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giovedì 28 giugno 2018

Recensioni Narrativa: LA CASA DELLE CONCHIGLIE di Ivo Torello.



Autore: Ivo Torello.
Anno: 2018.
Genere: Erotico / Horror / Esoterico.
Editore: Edizioni Hypnos.
Pagine: 420.
Prezzo: 16,90 euro.

A cura di Matteo Mancini.
"Ogni libro contiene in sé le conoscenze di altri mille libri" si legge nel primo capitolo dell'ultima fatica dell'esperto genovese Ivo Torello. Si tratta di una giusta considerazione che calza, tra l'altro, a pennello proprio per questo La Casa delle Conchiglie, probabilmente l'opera più complessa, per l'innegabile retaggio esoterico che sottende il romanzo, dello scrittore nato nel 1974. Presentato, apparentemente, come un erotico estremo che sconfina spesso oltre la stessa definizione di erotico, il romanzo contiene in sé il seme della classica letteratura weird di fine ottocento e inizio novecento. Torello è uno studioso di lungo corso del genere weird (plurivincitore del Premio Lovecraft), nonché storico collaboratore di Andrea Vaccaro e delle Edizioni Hypnos, e questo si respira a pieni polmoni nella lettura del testo che snocciola tributi in ogni pagina e crea un'atmosfera che ricorda i vari Il Gran Dio Pan (1890) di Arthur Machen (per l'esistenza di un altrove cui accedere col ricorso di sostanze capaci di sublimare l'estasi) e Alraune - La Mandragora (1911) di Ewers per l'atmosfera corrotta e gli espliciti riferimenti sessuali (ivi compresa la pratica per generare l'homunculus), ma soprattutto sembra giocare sui temi toccati dal saggio di magia sessuale Magick (1913), opera in cui Aleister Crowley cerca di rendere pubblici i suoi studi legati al rapporto sesso-magia come via per entrare in contatto con entità superiori che si celano alla vista dei comuni mortali e che sono veicoli di un potere capace di sconvolgere l'ordine naturale delle cose.
Dunque La Casa delle Conchiglie è un erotico solo in apparenza. E' uno di quei romanzi per i quali Aleister Crowley avrebbe speso parole di elogio e Hanns Heinz Ewers avrebbe contattato Torello per contendere a Paolo Di Orazio l'onere della prefazione. Vien da se la considerazione che siamo alle prese con quello che potrebbe definirsi un romanzo maledetto.

La Casa delle Conchiglie narra le vicende legate alle sorti del maggior bordello di lusso parigino di metà ottocento, un luogo meta di artisti, scienziati, alte cariche di Stato e borghesi danarosi. Ma racconta soprattutto le vicende della maitresse, Madame Sabatiere, una vera e propria esperta di arti magiche che vive all'interno di una stanza contornata di libri di ogni natura da cui attinge il suo sapere tutto orientato a conseguire vantaggi materiali da spendere nella concretezza della vita di tutti i giorni (dunque aspirazioni non trascendenti): assorbì le capacità diplomatiche dello zio, la sua propensione al complotto e alla menzogna, nonché l'abnegazione al guadagno completamente spogliata da qualsiasi dubbio o pentimento o carità cristiana.
Il romanzo, strutturato in sette capitoli per circa quattrocento pagine, ha valenza catartica ed esorcizzante. Simboleggia la perenne lotta tra la visione epicurea (ben incarnata dagli artisti) e quella stoica (più vicina al mondo politico-istituzionale ovvero i presunti esperti che prendono per mano la produzione artistica per usarla per i loro fetidi scopi: profitto o spalancare le porte dell'inferno), conflitto che viene sintetizzato dalla rappresentazione teatrale de Le Nozze Folli tra Marte e Venere messa in scena all'interno del bordello con l'intento, non riuscito, di ribaltare il trionfo dell'amore sulla guerra. Leggiamo infatti dello scontro tra una sedicente organizzazione segreta a sfondo iniziatico (con tanto di Grande Maestro), chiamata l'Ordine del Dio dormiente (la “setta più potente e pericolosa d'Inghilterra. E forse anche dell'intero continente”), e un gruppo di prostitute di alto bordo, molte delle quali ignare del loro essere pedine in balia di un gioco più grande della loro semplice aspirazione (prostituirsi per il piacere insito nell'accoppiamento). I primi hanno infatti il fine di scatenare il grande olocausto richiamando sulla terra, attraverso un rituale di sangue a sfondo esoterico, gli Dei (dormienti) che esistevano prima della nascita di ogni altro Dio (evidenti omaggi ai grandi Antichi di Lovecraft, con tanto di squarci onirici in cui si permette all'uomo di sbirciare sul mondo di queste potenze). "La crudeltà è il solo linguaggio universale" affermano gli aderenti all'Ordine. "Ogni speranza è vana, ogni amore è vacuo. Dobbiamo forgiare noi stessi come lo sono stati i mondi e le galassie: con la violenza! Questo baraccone di carne che chiamiamo vita è fondato sul dolore e sull'afflizione, sulla lotta a ogni costo contro l'inevitabile morte! Questa è l'essenza di ogni cosa: la lotta! Per sopravvivere, per evolvere, per esser degni di sfidare l'abisso, questo dobbiamo essere: guerrieri! Guerrieri della disciplina! dell'ordine! del dolore e della sopraffazione! Cos'è la bellezza di una giovane donna se paragonata alla bellezza della guerra e della vittoria?"
Il rituale prosegue sotto l'effetto di formule magiche, elisir afrodisiaci e allucinogeni capaci di aprire porte dimensionali connesse all'azione di potenze ultraterrene pronte a irrompere sulla terra, riti di sangue, larve (in senso spiritico) e magia rossa. Evidente la condanna da parte di Torello del bigottismo e della castrazione degli istinti naturali legati all'accoppiamento, il tutto sbilanciato a favore di una visione libertina ed edonistica vista come chiave esorcizzante della violenza e di ogni altro istinto di sopraffazione che sta alla base dei disastri bellici. “Se i filosofi e i moralisti scopassero ogni tanto l'Umanità si eviterebbe un bel po' di coglionate e di cacce alle streghe e di roghi. Se chiavassero per il gusto di farlo.” 
Spirito guerresco da una parte (ma anche spirituale e ideologico, aggiungerei io) contrapposto alla grazia e bellezza dei corpi dall'altra finalizzata a se stessa, senza alcun desiderio ulteriore al semplice richiamo della carne. Quello che Lovecraft, come ricordato in Contro il Mondo, Contro la Vita da Michel Houellebecq, tendeva a condannare quando diceva che "i misteri del sesso sono alla portata di chiunque. Basta passare mezz'ora in un aia e vedere come si accoppiano le bestie. Quando io guardo l'uomo, invece, guardo le caratteristiche che lo elevano dal rango di bestia e che lo rendono essere umano; osservo le qualità che danno alle sue azioni simmetria e bellezza creatrice. Desidero veder considerato il comportamento umano, mettendo l'accento sulle qualità che gli sono proprie e senza che vengano messe in risalto le particolarità bestiali che ha in comune con il primo verro o caprone che gli capita attorno.
Torello, a differenza del solitario di Providence, si schiera senza filtri e compromessi dalla parte dell'amore libero e sfrenato, in una visione più legata al materialismo che a una visione trascendente,  e lo fa anche nella scelta del registro linguistico. Laddove risulta essere elegante e ricercato nella parte dedicata al substrato esoterico, con momenti da grandissimo scrittore di stampo weird (nulla da invidiare ai grandi maestri), cambia del tutto nella parte erotica, aspetto questo a mio avviso discutibile (pur essendo una scelta voluta e anche provocatoria). Torello affronta questa parte, senz'altro la preminente, con piglio pulp, senza pudori e senza censure, pur con una certa ironia grottesca, sfruttando un campionario di soluzioni che suggeriscono una visione tinto brassiana. Ecco che traspare un erotismo che va oltre il suo stesso concetto, per interessare sfere assai più spinte ed esplicite rispetto a un semplice suggerimento di carattere subliminale. Torello non lascia niente all'immaginazione del lettore, nonostante giustamente scriva che “ciò che passa per la testa di un uomo non sarà mai uguale a ciò che passa per la testa di un altro”; ne La Casa delle Conchiglie viene infatti descritto tutto nei minimi dettagli, determinando anche un “involgarimento” del lessico e delle situazioni narrate nella descrizione delle scene hot, momenti che qualcuno non tergiverserebbe a definire squisitamente pornografici.

Ne esce fuori un romanzo assai coraggioso e, al tempo stesso, piuttosto originale, intriso di un'ironia satirica e di un cinismo che riesce a pungere in più di una circostanza come quando si dice che “prendendo un uomo per l'uccello è assai più facile farselo amico; se poi lo si capisce abbastanza da concedergli ciò che più intimamente brama, si compie la magia”; o come quando, facendo il verso al Dizionario del Diavolo di Ambrose Bierce, si snocciolano gustosi aforismi. Costituisce un esempio di quest'ultimo aspetto la definizione data al termine "amicizie" ovvero legami umani basati sul reciproco profitto.
Romanzo coraggioso, dicevamo, che si traduce in una vera e propria unione tra la narrativa weird, quella la “W” maiuscola, e un erotismo estremo più vicino a un Restif de la Bretonne che alla narrativa del marchese De Sade ovvero un erotismo che cerca le gioie del sesso senza pudori, senza crudeltà e senza il timore della condanna del peccato. Ecco appunto emergere lo spirito libertino ed esorcizzante del romanzo, con una dissolutezza che Torello immagina quale via e ideale medicina per raggiungere la felicità e sconfiggere ogni forma di violenza.

Eccezionale la ricostruzione storica e lo studio di fondo (con tanto di esempi di racconto nel racconto, facendo leva su una lunga serie di passaggi narrativi di volumi citati) che ha impegnato, credo per anni, Ivo Torello. L'autore genovese da sfoggio di un'invidiabile eleganza sia nella costruzione dei personaggi (molti dei quali reali artisti e reali personaggi dell'epoca, tra essi anche Alexandre Dumas) che delle scenografie tratteggiate con gusto, oserei dire, pittorico, ma soprattutto dimostra di essere un grande autore weird con una passione esoterica e citazionista che trasuda da ogni pagina (non si contano gli omaggi ai vari Chambers, Lovecraft, Colin Wilson, Ewers, Grabinski etc etc). A trovare dei difetti, a mio modesto avviso, c'è il barkeriano atteggiamento (qua eterosessuale) di indugiare sulle situazioni sessuali come un voler ostentare un valore recepito dalla maggior parte degli altri componenti della società come un qualcosa da censurare o da vivere in modo privato e, forse forse, ipocrita. Una scelta questa che determina la controindicazione di una certa ripetitività situazionale, nel corso della lettura, e un rallentamento del ritmo oltre che un “decadimento” di un lessico che mal si concilia con la ricercatezza e l'eleganza della parte weird. Ciò detto si tratta comunque di un romanzo di alto valore e da suggerire agli amanti del genere. Certo, la scelta operata da Torello taglia dalla lettura un ampia cerchia di lettori. Sconsigliatissimo ai puritani, vietato ai minori di anni 18 (senza voler chiamare in causa il ricercatissimo volume di Isabella Santacroce), ma in grado, a mio avviso, di costruirsi attorno un sufficiente zoccolO duro di aficionados.

Bellissima la cura grafica (formato tascabile), la copertina e la galleria finale. Da questo punto di vista un ulteriore passo in avanti delle Edizioni Hypnos, sempre più qualitative.

L'autore IVO TORELLO

"Sapeva di tante donne che usavano i libri per evadere dalla vita di tutti i giorni; per lei leggere equivaleva alla costruzione di un arsenale... Tutto ruotava sempre intorno al medesimo perno, denaro compreso: il sapere. Era il sapere, distillato nella guisa delle infinite storie che formano la realtà, il fine a cui ella cominciò ad ambire."

mercoledì 20 giugno 2018

Recensione Saggi: COM'ERA WEIRD LA MIA VALLE di Fabio Lastrucci & Vincenzo Barone Lumaga.



Autori: Fabio Lastrucci e Vincenzo Barone Lumaga.
Edizioni: Milena Edizioni.
Anno: 2018.
Genere: Saggistica divulgativa e critica letteraria sul genere horror & fantastico.
Pagine: 354.
Prezzo: 19,90 euro.

Commento di Matteo Mancini.
Sinuosa prova del duo tutto campano composto da Fabio Lastrucci e Vincenzo Barone Lumaga, "vecchi" compagni di avventure di tante battaglie narrative. Conosciuti soprattutto per i loro racconti con incursioni anche nella saggistica e, nel caso di Lastrucci, nel ruolo di disegnatori di fumetti, con Com'era Weird la mia Valle i due autori offrono il loro contributo/tributo al genere che li accomuna e che, con tutta probabilità, ha giocato un ruolo determinante nella loro formazione "artistica". Nasce così un saggio dedicato al mondo weird ovvero un coacervo articolato di generi in cui confluiscono "opere che una volta sarebbero state definite horror, splatter oppure neogotiche o fantastiche e più in generale impreziosite dalla presenza di elementi surreali o fantastici". Il percorso scelto dai due autori è finalizzato ad "accrescere la curiosità verso autori e correnti ingiustamente finiti nell'oblio" e si snoda, sulla scia del volume Guida alla Letteratura di Fantascienza dell'Odoya, in modo tematico partendo dal folklore per proseguire con la nascita del gotico e via a salire fino ai giorni moderni. La letteratura non è l'unica arte toccata dall'analisi del duo campano che si dimostra molto attento al substrato antropologico, cercando di spiegare quanto l'arte venga influenzata dalla realtà e viceversa, oltre che a quello cinematografico e fumettistico.
Così, dopo un primo capitolo orientativo, vediamo affrontati i principali archetipi del mondo del terrore e come questi siano filtrati nella letteratura, nel cinema e nel mondo del fumetto. L'analisi, molto elegante e stilisticamente aggraziata da un lessico a tratti ricercato, predilige offrire chiavi interpretative, talvolta originali e psicoanalitiche, delle maggiori opere di riferimento, piuttosto che inflazionare il testo con un lungo e asettico elenco di titoli. Vengono così affrontati, in distinti capitoli, le figure dei ritornanti (Mostro di Frankenstein, Vampiri e Zombi), i classici temi delle case infestate e dei c.d. mad doctor, l'antica figura del licantropo (con un'analisi addirittura criminologica), il più curioso ruolo ricorrente del suino nel mondo fantastico del gotico, quindi l'universo lovecraftiano e le affascinanti figure dei detective dell'occulto (probabilmente il capitolo più completo dell'opera) e degli inafferrabili killer di fine ottocento (Jack lo Squartatore in primis). Tutto questo senza mai dimenticare il substrato storico culturale che sta alla base delle singole figure, fungendo da innegabile elemento di ispirazione. Molto interessante poi la panoramica dedicata al mondo italiano, con dieci interviste ad affermati scrittori contemporanei e soprattutto con un capitolo incentrato sul lato oscuro dell'ottocento letterario italiano (analisi poi estesa anche al novecento e al mondo underground contemporaneo).

Progetto dunque assai ambizioso, gestito in modo ammirevole (anche sul versante grafico che ricorda i volumi Odoya) con una padronanza linguistica che nulla ha da invidiare alle apparentemente più blasonate produzioni della media-grande editoria. Certo, i limiti di battute e la lunghezza di circa 350 pagine costituiscono un muro difficile da valicare per chi possa pensare di offrire un quadro completo di un genere, il weird, dai confini nebulosi e dalla consistenza quantitativa a dir poco sterminata. Lastrucci e Barone Lumaga lo ammettono fin dall'inizio, chiarendo che Com'era Weird La Mia Valle non ha pretese di ergersi a manuale di natura enciclopedica né, tanto meno, orientativa (come i volumi Odoya), piuttosto costituisce un'occasione di confronto con i lettori e gli appassionati per andare oltre alla mera apparenza offerta dalla lettura superficiale dei racconti e per contestualizzare il tutto in un quadro a trecentosessanta gradi che parta dagli aspetti antropologici e sociologici per confluire nel mondo dell'arte.
Volume sicuramente consigliabile a chi intenda approfondire le semplici letture o a chi non si accontenti dei volumi divulgativi, di facile e immediata lettura, costruiti a modello di veri e propri cataloghi.
Il saggio è anticipato da una mia prefazione in cui parlo degli atteggiamenti della critica italiana verso il genere e la cosa, vi confesso, specie dopo la lettura del volume mi rende più che entusiasta. Pollice in su.

Vincenzo Barone Lumaga,
uno dei due autori del saggio.

"Le nostre paure sono sempre le stesse: paura di ciò che è buio, di ciò che è ignoto, paura di perdere le persone più care e di perdere se stessi, quindi paura della follia, e della morte... Scrivere è fare i conti con queste paure, precipitare ogni volta nell'abisso e tentare poco per volta di uscirne."

giovedì 14 giugno 2018

Recensione Narrativa: I VANGELI DI SANGUE di CLIVE BARKER.



Autore: Clive Barker.
Titolo OriginaleThe Scarlet Gospels.
Anno: 2015.
Genere:  Horror / Dark Fantasy.
Editore: Indipendent Legions Publishing.
Pagine: 310.
Prezzo: 17 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.
A quasi trent'anni dal capitolo che ha dato il là alla saga Hellraiser, Clive Barker scrive il capitolo conclusivo della serie e lo fa chiamando all'appello il detective dell'occulto Harry D'Amour, celebre soprattutto per esser stato il protagonista del racconto L'Ultima Illusione (1988) prima e soprattutto della trasposizione cinematografica del medesimo, distribuita col titolo Il Signore delle Illusioni (1995), per la regia dello stesso Barker.
The Scarlet Gospels, edito in Inghilterra e negli Stati Uniti nel 2015 ma giunto in Italia con due anni di ritardo grazie alla meritoria scelta della piccola Independent Legions Publishing, è un romanzo abbastanza voluminoso che si discosta sia dal romanzo capostipite (Hellbound Heart) sia dalla saga cinematografica di riferimento. Innanzitutto prende le distanze per il contesto in cui inserisce la storia (forse qualche reminiscenza del film Hellraiser II - Prigionieri dell'Inferno), in secondo luogo fa perno su un taglio assai più pulp sottolineato da dialoghi e battute più consone a un prodotto da blockbuster che a una storia giocata sulla suspence. In quest'ultimo aspetto risultava assai più efficace Hellbound Heart, senza ombra di dubbio più affascinante (e misterioso) per il suo limitarsi nel mostrare l'innominabile, ma di certo meno inventivo e più classico per il suo aderire al filone slasher movie.
Sulla scia della trilogia infernale della connazionale Tanith Lee avviata da Il Signore delle Notte (1979) e comprendente, guarda caso, un titolo identico a quello del sopracitato film con D'Amour protagonista, Clive Barker disegna nell'occasione le coordinate di un horror sospeso tra il grandguignolesco e il dark fantasy, con momenti di straordinario gusto pittorico-architettonico (se mi concedete l'espressione). pur se penalizzati da un soggetto (è il contorno a brillare) non proprio eccelso. L'autore di Liverpool apre un vero e proprio squarcio sull'aldilà e lo fa sia dalla prospettiva del c.d. mondo umano sia da quella degli inferi, mostrando da un lato le anime dei defunti che vagano per le vie di New York avendo smarrito il percorso che conduce alla pace dei sensi e, al contempo, offrendo un dettagliato sguardo sul mondo costruito da Lucifero in persona (pure lui alla ricerca della pace dei sensi). Elemento di congiunzione tra i due mondi, ovviamente, non potrà che essere la scatola a sei facce di Lemarchand, con il suo enigma da sciogliere per varcare il portale del non ritorno ("Risolvere l'enigma di una di quelle scatole significava aprire una porta per l'Inferno").

Se tuttavia in Hellbound Heart era possibile leggere un contenuto ulteriore alla mattanza messa in scena dall'autore di Liverpool, con The Scarlet Gospels, verrebbe da dire, sono il puro intrattenimento, nonché il gusto dell'arte, a calamitare le attenzioni dei lettori. Impossibile non restare affascinati dalla descrizione dell'inferno, con una riscrittura dello stesso assai lontana dalla tradizione religiosa e, ancor di più, da quella dantesca. Una visione senz'altro onirica e dagli intensi colori, in cui l'autore riesce a trasmettere l'abbagliante lucentezza della stella del mattino (nome di Venere ovvero Lucifero) che risplende nell'oscurità più tetra degli abissi della terra. L'inferno di Barker ha le forme di un mondo racchiuso sotto le rocce (apocalittico il finale), in cui svettano torri e fortezze di maestosa bellezza fatte di labirinti e scalinate disomogenee. Un luogo retto da un'aristocrazia demoniaca che fa le veci di un Lucifero scomparso da secoli, eppure venerato alla stregua di un Dio e immortalato in statue e affreschi. I demoni e gli ibridi (figli degli angeli caduti accoppiati con i dannati) sono delle vere e proprie creature viventi, così come gli angeli, e come tali possono morire (moriranno interi eserciti, sia a colpi di spada che per effetto di sortilegi). Harry D'Amour (qua dotato di poteri che lo rendono un sensitivo oltre che conoscitore di incantesimi e formule magiche), insieme a una truppa di improbabili aiutanti (tra i quali un tatuatore omosessuale che si chiama CAZ KING), si troverà a percorrere le vie degli inferi, alla caccia di Pinhead, sfruttando un varco dimensionale aperto dallo stesso. Lo storico personaggio dalla testa chiodata, non presente nel primo romanzo ma protagonista indiscusso del serial cinematografico, è qua impegnato nientemeno che a condurre una rivolta contro Lucifero per rilevarne il posto. Il suo è un vero e proprio delirio di onnipotenza che lo porta ad agire per conto proprio e a tramare alto tradimento contro il suo ordine. Una caratterizzazione psicologica che lo rende assai simile agli umani. La struttura narrativa diviene così quella del binario parallelo che vede i due soggetti avanzare nel loro rispettivo intento per finire con l'intrecciare il proprio destino, per vederlo poi di nuovo sdoppiare nella parte terminale.
D'Amour diviene così il martire, il testimone della potenza delle forze dell'aldilà e, come tale, finirà col perdere la vista (assumendone un'altra, quella proiettata sull'altrove). Sarà, in altre parole, costretto ad assistere alla scontro infernale tra Pinhead e Lucifero per narrare sulla terra le gesta del nuovo pretendente al ruolo di re dei diavoli. Per costringere il detective a collaborare, Pinhead, nel frattempo elevatosi a grande mago dopo aver sterminato i più grandi maghi del mondo e averne appreso i misteri con lo strumento della tortura, farà rapire una sensitiva cara a D'Amour per indurre lo stesso a seguirlo nella discesa infernale. Quest'ultima, cieca e indifesa, ha il dono di vedere, sulla terra, le anime delle persone morte (esilarante descrizione delle stesse, con battute da fumetto pulp) e di prestare loro aiuto per rimetterle sulla giusta strada e accettare la loro nuova realtà. In buona sostanza, la forza del romanzo sta proprio nella descrizione dell'inferno e, ancora di più, nella caratterizzazione di un Lucifero (dai tratti umani pur se di altezza ciclopica) che, a differenza di Pinhead, non può neppure definirsi malvagio. Il Diavolo viene tratteggiato come un angelo caduto in depressione, infelice e arresosi all'evidenza dei fatti dopo aver cercato di costruire il suo paradiso (leggasi inferno) scimmiottando la città di Roma e battezzando la sua creatura Pyratha (aka Pandemonium). Bellissima la parte in cui Pinhead profana il santuario di Lucifero, una sorta di sarcofago architettonico in cui lo stesso versa in stato di apparente morte, dando l'idea di essersi suicidato in un arzigogolato quanto spettacolare modo, per dimenticare la propria condizione e accogliere l'artificio del sonno eterno.

Se quanto sopra costituisce il punto di forza del romanzo, con descrizioni e momenti degni di esser menzionati tra i più riusciti nel genere, Barker scivola spesso e volentieri in fastidiose cadute di stile. In prima battuta, a mio avviso, diventa "stucchevole" per i continui riferimenti (spesso e volentieri gratuiti) alla sfera sessuale (quasi tutta di stampo omosessuale). Ancora di più, stonano i dialoghi che vedono D'Amour e il suo gruppo di amici in azione. Barker opta per un taglio farsesco, da film destinato al circuito blockbuster, con punte di un'ironia grossolana e sprazzi di banalità che vanno a cozzare con la magnificienza del contesto. Sono inoltre, sempre a mio modesto parere, da rilevare le troppe scene di combattimenti e di azione che, paradossalmente, finiscono per rallentare la narrazione, per effetto di una descrizione capillare dei vari colpi portati e dei vari modi attraverso i quali gli stessi vengono schivati o vanno a bersaglio. Non si contano infatti gli scontri tra D'Amour e i demoni e tra questi e Pinhead (addirittura tali da ricordare il cartoon I Cavalieri di Zodiaco, con tanto di armatura d'oro strappata a Lucifero per finire sul corpo di Pinhead). Ciò premesso, soprattutto nella prima parte, non manca il gore e il sangue (a ettolitri), aspetto che rende il romanzo consigliabile solo alla cerchia di appassionati dell'horror estremo. Il ritmo è altalenante, mentre la qualità tende a crescere sulla lunga distanza grazie al maggior gusto dell'arte che, a poco a poco, diviene prevalente sulla violenza e sulle perversioni sadico/sessuali.
La prima parte del romanzo è una vera e propria macelleria con due "sequenze" degne di nota: il flashback in cui viene mostrato il primo incontro tra D'Amour, all'epoca poliziotto, e un demone sanguinario; e il sopralluogo all'interno di un appartamento di un mago specializzato in magia sessuale (alla Crowley), occasione che permette a Barker di ricordare volumi e oggettistica propria di un certo mondo occulto (uno dei rari momenti classici del romanzo).

Stephen King e Clive Barker
sul set de I SONNAMBULI
nel 1992 per rendere insonni
le notti dei loro lettori.

Un po' come King, a fine romanzo, traspare la sfiducia dell'autore nelle autorità religiose ufficiali (rappresentate da un reverendo carico di gioielli e prodigo di discorsi retorici, che non perde occasione per mettere a nudo la propria ipocrisia), lasciando in mano a soggetti comuni, e addirittura apparentemente sacrileghi, il ruolo di difensori contro i disegni del male. Traspare poi una critica alla scienza, in particolare quella psichiatrica ("un piccolo brindisi all'idiozia degli psichiatri"), per l'atteggimento di voler ricondurre l'intera realtà, ivi compresa la paranormale o metafisica, nell'alveo della comune esperienza anche quando qualcosa subentra a scombinare i piani predefiniti (nel caso specifico un fantasma che fa cadere i quadri dell'ufficio del dottore). "Gente come lui", dice la sensitiva a D'Amour facendo riferimento al medico chiamato a giudicare l'attitudine psichica dell'uomo a ricoprire il ruolo di poliziotto, "ha il massimo interesse a mettere a tacere gente come noi. Perché noi facciamo dondolare la barca, capisce?"
Ci sono infine delle riflessioni, un po' abbozzate, sulla vita e la morte che trasmettono a momenti ottimismo e a tratti pessimismo. Se da una parte Barker dipinge un mondo dove la morte altro non è che un passaggio per un'altra vita, dall'altro ci sono dei passaggi che trasudano pessimismo alla quinta essenza. "La morte era uno specchio di dolore a due facce: quella dei viventi, ciechi e convinti di aver perso i loro cari per sempre; e quella dei morti, che li vedevano soffrire e soffrivano accanto a loro, senza poter offrire una sillaba di conforto". La vita viene delineata come un percorso accidentato e, per giunta, ciclico in cui, come direbbe Giacomo Leopardi, le felicità sarebbero delle brevi parentesi sospese nella tempesta del dolore. "Credo che i bambini piangano, quando nascono, perché hanno la consapevolezza di tutte le cose brutte che gli accadranno... Ogni vita è una condanna a morte. Solo che crescendo, lo dimentichiamo, come un sogno al momento del risveglio."
Quale è allora il segreto dell'esistenza? Il romanzo non lo spiega, non offre una via che possa offrire il ristoro e la felicità eterna, ma sembra suggerire il percorso della metempsicosi, in un'ottica in cui Dio e gli angeli non appaiono certo come i salvatori di religiosa memoria (evidente il modo in cui due angeli si disperano per non aver assistito alla guerra dell'inferno, divertiti dalla morte dei loro fratelli decaduti). "La gente è complicata non fa altro che indossare maschere, almeno finché è viva. Quando poi muore vedi la verità. Ed è tanto più ricca e strana di quanto potresti immaginare guardando solo le loro maschere. Devo morire per un po'. Farmi tornare la voglia di vivere, scegliere dei nuovi genitori e tornare in gioco con tutte le conoscenze che ho nascosto sul fondo della mia anima. Sarà una gran bella esistenza la prossima, con tutto quello che so. Ci ritroveremo. Con volti diversi, ma con la stessa anima." L'esistenza allora diviene un cammino per la conoscenza e lo studio, un modo come un altro per scalare le vette che aprono i portali che conducono al cuore del creatore e non certo, come mostrato da Pinhead (anche lui votato allo studio e alla conoscenza), per divenire il Generale di un esercito chiamato alla conquista del nuovo mondo. Alti e bassi che rendono il romanzo meritevole di una lettura, ma fanno imprecare per il capolavoro di genere mancato.

La copertina originale del romanzo al centro;
PINHEAD a sx interpretato da Doug Bradley, storico protagonista della saga cinematografica;
Harry D'Amour, a dx, interpratato da Bakula nel film Il Signore delle Illusioni.

"Ho bisogno di una mente che ricordi tutti gli eventi che accadranno da ora in avanti. E ho scelto te, per questo... Non ti limiterai a osservare ciò che sta per succedere all'inferno, ma lo metterai per iscritto e i miei gesti e i miei pensieri saranno raccontati nei minimi dettagli. Questi saranno i miei vangeli, e non ti proibirò di dire nulla, nei loro capitoli, purché sia la verità."

giovedì 7 giugno 2018

Recensione Narrativa: SCHIAVI DELL'INFERNO di Clive Barker.



Autore: Clive Barker.
Titolo Originale: The Hellbound Heart.
Anno: 1986.
Genere:  Horror.
Editore: Bompiani.
Pagine: 126.
Prezzo: 10.000 Lire.

Commento a cura di Matteo Mancini.
Torno a rileggere The Hellbound Heart (1986) a distanza di venti anni, in modo da prepararmi alla lettura del recente I Vangeli di Sangue (2015), acquistato alcuni giorni fa, che ne costituisce l'ultimo e definitivo capitolo. Si tratta del primo romanzo horror che ho letto in vita mia. Entrai in possesso del volume in modo molto curioso e anomalo. Un giorno, fine anni novanta, un'amica di mia madre, conosciuta nel periodo estivo e proveniente dai comuni limitrofi a Firenze, viene a casa e mi chiama. Mi consegna un volumetto della Bompiani intitolato "Schiavi dell'Inferno" di tale Clive Barker. All'epoca non conoscevo minimamente né Barker né gli altri autori della letteratura horror, a eccezione di Stephen King il cui nome (insieme a Dylan Dog) imperversava sui banchi di scuola già dalle elementari. La copertina, alquanto macabra, mi porta subito a fare una domanda a questa signora, tra l'altro un'appassionata d'arte (aveva un negozio in cui vendeva quadri di artisti di grande calibro riprodotti su tela). «Che libro è, mi sembra curioso come copertina?» le chiedo con una certa ironia, ammiccando a una cornice truculenta (roba da Munch, per intenderci, piuttosto che da Manch, mio storico soprannome). Lei, senza farci caso, mi risponde che lo ha comprato sulle bancarelle estive (che un tempo costeggiavano i marciapiedi della piazza di Tirrenia, località balneare dove vivevo e dove ancora vivo), ma che non appartiene al suo genere e che dunque, se lo voglio, me lo regala più che volentieri. Io prendo il libro, ringrazio e lo metto in libreria dove rimane per qualche anno, finché non decido di leggerlo. Dovete sapere che, all'epoca, la mia passione per la lettura era confinata nel quadrato tracciato dagli ipotetici segmenti delle riviste e dei giornali sportivi. Appena lo leggo, oltre ad aver l'impressione di un volume decisamente forte e cruento, percepisco un certo retrogusto cinematografico che mi ricorda un qualcosa di rivisto. Un giorno, d'estate, guardando per caso i promo della maratona "notte horror" di Italia 1, vedo la pubblicità di un horror con un tipo con la testa chiodata e decido di guardare quel film (se non ricordo male era la pubblicità del quarto capitolo di Hellraiser, quello ambientato nel futuro che nessuno, dei tre registi coinvolti, voleva firmare come proprio). Solo allora la combinazione della mia scatola di Lemarchand si allineò al genere. Quel romanzo, che avevo letto qualche anno prima, altro non era che il capitolo di apertura della saga Hellraiser. Di li a poco, l'horror, praticamente ignorato in fanciullezza, iniziò a diventare uno dei miei generi di riferimento, grazie a H.P. Lovecraft, ma anche a Clive Barker a cui iniziai ad avvicinarmi con i suoi pazzeschi Libri di Sangue.

Il leggendario PINHEAD,
non caratterizzato in SCHIAVI DELL'INFERNO,
deve la sua ideazione proprio a questo romanzo.

Scrittore estremo e coraggioso, concittadino dell'altrettanto famoso Ramsey Campbell (sono entrambi di Liverpool), Clive Barker è uno scrittore che si ama o si odia, senza mezzi termini. Spirito ribelle, provocante e provocatorio, sempre in prima linea a esporre il proprio pensiero e i propri gusti, del tutto liberato dai collari sociali delle forme e dell'eticamente corretto. Un talento monumentale, capace di esprimersi a trecentosessanta gradi; ora pittore, ora regista, ora scrittore e perché no drammaturgo e fumettista. Qualità poliedriche tali da farlo emergere giovanissimo, scalando con la disinvoltura dei predestinati gli impervi gradini che conducono dall'anonimato alla notorietà internazionale. Apprezzatissimo da Stephen King, se ne discosta per un taglio più votato all'intrattenimento che all'analisi del contesto socio-politico. Se King guarda il quadro di insieme, Barker entra nella testa dei singoli, meglio se sono coloro che abbandonano i sentieri imposti da chi stabilisce le regole del gioco (sociale). Barker mostra laddove King ammicca, Barker va subito al sodo laddove invece lo scrittore del Maine tende a ricamare. Se King frena onde evitare di veder giudicate le proprie opere troppo truci e politacamente scorrette, Barker fa l'opposto, premendo sul pedale del grandguignolesco e delle perversioni sessuali. Un modo di fare tale da renderlo, immaginiamo, una star nell'oriente e pensiamo al Giappone su tutti (Takashi Miike non può non adorarlo, Ichi the Killer è uno dei tanti omaggi).
Possiamo dire che con Clive Barker la narrativa horror cambia per la quarta volta la propria pelle. Se con Walpole e la Radcliffe il genere era nato quale gotico (con fantasmi, catene che sbattono tra loro e finestre che si aprono d'improvviso in castelli diroccati, lasciando all'immaginazione il ruolo di completare ciò che il mistero suggeriva) e con Lovecraft e gli scrittori griffati weird tales si era trasportato l'horror ai confini della fantascienza con forze aliene trascendenti pronte a ritornare nel nostro mondo, per poi ricondurre il tutto agli orrori quotidiani con la triade Leiber-Matheson-King, con Barker irrompe in narrativa (dal cinema, e penso a David Cronenberg quale maestro di riferimento) l'orrore estremo, visionario, caratterizzato dalla disgregazione dei corpi e dal sangue a fiume che sgorga dalle ferite. Un orrore in cui sofferenza e piacere si confondono tra loro come facce impazzite della stessa medaglia lasciata vorticare in un cielo controllato da demoni ambigui non ben definiti nella loro reale natura. Chi rappresenta il bene e chi invece il male...? Non è ben chiaro, perché tale non vuol essere.

The Hellbound Heart, uscito due anni dopo i primi volumi (usciti in formato 3 - 3) dell'antologia Libri di Sangue (1984-85), è il manifesto dell'intera carriera dell'autore. Romanzo breve o, se preferite, racconto lungo, è l'ideale anello di congiunzione tra i visionari e cruentissimi racconti e la successiva e copiosa produzione. Si tratta di un romanzo che risente ancora della giovane età dell'autore, che lo pubblica all'età di trentaquattro anni, non ancora maturo e suscettibile di pochi sviluppi ulteriori al mero narrato per la presenza di contenuti intrinseci, a mio avviso, non sufficienti a elevarlo dal mero intrattenimento. Ciò nonostante si tratta di un romanzo cardinale, sia per essere il testo che ha dato il là a una fortunatissima quanto duratura saga cinematografica con tanto di pantheon diabolico di creazione barkeriana (assai più vicino a quello dantesco che a quello lovecraftiano), sia per proporsi da contenitore di quegli argomenti che caratterizzeranno buona parte della produzione dell'autore di Liverpool.

Sono infatti già presenti i temi del piacere fisico e sessuale, delle perversioni viste come soluzioni, evidentemente mendaci e pericolose (in quanto non conosciute a fondo e dettate dall'ignoranza o dal c.d. male di vivere piuttosto che dalla conoscenza), per sfuggire alla noia quotidiana col fine di scoprire quel qualcosa in più che possa stonare e regalare brividi nuovi. "I piaceri della gioventù avevano portato il fascino della novità ma, con il procedere degli anni e l'esaurirsi delle sensazioni più tenui, erano diventate esperienze sempre più forti." Il sesso dunque utilizzato quale parte integrante e speculare dell'orrore e della menzogna, sulla scia di una lunga serie di maestri soprattutto cinematografici (il più evidente è David Cronenberg). Barker sviluppa il tema con una proprietà di linguaggio aulica, ma non pesante, e con grande gusto descrittivo (attentissimo ai colori e alle scenografie). Mette al servizio della narrativa il proprio faro guida pittorico, se mi permettete l'espressione, tratteggiando contorni onirici che toccano il loro apice nelle scene in cui i supplizianti, ovvero i demoni invocati (qua non si chiamano ancora Cenobiti), entrano in azione. Contrariamente a quanto si possa pensare, The Hellbound Heart è la storia di un amore malato, non molto lontano da quello che sta alla base delle c.d. coppie assassine che hanno insanguinato le pagine della cronaca nera (soprattutto) americana. Una personalità dall'apparenza forte (in realtà debole e alla deriva tanto da aver accarezzato l'idea del suicidio), quella di Frank Cotton, e una debole, quella della moglie del fratello di Frank Cotton, infatuata dalle caratteristiche che l'uomo le mostra e che divergono da quelle del fratello ("come hai fatto a sposare quel mollusco li?"). Se ben guardiamo, però, Barker gioca a mettere a nudo l'ipocrisia del c.d. uomo (o donna) etico e lo fa giocando con la donna che dovrebbe esser felicemente sposata ma che invece pensa alle perversioni (alla voracità sessuale nonché allo spirito di avventura) che le permettono di rompere la triste quotidianità per immaginare una realtà diversa (la chimerica). E' quest'ultima a scatenare il vero inferno che sta alla base del romanzo, non sono i supplizianti. Q
I demoni, peraltro tutt'altro che antipatici (rispettano persino la parola data e fanno quello per cui sono stati creati), restano sullo sfondo per intervenire solo quando vengono espressamente invocati, mediante una serie di combinazioni rompicapo utili a risolvere l'enigma costituito dalla scatola di Lemarchand. Il vero male allora diventano le pulsioni represse, sembra suggerirci Barker, ma anche, allo stesso tempo, la non conoscenza dei propri limiti. L'autore di Liverpool sembra dirci che spingerci oltre all'umanamente concesso è tanto letale quanto castrare le proprie emozioni e le proprie voglie per allinearci ai dettami voluti dalla società in cui viviamo. Nel primo caso, come farà Frank Cotton, si finirà in balia dell'ignoto ("aveva rischiato vita e mente in nome della conoscenza"), non a caso l'uomo invoca i supplizianti convinto che questi li mostreranno il piacere estremo (cadendo così vittima di un letale fraintendimento, peraltro dovuto alla banalità delle sue richieste), nel secondo invece si finirà nelle maglie della pazzia fino a giustificare le proprie azioni omicidiarie in nome di un amore che tale non è. Ecco allora che la scatola a sei facce di Lemarchand ("E' un mezzo per rompere la superficie del reale... per mettersi in contatto con l'Ordine dello squarcio"), un artigiano fabbricatore di uccelli canterini, diviene l'emblema dell'ignoto di impronta magico-esoterica, una via per aprire quel percorso che può condurre l'uomo sugli altari del piacere e della conoscenza ma anche farlo implodere in un dolore tale da disgregare corpo e anima. Sono appena accennati, eppur presenti, i riferimenti subliminali ai movimenti che hanno dato il là alle famose sette segrete di ordine iniziatico. Si pensi ai pitagorici che solevano ricevere lezioni da un grande maestro celato oltre un velo che impediva agli allievi di conoscerne l'identità (pena esclusione dalla scuola). Barker è cruentissimo nel descrivere le scene in cui vediamo il protagonista dilaniato da ami e catene ma, soprattutto, involuto dal rango di sfaccendato ricco in cerca di emozioni a quello di implacabile assassino in cerca della linfa necessaria a permettere alle sue cellule di ricrearsi. Un'impulso quest'ultimo, assimilabile al tossico in cerca di droga, indispensabile per permettergli di sfuggire dall'inferno dallo stesso invocato e riconquistare quella faccia che ha perso come un giocatore d'azzardo al cospetto di un croupier del casinò. "Non sei il primo a esserti stancato delle meschinità del mondo. Ce ne sono stati altri. Alcuni hanno osato ricorrere alla configurazione di Lemarchand. Uomini come te, ansiosi di investigare nuove possibilità, che avevano sentito delle nostre capacità sconosciute al vostro mondo."
Si fa notare inoltre che i supplizianti sono cinque (numero esoterico per eccellenza, tra l'altro il preferito dai pitagorici) con il quinto di essi, il c.d Ingegnere, caratterizzato in un modo così misterioso ed evanescente che mi ha fatto venire in mente il personaggio misterioso che condivide gli scantinati dell'Opera con il c.d. fantasma protagonista del capolavoro di Gaston Leroux. Bellissima la descrizione finale con l'ingegnere che appare per consegnare alla superstite la scatola e scomparire nelle ombre della città silente, tra nebbia e mistero.

A far storcere la bocca, a mio avviso, c'è la facilità con cui ben due soggetti riescono a decriptare gli enigmi che stanno alla base della scatola di Lemarchand e, più in particolare, quel retrogusto cinematografico da boogeyman che si respira per tutto il corso del romanzo. Barker, probabilmente, lo ha scritto pensando già a un'eventuale trasposizione cinematografica da sviluppare nell'alveo dei c.d slasher movie. Cosa che peraltro farà, con grande successo, appena un anno dopo dall'uscita del romanzo. L'autore di Liverpool ha tuttavia il grosso merito di rimodulare temi classici quale il fantasma intrappolato in un muro (che funge da trappola di confine tra la dimensione del reale e la parallela) o quello del vampiro (Frank Cotton è costretto a nutrirsi di sangue per ricreare i propri tessuti) o ancora quello dell'invocazione satanica (Barker riscrive in chiave fantastica i tratti fisici e "morali" dei demoni), così da dar vita a un romanzo horror al tempo stesso classico e innovativo. Gli anni a seguire dimostreranno a chiare lettere il talento dello scrittore e soprattutto faranno di questo "piccolo" romanzo un'opera centrale nel panorama horror cinematografico, fumettistico e letterario.

Consigliato agli appassionati di grand guignol, ai fan dell'horror estremo e a chi intende farsi una cultura a trecentosessanta gradi del genere. Da evitare per i lettori di classici della letteratura o per chi sia facilmente suscettibile. Il romanzo è stato di recente ripubblicato dalla Independent Legions Publishing ed è in vendita a 17 euro.

CLIVE BARKER
ai tempi dell'uscita del romanzo.

"Le parti erano di nuovo sigillate l'una all'altra, perfettamente lucidate. Senza bisogno di esaminarla, era sicura che non fosse rimasto alcun indizio a favorirne la soluzione... C'erano altri enigmi, forse, che bisognava risolvere per arrivare alla sua dimora. Un cruciverba per esempio, la cui soluzione avrebbe aperto il cancello del giardino del Paradiso; o un puzzle, che una volta completato avrebbe indicato l'accesso al Paese delle Meraviglie. Avrebbe aspettato, come sempre aveva fatto, nella speranza che un giorno le si presentasse l'enigma giusto."

lunedì 4 giugno 2018

Recensione Narrativa: REVIVAL di Stephen King.



Autore: Stephen King.
Titolo OriginaleRevival.
Anno: 2014.
Genere:  Drammatico/ Horror trascendente.
Editore: Sperling & Kupfer.
Pagine: 467.
Prezzo: 10.90 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.
Per analizzare Revival, opera data alle stampe da Stephen King nel novembre del 2014, è opportuno partire dall'incipit del romanzo in cui l'autore tratteggia la cornice dell'opera. "In un certo senso la nostra vita è veramente un film. I protagonisti sono i familiari e gli amici. Tra i comprimari rientrano vicini, colleghi, insegnanti e le conoscenze occasionali. Non mancano i ruoli minori... e ci sono migliaia di comparse.. Però a volte compare nella vostra esistenza qualcuno di estraneo a tali categorie. Una specie di jolly, che ogni tanto sbuca dal mazzo nel corso degli anni. In un film un personaggio simile viene definito il quinto elemento o l'agente del cambiamento." Così prende l'abbrivio il testo che è una sorta di resoconto del protagonista, Jamie Morton, in cui lo stesso più che parlare di un dato evento della propria esistenza parla dell'intera propria vita, un po' come se fosse alle prese con un'autobiografia, non a caso il testo è scritto in prima persona.

Tutto ha inizio nella fanciullezza di Jamie Morton, a sei anni (primi anni sessanta), con l'incontro con un giovane reverendo alle prime armi, giunto nella campagna del New England (ad Harlow), a svolgere la mansione di pastore. E' questa unione, dapprima di simpatia poi di amicizia e infine di morbosità, a fungere da collante di una storia che, per buona parte, procede, per circa cinquantacinque anni, senza una vera e propria bussola orientativa.
Revival, proprio per quanto appena detto, è un romanzo atipico rispetto agli ordinari prodotti griffati King. E' un testo dilatato nel suo sviluppo, che permette all'autore di effettuare svariate riflessioni, molte delle quali autobiografiche (i problemi con la droga, la passione per la musica rock, il rapporto conflittuale con la religione), per poi andare a parare sul tema dei santoni del nuovo millennio (che costruiscono la propria carriera sulla menzogna e sulla disperazione delle persone) proiettato, però, verso il trascendente e con risultati apprezzabili. Il romanzo, a differenza di Cell (2006) o L'Ombra dello Scorpione (1978), non è costruito da una concatenazione di eventi, giostrati dall'azione e dai colpi di scena, in vista di un finale risolutore da considerarsi quale evento a cui fanno capo tutte le premesse fin lì delineate. No, niente di tutto questo. Revival è piuttosto il resoconto della vita del suo protagonista. Così ci viene parlato della sua giovinezza, del rapporto con i familiari e di quello con la terra di origine, della descrizione del primo e unico vero amore (i primi approcci amorosi, il primo rapporto sessuale), della perdita dell'innocenza giovanile sacrificata sull'altare della trasgressione e via a procedere verso l'età adulta, tra alti e bassi, un po' come tutti i comuni mortali. Un modo di narrare, se vogliamo, debordante ma sempre molto scorrevole funzionale a creare quell'atmosfera tale in cui, ne siamo certi, molti lettori finiranno con l'immedesimarsi con il protagonista e, magari, ripensare al proprio passato, ai cari perduti e agli episodi che costellano il vissuto di ognuno di noi. "Era come se la mia fanciullezza fosse ancora lì, quasi invisibile, dietro uno schermo di plastica che si era rigato, offuscato e coperto di polvere con lo scorrere del tempo."
King procede così con uno stile che prevede l'uso massivo dei flashback, dei ricordi, delle rivelazioni sul passato di amici e parenti che permettono, nel corso dei decenni, di chiarire cosa essi abbiano fatto una volta rincontrati a distanza di anni. Un modo di costruire il narrato che consente all'autore di delineare lo sviluppo della società americana, sia intesa a livello sociale che comportamentale, ma anche di mostrare gli effetti dell'anzianità che avanza, l'insorgere delle malattie e dei disturbi psicologici e di tutte quelle problematiche che tendono a sbranare l'entusiasmo giovanile a favore di una maturità che trasforma tutto e tutti in direzione di una rassegnazione che mal si concilia con gli ideali di gioventù. King ritorna spesso su questo punto e lo fa parlando delle tre fasi dell'esistenza di un uomo, dileggiando con ironia l'ultima fase ovvero quella della vecchiaia. Ne deriva un'altissima componente melanconica che colpisce e rattrista il lettore, tale da evidenziare quanto muti il rapporto degli uomini verso la vita nel corso degli anni. Ma nella storia di Jamie Morton, come King premette fin da subito, c'è un c.d. "agente del cambiamento", un qualcuno che trasformerà la sua esistenza in straordinaria, in un qualcosa di proiettato oltre i confini della realtà, oltre la vita e la morte. Un qualcuno che, a distanza di anni, ritornerà a più riprese nella vita del protagonista, vuoi occasionalmente vuoi deliberatamente, tirandolo ora fuori da guai ora gettandocelo come una sorta di corrispettivo da pagare con interessi moratori per il bene dapprima prestato. Questo agente del cambiamento è un reverendo, con l'ossessione per l'elettricità e i grimori (ovvero i libri proibiti). Un uomo dapprima spigliato, alla mano, che poco incarna l'archetipo della guida religiosa propria dell'immaginario collettivo, ma che nel corso degli anni diventerà sempre più cinico ed egoista. Un uomo colto, gentile e premuroso, che smarrisce definitivamente la fede a seguito di un evento tragico in cui perdono la vita la moglie venticinquenne e il piccolo figlio. Niente, dopo questo evento, sarà più uguale per lui. Diventerà, se vogliamo, un vero e proprio eretico che definirà la religione quale "equivalente teologico di un'assicurazione da quattro soldi dove si versano le rate, anno dopo anno, e quando occorrono i proventi per i quali ci si è sacrificati si scopre che la compagnia non esiste e si è stati truffati." Convinto di ciò, l'uomo sostituirà i fari guida della religione e della famiglia con quello della scienza sperimentale. Vivrà solo in funzione della ricerca, non si ricostruirà una vita privata, ma diventerà un moderno mad doctor completamente votato agli studi, più o meno scientifici, in vista di esaudire il suo più grande sogno: rispondere alla domanda che attanaglia dall'alba dei tempi l'uomo ovvero scoprire cosa si celi oltre la morte. Lo stumento attraverso il quale centrare questo ambizioso obiettivo sarà l'energia elettrica. Il reverendo diventerà così una sorta di fenomeno da baraccone, dapprima legato al mondo dei luna park e poi a quello dei guaritori e santoni, riuscendo a salvare una lunga serie di persone, ivi compreso il protagonista, da mali quali la dipendenza da droghe, difficoltà sensoriali e persino tumori. Charles Jacobs, questo il nome dell'ex religioso, dimostrerà la sussistenza di un legame tra l'elettricità e il funzionamento corporeo/cerebrale, facendo regredire e debellare mali giudicati incurabili. Riuscirà in tutto questo, ma a quale prezzo? La sua arroganza e, ahimè, la fiducia di coloro che confideranno nelle sue doti avranno una tremenda condanna, da interpretarsi quale monito, se vogliamo più o meno inconscio, a non sostituirsi al volere divino. "Molti suoi pazienti dopo stanno bene, ma alcuni se ne vanno a zonzo con una bomba a orologeria nella testa." Così afferma Jamie Morton, indagando sulla vita dei pazienti dell'amico reverendo. E' in questo aspetto che risiede la portata fantastica del romanzo, un aspetto che verrà sviluppato nella parte terminale, dopo oltre trecento pagine di lettura prettamente drammatica anziché horror o fantascientifica. Una scelta, quella di confinare il fantastico in coda al testo, che farà storcere la bocca a più di un lettore e che, di fatto, ha fortemente diviso le opinioni sul romanzo tra chi ritiene Revival una delle migliori opere di King e chi, invece, lo ritiene eccessivamente lento e fin troppo diluito. Il sottoscritto si dissocia da entrambe le posizioni, giudicando derivativa (e vedremo il perché) la storia, ma comunque molto interessante per indurre i lettori a effettuare una serie di riflessioni sul passato, presente e futuro della vita di ognuno di loro.

"Sfruttando la folgore come strada verso
l'elettricità segreta e l'elettricità segreta come un varco per la
potestas magna universi, ho intenzione di riportare in vita Mary Fay
e di svelare il segreto nascosto oltre la porta che conduce al regno
della morte" 

King concentra l'orrore nell'epilogo e lo fa omaggiando in modo particolare tre autori: Arthur Machen, Mary Shelley e, a mio avviso, Edgar Allan Poe (che però non viene citato nella dedica di apertura). Dal primo autore, in particolare da Il Grande Dio Pan (1890), arriva, in modo marcatissimo, l'idea degli esperimenti scientifici visti quali mezzi per scardinare il "velo" che separa "l'illusoria realtà dalla vera natura dell'uomo", vera natura che si potrà conoscere solo oltre la porta che divide la vita dalla c.d. morte. Un modo per forzare il mistero bandito all'uomo e che, come effetto delle forze sconosciute ai comuni mortali, determinerà un orrore da cui ci si potrà sottrarre solo con la perdita del senno. Da Mary Shelley e dal suo Frankenstein (1823) arrivano le scene con i fulmini e i lampi, ma anche l'ossessione del mad doctor, che permettono di strappare un cadavere dalla morte e ricondurlo in vita. Ed ecco che, su quest'ultimo aspetto, arriva l'omaggio ad Edgar Allan Poe e al suo La Verità sul Caso Mr Valdemar (1845), in cui un malato terminale concede a un dottore di svolgere un esperimento che gli permetterà di rispondere alle domande che gli saranno poste anche dopo esser morto. Jacobs farà proprio come il protagonista del racconto di Poe, al fine di avere risposte sull'aldilà, ma così facendo fungerà da "portiere" di un varco da cui le forze dell'altrove cercheranno di penetrare per invadere il mondo dei comuni mortali. King chiude così il romanzo con un crescendo di emozioni che fanno di Revival una delle sue opere dotate di un epilogo più vicino a quell'horror che fece la fortuna di riviste quali weird tales.
Un epilogo, tra l'altro molto visionario e cupo, che trasforma il romanzo in un testo, seppur poco esoterico (King mostra anche qua il maggior legame con la realtà fenomenica piuttosto che metafisica), da annoverarsi nel filone trascendente. Un'occasione che permette a King di scaricare le proprie paure legate anche dall'età avanzata (inutile girarci intorno, al procedere degli anni tutti finiamo con l'interrogarci sempre più sul mistero della morte) e di rimarcare la propria posizione conflittuale circa la c.d. religione essoterica, cioè quella rivolta alle masse popolari e di semplicistica impronta, valutata come un qualcosa di menzognero. L'aldilà di King, in una visione che potremmo definire lovecraftiana (imitato in questo da Laird Barron, si legga La Cerimonia, 2015), è un vero e proprio inferno disancorato dai comportamenti tenuti nella vita di tutti i giorni. Non importa esser stati delle santità o degli assassini, l'altrove non tiene conto di questo, non è governato da regole premiali né tiene conto dell'eventuale spiritualità sviluppata nel corso della vita terrena. King, citando il De Vermis Mysteriis, prosegue nel solco scavato da Thomas Ligotti e procede, in un pessimismo cosmico, nel delineare l'uomo quale vittima sacrificale (leggi burattino) in mano a creature insettiformi (nella fattispecie delle formiche di struttura umanoide). "Niente morte, niente luce, niente pace" l'avviso vomitato dalla bocca di una defunta ricondotta a vita. I nostri cari, così come tutti gli uomini che furono, vengono visti quale un'interminabile fila di schiavi, costretti a peregrinare in una landa decripta sotto la volta di un cielo di carta oltre il quale si celano i veri burattinai del circo. "Erano stati durubati dello sciocco miraggio della vita terrena, e invece del regno dei cieli promesso dai sacerdoti di qualsiasi fede, si erano ritrovati ad aspettarli una città defunta con titanici blocchi di pietra sotto un cielo che era a sua volta un telo trasparente". Così King descrive l'umanità interamente dannata per condanna esistenziale. Niente peccato originale e niente libero arbitrio, ma un destino legato alla specie allo stesso modo di una bestia inserita in una catena alimentare più grande di lei. Ecco allora che le religioni, tutte e senza distinzioni, vengon definite delle "colossali e fraudolente compagnie assicurative" a cui gli uomini si affidano nei momenti più bui della loro esistenza, in vista di un miracolo, tutto ciò per restare attaccati all'unica realtà di cui hanno cognizione e all'illusione di essere la creatura prediletta da Dio.

In conclusione possiamo definire Revival un romanzo maturo, attraverso il quale l'autore ripercorre, in chiave letteraria, parte delle proprie esperienze del passato e in cui non si contano gli omaggi sia letterari che musicali. Una grandissima "rimpatriata" intellettuale e personale, se vogliamo, che è stata definita, da un giornalista della Repubblica, quale "il romanzo più personale dell'autore tra incubi, droga e rock 'n roll". Lo stile è scorrevole e la lettura viene agevolata da un'atmosfera di fondo familiare che permette, a ogni lettore, di ricostruire il proprio passato e di immedesimarsi nel protagonista. Cinquecento pagine scarse di romanzo che vengono divorate nell'arco di tre giorni, senza fatiche di sorta e senza pesantezze. Una via come un'altra per ricordare il tempo che fu, quello probabilmente più spassoso legato alla giovinezza, ma anche un modo per guardare oltre il presente, ovvero verso quel traguardo che, purtroppo o per fortuna, accomuna ognuno di noi e che, se nel creato esiste un vero e proprio senso non legato al caso, costituirà la risposta al grande mistero dell'esistenza. King però, preparando al peggio il copioso esercito del mondo della letteratura fantastica, avverte: attenzione alle truffe... Siate pronti al peggio!

STEPHEN KING e la prima copertina
di REVIVAL, romanzo che può conisderarsi
quale tributo dell'autore alla sua seconda passione
ovvero la musica rock.

"Il cervello non invecchia, anche se la nostra visione del mondo può irrigidirsi, e magari tendiamo più a blaterare sui bei tempi andati... I falsi entusiasmi dell'esistenza cominciano ad attenuarsi dopo i cinquanta. Le giornate si accorciano, i doloretti si moltiplicano, l'andatura rallenta, però alcuni vantaggi ci ricompensano del resto. Con la calma arriva una rinnovata considerazione per ciò che abbiamo e la determinazione di sfruttare al meglio gli anni che ancora ci rimangono."