cavaletto, Crescizz e Vastano, rivolgendosi per il resto a tutti gli appassionati della rete attraverso una selezione aperta al pubblico. Una scelta, quest'ultima, vincente in quanto consente di avere tra le mani diverse soluzioni e alternative, oltre che di proporre qualche debuttante che potrebbe farsi valere nel futuro (e qui ce ne sono, siamo pronti a scommettere).

Forte il legame che fa da collante tra i racconti. A parte i rimandi cinematografici, di rado cannibalizzanti essendo utilizzati più per avere degli spunti che per fare dei veri e propri cloni (ci sono anche quelli, in alcuni casi), spicca l'atmosfera degli anni '80. Una visione nostalgica in cui tornano a rivivere sale giochi, le mitiche vhs, le Fiat Panda o le Alfa Sud, i lunapark dove tutti fanno a gara per avere lo zucchero filato, i giocattoli manuali, le pubblicità, le trasmissioni "vietatissime" come Colpo Grosso, la musica di Michael Jackson o Madonna, Topo Gigio, ma anche una serie di elettrodomestici visti con sospetto eppur destinati a scrivere il futuro del consumismo civilizzato (la televisione, il fax, le console per videogicohi e i forni microonde). Non manca poi lo spettro di Chernobyl, delle nubi radioattive che solcano i cieli, il terrore dell'AIDS, la rabbia contro i sovietici e ancora i rimandi ai campionati di calcio dell'epoca con Maradona e Roberto Baggio che impolpano i tabellini mandando in giubilo i tifosi. Insomma, un bel viaggio all'interno di una macchina del tempo che prende per mano coloro che negli anni ottanta hanno vissuto e li illude di cancellare gli oltre trent'anni che sono trascorsi alla stregua di un proiettile sputato da un winchester, così da rievocare per interposta persona i primi appuntamenti amorosi, le idiote prove di maturità, i giochi in cortile, ma anche la paura dei bulli più grandi e i desideri di riscatto sociale immaginandosi di diventare un super-eroe, passando per le preghiere della sera e per la paura che i genitori possano improvvisamente morire, ma anche al desiderio, più o meno, inconscio di non voler crescere per vivere per sempre quelli che, in tutta probabilità, sono i migliori anni della vita di un essere umano: gli anni del gioco, del sogno e della spensieratezza.

ANALISI NEL DETTAGLIO (OCCHIO AGLI SPOILER)

Il gioiello lo sforna sorprendentemente (vista la presenza di almeno tre soggetti dai curriculum superiori) Marco Crescizz col suo All'Inferno, I Paradisi, un racconto degno di candidatura al Premio Italia. Angeli e demoni si alternano in una vicenda che guarda, con originalità, al Clive Barker di Hellraiser e più dettagliatamente a quello di The Scarlett Gospels (2015). In una banale sera degli anni '80, in cui i ragazzini bramano di vedere la loro vhs preferita, alla stregua di un meteorite un angelo precipita dallo spazio (sembra di leggere un omaggio a Howard Fast e al suo Il Generale Abbatte un Angelo). Un globo di fuoco imprecisato taglia il cielo crepuscolare ed esplode, all'interno di un salotto, con gran frastuono e distruzione. È l'inizio di un incubo che ruota attorno a una sfera, lasciata in consegna a un ragazzino, e alla volontà del giovane di distruggerla per vendicare la morte del padre, rimasto vittima delle schegge deflagrate dalla caduta dell'angelo.

Testo estremamente onirico, originale, con la delineazione di un inferno in cui si muovono milioni di paradisi racchiusi in sfere e mostri titanici che contengono, nelle loro fauci e a loro volta, ulteriori mondi (e paradisi). Crescizz sposa l'attitudine barkeriana di lavorare sugli ossimori, con la trasformazione del dolore in piacere e del male in bene, ma lo fa senza rubare niente dal maestro di Liverpool, se non l'ispirazione. Il suo è un racconto, piuttosto, in linea alla filosofia barkeriana ma capace di prendere una piega personale. Crescizz riscrive l'inferno e il paradiso in una modalità lontana dalle visioni stereotipate, tanto che appare arduo scorgerne un precedente (lontano anche da Tanith Lee). Dimenticate le fiamme dantesche o la celestialità dell'immaginario collettivo legata allo stereotipo del paradiso cattolico. Crescizz plasma tanti paradisi e tanti inferni, ognuno dei quali a misura di pianeti extraterrestri, mettendo gli stessi in relazione tra loro in modalità matrioska. L'epilogo è notevole, così come sono altamente qualitativi i dialoghi. Da sottolineare, quale valore aggiunto, i messaggi di formazione che sottendono la storia. La sofferenza è parte della vita e la paura non deve bloccare lo sviluppo e la crescita nella maturazione di un ragazzino. Ecco che la paura diviene il trampolino da cui lanciarsi verso la gioia, superando la rabbia e i conflitti irrisolti. Applausi.


Prova di classe stilistica per il veterano Andrea Cavaletto, firma Bonelli Editore, col suo La Pelle dell'Eroe. Pur giostrando su un soggetto che innovativo non è, Cavaletto caratterizza i personaggi e lavora su un tessuto sociale di un villaggio di campagna da cui si sogna di evadere. Il suo protagonista è il classico sfigato (tale lo era anche il protagonista di Crescizz) bullizzato, con la madre gravemente ammalata che resta il suo unico affetto in una vita da schifo. Incapace di dichiararsi alla ragazza da cui è attratto (e che ovviamente se la cucca un altro), sogna di trasformarsi in un maestro degli effetti speciali, conducendo una vita solitaria. Sviluppo lento, ma mai pesante, funzionale a far fraternizzare il lettore con il protagonista, che scorrazza per il paese con la leggendaria bmx. Un giorno, tra una preghiera e l'altra (anche qua è forte, come con Crescizz, il conflitto tra bene e male nonché tra dio e diavolo), il ragazzino trova una strana tuta abbandonata in un campo. È l'inizio di un sogno che si traduce in un incubo. Sartirana, in prefazione, intravede nella storia i semi germinali de La Mosca di David Cronenberg, in realtà il rimando più prossimo è legato a una serie di film sui super-eroi che vedono nel costume del protagonista la fonte dei poteri e delle dannazioni del personaggio. Un tema spesso utilizzato negli ultimi film hollywoodiani, si pensi a Venom o Spiderman 3, che l'autore riconnette ai fumetti cartacei degli anni ottanta (c'è anche un rimando alla prossima uscita del numero 1 di Dylan Dog). In azione vi è un vero e proprio simbionte alieno, che ha la forma di una tuta attillata che rende inizialmente più prestante e muscoloso chi la indossa, salvo poi pretendere un salato corrispettivo in termini di nutrimento. Non originale, ma interessante la resa. Alto contenuto gore, senza scendere nel compiacimento della violenza. Ottimo.


Un altro esempio di sapiente tecnica narrativa è offerto dall'altro “Maestro” del gruppo: Claudio Vastano. Vincitore del Premio Urania e pubblicato da Mondadori (scusate se è poco), mostra il suo talento con il serrato (e anche questo non originale) Chiamata Notturna. Qui il rinvio va a Blob, ma soprattutto al celebre racconto di Joseph Payne Brennan pubblicato su Weird Tales intitolato Slime (1953), lo trovate nell'antologia Il Custode della Polvere della Dagon Press. Una creatura, frutto di un esperimento militare, sfugge ai suoi creatori, sotto forma di uovo piovuto dal cielo (questo aspetto è poco chiaro), e assimila tutto ciò che di animale trova sul suo cammino, acquisendo sempre più massa (l'epilogo ricorda un po' il mostro di Leviathan, visto che si intravedono i volti delle persone inglobate). Un coraggioso carabiniere indaga sul caso, accompagnato da un oscuro agente governativo (aria di X-Files). Ritmo sostenuto, col piede sempre sull'acceleratore, cadenzato dalle chiamate della centrale operativa e dall'indicazione degli orari (sarebbe stato preferibile usare l'orario 00-24). Si parla anche di cattle mutilations e si respira una vaga atmosfera da The Colour out of Space di H.P. Lovecraft. Non sarà originale, ma intrattiene “a bestia”.


Se dai veterani era lecito attendersi i colpi a maggior effetto, più difficile era sperare in qualcosa di sorprendente dai debuttanti. E invece anche qua veniamo smentiti. Strong-Him e i Maestri del Destino (miglior titolo dell'antologia) della giovanissima Stefania Toniolo (classe '96) è un racconto che ho amato e che mi sarebbe piaciuto avere scritto. Sebbene l'autrice non abbia vissuto negli anni ottanta e appartenga a tutt'altra generazione, l'atmosfera dell'epoca è palpabile e ben ricostruita. Sartirana, in prefazione, riconosce nel soggetto i Gremlins di Joe Dante tuttavia, a mio avviso, il riferimento più forte va alla saga cartoon (e ai relativi giocattoli Mattel) He-Man and The Masters of the Universe, lasciando al film di Dante il mero spunto iniziale (racconto e film condividono il prologo). Un papà è in cerca de La Fortezza del Teschio Nero, un play-set da donare al figlio per Natale. Purtroppo nessuno sembra avere a disposizione il gioco, tanto che il papà decide di orientarsi su uno strano personaggio della serie, mai visto prima in commercio e che il commerciante cinese non vorrebbe cedergli (allo stesso modo del commerciante di Gremlins): Falsor. Ha qui inizio un incubo che mischia Gremlins, Battleground (celebre racconto del 1972 inserito nell'antologia di Stephen King A Volte Ritornano col titolo di Campo di Battaglia), il film Small Soldiers (1998) di Joe Dante e i giocattoli Mattel della serie He-Man, oltre a una serie di cortometraggi underground (saga Toys Killer) girati a inizio secolo da un tale Fabrizio Spurio che la Toniolo non credo proprio conosca. Il piccolo protagonista, infatti, possiede una vera e propria collezione di questi personaggi umanoidi e, per ognuno di loro, la tv spiega caratteristiche, funzioni e poteri speciali. Falsor ha la caratteristica, una volta danneggiato (cosa che capitava spesso con certi giocattoli), di emulare la forma di qualunque personaggio della serie che gli venga accostato e di muoversi autonomamente senza essere manovrato dalle mani di un giocatore. Non so se la Toniolo abbia avuto fratelli fissati con questi giocattoli, come lo sono stato io (ne avevo una borsata e possedevo anche il castello di Eternia, oltre la tana del serpente e il veicolo Land-Shark o la tigre-cavallo Battle-Cat), non a caso possiedo una gatta chiamata Cringer, ma nella serie Mattel vi era davvero un personaggio malvagio che emulava in tutto e per tutto He-Man e che era chiamato Faker (Falsor è un suo sinonimo). Faker nella sua scatola d'acquisto era descritto come “una creazione magica, replica fisica esatta di He-Man destinata a ingannare il popolo di Eternia”. Inutile sottolineare come Strong-Him e Lord Tibia, menzionati nel racconto, siano rispettivamente He-Man e Skeletor, mentre “I Maestri del Destino” sposino alla perfezione “I Maestri dell'Universo”. Da evidenziare infine i litigi familiari che coinvolgono i genitori del piccolo, in una visione alquanto moderna delle violenze in famiglia (la madre abbandona il marito, prendendo subito il figlio per portarlo dalla nonna, dopo esser stata colpita da uno schiaffo) e soprattutto il finale maledetto (sebbene lasciato all'interpretazione dei lettori, un po' come per La Cosa di Carpenter) che anticipa, volgendo il tutto all'horror, il film Barbie che sta imperversando al cinema e che è uscito qualche mese dopo l'antologia (occhio agli squilli del telefono: a Hollywood cercano sceneggiatori per il film sui Masters). Chapeau alla giovane Stefania, addirittura al debutto editoriale. Se il buon giorno si vede dal mattino, si toglierà tante soddisfazioni... un augurio che siamo certi di poter “riscuotere” alla cassa dove si remunerano le scommesse vincenti.


Molto divertente il racconto che ha l'onere di aprire l'antologia: Frequenze di quella vecchia volpe di Simone Corà (compagno di tante macellerie di quasi venti anni fa). Qui l'omaggio, assai originale, va a John Carpenter e al film La Cosa. Ci sono almeno tre sequenze riproposte o adattate, per l'occasione, tra cui l'epilogo ambiguo. A parte questo, cambia tutto il soggetto e soprattutto vengono modificate le ambientazioni. Dagli scenari artici, ci spostiamo in un negozio di elettrodomestici nella regione del Veneto. Una squadra di addette alle pulizie, composta da tre donne, si imbatte in strani fenomeni elettromagnetici. I televisori, le radio e i telefoni ammassati sui palchi sembrano vivere di vita autonoma, ripetendo i medesimi video, le medesime canzoni e le medesime frequenze in un loop che non conosce sosta. Impossibile cambiare canale, impossibile persino spegnere gli strumenti. È l'inizio di una non meglio specificata invasione aliena (così l'ho interpretata io) che corre sulle frequenze elettromagnetiche riproducendo tutto, corpi compresi.

Corà combina La Cosa a Cell di Stephen King e lo fa con grande competenza ed equilibrio, riuscendo anche a intavolare un retrogusto di critica al consumismo imperante che proprio dagli anni ottanta ha preso piede (dipendenza dalle televisioni, impatto manipolativo e truffaldino delle pubblicità, senso di effimera sicurezza riposto nell'essere al passo delle presunte innovazioni tecnologiche). Non manca l'ambiguo finale dove non si capisce più chi sia il vero umano e chi sia il doppio artificioso, così come è martellante l'ironia (da sottolineare l'omaggio a Wanna Marchi) con la canzone Who's that Girl di Madonna che fa da pendant con la comparsa dal nulla di soggetti di cui le protagoniste si chiedono l'identità e la provenienza. Lodevole l'ottima atmosfera vintage ricostruita con i rimandi a oggetti tipici del periodo, quali fax, forni microonde e persino la “mitica” console Sega (presumo Master System) che costa 150.000 lire. Ma quanto è bella e utile la tecnologia... anzi, no... ci abbiamo ripensato, viste le conseguenze!


Altro autore in vena di burle è Massimo Cerrotta, classe '92, che riesce a rendere spassoso un racconto ultra derivativo, esaltato da dialoghi in napoletano assai divertenti. Avete mai pensato di trovare Topo Gigio in versione horror in un racconto? No, immagino... Dovrete ricredervi, ve lo assicuro. Con Topovidio, Cerrotta riporta in vita il celebre pupazzetto della Rai e lo fa, cosa che gli ha portato fortuna (vista la provenienza), nel giorno in cui il Napoli conquistò il suo primo scudetto, con tanto di cori in omaggio a Diego Armando Maradona. Un collezionista, da qui il titolo Collezionisti si Muore (omaggio non so quanto volontario al titolo poliziottesco “Uomini si Nasce, Poliziotti si Muore” di Ruggero Deodato, ricordato dal poster di Cannibal Holocaust presente nel racconto di Crescizz), recupera da uno strano faccendiere un bambolotto da collezione con cui infoltire la sua larga schiera di bambole. Cerrotta sembra, inizialmente, strizzare l'occhiolino ad Annabelle con una stanza in cui gli oggetti della collezione sono raccolti in una mega teca, salvo poi virare dalle parti di Chucky La Bambola Assassina e The Banana Splits Movie (da dove arriva l'idea del bambolotto un tempo utilizzato in tv per divertire i bambini). Risultato centrato, con il topolino che metterà soqquadro la casa del collezionista, prendendosela con il suo acquirente e col gatto, ma soprattutto sfottendo in continuazione chiunque trovi. A parte i dialoghi, nessuna originalità e nessun contenuto di fondo, eppure dannatamente divertente (forse il più divertente dell'antologia).


Il racconto che ricostruisce meglio l'epoca oggetto di esame è probabilmente Carovana Notturna di Germano “Hell” Greco che, occhieggiando a Ragazzi Perduti di Joel Schumacher, delinea un periodo molto più spontaneo e sognante dell'attuale, in cui gli adolescenti si recano al luna-park per pomiciare o divertirsi (oggi chi ci va più, a parte gli infanti?). Lo spettro della nube nucleare di Chernobyl (citata anche da Cavaletto), l'incubo AIDS, i preconcetti e il look punkettone fungono da corredo a un racconto che miscela giallo (scomparsa di una ragazza), azione e orrore. Bello l'epilogo in cui l'evasione verso un futuro di dannazione è preferita a una realtà che minaccia orrori ben più profondi. Tra le sottotracce vi è il tema dell'omosessualità (qui in salsa lesbica) e il clima di sospetto delle “vecchie” generazioni verso quell'onda di perdizione rappresentata da hard-rock, eroina e sesso, insomma il famoso sex, drugs & rock 'n roll, a prescindere poi da un effettivo ricorso (bastano le frequentazioni o il look).

Sulla stessa lunghezza d'onda, ma meno riuscito, si muove Flavio Dionigi con M. Scatola Infernale, un vero e proprio cocktail (non certo d'amore, giusto per fare il verso ai revival del periodo) di omaggi anni '80, partendo da Colpo Grosso e Umberto Smaila, proseguendo per le sale giochi (leggendarie negli anni '80 e oggi scomparse), Michael Jackson e il suo moonwalk e ancora Christine La Macchina Infernale, Carrie e Videodrome. Non manca la sottotraccia della ricerca dell'identità sessuale del protagonista, sopraffatto da un clima di repressione, sia casalinga che esterna, che gli impedisce di riconoscere i suoi orientamenti. Ci penserà la televisione, in un ribaltamento situazionale, a esorcizzare il vero inferno, quello sociale, per ripristinare il paradiso, quello fantastico.


Alti e bassi dalle parti di Masa, che piace moltissimo per alcune soluzioni fumettistiche e meno per altre, a partire dal lessico infarcito di parolacce (problema mio, ci mancherebbe). Il suo Il Senza Volto è un loop diabolico che omaggia Nightmare, sebbene l'autore personalizzi il villain di turno. Costruito su un duplice binario: da una parte l'abusatissima prova di coraggio consistente nel passare una notte all'interno di una casa maledetta, dall'altra un incubo ricorrente che, ogni volta, presenta qualche elemento in più e si chiude con gli artigli del killer che affondano nella carne (sorta di rimando dantesco delle pene inflitte all'inferno che si rinnovano in un moto perenne senza lasciare scampo ai dannati, neppure con la quite della morte). Masa scrive in modo sporco, con largo ricorso alle parolacce, tuttavia riesce a trattare la tematica dell'incubo attraverso una via che va ben al di là dei risultati ottenuti dai capitoli della saga ideata da Wes Craven. Il Freddy di Masa è un killer che si dilettava nello scuoiare ragazzini, a cui i cittadini inferociti hanno distrutto la faccia sparandogli fucilate in pieno volto. Ritornato in vita, perché (come insegnano Halloween e lo stesso Nightmare) il male non muore mai, assorbe nel suo volto le vittime facendole piombare in un vero e proprio buco nero per l'eternità. Un epilogo dunque molto qualitativo, costruito su un soggetto stereotipato, che conferisce valore al racconto. Una caratteristica, quest'ultima, che manca al similare Ego Sum della giovanissima (classe '96) e grandguignolesca Michela Mosca. Ancora una volta abbiamo adolescenti, super arrapati, alle prese con le prove di coraggio che pensano “male” di passare una notte all'interno di una casa infestata dove, puntualmente, si concretizza il pericolo supposto. Più letterario del racconto di Masa (che invece sposa il registro cinematografico), Ego Sum guarda a Lovecraft, con omaggi a The Rats in the Wall o Pickman's Model, ma anche al “moderno” The Nun (2018) con tanto di suora indemoniata che rimanda al Valek pronto, tra qualche mese, a tornare al cinema. Niente di originale, ma narrato con un certo piglio e un buon gusto per la tensione. Il talento della scrittrice c'è, questo è indubbio.


Piuttosto convenzionali e in parte simili sono gli altri due racconti che ci restano da analizzare, peraltro tra i meno calati nell'atmosfera anni '80. Argento Cabesano è un classico racconto sui licantropi che ha la particolarità di avere un'ambientazione veneta. Un lavoratore, a bordo di un autocarro Fiat, si sperde in un sentiero boscoso dove rimane coinvolto in un sinistro. Qualcosa, forse un animale, ha d'improvviso attraversato la strada impedendogli di evitare l'incidente. Uscito fuori dall'auto, il giovane si accorge di aver messo sotto un ragazzo completamente nudo. Disperato e intenzionato a darsi alla fuga per sottrarsi da ogni responsabilità, non sa ancora in che pasticcio ben più grande si sia cacciato. Il paese infatti sembra esser popolato da due categorie di abitanti: gli umani da una parte e dall'altra... i licantropi. Un classico che, oltre a omaggiare L'Ululato di Joe Dante, richiama un intero genere, facendo propri tutti (o quasi) gli stereotipi del caso (mancano le pallottole d'argento). Lo firma il bravo Decimo Tagliapietra che sembra, tra gli altri, fare il verso a Lisa Morton e al racconto Messo alla Prova (lo trovate nell'antologia I Figli del Buio della Independent Legions).

Nebbia in Val Padana di Paolo Prevedoni (il titolo fa venire in mente Cochi & Renato), a parte la mitica Alfa Sud su cui si muove il protagonista, sembra un racconto revival degli anni '40. La storia propone un vero e proprio loop che torna a ripetersi ogni anno in una sperduta località della Val Padana, dove partigiani e nazisti tornano a incrociare le armi. Il racconto ha in comune con Argento Cabesano l'idea dei villeggianti che si trincerano in un'osteria, attendendo un nemico esterno. Se Tagliapietra ricorre ai licantropi, Prevedoni chiama all'appello gli zombi, con un occhio, più che a Fog di Carpenter (presenza della nebbia che avvolge l'orda infernale), alla saga zombi di Amando de Ossorio e soprattutto a Shock Waves – L'Occhio nel Triangolo (1977) di Ken Wiederhorn, sfumando il tutto nella sostanza dei fantasmi. Più azione grandguignol che horror, con l'apice costituito dalla comparsa di Mussolini (LVI). Non mi è piaciuta l'insistenza stilistica dell'autore nel suo narrare con soluzioni che rimandano più alla stesura di una sceneggiatura piuttosto che di un racconto. Prevedoni scrive spesso frasi come: "Tizio si volse e vide questo:" dando poi seguito alla descrizione.


CONCLUSIONI

Notte Horror 80 è un vero e proprio dono, peraltro in vendita a prezzo economico (16 euro), agli appassionati del cinema horror degli anni ottanta. Ottimo il lavoro di Sartirana nella selezione. I racconti, qualcuno con qualche concessione, sono tutti promossi, con almeno la metà di ottima qualità. Vale sicuramente l'acquisto e piacerà agli appassionati di quell'horror alla Stephen King prima maniera (quello di A Volte Ritornano). Successo commerciale e popolare (piuttosto che "intellettualoide" o sperimentale). Si farà valere al Premio Italia prossimo venturo, ne siamo certi, così come siamo pronti a scommettere sull'uscita di un secondo volume: il materiale non manca...

 
Il curatore Christian Sartirana.
  
Lascia perdere Dio, la sua visione ti farebbe impazzire, ti friggerebbe il cervello, non riusciresti nemmeno a processarla.” (da All'Inferno, I Paradisi di Marco Crescizz).

Recensione cinema: BARBIE (2023) di Greta Gerwig.

Regia: Greta Gerwig.
Anno: 2023.
Genere: Grottesco / Commedia.
Attori Principali: Margot Robbie, Ryan Gosling, America Ferrera, Michael Cera, Ariana Greenblatt, Will Ferrell.
Fotografia: Rodrigo Prieto.
Musiche: Mark Ronson e Andrew Wyatt. 
Durata: 114 minuti.

Commento a cura di Matteo Mancini.
Bisogna ammettere che ideare, scrivere e realizzare un film su Barbie era qualcosa di pressoché impensabile, salvo scivolare in quei prodotti trash che “insozzano” le sale cinematografiche prima e le mensole delle rivendite dvd/blue ray poi. Ne sa qualcosa la Mattel, che qua partecipa in veste di finanziatrice, quando negli anni ottanta tentò di realizzare il film sul corrispettivo maschile di Barbie ovvero He-Man. Masters of the Universe, con l'allora emergente biondone Dolph Lundgren (Ivan Drago di Rocky IV). Fu un fiasco clamoroso, sia sul versante economico che su quello cinematografico in senso stretto, sebbene il soggetto fosse senza dubbio dotato di possibilità di realizzazione cinematografica, vuoi per essere un prodotto derivativo di un cartoon (e quindi con un plot già delineato), vuoi per le similitudini – sebbene votate al fantasy più sfrenato – con un film di successo come Conan Il Barbaro. Un precedente disastroso che non ha spaventato le due fautrici del “miracolo” Barbie: la regista Greta Gerwig e la produttrice nonché protagonista Margot Robbie. Le due, entrambe titolate e già lanciate nell'olimpo hollywoodiano (cinque candidature agli oscar in due; la prima per migliore regia e migliori sceneggiature, la seconda come migliore attrice protagonista e non protagonista), riescono nell'impresa e sfornano probabilmente il film evento dell'anno. Barbie è una commedia costruita su una massiccia quantità di ironia che riesce nel pazzesco compito di distruggere il messaggio di perfezione e di bellezza delle forme (anteposte alla sostanza nell'immaginario Mattel) proprie del giocattolo di Barbie per rimodulare il tutto in nome di un qualcosa di diverso che resta comunque Barbie ma la evolve sul piano intellettuale. Un'operazione concettualmente assurda che eleva il marchio e la bambola per eccellenza, muovendo dalla distruzione della stessa verso una costruzione di altro che mantiene la medesima immagine esteriore. Un concetto questo sottolineato più volte nel film, quando ogni variazione - sulla carta catastrofica - che avviene a Barbieland si tramuta in un successo economico nella vita reale in fatto di vendite. La Gerwig fa propria la sceneggiatura e sembra quasi offrire un saggio di bravura sul come trasformare un materiale trash in un film con velleità da oscar (avrà contro avversari agguerriti, a partire da Christopher Nolan, ma strapperà diverse candidature). La pellicola prende l'abbrivio con un pomposo prologo che rimanda a 2001 Odissea nello Spazio (la sequenza con l'evoluzione degli oranghi che acquisiscono le basi evolutive per tramutarsi in uomini) e con un'esaltazione di quella che io chiamo “carrozzeria femminile” anteposta alla sostanza. Da qui, a poco a poco, si delinea il film in una stretta correlazione tra il mondo reale e il mondo fantastico, che rimanda al concetto divino di creazione nel rapporto tra Uomo (qua donna) e Dio (qua ancora una volta donna, ovvero la tipa anziana). Le modifiche apportate alla bambola dagli ideatori della stessa nella sede di Los Angeles portano a modifiche effettive sul corpo e sulla mente di Barbie (la splendida Margot Robbie), così come le evoluzioni di Barbieland (dovute all'esperienza maturata nella vita reale dall'imbranato Ken, interpretato da un divertito Ryan Gosling, sempre pronto a mettere in evidenza i muscoli intesi quale sinonimo di idiozia) si riflettono sui giocattoli del mondo reale. Barbie scoprirà, nella sua relazione col mondo reale, in cui si trasferisce per eliminare i difetti che si è ritrovata a riscontrare (e che poi imparerà ad apprezzare), l'importanza di altri valori (superiori, come dimostra la scelta finale di calzare i sandali anziché le scarpe con tacco a spillo) che vanno oltre i meri canoni estetici fino a desiderare, da novello Pinocchio in versione femminile, di tramutarsi in umana sebbene abbia scorto la sofferenza e il male che fanno parte della vita di tutti i giorni (che però è reale e non un qualcosa di fittizio). Le pervengono idee di morte, il terrore della vecchiaia e il deterioramento del corpo e della psiche, tutti sintomi di una maturità che non è propria dei soggetti che, da perfetti Lucignoli, vivono nel paese dei balocchi (qua a tutti gli effetti) senza porsi domande sul domani (e sull'aldilà) che viene solo visto come una festa continua in cui ballare e fare gli idioti (modello Grande Fratello). La Gerwig sembra scatenata dietro alla macchina da presa, offrendo la sensazione che si sia divertita non poco nell'ideazione e nella trasformazione filmica del progetto. Plasma un fantasy che oscilla tra musical e commedia, con un'ironia di fondo decisamente graffiante e ultra marcata. Lode alla Mattel che non si prende sul serio e si auto-dileggia, con una serie di amministratori che sono dei veri e propri idioti tutti sopra le righe. I personaggi del film, infatti, sono grotteschi nei modi di fare e hanno reazioni fanciullesche che simulano i giochi dei bimbi (non a caso fluttuano in aria e simulano di fare la doccia o di mangiare). Attraverso l'ironia, la Gerwig evidenzia i difetti tipici delle donne e dei maschi, con l'inevitabile cliché di “lui ama lei, ma lei non se lo fila, però gli scodinzola mandandolo in brodo di giuggiole e facendogli mostrare i muscoli e rendersi disponibile”. Geniale la sequenza in cui le donne riprendono il possesso del mondo mettendo gli uomini uno contro l'altro semplicemente facendoli ingelosire, così da portarli a scagliarsi contro quello che vedono come il potenziale contendente, senza accorgersi di essere tutti pedine manovrate dalla bellezza femminile che persegue suoi fini. 
 
I due protagonisti: Ryan Gosling (Ken) e
Margot Robbie (Barbie).
 

Si noti come tra gli elementi centrali per il risveglio delle barbie vi sia la barbie punk, chiaro rimando alla Harley Quinn di Suicide Squad interpretata da Margot Robbie che, avendo interpretato anche Tonya, si conferma un'attrice con una certa simpatia per la ribellione e i personaggi che rompono gli schemi. Da notare anche la citazione a Fight Club, quando viene detto alle Barbie che non sono quello che gli altri intenderebbero che esse fossero (un'idea), ma dei soggetti capaci di autodeterminarsi così da superare l'impostazione del loro creatore e ascendere al rango di umano a tutti gli effetti (altro messaggio ascetico). Centrale il discorso, fatto da un'ispirata America Ferrera, finalizzato a cancellare la manipolazione di fondo che programma la mente delle donne (pensate agli attuali influencer o alla moda in generale e quanto essa, come farà Ken nel film, riesca a plasmare il volere delle persone) al fine di stimolare l'autocoscienza, il ruolo a cui potrebbero ambire e la vera evoluzione che potrebbe derivarne con il realtivo superamento di generi, classi sociali e sessismo.

Costumi e scenografie volutamente patinate e sgargianti, con dominanza del fucsia. La Gerwig, con i suoi scenografi, rende bene l'idea delle scenografie fittizie. Barbieland è un grande gioco in cui si muovono giocattoli e dove tutto è finto, mera riproduzione di una realtà che non ha gli elementi per poterla mutuare in modo perfetto (si vedano le onde del mare di plastica). Una finzione di vita che intenderebbe emulare la realtà, ma che tale non è, restando solo un'illusione di vita e dunque un qualcosa di inferiore seppure all'insegna del divertimento e della falsa gioia. Le bambole (verrebbe da dire l'uomo) esistono solo perché il suo creatore e i destinatari dell'invenzione (i bambini dell'ideatore) continuano a giocare con loro, altrimenti verrebbero cancellate. Si tratta dunque di un esistere per concessione altrui, vale a dire una condizione di dipendenza che rispecchia una mancanza di maturità. Un concetto quest'ultimo che ribalta l'impostazione propria di certi romanzi fantastici (penso al Malpertuis di Jean Ray) dove si dice che gli dei e lo stesso Dio esistono solo perché gli uomini continuano a rivolgersi a loro attraverso la preghiera, altrimenti anche gli dei finirebbero per essere cancellati. Qua avviene l'opposto. A mio modo di vedere, un film ottimo, probabilmente sottovalutato da molti che (un po' come avviene a Barbie) si soffermano sulla forma e sui tanti omaggi legati ai vari modelli dei giocattoli effettivamente realizzati negli anni ottanta (che io, per ovvie ragioni, non sono in grado di cogliere), molti dei quali mostrati nei titoli di cosa. Barbie è dunque un film sopra le aspettative. Appuntamento alla notte degli oscar... e sempre e solo W I CAVALLI, meglio se rappresentati dal colore fucsia in Italia sinonimo di ostacoli.

La Barbie stramba vi aspetta con il Joker.

"Il fucsia non è solo un colore, è un atteggiamento."