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lunedì 22 novembre 2021

Recensione Narrativa: RITUALIS - Le Cerimonie del Mostro di Firenze di Daniele Vacchino & Davide Rosso.

Autore: Daniele Vacchino & Davide Ross.
Anno: 2017.
Genere:  Giallo / Erotico.
Editore: Edizioni Il Foglio .
Pagine: 192.
Prezzo: 15,00 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.

Operazione coraggiosa e sotterranea gestita da due autori, conosciuti soprattutto dai lettori del sito La Zona Morta, impegnati nell'affrontare il caso “Mostro di Firenze” da un'ottica sperimentale che rimanda, in chiave artistica, a quelle procedure di debunking e cover up tanto care alla CIA. Il duo Vacchino-Rosso procede infatti a smontare il caso di cronaca nera in ogni sua singola sfaccettatura per ricostruirlo in modo frammentario e mescolato in tre storie unite da un leitmotiv centrale che permette di scorgere i singoli elementi in un puzzle difficile da ridurre in una soluzione certa.


LA STORIA DEL MOSTRO AL CINEMA E IN LETTERATURA

Scrivere sul Mostro in un volume di narrativa, anche se sono passati molti anni, resta un'operazione che denota grande coraggio, poiché le critiche e gli attacchi beceri sono dietro al primo angolo della strada (basta verificare la valutazione che il volume ha ricevuto su amazon nel primo commento ricevuto). Del resto, le operazioni iniziali condotte in tal senso, prima ancora che avessero luogo i celeberrimi processi ai compagni di merende, suscitarono non poche polemiche e furono intralciate in ogni modo. Si ricordano infatti le minacce (in buona parte giustificabili dato il malessere e il clima di terrore che serpeggiava all'epoca) dei cittadini locali quando Cesare Ferrario, accusato di sciacallaggio, dette il via, nel 1985, alle riprese de Il Mostro di Firenze (1986). Un film quest'ultimo interpretato dall'italo-americano Leonard Mann (all'anagrafe Leonardo Manzella), conosciuto per gli spaghetti western e i poliziotteschi, in cui si immaginava, in ossequio al profilo stilato all'epoca da un equipe dell'FBI giunta a Firenze per supportare le autorità locali, l'azione di un killer sessualmente impotente. Ferrario, nella sua storia, riconduce il grave handicap dell'assassino agli atteggiamenti di un padre guardone che costringeva il figlio ad assistere agli accoppiamenti della madre con degli sconosciuti. L'idea di base era buona, ma Ferrario si ritrovò presto soffocato dalle continue richieste di tagli avanzate dai parenti delle vittime. Bloccata due mesi dalla censura, la pellicola, tratta dal libro di Mario Spezi, venne notevolmente penalizzata con un taglio di trenta minuti sulla versione definitiva.

Similare sorte toccò a Camillo Teti. Figlio del produttore Federico Teti ovvero l'amministratore della società di produzione di Sergio Leone, si pose alla regia del film L'Assassino è Ancora tra Noi (1985) supportato alla sceneggiatura da Giuliano Carnimeo (il regista di quattro dei cinque Sartana ufficiali) e dall'asso del thriller e del western Ernesto Gastaldi. La pellicola, girata a Roma, riuscì a svincolarsi dalle maglie della censura in tempi solerti tanto da anticipare nei cinema la “rivale” diretta da Ferrario. La lamentele da Firenze però non tardarono a farsi sentire, nonostante il tentativo di ibridazione tra realtà e finzione operato dagli autori. Protagonista del film è una criminologa, Mariangela D'Abbraccio (sorella della più famosa Milly), che cerca di far luce sulla catena di omicidi trovandosi però invischiata in un giro di guardoni.

Nel 1991, a termine di una lunga odissea, fu il turno di Paolo Frajoli in una versione dalla parte delle coppiette, col suo 28° Minuto interpretato da Corinne Cléry. Anche Frajoli, in origine incaricato del solo compito di scrivere la sceneggiatura, dovette subire l'ira dei parenti delle vittime. Nel 1986 avvocati e continue diffide riuscirono a bloccare la lavorazione a riprese già iniziate. Un danno incommensurabile per la casa di produzione, col regista Gianni Siragusa non più intenzionato a portare avanti il progetto. Passato nelle mani di Frajoli, dopo continue modifiche al titolo, da Tramonti Fiorentini e Quel Violento Desiderio, il film riuscì ad approdare nelle sale cinque anni dopo l'inizio della lavorazione.

Nonostante le polemiche e i livelli non eccelsi, già da questi film emergono elementi che risulteranno centrali in ambito giudiziario. I processi, infatti, iniziano nel 1994 con l'accusa mossa ai danni di Pietro Pacciani innescata da strani ritrovamenti durante una perquisizione domiciliare, come un proiettile, calibro 22, serie H (lo stesso di quelli usati dal Mostro) murato in un colonnino nell'orto dell'imputato. Le udienze diventano un evento massmediatico, in onda nelle tv e di una potenza tale da scomodare celebrità della letteratura thriller che giungono in aula per prendere appunti. Il clima farsesco orchestrato da accusati e testimoni è tale da rendere inverosimile tutta la vicenda e soprattutto i suoi personaggi, all'apparenza bamboccioni e paciocconi. A Firenze arriva anche Thomas Harris, reduce dal clamoroso successo letterario e cinematografico ottenuto con The Silence of the Lambs (“Il Silenzio degli Innocenti”, 1989). Nel romanzo, divenuto famoso per la caratterizzazione di un medico cannibale (nella fattispecie psichiatra) con la passione per Firenze al punto da realizzare una serie di quadri dedicati alla città con precisione mnemonica, viene proposta un'indagine condotta in una modalità fatta di indovinelli e di piste che rimandano a una sorta di debunking/cover up che stuzzica la recluta dell'FBI Clarice Starling. Da arrestare c'è uno scuoiatore di donne in opera in America che ha catturato la figlia di una nota politica. 

Harris, evidentemente rapito dal caso del Mostro, sfrutta quanto appreso nell'esperienza fiorentina per scrivere Hannibal (1999). Il romanzo parla del killer americano che emigra a Firenze dove, sotto mentite spoglie, scopre e viene scoperto dal Mostro (operaio comunale o parificabile), mentre il poliziotto che conduce le indagini a suo danno (Pazzi) finisce penzoloni da una finestra con le budella fuori. Il romanzo ha un grande successo. L'italiana Filmauro di De Laurentis produce la trasposizione cinematografica. Affidato a Ridley Scott, reduce da Il Gladiatore, il film esce nelle sale nel 2001 ma senza le parti relative al caso de Il Mostro indicate nel romanzo. Le scene vengono tuttavia girate salvo essere tagliate dal montaggio definitivo (ufficialmente) per ragioni di ritmo. Quanto girato viene comunque ripescato per i contenuti extra della versione DVD. In una di queste scene, tra le varie, si vede il Mostro fare l'inchino al Maestro Hannibal che gli contraccambia il saluto.

Anche Douglas Preston, co-autore del romanzo Relic (trasposto a Hollywood), si interessa al caso e stende un romanzo/inchiesta intitolato Dolci Colline di Sangue. L'incertezza sull'effettiva risoluzione del caso, terminato con la condanna di un trio di guardoni e il presunto coinvolgimento di un non meglio precisato livello superiore, porta al proliferare delle piste. Preston torna a sposare la prima pista, ricollegandosi alla cosiddetta pista sarda da cui tutto aveva preso le mosse. Centrale è l'origine dell'arma usata dal killer, una Beretta calibro 22 (che non sarà mai ritrovata), utilizzata in un duplice omicidio del 1968 perpetrato per ragioni sentimentali. A supportare Preston c'è quel Mario Spezi preso di riferimento nel 1985 dal regista de Il Mostro di Firenze.

Non è però finita. Dopo un'infinità di saggi firmati dai più eminenti maestri della criminologia, esce un ottimo serial televisivo sul mostro trasmesso sul finire del 2009 e diretto da Antonello Grimaldi col titolo Il Mostro di Firenze. Gli anni trascorsi e il continuo susseguirsi delle piste, tra esoterismo e voyeuristi, allentano la resistenza di chi quegli anni li ha vissuti e, magari, ha patito un lutto in famiglia. Scompare anche l'indomita figura di uno dei padri di una ragazza assassinata che, non convinto dalle ricostruzioni, avvia una serie di indagini per conto proprio prima di trovare la morte per infarto. A poco a poco, parlare del mostro non è più argomento tabù, sebbene il caso sia tutt'altro che sepolto. Si vocifera di svariati livelli, trasformando quello che doveva essere lo scempio di un pazzo lust murderer in un qualcosa di così esteso da avere alle spalle più mandanti e più esecutori. Il caos arriva persino a interessare un caso insoluto che ha insanguinato le strade di San Francisco tra la fine degli anni sessanta e la metà dei settanta. È il caso Zodiac, base di ispirazione del celebre poliziesco Ispettore Callaghan: Il Caso Scorpio è Tuo! (1971) diretto da Don Siegel e interpretato da Clint Eastwood. Nelle lettere cifrate inviate alla polizia dall'inafferrabile assassino, inizialmente anch'esso interessato alle coppiette, viene fatto riferimento costante all'acqua, con l'espressa indicazione che nel testo, assai criptico, è rivelato il nome dell'assassino. È ancora il debunking e il cover up a tenere banco. David Fincher nel 2007 dirige un ottimo film dedicato al caso, ma la notizia shock deve ancora arrivare, quando nel 2018 salta fuori che un tale Bevilacqua, sentito a suo tempo nel processo Pacciani quale persona informata sui fatti, ha confessato di esser sia lo Zodiac che il Mostro di Firenze. La cosa, in apparenza folle, viene presa sul serio, perché l'uomo, un italo-americano, si trovava davvero nei posti delle due catene delittuose in corrispondenza degli assassinii. Alla fine si rivelerà una bufala all'interno di una vicenda assai sfuggevole. Un rompicapo per indagatori, poliziotti, giudici, procuratori e giornalisti tale da fungere da ideale campo in cui far proliferare tesi di ogni tipo, persino collegamenti all'insoluto caso di Jack lo Squartatore, l'assassino di prostituite più famoso dell'epoca vittoriana. A legare i due casi, oltre alle asportazioni a danno delle ragazze, la famosa lettera, contenente un lembo della pelle di una vittima, inviata nel 1985 dal Mostro al Procuratore incaricato di inchiodarlo e imbucata nel comune di residenza in cui il magistrato aveva una casetta estiva.

Un'indagine dunque in cui i rimescolamenti delle carte saranno all'ordine del giorno, tra sostituzioni di cadaveri, livelli multipli di indagini, esumazioni di cadaveri, massoneria, soggetti condannati e poi assolti, morti catalogate come naturali e dopo risultate essere assassinii, piste sataniche, profili sballati, strani movimenti finanziari e soprattutto un insieme di assassinii a margine della vicenda renderanno particolarmente oscura la storia del Mostro. Un caos tale che porterà più di un indagatore e scrittore a pensare che l'assassino, coperto da un muro di omertà e da un livello così forte da poter scuotere dalle fondamenta l'intero Stato italiano, l'abbia fatta davvero franca e, se non morto, sia ancora tra noi.

 

L'ANALISI DEL TESTO

Introdotto da un esilarante prefazione di Davide Longoni (il titolare del sito La Zona Morta), Ritualis è un dittico thriller dalla forte presa cinematografica firmato, per Il Foglio Letterario di Piombino (plauso a Gordiano Lupi per averlo pubblicato), da Daniele Vacchino e Davide Rosso. I due scrivono un racconto ciascuno, cucendo le due storie all'apparenza scollegate attraverso una terza che funge da collante e che vede per protagonista, dodici anni dopo il compimento del suo ultimo assassinio, il mostro di Firenze braccato da un copycat. Resta oscuro a questo recensore il riferimento a tale indicazione temporale (ma anche l'idea, interpretabile solo a livello metaforico, di un mostro finito in cura psichiatrica e poi docente presso la scuola è poco chiara), quasi a suggerire che siano stati perpetrati altri assassinii rimasti insoluti e non collegati al caso (perché magari commessi altrove o con altre modalità, un po' come avvenuto per la pista Zodiac). La storia, lo capiamo dal secondo racconto, è infatti ambientata nel 2017 e non nel 1997.I due autori vercellesi danno quasi l'impressione di muoversi sui fili di un'ipotetica e alternativa realtà rispetto alla nostra, se vogliamo, ma nonostante questo portano a termine il loro lavoro dannatamente bene. Purtroppo il successo del volume, ho impressione, non va di pari passo al valore delle storie. Poco reclamizzato, bistrattato da lettori frettolosi che non ne hanno colto il senso, Ritualis – Le Cerimonie del Mostro di Firenze paga un titolo e una sobria copertina, probabilmente, non funzionali a selezionare il giusto pubblico. È fuori strada chi potrebbe pensare di trovare una storia classica sul Mostro ed è anche fuori chi potrebbe pensare di approcciarsi a un romanzo patinato ed edulcorato.

Vacchino e Rosso, entrambi notevoli nella gestione delle storie, nelle caratterizzazioni dei personaggi e nella narrazione, propongono due elaborati che abbracciano due realtà editoriali ben diverse ma entrambe popolari. Daniele Vacchino offre un contributo perverso, estremamente erotico e spinto, con una tensione crescente e uno spirito gotico di fondo che rimanda alla narrativa delle ormai defunte Edizioni Periodiche Romane e a quelle che sono state alla base della serie KKK. L'intreccio thriller sta a margine di una torbida vicenda di rapporti sessuali promiscui, assai ben gestita e molto in linea con gli elementi legati al caso del mostro. Dapprima latente e lontana, la vicenda dello squartatore che funesta la campagna fiorentina e di cui compaiono i titoli e le foto sui giornali, finisce per fagocitare tutti i protagonisti in un'esaltazione di sesso e sangue prossima a quell'hardcore horror all'Edward Lee. Vacchino arriva a un epilogo in cui la polizia chiude il caso, nonostante successive morti di dottori (psichiatra) trovati cadaveri in auto incendiate (come successo per altri soggetti nel caso del mostro) e la comparsa di una sorta di Gran Maestro giunto a chiudere il conto con quanti abbiano intrecciato le sorti col Mostro (questa è una bella traccia occulta lasciata dall'autore per dare una sua idea effettiva sul caso). Da segnalare anche l'idea del poliziotto che, da travestito (come si faceva all'epoca tra agenti della polizia che simulavano di essere coppiette appartate), si muove in incognito attorno ai sospettati.

Nel testo, oltre a rimandi a film come Ultimo Treno della Notte (1975) di Aldo Lado e a scene che sembrano esser ritagliate da film girati da Joe D'Amato o Jess Franco, ci sono evidenti omaggi a I Racconti di Dracula. In particolare c'è una scena sadomaso tra zia e nipote con quest'ultimo frustato a sangue dalla donna, avvolta in un mantello foderato di rosso. La donna, spiata da un'ospite del castello, guarda la giovane leccando il sangue dalle ferite del nipote, con l'altra che invece di scappare o inorridirsi si eccita e si contiene dall'intervenire nell'intrico. Un momento che rimanda all'horror Il Boia Scarlatto (1965) di Pupillo, ma soprattutto ai romanzi Il Castello delle Rose Nere e La Donna che Venne dal Gelo di Frank Graegorius (pseudonimo dello psichiatra dell'incubo Libero Samale). Non mancano poi visite a musei in cui sono custoditi reperti neolitici, chiese decadenti presso le quali sono stati commessi i crimini, per non parlare del movente di un assassino, tutt'altro che impotente (l'autore sembra voler sottolineare gli errori valutativi dei profiler e degli psicologi), facente parte di un'organizzazione segreta dedita all'alchimia.

Se il racconto di Vacchino guarda alla narrativa pulp italian, è classico ed elegante il racconto di Davide Rosso, grande conoscitore de I Racconti di Dracula come dimostrano i calibrati speciali pubblicati su La Zona Morta. Se non avessi saputo chi dei due autori avesse scritto i racconti, avrei sicuramente associato Rosso al precedente elaborato e invece niente è scontato in Ritualis e tutto si mescola (occhio a non confondere questo Rosso con l'altro Davide Rosso, anch'esso scrittore di romanzi thriller e horror). Rosso, meno lezioso e più essenziale di Vacchino, delinea un giallo di indagine che non avrebbe sfigurato (anzi) sulle pagine de Il Giallo Mondadori. La vicenda si sposta dalla campagna fiorentina a Vercelli e ruota attorno a una serie di morti sospette catalogate dalla polizia come suicidi. Le vittime, tutte ragazze facenti parte dell'Università del Piemonte Orientale, sono state trovate affogate all'interno di canali della zona, ma senza tracce di violenza. Il padre di una di queste vittime, un ex poliziotto dell'UCIGOS, e il fidanzato di un altra di esse tornano a indagare sul passato, tra professori universitari, contadine e contadini che sembrano essere esecutori di omicidi commissionati da altri e strani corrieri di droga. È il più vecchio, sofferente al cuore, a non accettare quanto le autorità hanno statuito, un po' come fatto dal padre di una delle vittime del Mostro. I fatti sembrano dargli ragione, poiché un'altra ragazza scompare nel nulla e i due si fiondano in direzione di colui che pensano possa essere il responsabile. A fungere da movente sembrerebbe una strana leggenda popolare legata a una Madonna nera, ma i limiti tra superstizione e realtà sono labilissimi. Memorabile l'epilogo all'interno di una Chiesa sconsacrata e parzialmente inondata dalle acque paludose, col detective improvvisato e un po' argentiano che vi penetra dentro a bordo di una barchetta. Una conclusione in cui Rosso rievoca atmosfere alla Lovecraft.

I due racconti sono anticipati, intervallati e infine preceduti da una terza storia, quella del "vero" mostro di Firenze, ormai divenuto Maestro di scuola, e braccato da un emulatore che gli lascia nella casella postale le foto dei nuovi delitti e i manoscritti di storie di fantasia in cui sono disintegrati e sparpagliati tutti gli elementi del caso che lo riguarda, quasi a voler giocare al gatto col topo. I due autori però non vogliono mai essere univoci, poiché neppure il caso del Mostro lo è, e si divertono a offrire squarci che deve essere il lettore a modulare secondo la propria convinzione. Non a caso, alla fine, si legge: "ho trovato la fine di questa storia, la soluzione dell'enigma. Non vi piacerà, semplicemente perché è impossibile."

Al di là del valore dei singoli racconti, che è già di suo elevato, quello che rende Ritualis un'eccellente prova (e chi mi conosce sa bene che non regalo complimenti) è lo spirito sperimentale che ne sta alla base. Vacchino e Rossi destrutturano il caso, sparpagliando gli elementi che lo caratterizzano e lasciando intendere, in chiave metaforica, una loro visione in cui la componente politica recita un ruolo fondamentale.

Sono bravi a regalare passaggi di valenza socio-politica scritti con una disinvoltura da distopico, dove emerge il potere manipolatorio delle televisioni, l'annichilimento della vecchia politica retta dall'ideologia e ora sostituita dal totem dell'economia, ma anche una lotta volta a livellare i cittadini in entità non pensanti e facilmente gestibili. Sembra dunque passare, all'interno di due storie di intrattenimento, un messaggio autoriale che ci dice che il Mostro, inteso in senso generico, è figlio di una società sempre più apatica e zombificata dal consumismo. Dietro a tutto c'è un livello occulto e la nemesi che lotta per ribellarsi allo stesso. Vacchino accenna a questo poi vira su un piano esoterico/fantastico, ma i rimandi alla politica saltano fuori anche nel racconto di Rosso, un giallo che, nel suo procedere al vedo-non vedo tanto da chiudere il tutto con una soluzione che non è la soluzione, condanna certi modi sommari di alcune frange della polizia. Il lettore infatti percepisce un qualcosa che rende la certezza un traguardo impossibile da cogliere, anche perché per un colpevole acciuffato ne spuntano fuori altri tre e tutti in relazione tra loro. Non manca poi anche qua il riferiemento a una setta che si riunisce in casolari abbandonati per tenere sedute spiritiche (come faceva il giro di Pacciani presso il mago Indovino). 

Questi motivi di interesse fanno di Ritualis un'autentica perla, tra le migliori, nel brillante scacchiere della sezione “fantastico & altri orrori” de Il Foglio Letterario che, in questi anni, ha fornito notevoli antologie e romanzi quali L'Incrinarsi di una Persistenza e Cambio di Stagione di Maurizio Cometto, Five Fingers del bonelliano Luca Barbieri, La Signora della Maschera d'Oro del compianto Giovanni Buzi, Una Terribile Eredità e Orrori Tropicali di Gordiano Lupi (la prima in realtà edita da Perdisa, anche se acquistabile anche presso Il Foglio), l'antologia collettiva curata dal sottoscritto Matteo Mancini I Bastardi senza Storia, Il Divoratore di Lorenza Ghinelli poi divenuto, nella seconda ristampa, un best seller della Newton & Compton e molti altri ancora (titoli recensiti dal sottoscritto qui sul blog o sul sito di scheletri). Dunque un bel banco di comparazione da cui Ritualis esce fortissimo al punto da essere un libro di cui consiglio vivamente l'acquisto per gli amanti del thriller/pulp erede della scuola romana degli anni sessanta e dei Gialli Mondadori. Chiudo con un grande incoraggiamento a proseguire al duo di autori e con la bellissima frase a loro dedicata, in prefazione, da Davide Longoni: "due scrittori irregolari ma bravi, appassionati di tutto e di niente, gente tagliata fuori dal grande circuito ma che taglierebbe fuori volentieri il grande circuito e che conserva una genuina passione per la scrittura thriller... per il thriller... per la scrittura!"

 

Uno dei due autori del testo
DANIELE VACCHINO.

"Ragazzi e ragazze resi somiglianti dal trasparente individualismo della smaterializzazione di massa... preziose pietre senza vita. I loro gesti,i loro movimenti, mi ricordano quelli di qualche oscura invasione aliena. Sono un unico corpo, un unico cervello. Zero cultura. Zero ideologia."

domenica 14 novembre 2021

Recensione Narrativa: VIAGGIO NEL MONDO DELLE FIABE di Alejandro Torreguitart Ruiz.

Autore: Alejandro Torreguitart Ruiz.
Traduttore: Gordiano Lupi.
Anno: 2018.
Genere:  Fiaba.
Editore: Edizioni Il Foglio .
Pagine: 130.
Prezzo: 12,00 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.

Dopo il saggio Il Mio Nome è Che Guevara (2009) e l'antologia a metà strada tra Stevenson e Lovecraft Mister Hyde all'Avana (2009), rispettivamente editi da Edizioni A. Car e Il Foglio Editore, torna sulle nostre pagine il cubano Alejandro Torreguitart Ruiz. Questa volta lo scrittore classe 1979 da L'Avana ci propone una fiaba atipica, ottimamente tradotta da Gordiano Lupi per la collana Fior di Fiaba delle Edizioni Il Foglio.

Scrittore estremamente versatile, impegnato anche in temi socio-politici legati alla tradizione cubana nonché erotici, Torreguitart Ruiz si rivolge, per una volta, ai bambini. Il suo Viaggio nel Mondo delle Fiabe ha poco da spartire con la precedente produzione, di cui si ricordano, oltre ai sopra citati, anche Machi di Carta. Confessioni di un Omosessuale Cubano (Stampa Alternativa, 2003) definito da L'Espresso “un delicato e intenso romanzo di formazione”, e il romanzo erotico Vita da Jinetera (Il Foglio Editore, 2011). Il proverbiale bollino rosso “riservato agli adulti” lascia spazio a un disco verde che non ammette dubbi di sorta.

Torreguitart Ruiz opera una soluzione metaletteraria che, nel suo rivolgersi a più piccoli, lascia trapelare una sorta di incomunicabilità tra chi ricopre il difficile ruolo dello scrittore e i cittadini del mondo esterno, forse troppo lontani dalla sensibilità e dallo spirito creativo di un artista, ma allo stesso tempo rivendica una comunicabilità tra chi scrive e i personaggi oggetto delle creazioni quasi a voler sottolineare che la fantasia rispecchia pur sempre la realtà. “Per un foglio di carta e una penna avevo trascurato sempre ciò che per la maggior parte delle persone rappresenta la vita vera” si legge nel testo. Un'impostazione da cui l'autore si libera, in ossequio a quell'adagio ricordato da George R. R. Martin (uno che di fiabe e di fantasy ne sa qualcosa) secondo il quale “chi legge vive molte vite prima di morire.” E così Torreguitart Ruiz si ritrova a vivere la vita dei suoi stessi personaggi, immaginando di trovarsi proiettato nel fantastico mondo di Campofiorito, una landa bagnata da un lago salato che la separa da Baiadera. Qui ritrova tutti i suoi personaggi, soggetti che lo riconoscono quale il cantastorie loro creatore e, per questo, non lo prendono affatto in simpatia (pensate cosa succederebbe se Dio venisse privato dei suoi poteri e catapultato, senza copertura anagrafica, sulla Terra). I cattivi lo imprigionano perché sono stufi di essere i soccombenti e gli chiedono di scrivere storie dove siano i cattivi a trionfare in modo da riabilitare la loro immagine agli occhi dei terrestri. “Dovrai farci divertire e far sorridere i nostri figli, scrivendo storie di cavalieri che perdono il confronto con le streghe. Sarai libero soltanto quando qualcuno del tuo mondo riuscirà a leggere quello che stai scrivendo e crederà alla tua avventura nel mondo delle fiabe.” Il protagonista però ha lasciato moglie e figli nel suo mondo e vuol liberarsi dal sortilegio che lo relega nell'immaginario. Solo ora si accorge di quale siano le priorità di una vita che possa definirsi tale. Fugge in compagnia di un topolino antropomorfo (che si scoprirà essere un fata) e, tra mille peripezie in cui sono coinvolte streghe, sirene, tritoni, aquile, yeti, avvoltoi, piante carnivore e diversificati contesti ambientali, riuscirà a ritrovare la via di casa, tenendo a mente le tante promesse avanzate ai suoi personaggi, poiché non sempre i cattivi e i mostri sono veramente tali (ci si ricorda della lezione del Frankenstein di Mary Shelley).

Torreguitart Ruiz non rununcia all'ironia, lanciando strali al mondo della critica. I critici vengono bollati quali “saccenti e arroganti”, uomini che dall'alto della sterminata cultura fiabesca pensano di poter dare giudizi letterari su ogni cosa. “Mi ricordavano molto i critici che stroncavano i miei libri, sempre bravi e solerti nel disprezzare ciò che non sapevano comporre.

Da un punto di vista tecnico, Viaggio nel Mondo delle Fiabe è un testo fin troppo fluido e di semplice fruizione. Gordiano Lupi lo cura nel dettaglio e fornisce una perfetta traduzione. La sensazione è che la destinazione finale del prodotto, che, sulle alette del libro, viene suggerito per la lettura dei ragazzi di età superiore ai dieci anni, abbia limitato Torreguitart Ruiz, altrove bravo a creare tensioni orrorifiche. Ci sono svariate parti nel romanzo, infatti, che vengono tirate via, meramente descritte e non sviluppate a dovere (penso all'attraversamento della foresta con le piante carnivore o alla spiaggia infestata dai rettili), senza dare i tempi alla narrazione indispensabili a suscitare quel sense of wonder che qua non è pienamente reso (solo nella parte dell'assalto delle aquile e dei grifoni si percepisce una cura maggiore). L'autore sembra prediligere un taglio più convenzionale, vicino alla fiaba classica dei fratelli Grimm, pur facendolo all'interno di un'operazione ibrida. La traccia principale, ovvero la fuga dal mondo delle fiabe, viene accompagnata dal canonico rapimento della bella di turno, contesa al cavaliere senza macchia dal mago cattivo esperto in filtri amorosi e servito da una corte di nani malefici.

Di rilievo le dodici illustrazioni interne di Roberta Guardascione, già ammirata altrove, che scandiscono con puntualità e pertinenza i diciassette capitoli che formano il libro.

Lettura per ragazzi non ancora contaminati dalla malizia.
 
 

venerdì 12 novembre 2021

Recensione Narrativa GATTI DEL MISTERO a cura di Martin H. Greenberg.

Autore: AA.VV..
Curatore: Martin H. Greenberg.
Traduzione: Gianni Pilo.
Titolo Originale: A Treasury of Cat Mysteries.
Anno: 1998.
Genere:  Thriller.
Editore: Newton & Compton (2001).
Pagine: 316.
Prezzo: 10,27 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.

IL CURATORE

A Treasury of Cat Mysteries o più semplicemente “Gatti del Mistero”, come è stato distribuito in Italia dalla Newton & Compton, è una delle tante antologie curate da Martin H. Greenberg. Si sta parlando di uno dei più famosi antologisti al mondo, un vero e proprio colosso letterario, socio d'affari di un certo Isaac Asimov. Impegnato su tutti i fronti della narrativa popolare di qualità, dal giallo all'horror, passando per il fantasy e la fantascienza (suo genere di elezione), Greenberg ha curato qualcosa come 1.298 antologie, commissionando addirittura la stesura di 8.200 racconti a soggetto determinato. Numeri che rendono gigantesca la carriera di questo curatore, una vera e propria enciclopedia della narrativa di intrattenimento.

Purtroppo prematuramente scomparso nel 2011 a causa di un cancro, all'età di settant'anni, Greenberg era nato in Florida e, dopo una laurea in scienze politiche, aveva svolto una carriera ventennale di docente presso l'Università del Wisconsin-Green Bay, curando la prima antologia nel 1974. Interessato soprattutto alla fantascienza, sono celebri le 127 antologie in sodalizio con Isaac Asimov, tra le quali l'immancabile opera antologica in 25 volumi de Le Grandi Storie della Fantascienza, che ripercorre la golden age della sci-fi proponendo un volume per ogni anno dal 1939 al 1963. Molte le sue antologie pubblicate nella serie Urania, diversi anche i contributi all'horror con antologie quali House Shudders (1987) uscita in Italia come “Le Case del Brivido”, Vamps (“Vampire”, 1987), Tales of the Occult (“Occulto!”, 1989), senza dimenticare The Further Adventures of Batman (“Batman. Nuove Avventure”, 1995) e Sherlock Holmes in America uscita in Italia spalmata su due volumi della collana Il Giallo Mondadori. Vincitore di due Bram Stoker Awards, uno per la migliore antologia horror del 1998 (Horrors 365 Scary Stories) e uno alla carriera, oltre che di un Ellery Queen Award e un Mystery Writers of America.

INTRODUZIONE

Nonostante nella premessa di Gatti del Mistero non venga menzionata la genesi del volume, possiamo tranquillamente definire A Treasury of Cat Mysteries una sorta di compendio antologico del percorso iniziato nel 1991 da Martin H. Greenberg (ed Ed Gorman) interamente dedicato al gatto. Uscita nel 1998 e giunta in Italia tre anni dopo, si tratta di una sorta di sintesi tra le tante antologie che Greenberg, a partire dagli anni novanta, ha dedicato ai felini. A Treasury of Cat Mysteries, cui farà seguito l'ultima antologia della serie curata dal solo Ed Gorman (Cat Crimes Through Time, 1999), è infatti preceduta da sei antologie monotematiche: Cat Crimes (1991), Cat Crimes 2 (1992) Cat Crimes 3 (1994), Feline and Famous: Cat Crimes Goes to Hollywood (1994), Cat Crimes Takes a Vacation (1996) e Cat Crimes for the Holidays (1997), senza contare Black Cats and Broken Mirrors (1998) curata da Greenberg col supporto di John Helfers.

Le prime tre antologie Cat Crimes, vendute in America in cofanetto, proponevano un totale di cinquantaquattro racconti di quarantaquattro autori diversi, tra i quali due soli (Bill Crider e Barbara Collins) presenti in tutte le antologie, mentre cinque (tra cui Bill Pronzini, più volte pubblicato nella collana I Gialli Mondadori) inseriti in almeno due. Si tratta di scrittori, a parte Richard Laymon (di cui è presente Kitty Litter in Cat Crimes 2), non conosciuti in Italia nel circuito della narrativa horror, ma che annoverano diversi estimatori nel circuito dei giallisti Mondadori.

Feline and Famous: Cat Crimes Goes to Hollywood sposta e unifica l'ambientazione. Greenwood chiede di ambientare le storie a Hollywood e dintorni. Rispondono all'appello sedici autori, sei dei quali già ammirati nella precedente trilogia, tra cui Barbara Collins e Bill Crider, alla quarta apparizione, nonché John Lutz e Les Roberts, alla terza.

Cat Crimes Takes a Vacation prosegue il percorso con quindici ulteriori storie tutte ambientate in luoghi di vacanza. A firmarle, a parte due new entry, ci sono ancora autori presentati nella trilogia Cat Crimes. Immancabili Crider, Collins, Les Roberts e ritorna anche Bill Pronzini.

Cat Crimes for the Holidays propone diciannove ulteriori racconti, appositamente scritti per l'occasione, che hanno un altro trait d'union. Oltre a quello offerto dai gatti c'è la costante del calendario. Tutte le storie sono ambientate in un particolare giorno di festa, da Capodanno a Natale. Dieci degli autori proposti (tra cui Bill Crider e Barbara Collins, oltre Tracy Knight alla terza presenza consecutiva, Nancy Pickard e John Lutz praticamente sempre presenti) vengono dalla trilogia Cat Crimes. Tra le nuove proposte, invece, figurano gli scrittori horror Graham Masterton e Richard T. Chizmar, futuro collaboratore di Stephen King.

Dunque un percorso che ha visto proporre sul mercato qualcosa come 104 racconti sui gatti firmati da sessantacinque scrittori (quasi tutti giallisti). A Treasury of Cat Mysteries non fa altro che ripescare alcuni di questi racconti, associandoli a quattro racconti commissionati per l'occasione, a cui si aggiungono diciassette riproposizioni, per un arco temporale che va dal 1964 al 1998 e un totale di ventuno racconti. Da Cat Crimes arrivano quattro racconti (ovvero quelli di Peter Lovesey, Bill Pronzini, Jon L. Breen e dell'immancabile Bill Crider), altri tre arrivano da Cat Crimes 2 (Joan Hess, Margaret Maron e Sharyn McCrumb), mentre due (Barbara Collins e Nancy Pickard) sono pescati da Cat Crimes 3. Dunque un volume che per metà è una sintesi della trilogia iniziale da cui tutto ha avuto inizio.

La Newton & Compton commette l'errore (ma forse è il risultato di una specifica strategia commerciale) di collocare l'antologia nella collana Narrativa Horror. E' eloquente che il traduttore Gianni Pilo non menzioni l'antologia nel suo volume Dizionario dell'Orrore pubblicato, sempre dalla Newton, nel 2004. Si tratta infatti di un errore che non permette di selezionare il giusto pubblico. Gatti del Mistero infatti ha poco d spartire con la narrativa del terrore o quella fantastica. Dei ventuno racconti, meno di cinque possono definirsi fantastici. Nella maggior parte dei casi il gatto è vittima degli eventi (finisce in cliniche di vivisezione, è oggetto di tentativi di truffa assicurativa, è mezzo di trasmissione di epidemie mondiali, viene investito, viene rubato, subisce tentativi di uccisione, viene avvelenato o viene imbalsamato), in altri ha un ruolo marginale che sta a sfondo della vicenda (è oggetto di una disposizione burocratica o è animale di compagnia di altri animali). In qualche caso è compagno di azione di ladri d'appartamento o aiuta involontariamente a risolvere crimini su cui indagano poliziotti o investigatori privati impegnati a risolvere macchinazioni messe in piedi per ragioni ereditarie. Il nucleo predisposto da Greenberg, lo si capisce anche dagli autori coinvolti (tra cui un giovanissimo Richard T. Chizmar), è legato alla narrativa gialla, di quel giallo edulcorato, che non disdegna il black humor e che ricorda il mystery dei buoni salotti anglo-americani. Molte le storie ambientate nella provincia campagnola americana, in paesi dove tutti si conoscono e dunque in una realtà che è assai lontana da quella urbana. Dimenticatevi splatter, gore o linguaggi scurrili. E dimenticate anche racconti del brivido come Il Gatto Nero di Poe o I Gatti di Ulthar di Lovecraft, per non parlare di storie alla Black Cat scritto da Biagio Proietti per Lucio Fulci. Gatti del Mistero è una lettura pulita, fluida e brillante, che rende l'antologia un ottimo regalo per un giovane ragazzo o, meglio ancora, ragazza. I racconti sono carini, alcuni molto drammatici, seppur raramente geniali e veramente spiazzanti, ma funzionano e sono scritti in modo accattivante. Ci sono svariati racconti simili tra loro e questo, data l'ampia gamma di scelta, può essere valutato quale un difetto a cui Greenberg non ha stranamente ovviato.

La trilogia CAT CRIMES
costituisce lo zoccolo duro di Gatti del Mistero.

ANALISI NEL DETTAGLIO

Ventuno racconti dunque, nove dei quali pescati dalla trilogia Cat Crimes e ulteriori due, vista la data della prima pubblicazione degli stessi, selezionati altrove. Martin H. Greenberg tratta la tematica in modo diverso rispetto ad altre antologie più votate al lato fantastico nell'ambito del panorama “gatto”. Ricordiamo infatti gli spunti horror e fantascientifici offerti dai curatori Jack Dann e Gardner Dozois con Magicats (1984), tradotta in italiano come “Artigli e Fusa”, al cui interno figurano autori notissimi al pubblico del fanta-horror quali Stephen King, Manly W. Wellman, Ursula Le Guin, Fritz Leiber, Henry Slesar; oppure la collezione curata da Ellen Datlow intitolata Twists of the Tale (1996), pubblicata in Italia nel 1998 dalla Fanucci quale “Gatti da Brivido”. Da menzionare poi Il Libro dei Gatti Immaginari (2016) curato da Gianfranco De Turris (un top in fatto di antologie) con dentro molti degli autori legati al fantastico e al giallo tout court italiano.

Greenberg lavora dunque su gruppo di autori che vengono quasi esclusivamente dal giallo per un progetto che si sposa, non solo nominalmente, alla trilogia I Gatti del Mistero, pubblicata nell'agosto del 2005 sulla collana I Gialli Mondadori, composta dalle storie di Stuart Palmer, Conan Doyle e Stanley Gardner. Proprio I Gialli Mondadori sono la collana per la quale molti degli autori scelti da Greenberg sono conosciuti alla nostre latitudini.

Solo cinque, su ventuno, sono le storie che potremmo definire di genere fantastico. Tre di queste hanno la caratteristica di raccontare i fatti dal punto di vista felino, sebbene solo in un caso si abbia a che fare con un gatto a tutti gli effetti. The Beast Within (1972) e Nine Lives to Live (1992), entrambi riproposte da Cat Crimes 2, hanno una forte matrice comune, per non dire che sono l'una in debito con l'altra. Entrambe le autrici, rispettivamente Margaret Maron e Sharyn McCrumb, immaginano la possibilità che l'anima di un uomo (sia esso, rispettivamente, donna o maschio) rimanga intrappolata all'interno di un corpo felino già adulto e con una propria vita avviata, mantenendo il ricordo della precedente vita.

In The Beast Within la trasmigrazione avviene guardando intensamente gli occhi di una gatta, giunta su un terrazzo di un edificio al ventesimo piano di una città. Il corpo animale viene visto come dannazione per la donna che vi è intrappolata e che pensa di liberarsene subito, rubando il corpo umano della prima donna che troverà sul suo cammino. Il proposito va in porto, ma non sempre ciò che sembra una fortuna lo è veramente e viceversa una clamorosa sfortuna iniziale può costituire oggetto di una pazzesca fortuna successiva. La “ladra del corpo umano” infatti non sa di essere finita all'interno del corpo di una donna che ha appena assassinato il marito. Quest'ultima, passata all'interno del corpo del gatto, valuta l'esperienza come l'occasione per trovare un corpo giovane, non più grasso e decadente, così da andare a rubare il corpo della moglie del fratello più giovane del marito. Racconto dunque beffardo e ben gestito da un'autrice, Margaret Maron, che ha vinto, con un solo romanzo (Bootlegger's Daughter), i prestigiosi Premi Agatha, Anthony, Edgar e Macavity (riconoscimenti di cui ha ottenuto in modo seriale una lunga sequela di nomination al passare degli anni, aggiudicandosi tre ulteriori Premi Agatha). È stata più volte inclusa nella serie I Gialli Mondadori dove sono apparsi i romanzi Un Passato Imperfetto, Morte di una Farfalla, Giochi di Morte e La Terza Vittima.

Sharyn McCrumb, con Nine Lives to Live, guarda al karma e alla possibilità che un uomo, assassinato dal socio autore di una serie di reati ambientali che l'altro vorrebbe denunciare, possa trasmigrare in un gatto domestico. Intenzionato a vendicarsi per l'assassinio subito, il gatto posseduto dall'anima della vittima fugge dall'abitazione in cui è alloggiato e fa di tutto per farsi adottare dalla famiglia dell'ex socio. L'obiettivo è quello di render pan per focaccia del torto subito. Racconto esilarante, molto divertente, col gatto che cerca di trovare il modo per organizzare omicidi senza far capire di essere un gatto troppo intelligente. Nonostante gli sforzi però il nuovo proprietario stravede per lui. Alla fine ci rimetterà le cuoia la donna dell'uomo, punita per il tentativo di sterilizzare un micio che ha ben capito cosa starà per succedere. Racconto riuscito, insieme al precedente The Beast Within, tra i più interessanti del lotto. La McCrumb, del resto, ha vinto tutto nel giallo: tre Premi Agatha, due Macavity, due Anthony, un Edgar e un Nero. Di lei, in Itaia, si ricorda Delitti a Sarvice Valley pubblicato nella collana Il Giallo Mondadori.

Simile, ma senza l'idea della trasmigrazione, è Sax and the Single (1993) di Carole Nelson Douglas, autrice (credo non pubblicata in Italia ma spesso coinvolta in romanzi costruiti attorno ai gatti) presente con due racconti (ma non questo) nel cofanetto Cat Crimes. La Douglas conferma la narrazione dal punto di vista felino, ma forgia un taglio fiabesco, con i suoi gatti pensanti e parlanti come gli umani (ma solo tra loro o con i cani). Racconto altamente ironico e farsesco in cui l'alta nobiltà felina ingaggia un gatto indagatore al fine di recuperare il gatto (randagio) di Chelsea Clinton improvvisamente scomparso nel nulla. Nel testo si parla di servizi segreti felini: MCI (Multiple Cat Investigation). Ora che i felini hanno la possibilità di avere un “Primo Gatto” non è tollerabile che questo non sia presente all'insediamento del nuovo Presidente Clinton. È in gioco la credibilità della specie e per questo è fondamentale interrompere l'egemonia dei cani. Il “nostro” eroe riuscirà nell'intento suggerendo, per convincerlo a rientrare alla base, una carriera politica e narrativa al gatto presidenziale. Il racconto fa parte di una serie felina chiamata Midnight Louie.

Torna il tema della metempsicosi felina, pur se con prospettive ribaltate, nel più classico, per costruzione, caratterizzazione dei personaggi e dialoghi, Susu and the 8.30 Ghost (1964). È il racconto più datato dell'antologia, firmato da Lilian Jackson Braun. È un autrice (finalista al Premio Edgar) che non può mancare in un'antologia del genere. Nota per la serie di romanzi The Cat Who... quasi integralmente pubblicata dalla Mondadori nella collana de “I Gialli Mondadori” (ventinove romanzi su trenta, oltre un'antologia inedita in Italia). La Braun qua ci propone un'atipica ghost story che propone una gatta sensitivo in grado di relazionarsi con i fantasmi. L'intreccio non è solidissimo, ma i dialoghi e le caratterizzazioni sono di notevole fattura. Un bizzarro antiquario, avanti con l'età, va a vivere accanto a una coppia di sorelle che hanno una gatta siamese. L'amicizia tra l'uomo e la gatta è fin da subito prodigiosa anche perché l'uomo dice di esser stato un gatto in una precedente vita. Altezzoso e schivo, l'antiquario vive circondato di strani cimeli, accudito da un aiutante muto (in realtà finge di esserlo) che tratta a pesci in faccia. L'uomo si muove su una pesante sedia a rotelle, perché questa è un'opera d'arte e non gli fa sentire troppo l'handicap. Si tratta di un soggetto alquanto bizzarro. È convinto che i felini abbiano una percezione mentale altamente sviluppata, ben superiore a quella dell'uomo, al punto da aver scritto un testamento in cui dichiara di voler lasciare la propria ricchezza all'Università per una ricerca tesa a migliorare, attraverso i gatti, la mente umana. Sospeso tra pazzia e capacità ultra sensoriali dei felini, la storia volge in un delitto che sarà scoperto dalla stessa gatta della coppia delle sorelle. La morte non è tuttavia causa ultima di scomparsa dalla Terra e l'amicizia tra gatto e uomo prosegue oltre il fatidico passaggio nell'aldilà.

Più giocato sulla componente horror, sebbene con un soggetto sviluppato nelle forme del giallo, è il meno riuscito Bubastis. Lo scrive l'inglese Michael Stotter, scrittore conosciuto all'estero (in Italia è sconosciuto) soprattutto in ambito western nonché direttore del giornale The Westerner. Il suo è un contributo che guarda all'esoterismo egizio, tra mummie e divinità locali. Stotter non sembra a grande agio con la narrativa fantastica e fa di tutto per volgere al mystery l'elaborato. Un indagatore infatti vaga sulla scena del delitto per risolvere la strana morte di un importatore di cimeli egiziani. Alla fine si giunge a una ricostruzione paranormale che trova nell'evocazione di una Dea-Leonessa egizia, minacciata dai tre gatti persiani gelosi del loro padrone, il motivo dell'omicidio. Per l'uomo è stato letale il veleno rilasciato da tre particolari unghie imbevute in una sostanza velenosa: sono gli artigli della dea.

Resta sospeso tra horror e catastrofismo pandemico Richard T. Chizmar, all'epoca giovanissimo ma oggi ben conosciuto dai fan di Stephen King, grazie alla collaborazione tra i due avvenuta in occasione de La Scatola dei Bottoni di Gwendy. Chizmar propone un elaborato molto interessante per la tecnica narrativa piuttosto che per i contenuti, comunque alquanto terrificanti specie in tempo di covid (dove all'inizio si parlava di pipistrelli e armadilli per nascondere un'altra realtà). A Capital Cat Crime (1993) viene scritto nelle forme di una sbobinatura di un interrogatorio condotto da due agenti di polizia nei confronti di clochard accusato di essere un uccisore seriale di gatti. Dall'interrogatorio emerge una realtà ben peggiore da quella che ha visto in azione lo sconsiderato e scriteriato nullatenente. Si capisce infatti che lo stesso è stato testimone oculare di un incontro, avvenuto mesi prima, tra due misteriosi individui e che ha captato alcuni dialoghi da cui emergeva un accordo finalizzato a diffondere un'epidemia nei paesi del terzo mondo attraverso tre gatti infetti custoditi in delle gabbie. La CIA, che è la regista del tutto, provvede a dare l'ordine di eliminazione del vecchio, perché i segreti di stato devono restare tali ed è bene che l'uomo non finisca in mano al giudice.

 
La copertina della versione originale americana.
 
 Colpisce duro e va nel segno Clark Howard, cinque volte finalista al Premio Edgar e una volta vincitore, che col suo Animals (1985) commuove i lettori sensibili. Il suo è un giusto attacco alla sperimentazione scientifica sugli animali che prende forma nel dramma di un vecchio pensionato di rientro a casa. L'uomo non trova più ad attenderlo la sua gattina di quattordici anni, unica compagnia dopo la morte della moglie. La micina, sprovvista di collarino e di altri oggetti identificativi, è stata catturata dall'accalappiacani e ceduta a un'associazione che compie esperimenti di ogni sorta. La trama ricorda un po' la parte centrale di Io Speriamo che me la Cavo, perché il “vecchio” viene aiutato da un giovane teppista di strada che, poco prima, lo aveva deriso e preso in giro insieme alla banda di cui faceva parte. Il ragazzo, con carcere e riformatorio alle spalle, si dimostrerà il più umano di una società retta da uomini che rispettano le regole eppur si macchiano di condotte sprovviste di ogni minima sensibilità. Intralciato al più non posso da dipendenti e burocrati di turno, il vecchio ritroverà la sua gattina rinchiusa in un gabbia di un centro in cui è penetrato abusivamente. Il miagolio silente dell'animale è una rasoiata nei cuori dei lettori, così come la vista delle flebo in vena che trasmettono una soluzione per il balsamo dei capelli. L'obiettivo degli sperimentatori è vedere se l'animale sopravviverà o meno all'inoculazione. Liberata dalla prigionia, la gatta muore poco dopo, ma l'azione dei due “antieroi” porterà alla liberazione di tutti gli altri animali e, ironia della sorte, all'incarcerazione del “vecchio” con una condanna di tre anni. Quando si dice l'importanza della legge e del senso di giustizia percepito dai destinatari della stessa. Racconto scioccante e crudele, molto ben scritto. Tra i migliori in assoluto. Di Clark Howard si ricorda il romanzo Sporco Ricco edito da Super Bir e diversi contributi per le riviste Alfred Hitchcock Mystery Magazine e Ellery Queen's Mystery Magazine.

Estremamente esilarante e ben riuscito è Cat Got Your Tongue (1992) di Barbara Collins, una mattatrice di racconti sui gatti, pressoché omni presente nella collezione a tema curata da Greenberg. Il curatore ripropone il racconto da Cat Crimes 3 e fa bene, perché è intriso di black humor non poi così comune. Protagonista è un vecchio attore in pensione in una mega villa con piscina a Hollywood. L'uomo, dopo aver fatto il piacione con una ragazzina alquanto ignorante e pomposa che sogna di fare l'attrice, sorprende la stessa e l'operaio incaricato di igienizzare la piscina nell'atto di rubare il suo pregiato gatto da collezione. L'arte drammatica e altamente ironica dell'uomo è tale da portarlo a proporre ai due di diventare i suoi figli e di vivere al suo fianco nella sua villa. La tipa ride compiaciuta, certa di aver fatto colpo. Quello che i due non sanno è che il vecchio attore è stato anche un celebre imbalsamatore, mago e ventriloquo. Potete già intuire che fine faranno. Epilogo eccezionale per una specialista del genere.

Gli altri racconti sono tutti elaborati in cui il gatto è coinvolto in delitti vari. Ginger's Waterloo (1991), della celebrità Peter Lovesey (il più famoso in Italia tra i ventuno proposti, basta dare un'occhiata a I Gialli Mondadori in cui è coinvolto) nonché racconto di apertura del primo Cat Crimes, è giocato sui fraintendimenti. Il dialogo tra due pendolari, che si spostano in treno dalla periferia a Londra, si trasforma in un'induzione all'omicidio prontamente recepita dal diretto interessato. Quest'ultimo, ben felice di aver risolto il suo problema, non ha compreso che l'altro gli aveva suggerito di eliminare il gatto, pensando che questo fosse motivo di divisione con la moglie quando invece era l'opposto. La doppia ironia sta nel fatto che nei fraintendimenti i due hanno ottenuto il risultato desiderato.

Delude anche un'altra celebrità del Giallo Mondadori ovvero Bill Pronzini. Il suo Bedeviled (1991), secondo racconto del primo Cat Crimes, parla di un maldestro tentativo di indurre in uno stato confusionale una vecchietta, al fine di accaparrarne le proprietà. Un amico del potenziale erede infatti scimmiotta di essere il fantasma del marito della donna, muovendosi coperto da un lenzuolo bianco. Il tema è abusatissimo, basti ricordare alcuni dei falsi racconti soprannaturali inseriti nell'antologia di inizio novecento Carnacki di William Hope Hodgson. Nella storia di Pronzini il gatto della vecchietta diviene fondamentale per capire chi sia il danneggiatore e molestatore che funesta la poveretta. Il micio infatti ha morso sia il detective che indaga sul caso sia uno dei sospettati. Il detective fa così confessare l'uomo proponendo un esame del morso del gatto al fine di comparare la dentatura dell'animale sulle due ferite (il cosiddetto bite marks, la prova che in America aveva inchiodato alle sue responsabilità Ted Bundy). Una soluzione possibile in teoria, ma in assenza di omicidi credo non praticabile nel concreto.

Un altro erede bramoso di mettere le mani sulle ricchezze di una donna lo troviamo in Buster (1991), anche questo proveniente dal primo Cat Crimes, dello specialista Bill Crider, vincitore del Premio Anthony ma poco conosciuto nella nostra penisola (di lui si ricordano, I Gialli Mondadori, Troppo Tardi per Morire e Sabato Notte si Spara). Rispetto al racconto di Pronzini, Crider spinge ulteriormente sull'assurdità della vicenda fino toccare la parodia del genere. Nel racconto infatti abbiamo un poliziotto di periferia americana che si trova a dover risolvere la morte di un gatto e, al tempo stesso, venire a capo di una banda di rapinatori che usa come arma un'enorme tartaruga azzannatrice. A essere sopra le righe è anche il movente del responsabile della morte del gatto (morto per errore). Il manigoldo, infatti, cerca di avvelenare la zia, un'accumulatrice seriale che vive sommersa dai rifiuti, per poter mettere mano sulla collezione di fumetti e figurine divenute ormai da collezione che l'anziana tiene custodita in casa.

Un terzo erede truffaldino è in azione nel più serioso The Maggody Files: Hillbilly Cat (1992) di Joan Hess, ennesima vincitrice dei Premi Agatha, Macavity e American Mystery, di cui Il Giallo Mondadori ha pubblicato il romanzo Maggody a Manhattan. Siamo di nuovo nella provincia campagnola americana dove un nipote, fin troppo previdente, cerca di convincere le due zie a ricoverarsi in una casa di cura, proponendo di raccogliere le spese necessarie per il trasferimento dalla vendita della vecchia autovettura che le stesse guidano in modo pericoloso per il villaggio. Le donne però non vogliono rinunciare al loro vecchio gatto, che non può essere accolto nella clinica. A nulla servono le trattative della comandante della polizia locale, inizialmente solidale col proposito del nipote. La realtà però è un'altra e viene fuori quando il gatto delle donne scompare nel nulla. Per fortuna, il tentativo maldestro di soppressione dell'animale fallisce, mentre l'auto oggetto del mistero si scopre essere un veicolo appartenuto a Elvis Presley e dunque da collezione.

Ironia a più non posso, ma questa volta ben gestita, in Enduring as Dust di Bruce Holland Rogers; una metafora farsesca sull'inutilità, la pesantezza e la cripticità della pubblica amministrazione. La lode avanzata da un cittadino a un tale che non risulta dipendente del Coordinamento per la Produttività getta nello scompiglio il responsabile del personale e il suo direttore. La morale della storia è che passano gli anni, cambiano le amministrazioni, cambiano i dipendenti, mutano gli obiettivi di lavoro e i compiti, ma la tradizione con i suoi bizzarri usi (come quello di dare da mangiare a un gatto randagio) resta. Il racconto, più volte antologizzato, ha ottenuto una nomination all'Edgar Award.

In Where the Cat Came In (1998) e Photo Opportunity (1993), altri due racconti estremamente simili, troviamo ladri di appartamento con al seguito gatti aiutanti e alle prese con altri imprevedibili intrusi. In entrambi i casi, l'amore per i gatti si rivelerà superiore al grande bottino da trafugare. Più riuscito il primo, firmato da Mat Coward, dove l'autore gestisce gli elementi a disposizione, utilizzando informazioni legate al gatto al fine di smascherare la giovane che si ritrova anch'essa chiusa in casa dal particolare sistema di antifurto innescato in conseguenza di un omicidio precedentemente perpetrato nella casa.

Un giro di foto compromettenti a livello politico è al centro dell'altro racconto, riconducibile all'estro di Larry Segriff, un intreccio che vede due ladri di appartamento dover affrontare due ulteriori intrusi che intendono mettere mano su foto la cui divulgazione potrebbe far tremare gli Stati Uniti. Finirà in sparatoria.

Torna l'ironia con Too Many Tomcats (1998) di B.J. Mull che ci propone un maldestro tentativo di assassinio da parte di un veterinario a danno della propria assistente, colpevole di esser rimasta incinta in un rapporto sessuale intercorso tra i due. L'uomo, alquanto libertino, pianifica di far saltare in aria la propria clinica veterinaria così da truffare anche l'assicurazione. Una proprietaria ultra protettiva, afflitta da mille paure, scombussolerà i piani dell'uomo. Sarà infatti quest'ultimo a saltare in aria per la fuga di gas, parzialmente mitigata dall'intrusione notturna della signora intenzionata a riprendersi la gatta sterilizzata nel pomeriggio. Non temete però, non ci sarà alcun morto ma solo la sterilizzazione del veterinario. Della serie chi di spada ferisce di spada perisce.

Gatti e cavalli da corsa intrecciano le loro sorti nel racconto Tea and Biscuit (1991), che sembra esser scritto da Dick Francis e invece porta la firma, altrettanto decorata, di Jon L. Breen. Finalista al Premio Dagger, vincitore di due Premi Edgar, due Anthony, un Macavity e un American Mystery Award, Breen mette in scena un allenatore di cavalli disperato per la morte di Exterminator. Exterminator non è un purosangue inglese, ma il gatto di compagnia del miglior cavallo di scuderia, un soggetto nevrile che solo il felino era riuscito a mettere in condizione di vincere. Il gatto, pur se anziano, non è morto per causa naturale. Già vittima di attentati, è stato ucciso dal figlio del proprietario del cavallo convinto che il cavallo potesse vincere anche senza la compagnia del gatto così da poter prendere parte ai gran premi in Europa. La scomparsa del gatto però porta all'involuzione di forma del campione.

Reunification (1998) di Peter Crowther è un racconto strano, dalla bella ambientazione e dai contenuti sentimentali. Propone il dramma di una giovane della Germania Est, dai sogni infranti e passata dalla possibilità di fare la modella alla realtà di clochard. La morte dei gatti via via adottati sembra esser stato il motivo delle sue sventure. Il furto di uno, però, porterà alla sua più grande fortuna, non prima però di averlo restituito al proprietario.

Ladro seriale di gatti in azione in Fat Cat, un giallo ben gestito da Nancy Pickard. Siamo ancora nella provincia americana con un intreccio che unisce una lunga serie di rapimenti felini, il sorgere di un centro di cura dimagrante (sullo stile di Sette Chili in Sette Giorni) e delle escavazioni in larga scala. L'autore, pur non riuscendo a coinvolgere a dovere il lettore, giostra tutti gli elementi in gioco e li cuce in modo da giungere a una conclusione accettabile, pur se non solidissima. Grande ironia, giochi di parole ben spiegati nelle note da Gianni Pilo, purtroppo non resi in pieno per la difficoltà di adattarli alla versione italiana. I gatti, ancora una volta, sono vittime degli eventi.

Non convince The Christmas Kitten (1997) di Ed Gorman, curatore insieme a Greenberg di sette antologie feline nonché dell'antologia pubblicata da Il Giallo Mondadori intitolata Il Detective Scomparso. Un omicidio di una giovane ragazza libertina scuote una piccola cittadina della provincia americana. A finire nelle maglie della giustizia è il nipote del giudice del posto, arrestato dallo sceriffo, uno storico rivale della famiglia del ragazzo. Un giovane avvocato, che lavora in collaborazione con il giudice di zona, viene incaricato di compiere le indagini. Il giovane finisce sempre anticipato dal giudice nella risoluzione dei crimini e sarà così anche in questo caso, mentre l'avvocato si trova a orchestrare un confronto all'americana con quattro indiziati (tutti innocenti, ma con un potenziale movente). A inchiodare l'assassino, a cui l'avvocato aveva caldamente suggerito di non chiamare la polizia e di chiudere gli occhi sulla sua procedura, saranno le impronte di sangue della vittima lasciate impresse sulla federa della poltrona da un gatto. Storia simpatica nel delineare la realtà provinciale americana, ma trama ingenua e peraltro giostrata in modo tale da lasciare l'assassino totalmente al di fuori dalla rosa dei sospetti, così che la soluzione arrivi in fondo a scompigliare il quadro. Chi, autore di omicidio, porterebbe una coperta macchiata di sangue a lavare in lavanderia? Nel racconto ne trovate uno.

Altro racconto bizzarro è Long Live the Queen (1996) di Ruth Rendell, autore pubblicato dal Giallo Mondadori ma anche dalla serie horror della Fabbri Editori (Carne Viva). Un investimento stradale ai danni di una gatta si trasforma in una particolare richiesta di risarcimento da parte di una gattara assai particolare. Il racconto ruota attorno agli odori non graditi dai gatti, in particolare quelli derivanti da saponi, profumi, talchi e altre sostanze che vengono percepite come tossiche dai feline. Questi ultimi infatti si atteggiano in modo diverso a seconda della persona che hanno di fronte. La scelta della investitrice di non versare quanto richiesto porterà alla sottrazione della gatta dalla stessa gestita, rapita caratterialmente e poi fisicamente dalla danneggiata per farne la Regina della colonia felina dalla medesima gestita.

 
 
Il curatore Martin H. Greenberg