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giovedì 28 febbraio 2019

Recensione Narrativa: IL PRINCIPE ZALESKI di Matthew P. Shiel.



Autore: Matthew P. Shiel.
Titolo Originale: Prince Zeleski.
Anno: 1895.
Genere: Giallo.
Editore: Sellerio Editore, 1986.
Pagine: 136.
Prezzo: 7 euro.

A cura di Matteo Mancini.
"E' splendidamente pazzo... c'è della magia nella sua opera" commentava Ralph Strauss in riferimento alla produzione di Matthew Phipps Shiel. Origine curiosa quella di Shiel. Figlio illegittimo di un ufficiale della dogana irlandese (secondo altre fonti di un predicatore), nasce sull'isola di Montserrat, nei Caraibi, partorito da una schiava mulatta. Nono figlio, unico maschio, viene nominato a quindici anni, dal vescovo di Antigua, Re di Redonda, un'isola disabitata tra Nevis e Montserrat, col titolo di Re Felipe I.
L'esperienza caraibica va stretta al giovane Matthew che a sedici anni emigra a Londra, affascinato dalla narrativa. Prende la laurea in medicina, ma non è interessato alla professione. Le sue frequentazioni sono legate ai salotti popolati dagli scrittori decadenti. Stringe amicizie importanti, con Oscar Wilde, Robert L. Stevenson e Arthur Machen (di cui si ritrova vicino di casa) che lo portano a debuttare quale narratore nel 1895, a trent'anni, con l'antologia breve Prince Zaleski. La produzione diviene presto copiosa, facendo di Shiel un autore interessato al fantastico ad ampio raggio. Si interessa dalla fantascienza alla narrativa del terrore senza disdegnare il giallo. In particolare focalizza la propria attenzione, a partire da The Yellow Danger (1898), sul pericolo orientale costituito dai cinesi, tanto da rivelarsi un vero e proprio precursore in anticipo su Sax Rohmer (si pensi al diabolico dottor Fu Manchu) e gli altri. Scriverà tre importanti romanzi sull'argomento.
Nel 1901 da alle stampe l'opera per cui è maggiormente ricordato ovvero La Nube Purpurea, dando il là al filone catastrofico che, per motivi vari, vede l'umanità assottigliarsi fino a estinguersi quasi del tutto, fatto salvo per un unico personaggio che si trova costretto a vagare nella desolazione, alla ricerca dei propri simili. Un plot che, nel novecento, sarà saccheggiato da autori quali Richard Matheson e Stephen King con opere che passeranno alla storia del genere, basti pensare Io Sono Leggenda (1954) e L'Ombra dello Scorpione (1978). Un'altra opera famosa di Shiel è L'Isola degli Inganni (1908), una via di mezzo tra la sci-fi e il fantastico.
Penalizzato da uno stile barocco e arcaico, ottiene meno successo rispetto ad altri colleghi del periodo, tanto che verrà tradotto in Italia in grave ritardo (nel 1967, a venti anni dalla morte, uscirà la prima edizione de La Nube Purpurea) e non otterrà menzione né nel volume francese pubblicato dalla Edipem sotto il titolo I Maestri della Letteratura Fantastica né all'interno del corposo studio di David Punter intitolato Storia della Letteratura del Terrore. Nonostante ciò, riesce comunque a farsi apprezzare negli Stati Uniti, soprattutto negli anni '30, grazie a una lunga corrispondenza con August Derleth (il prosecutore della scuola lovecraftiana) che culmina nella pubblicazione di un lotto di racconti del terrore per la Arkham House. Howard Philips Lovecraft gli dedica una pagina nel suo L'Orrore Sovrannaturale nella Letteratura. Il solitario di Providence scrive che l'autore, "di quando in quando, attinge vertici di orribile fascino." A parte La Nube Purpurea, l'attenzione del collega si concentra sui racconti Xelucha (1903), un horror necrofilo con venature di erotismo perverso, e The House of Sounds (1897), rilettura del capolavoro di Edgar Allan Poe Il Crollo della Casa Usher, quest'ultimo giudicato "l'indiscutibile capolavo di Shiel."
La vita dell'autore è tutt'altro che tranquilla. Nel 1914 viene condannato a sedici mesi di lavori forzati per violenza carnale nei confronti della figliastra dodicenne. Negli anni venti finisce sospettato di avere idee di impronta fascista e gusti omosessuali. 
Vive gli ultimi anni della propria esistenza all'insegna del delirio. Tenta di dar vita a una nuova dottrina, di impronta laico-religiosa, chiamata la Religione della Scienza, con l'obiettivo, alquanto improbo, di soppiantare il cristianesimo. Predispone dei rituali ben precisi che provvede a scrivere in delle carte che scompaiono nel nulla alla sua morte, che interviene nel 1947 a ottandue anni, sebbene nessuno comunichi per diversi mesi l'avvenuto decesso. Morto l'uomo, prende vita il mito. A poco a poco, l'opera di Shiel scala gli ideali gradini che conducono al gotha dei grandi maestri del settore. "Benché ignorato dalla massa dei lettori, Shiel è autore di alcuni tra i più meravigliosi romanzi in lingua inglese" affermerà Victor Gollanez. Arnold Bennett, invece, lo definirà "erudito, filologo, inventore, stilista."

M.P. SHIEL

Matthew P. Shiel debutta nel mondo editoriale con l'antologia gialla, composta da tre racconti, Prince Zaleski. L'opera, definita "poliziesco intriso di decadentismo estetizzante", si inserisce nel sottogenere lanciato, tra gli altri, da Edgar Allan Poe (l'August Dupin de I Delitti della Rue Morgue, 1841) e Conan Doyle, con l'intramontabile Sherlock Holmes de Uno Studio in Rosso (1887), caratterizzandosi però per alcune peculiarità. Ci troviamo dunque nell'ambito dei c.d. detective fin de siècle ma, a differenza degli altri detective protagonisti della carta stampata del periodo, il protagonista di Shiel è legato al decadentismo. Nobile russo decaduto, costretto all'esilio dall'amata terra, Zaleski è un reietto, coltissimo e misantropo con interessi poliedrici (egittologia, studio dei crittogrammi, filosofia, grafologia, medicina, psicologia, fisica), vive in un'enorme e diroccata struttura, aggredita dalla vegetazione e dai topi, confinato in una stanzetta all'interno della torre di pertinenza della dimora. E' forte il retrogusto di un romanzo cardinale, nell'ideale manifesto del decadentismo poi esaltato da Oscar Wilde, come Controcorrente (1884) di Karl Huysmans. Come il protagonista dello scrittore francese, Zaleski si è isolato dal mondo, non vuol più saperne della contemporaneità tanto da non interessarsi a quanto avvenga fuori dal suo ristretto mondo. Ragione della fuga dalla realtà "un amore sfortunato e tormentato" da cui il Principe non è stato più in grado di riprendersi. A parte il narratore delle storie, non lo cerca nessuno ("Il mondo aveva smesso rapidamente di interessarsi a lui") e la cosa ha un forte impatto malinconico nel lettore, poiché si tratta di un uomo che avrebbe potuto dare molto alla società, solo se avesse avuto più fortuna ("Non sono mai riuscito a ricordare senza pena il fato del Principe Zaleski"). Appare preda dell'ozio, in attesa della morte da eludere per mezzo dello studio. Quando si impegna alla soluzione del caso lo fa con riluttanza, cedendo soltanto alle pressanti richieste dell'unico amico ammesso nel suo ritiro. Vive attorniato da opere d'arte, mummie e oggetti da collezione, assistito da un gigante Etiope con cui, forse, ha un rapporto di natura superiore alla semplice natura lavorativa. "Quando spinsi il portone ed entrai nell'edificio, fui colpito dalla fantasia saturnina di quell'uomo imprevedibile, che aveva scelto un sito tanto desolato per trascorrere i suoi giorni. Mi appare come un ampio mausoleo, che celasse sepolti genio, cultura, intelligenza, grandezza."
Un po' alla stregua di Sherlock Holmes, Zaleski è un fine pensatore, un filosofo, dotato di un acume tale da lasciar sospetto che sia depositario di poteri divinatori. Consumatore di cannabis sativa, si interessa, quasi sempre passivamente, a casi insoluti che gli vengono posti da un amico, nientemeno che lo stesso Shiel, che si spinge a trovarlo per sentire la sua versione su accadimenti su cui nessuno riesce a venire a capo.

Uomo di intelletto, piuttosto che d'azione, non si muove mai dalla sua abitazione (fa eccezione l'ultimo dei tre racconti). Risolve i casi comodamente sdraiato su una poltrona, con un lungo processo deduttivo intervallato da lunghe (e talvolta noiose) elucubrazioni di impronta filosofica che lasciano perplesso e stupefatto Shiel.
"Era l'uomo del mistero. Io, che lo conoscevo meglio di chiunque altro, sapevo che era impossibile conoscerlo. Era un essere che apparteneva poco al presente: con un braccio cingeva l'intero passato, mentre nell'altro gli pulsava il battito del futuro. Mi dava l'impressione di avere capacità risolutive non solo guardando indietro, ma anche in avanti, e ho saputo che ha predetto eventi futuri con estrema precisione. Tutto in lui era superlativo... La sua memoria non era soltanto straordinaria, ma aveva il segno dello strano, del pitico, del sibillino. Il suo intelletto possedeva la leggerezza di un giovane camoscio, e a meno di non riuscirne a seguire l'impressionante velocità dei singoli passi, che lo portavano ad altezza vertiginose, lasciava storditi e confusi, con l'impressione di una onnipotenza mentale."
Lo vediamo alle prese con tre storie, Shiel ne scriverà una quarta (non inclusa nel volume della Sellerio) nel 1945 a cinquanta anni di distanza dalle altre tre, molto arzigogolate. L'autore opta per una struttura che non aiuta il pathos. Vediamo Shiel raccontare, di volta in volta, al Principe le premesse che stanno a capo di un diverso mistero su cui poi Zaleski dovrà ragionare decriptando, a poco a poco, i vari misteri così da pervenire alla spiegazione chiara e precisa degli eventi verificatesi. Ne vengono fuori dei racconti molto dilatati, portati troppo per le lunghe dall'autore con una cura estrema dei particolari che non è idonea a rendere accattivante la lettura. Il genere delle storie è ascrivibile al giallo puro, anche se latita l'azione. Si tratta di analizzare fatti passati per scoprire cosa sia successo. Zaleski scioglie tutti gli intrighi con una capacità mentale che sfiora doti medianiche. Lievemente aiutato dall'uso di oppiacei, snocciola al suo invitato tutti i punti salienti compresi i quali giungere alla conclusione diviene un'inevitabile deduzione. Eccetto nell'ultimo racconto, S.S., il migliore del lotto, dall'indagine non segue l'azione, per così dire, ma si perviene alla mera comprensione dei "perché" sottesi ai comportamenti tenuti dai soggetti dei racconti narrati in premessa da Shiel
Alla fine resta un po' di amaro in bocca anche se si notano le doti da poeta del macabro dell'autore. Tutto viene, a mio modesto parere, rovinato dalla struttura poco atta a creare tensione. Alla fine, più che le storie e gli intrecci, a interessare sono le caratterizzazioni del malinconico protagonista e della sua dimora.

Nella prima storia, La Stirpe degli Orven, Zaleski dovrà capire cosa si celi dietro l'omicidio di un conte, con una serie di altri eventi, tra cui furti e altri delitti, verificatosi in simultanea con la morte dell'uomo. Più intrigante La Pietra dei Monaci di Edmundsbury in cui, il cambiamento di colore di una pietra preziosa, contenuta all'interno di uno scrigno, getta in paranoia colui che era stato incaricato di rubarla (un rappresentante della mitica setta degli Assassini) e persino il proprietario, con entrambi convinti che l'originale sia andato smarrito, il primo pensando che il proprietario l'abbia celato e il secondo che l'altro l'abbia rubato.
Nel racconto S.S., dal titolo sinistro e quasi profetico (riferimento a quanto avverrà in Germania con l'avvento di Hitler), Zaleski si troverà alle prese con una setta legata all'ideologia greca, chiamata Società di Sparta, intenzionata a ripulire il mondo dalle persone malate e deboli, così da evitare la dedadenza della razza umana. "Hanno mosso una guerra sconsiderata contro la vita inferma." Zaleski, nel testo, condanna questa organizzazione segreta per i metodi (omicidi rituali con delle pergamene piegate e collocate sotto la lingua di vittime apparentemente date per suicida), ma non nella sostanza. Una posizione che desta perplessità e rende comprensibile il motivo per cui Shiel verrà tacciato di simpatie filo fasciste. "Abbiamo un flagello, i cui effetti sullo stato moderno sono uguali a quelli che la guerra aveva sullo stato antico, ma che risulta assai più distruttivo. Il nome di questa pestilenza è la Scienza Medica... Grazie a essa noi mettiamo la massima diligenza nella preservazione dei peggiori... Mai nel corso della storia il sole brillò su uomini più divinamente vigorosi, o su donne più perfette, che nella vecchia e severa Sparta. Come tutti i mortali dovevano subire la morte, ma erano certi di essersi definitivamente liberati dalla malattia... La malattia determina l'indebolimento e l'estinzione degli uomini e delle nazioni." In altre parole Zaleski evidenza come la medicina, riuscendo a tenere in vita soggetti affetti da malattie o disturbi trasmissibili in via ereditaria, determini un indebolimento generale nella produzione. Un'ottica alquanto fredda e crudele, che rende l'uomo assimilabile alle politiche connesse all'allevamento animale dove, per andare in razza, si devono verificare le attitudini e la perfezione degli esemplari destinati alla riproduzione. 
Nel testo, al di là di queste pericolose posizioni, compare anche un evidente critica all'atteggiamento psicologico che guida l'uomo moderno. Un aspetto che è ancora molto di moda ai giorni nostri. Vediamo infatti verificarsi, a seguito dei primi omicidi della setta, un assurdo effetto emulazione, poiché i media, tramite i giornali, diffondono la notizia di una serie di inspiegabili suicidi. "L'ondata di suicidi ha avuto origine nell'istinto di imitazione così comune negli uomini, non devi tuttavia pensare che si tratti di un processo mentale consapevole. Una persona sente l'impulso di muoversi e agire, ma non si rende conto che al fondo è soltanto l'impulso di muoversi e agire seguendo un esempio. Negherebbe con forza questa tesi."

Il Principe Zaleski è dunque una breve antologia, composta da tre racconti gialli, che è molto interessante nell'analisi della figura del detective di fine secolo e che si pone, fallendo, quale alternativa alle ben più spettacolari storie di Sherlock Holmes. Shiel ha fatto assai di meglio.


"In quei momenti è come se il nervo ottico della mente si distorcesse in intere comunità, sino a riconoscere nella figura del Mietitore senza naso e col mantello nero il più puro angelo dell'amore. Come una vergine matura, logorata dalla sua verginità, cede alla tensione del desiderio che la consuma, l'anima, oppressa dalla contingenza del vivere, ha gli stessi deliqui, gli stessi desideri, e cede debitamente alla tomba, facendo della morte il suo adultero amante" (Matthew P. Shiel, stralcio dal racconto SS).




martedì 12 febbraio 2019

Recensione Narrativa: SATANA E' DONNA di Gualberto Titta (aka Paul Carter)



Autore: Gualberto Titta (meglio conosciuto come Paul Carter).
Genere: Horror.
Anno: 1962.
Edizione: Antonino Cantarella, collana I Racconti di Dracula, N. 30.
Pagine: 100.

Commento a cura di Matteo Mancini.
Secondo romanzo dato alle stampe per la collana I Racconti di Dracula da Gualberto Titta, che si firma Paul Carter. Abbiamo già analizzato il profilo dell'autore anni fa, in occasione del suo debutto sulla collana di Antonino Cantarella, avvenuto nel 1960 con Le Belle e i Mostri (http://giurista81.blogspot.com/2014/06/recensione-narrativa-le-belle-e-i.html). Titta pubblicherà altri undici romanzi per questa collana, dedicandosi poi a tutt'altro genere.
Satana è Donna è un romanzo che prende le mosse in modo classico, inserendosi in quel sottofilone del genere gotico proprio della seconda metà dell'ottocento, per poi fungere da racconto "anti-fantastico". La trama vede un trentenne, trasferitosi in Inghilterra, fare ritorno nelle Highlands scozzesi per prendere possesso di un possedimento ereditato dallo zio prematuramente defunto e privo di eredi diretti.
Gualberto Titta, un autentico globe trotter che ambientava ogni storia in uno stato diverso da lui stesso frequentato, è molto bravo a ricostruire le ambientazioni e l'atmosfera senza far rimpiangere penne più conosciute. Il romanzo ha un ottimo abbrivio e diventa molto ammiccante sul versante erotico ("Poi, alle sue spalle, chiara, netta, definita in un baluginante alone lattiginoso, una donna. Una bionda, giovane donna, vestita solo delle proprie chiome dorate; a cavallo. Che fosse giovane era evidente dalla sodezza delle forme, dalla slanciata vigoria delle membra, ma non si poteva averne la certezza, perché sotto la fluida onda luminosa dei capelli, orrendo e ripugnante, non c'era che un teschio!"). L'autore riesce con grande piglio a costruire un substrato fatto di leggende, riti satanici, spiriti in cerca di vendetta che ritornano dall'aldilà per compiere la loro missione. Una cornice tuttavia che altro non è che un coacervo di credenze che qualcuno pensa bene di artefare per volgerle a proprio favore. Purtroppo la parte finale non è all'altezza delle aspettative. La componente superstiziosa, fatte di racconti di fantasmi, maledizioni e abazie sconsacrate votate al maligno, finisce per giocare un ruolo fondamentale in una storia che diviene tutto tranne che esoterica. In altre parole, Titta costruisce una parvenza che lascia pensare al fantastico ma poi, come in diversi racconti inseriti nella raccolta Carnacki di William H. Hodgson, si scopre che è in corso una macchinazione per far impazzire l'erede e indurlo al suicidio così da poterne incamerare i beni. I fantasmi non sono altro che immagini diffuse da un proiettore. Le allucinazioni di cui cade vittima il protagonista altro non sono che la conseguenza di alcuni allucinogeni disciolti nel vino. Titta forza un po' la mano e non è sempre credibile. Nell'incontro, durante una tormenta di neve, tra il protagonista e il fantasma della cugina defunta (che è invece l'ex amante dello zio defunto che si finge l'altra), da cui si sente tremendamente attratto fisicamente, le ingenuità non si contano. Si parte dal fatto che il protagonista finisce nel luogo (l'abazia abbandonata) per mero caso, a quello che vuole la femme fatale recarsi in tale luogo nonostante le evidenti difficoltà per spostarsi e l'assoluta incertezza su dove si recherà il protagonista. Il lettore viene portato, con ogni mezzo, a pensare di essere al cospetto del paranormale, anche per effetto di una serie di interessanti disquisizioni sull'anima e il cervello quale organo prediletto come sede delle emozioni, per poi scoprire una maccinazione terrena.
Niente di nuovo al fronte, dunque, seppur ben narrato. Spicca l'ilarità dell'autore, già ampiamente intuita nel precedente romanzo. Titta inserisce alcuni personaggi che sono delle vere e proprie macchiette, sia per impaccio fisico sia per le battute che proferiscono. Ecco subito alcuni esempi: "Ho raccomandato a quelli di More Castle di lasciargli piena libertà, controllata s'intende" dice un personaggio con l'altro che rimarca: "Una specie di regime sovietico... Ognuno è libero di fare quello che piace a chi comanda." Oppure l'espressione "sei vanitoso come il gallo, che crede che il sole si levi per sentirlo cantare."
Lo stile narrativo è fresco, privo di fronzoli, e cadenza un bel ritmo. A livello di contenuto è inferiore a Le Belle e i Mostri e non gode di grande originalità. Peccato per il finale che sembra più indicato per un giallo che per un romanzo del terrore.
Sergio Bissoli, a nostro avviso con ampio credito, lo reputa un capolavoro.

GUALBERTO TITTA

"Ma le passioni e i sentimenti sono forse del corpo oppure dell'anima? Sono dell'anima, giovanotto! Il corpo le serve soltanto! Il corpo è uno schiavo!"

sabato 9 febbraio 2019

Recensione Narrativa: SUDARIO NUZIALE di Frank Graegorius.



Autore: Libero Samale (meglio conosciuto come Frank Graegorius).
Genere: Horror.
Anno: 1964.
Edizione: Antonino Cantarella, collana I Racconti di Dracula, N. 56.
Pagine: 101.

Commento a cura di Matteo Mancini.
Quarto romanzo pubblicato dal dottor Libero Samale, a firma Frank Graegorius, sulle mitiche pagine de I Racconti di Dracula. Il romanzo esce nel 1964 dopo tre perle della produzione di Samale ovvero I Sussurri delle Streghe (1962), Il Golem (1963) e Nostra Signora Morte (1964). Faranno seguito altre ventiquattro pubblicazioni.
Sudario Nuziale, sottotitolato Ansia, è un romanzo che, pur mantenendo l'impronta squisitamente onirica e il suo continuo giocare tra illusione e realtà tipica della penna di Samale, si discosta dal racconto di stampo folkloristico caro all'autore. Samale plasma una storia che è fatta di duplici contrasti in continua lotta tra loro così da miscelarsi e confondersi, rendendo impalpabile la natura iniziale dell'uno e dell'altro. Dalla lettura emerge la continua lotta tra amore-odio; realtà-sogno; bene-male; follia-normalità; scienza-superstizione; desiderio carnale-desiderio intellettuale. Un conflitto perenne che mina le certezze, le sgretola, le frantuma e lascia nella totale incertezza. Il protagonista, un biologo con qualche scheletro nell'armadio (in senso metaforico del termine), vive un incubo a occhi aperti da cui non riuscirà a destarsi e che, a nostro avviso, simboleggia in chiave simbolica la crisi esistenziale di mezza età. Il rimorso per la morte di un giovane compagno di giochi (ucciso nel corso di una battaglia che rimanda a I Ragazzi di Via Pal, romanzo di Molnar del 1906), ma soprattutto l'abbandono di una fidanzata ormai convinta di aver trovato l'uomo della propria vita, tornano a torturare la quiete notturna. Un abbandono, quest'ultimo, che ha determinato la fine della giovane poi deceduta per i postumi della tubercolosi, ormai svuotata di ogni voglia di vivere.
Il Dottor Kann, questo il nome del protagonista, è un egoista , un uomo che ha sempre anteposto la carriera alla vita privata. "Sei sempre stato un freddo egoista. Non prevedesti però che Martha ti amasse al punto da non riuscire a vivere senza di te. Quando lo sapesti, ti sembrò di impazzire; perché non sei mai stato abbastanza coraggioso da sopportare il rimorso delle tue mascalzonate. Sei un egoista, ma vuoi sempre apparire virtuoso davanti a te stesso." Ecco che vengono plasmati i contorni di un uomo che altro non è che un arrivista che soffoca le emozioni; immagina, fantastica rapporti che non ha poi il coraggio di tramutare in realtà, perché ne teme le responsabilità. Prova un'attrazione smodata per la propria assistente, eppure non le svela i propri sentimenti, non si rivela, sebbene lei non aspetti altro. "Si era imposto la regola di evitare qualsiasi relazione galante con il personale femminile alle sue dipendenze. Voleva evitare che i sentimenti intralciassero il suo lavoro scienitifico." E così snocciola lezioni all'università, tiene convegni, viene invitato a feste con la crema della cittadina e concede consulti illuminanti finché, un bel giorno, non si accorge che le cose importanti nella vita sono altre. Se ne accorge in un modo traumatico, in quella che prende le forme di una vera e propria neuropsicosi da stress. Samale, che era psichiatra, si trova al centro di tutte le sue passioni. La scienza medica con lo studio psicoanalitico da una parte e l'occultismo e l'esoterismo dall'altra. Cerca una commistione che riesce a centrare, dando il là a una delle sue opere più personali, sospese tra realtà e immaginazione. Minato nella salute mentale, il protagonista vive un vero e proprio shock mentale che riporta a galla rimorsi e sensi di colpa, lasciandolo nello sconforto, ma soprattutto senza più una bussola orientativa. Perde ogni controllo e ogni certezza; trema, si dispera, finisce in clinica psichiatrica sottoposto a cure e osservazioni. Tutto vacilla. "Tutta la vita è un equivoco, un'illusione" e pertanto quello che poteva sembrare rilevante è in realtà irrilevante e viceversa. Ecco allora che irrompe la necessità dell'amore, di un qualcuno a cui concedersi, con cui condividere i propri segreti e a cui offrire l'ideale timone di guida nella triste esistenza che vede ogni creatura condannata a morte, unico finale certo che Samale però cerca di sconfessare (lo vedremo dopo). Kann trova questa musa nell'assistente del suo psichiatra, una donna che gli ricorda la fidanzata scomparsa e che, per molti aspetti, si sovrappone proprio a lei, specie nei momenti più intimi. "Sarah, amica mia! Non mi tradire. Ho fede in te e in te sola" rivela al giovane amore che stravede per lui, eppure è impotente alla situazione che sta per travolgere la coppia. Samale traccia così l'evoluzione del personaggio che passa da individualista a un qualcuno che si appoggia sugli altri, che ha bisogno di un aiuto per sottrarsi dalla follia che lo sta per risucchiare. I due si sposano, tentano così di esorcizzare le assurde visioni ipnotiche che scuotono la stabilità mentale del protagonista, che vive esperienze che si ripetono, alla stregua di un loop, senza lasciare traccia nel ricordo di coloro che interagiscono col protagonista quasi che fossero sogni ripetuti in una lunga serie. "Avrebbe fatto meglio a chiedere alla ragazza di sposarlo. Solo mettendo su casa poteva fugare per sempre il timore di quelle crisi d'angoscia acuta" scrive l'autore, a testimonianza di quella che è una vera e propria crisi esistenziale che il protagonista cerca di superare con la via del matrimonio. Niente di più sbagliato.

Su questa sottotraccia psicologica, Samale monta l'apparente storia fantastica che vede al centro delle visioni oniriche del protagonista uno psichiatra dedito alla magia nera. Quest'ultimo, il Dottor Krause, viene definito nel testo un moderno Dottor Fausto (sembra in realtà più un freudiano, che ricorre a stanze contenenti oggetti che hanno la funzione di far emergere traumi dall'inconscio). In realtà si tratta di un mero tramite che funge da collegamento tra il mondo dei vivi e il mondo delle ombre, un immaginifico contesto in cui si aggirano le anime in attesa di ritornare in vita. In questo mondo delle ombre, descrito da Samale con eccezionale potenza evocativa, gli spiriti che hanno avuto nel protagonista la loro causa di morte tramano in attesa di vendetta. Se uno di questi è intenzionato a condurre il protagonista nelle maglie della follia e da questa in quelle della perdizione, l'altro spirito è combattuto da due sentimenti opposti. Quest'ultimo è infatti rappresentato dall'anima della storica fidanzata del protagonista. Pur se defunta, la vecchia fidanzata prova ancora amore verso l'antica fiamma, non a caso riesce a tornare sulla Terra grazie la via della possessione per cercare di vivere quelle emozioni di cui erano impregnati i propri migliori giorni. Si impossessa infatti del corpo dell'assistente del dottor Krause, approfittando di un infarto subita dalla stessa, e ne coglie l'occasione per sedurre il suo antico fidanzato, ormai in balia di una crisi esistenziale. Ray Bradbury, in un suo storico racconto intitolato La Sirena (1951), scriveva che "qualcuno ama sempre qualcosa più di quanto questa qualcosa ami lui. Dopo un po' ti viene voglia di distruggere questa cosa, qualunque sia, in modo che non possa più farti soffrire." L'amore dunque quale sentimento capace di elevare al settimo cielo un uomo (o una donna), ma anche di farlo sprofondare negli abissi della perdizione. E' un po' la situazione che viene a crearsi nella fattispecie se non fosse che il soggetto al centro della vendetta si "rinnamora" della sua vecchia fiamma celata sotto nuove spoglie. "Amore, ce n'è voluto per convincerti!" sussurra la donna, al termine della seduzione. Samale tratteggia i momenti erotici con rara sensibilità, evitando ogni forma di volgarità. Per tale via traccia quella che è una storia di amore dalle forti tinte fosche e cupe, un amore evidentemente maledetto dal fato e per questo impossibile da compiersi. "Questo non è amore, è una malattia mortale! Sarah mi distruggerà!" teme il protagonista che ben presto scoprirà, durante un amplesso, chi si celi davvero nel corpo di Sarah. "Martha! Martha! Tu sei Martha!" griderà, colmo di estasi, trovando conferma nella donna. Ma se da una parte troverà comprensione o, quanto meno, il sentimento d'amore e dunque una volontà di perdono e di salvezza, dall'altra via non vedrà tramutarsi l'odio in un sentimeno positivo. Il secondo spirito, quello del giovane dodicenne morto durante la disputa territoriale, ne determinerà la lunga discesa negli scantinati dell'edificio di proprietà dello psichiatra. E' eloquente il messaggio simbolico e metaforico con cui Samale carica l'evento, dando una parvenza fantastica a un orrore che è più mentale che ultraterreno (la discesa nelle fauci della follia e del delirio), traducendosi nella potenza dei sensi di colpa e nella loro capacità di gettare nella disperazione chi ne è funestato. Il protagonista vedrà svanire l'amore quando questo sembrava esser stato recuperato (Samale regala uno spettacolare e onirico inseguimento, da parte di un pipistrello, in una landa desertica di sale in cui la coppia sprofonda prima di vedersi piovere contro l'uccello notturno). Giunto negli scantinati si troverà al cospetto della propria bara e di quella della sua amata, mentre il cadavere del dodicenne del tempo che fu si desterà dalla propria tomba sotto la forma di un pipistrello assetato di sangue. Samale descrive la componente horror con una maestria unica. "A un tratto, la salma di Paulus, animata da una terribile maledizione, cominciò a impicciolire, a diventare scura e pelosa. Le braccia si trasformarono in ali membranose. Spuntarono grosse orecchie. Si trasformò in vampiro. I suoi occhi fosforescenti conservavano l'espressione di odio protervo. Il vampiro prese il volo e alitò aria gelida e fetida intorno alla testa di Fritz, che lanciò un grido strozzato. L'orrendo mostrò andò ad appendersi sotto una delle lampade, tenendovisi aggrappato con gli artigli."
Gli antichi orrori, sepolti nelle profondità del tempo che fu, tornano a vivere e vampirizzano il protagonista, facendogli compiere il passo definitivo verso il non ritorno, verso una follia incurabile, poiché chi è stato attinto da certi orrori non può più tornare quello che era prima. Il "nostro" si troverà così a subire la fascinazione del male, pur non accettando il suo nuovo stadio nei momenti di riflessione, e a volare nella notte nelle forme di un pipistrello assetato di sangue. La trasformazione in bestia farà emergere i desideri assopiti e castrati, precedentemente piegati a favore delle esigenze di natura civile. E così, ormai libero da ogni freno inibitore, il nostro volerà presso la casa della sua assistente (il vero amore mai dichiarato, peraltro contraccambiato ma solo in segreto per ragioni di timidezza e di ruoli) e ne approfitterà per fare quello che avrebbe sempre voluto fare: possederla carnalmente. "Non riusciva a dormire. Una terribile inquietudine gli impediva di riposare. Udì un lontano latrato, che si trasformò in uggiolio, in ululato... Corse alla finestra, guardò fuori. Il plenilunio inondava la strada, accentuava le ombre, riempiva l'atmosfera d'una luce azzurrina triste e malvagia. La faccia pallida della luna aveva l'aspetto di un cadavere putrefatto. Friz si sentì pervadere di una furia omicida. Dentro di lui l'istinto della violenza; tutto il suo essere diventò brama di sangue, desiderio incoercibile d'affondare i denti nella gola di una fanciulla. Montò in piedi sul davanzale, con le braccia alzate. Nel delirio della follia gli apparve l'immagine di Rosy. Era addormentata nel suo letto coi biondi capelli sparsi sul cuscino e le labbra socchiuse in un sorriso. Friz sentiva che stava sognando di lui. Ghignò e spiccò un salto. Il suo ultimo pensiero fu: «Ecco, adesso mi sfracello sul selciato e la faccio finita.» Ma non si sfracellò. Volava spedito verso la luna piena, avvinto al terribile destino dei vampiri..."

Sudario Nuziale è così un romanzo solo apparentemente horror, una vera e propria caduta nella spirale della follia che genera ansia e angoscia nel lettore. Lo studioso e scrittore Sergio Bissoli l'ha giudicata, a ragione, "la più complessa e raffinata opera di Samale... Una galleria di incubi e di allucinazioni che costituisce una finestra aperta sulle profondità dell'inconscio."
Samale ne approfitta inoltre per condire il tutto con alcuni momenti di valenza esoterica. In prima battuta sposa la tradizione classica dell'antica Grecia, rappresentata dal mito del fiume Lete presso il quale si abbeveravano le anime prima di rinascere all'interno di nuovi corpi, così da cancellare la memoria delle precedenti vite. Traccia infatti l'idea di un'esistenza che non cessa alla semplice morte dell'uomo, ma che si tramanda nei secoli, rinnovandosi di volta in volta (gli spiriti rivelano di aver vissuto molte vite e di attendere di scendere in nuove altre vite). Straordinarie, forse tra le più belle dell'intera produzione dell'autore, le descrizioni del regno delle ombre. Stralci di pittorica letteratura fantastica che confermano, per l'ennesima volta, la poetica macabra dell'autore. "Il lago dei morti sembrava formato dalle lacrime della sterminata moltitudine di uomini, apparsi sulla terra fin dagli albori dei tempi. Una lunga fila di ombre bianche e vagamente luminose avanzava silenziosamente, sfiorando con i piedi ignudi la superficie dell'acqua. Erano fanciulle dal volto esangue, con le mani abbandonate e il sorriso vuoto dei morti. Erano uomini un tempo muscolosi, ma infacchiti da un'indolenza mortale. Sui prati tenebrosi, alcuni personaggi ammantati e silenziosi se ne stavano sdraiati... Sui loro volti c'era il marchio duro della tragedia. In cielo la pallida luna guardava il mondo delle ombre e sembrava dosse stata dipinta sul fondale del Nulla da una mano demoniaca... L'acqua ormai plumbea si frange in sbavature giallastre. In alto masse di vapori si accavallano, formano torrioni minacciosi ed effimeri. Sulla spiaggia piatta e sconfinata indugia il crepuscolo. Qualche pietra a forma di cranio, qua e là, affiora dalla sabbia."
Notevole potenza evocativa, ma anche uno stile che guarda con piacere all'aggettivazione un po' come erano soliti fare gli scrittori della rivista weird tales. Un modo di narrare che potrebbe sembrare ridondante ad alcuni lettori ma che, a nostro avviso, impreziosisce e definisce le visioni onirche di Samale.
Sudario Nuziale è, senza ombra di dubbio, uno dei romanzi più profondi e melanconici dello scrittore, un testo che sintetizza le due componenti della sua anima: la psichiatria e l'occultismo di valenza folkloristica. Due materie, un po' come i vari aspetti che vengono a contrapporsi nel romanzo, in perenne lotta tra loro.

La prima delle due trilogie
pubblicate dalla DAGON PRESS
dedicate ai romanzi di Libero Samale.

"La donna non è mai amica dell'uomo. Sarà sua madre, sua sposa, sua figlia, sua amante o tutte queste cose insieme; ma non sarà mai un'amica per lui. Fra loro due c'è la traccia del serpente."

mercoledì 6 febbraio 2019

Recensione Narrativa: I SUSSURRI DELLE STREGHE di Frank Graegorius



Autore: Libero Samale (meglio conosciuto come Frank Graegorius).
Genere: Horror.
Anno: 1962.
Edizione: Antonino Cantarella, collana I Racconti di Dracula, N. 31.
Pagine: 95.

Commento a cura di Matteo Mancini.
Quarto volume che leggiamo e recensiamo nato dalla penna del Dottor Libero Samale, trentatreesimo grado del Grande Oriente d'Italia, uscito come primo di una serie di trenta dati sulle stampe della collana I Racconti di Dracula del nobile siciliano Antonino Cantarella.
I Sussurri delle Streghe, presentato quale romanzo di Frank Graegorius (nome di battaglia di Samale), è un classico della produzione nera dell'autore originario di Firenze. Un horror a tutti gli effetti che punta sul mix folklore e onirismo. Samale prende per mano il lettore e lo conduce nell'Irlanda dei primi anni sessanta, in aperta campagna dove ancora si annidano le credenze popolari legate al druidismo e ai riti ancestrali gravitanti attorno al maligno. L'orrore di Samale è un orrore legato alla tradizione, spesso e volentieri cristiana. I Sussurri delle Streghe non si dissocia da questa caratteristica. Un giovane irlandese torna nel paese natio dopo una lunga permanenza a New York e subisce l'impatto magico della sua terra.
Samale porta avanti la storia plasmando un'atmosfera che lambisce i territori onirici e li sovrappone a quelli reali, in una dicotomia che stordisce il protagonista che si trova in difficoltà a discernere tre il reale e il fantastico.
Samale fa riemergere antichi riti blasfemi di fine cinquecento e lo fa con dei personaggi che altro non sono che dei "portali viventi" che fungono da canale di collegamento tra la vita terrena e quella spirituale. L'anima di un'antica strega, intrappolata in un masso che forma un cromlech (una sorta di Stonhenge in piccola scala), grazie a una giovane dotata di straordinari poteri medianici e di un rito condotto da alcuni archeologi inglesi, si libera dal sortilegio che l'aveva intrappolata nel masso e torna a muoversi nel mondo dei vivi. Lo fa soprattutto negli incubi degli abitanti della piccola e immaginifica Rock Glendall, suscitando follia e perdizione in chi ha la sventura di incrociare il proprio cammino con quello della donna. Il ritorno alla luce dell'antico male risveglia anche l'erede dell'uomo che, a fine cinquecento, aveva condotto al rogo la strega. Quest'ultimo vuole riuscire laddove l'erede aveva fallito. Vuole infatti avere un rapporto sessuale con la strega, donna di straordinario fascino e bellezza, che, tuttavia, lo rigetta. "Ti rifiutasti di scaldare il mio letto, ricordi? E ti feci brucare viva! Sfuggisti all'annientamento nascondenti nella rupe; ma ora è tempo che tu esca e mi dia tutto il piacere che mi aspetto da te. Sei mia, Isolda, lo sai?" questo il proclama del folle uomo, contaminato dal male al punto da assumere le vesti del caprone durante il sabba orgiastico finale che precede l'epilogo. Fortissima la componente sessuale, pur se mai volgare, sia da un punto di vista descrittivo sia, soprattutto, da innesco a tutta la storia. Nella fattispecie il mondo occulto e maligno di Samale è legato agli impulsi sessuali.

In mezzo a questa serie di malefici e riti viene a trovarsi il protagonista che, suo malgrado, si trova al centro di un intrigo di desideri amorosi. Soggetto fin troppo materialista, cerca di risolvere il tutto giustificando ogni visione con la scusa dell'allucinazione o della superstizione. Una tecnica di autodifesa dalla follia che non può durare molto e che farà strada alla presa di coscienza. Inoltre finisce con l'innamorarsi, nel giro di poche ore, di tre donne diverse che incarnano,se vogliamo, i tre distinti profili di donna di un'ideale concezione kantiana. Abbiamo la ragazza della porta accanto, di sani principi e integerrima. Poi abbiamo la ragazza maledetta e disinibita, che pratica la stregoneria ma che ama così tanto il suo uomo da sacrificare la propria vita in suo favore. Infine abbiamo la strega femme fatale, quella che infuoca l'animo e fa impazzire il cuore al semplice contatto visivo. Una bellezza mortale che persegue il suo fine seduttivo con atteggiamento dominante.
Samale plasma tutto con un'eccezionale capacità evocativa. Il punto di forza dell'opera non è nell'intreccio, ma sono le capacità descrittive dell'autore così bravo da rendere onirico il romanzo dall'inizio alla fine. Straordinario nelle minacciose descrizioni ambientali, ma anche nei continui inserti erotici che corredono il testo. Samale ha un vero culto della donna, lo si percepisce. I balletti dei suoi personaggi femminili sono ipnotici, indeboliscano la ragione e risvegliano l'istinto animale, quello incontrollabile, quello dominato dall'istinto. "Ti considero una strega, nel senso che mi affascini come nessuna donna è mai riuscita a fare. Penso che tu mi abbia fatto la malia" confessa il protagonista alla seconda delle donne sopramenzionate, un bellissima giovane un tempo sua compagna di giochi e ora invisa al popolo che la crede, a ragione, una megera.
Alla fine, complice il sacrificio di una delle tre amanti, il bene trionferà e il protagonista sceglierà la via della ragazza pura, ma sarà poi proprio così...? Manco a dirlo. A volte il richiamo del proibito, del blasfemo e della perversione è troppo forte per essere rigettato. Entrato in possesso del rito da seguire per risvegliare la strega, nel frattempo di nuovo intrappolata nel masso di partenza, il "nostro" inizia a essere consumato da una tremenda e incofessabile tentazione. La vita gli ha concesso tutto. Ha una donna che lo ama, ha la tranquillità e la prospettiva di una vita felice, eppure... c'è qualcosa che ha conosciuto, qualcosa che ha intravisto e gli ha toccato corde emotive che nessun altra cosa ha saputo rianimare alla stregua di un uomo che ha conosciuto la potenza illusoria della cocaina e ora non può più placare il desiderio di quella sensazione di onnipotenza provata in quel primo assaggio. "Katryb mi sta chiamando, pronta a donarsi come un fiore all'azzurro del cielo... Isolda, dalle tenebre mi chiama, pronta a bruciare  con me sul rogo dell'amore perverso. Che faro? Quale sarà la mia scelta?" Già il solo fatto di permettere al dubbio di insinuarsi nella mente, di consentire, seppur per un attimo, di formulare un'idea tanto distruttiva da esser presa in considerazione, ci porta a risolvere il quesito per conto del protagonista che non vuole accettare quella che sarà la sua scelta. Il fascino del male e del proibito sono seduzioni troppo forti per non lasciarsi abbandonare nella voragine che conduce alla perdizione definitiva.

Samale tratteggia momenti di eccezionale quanto sinistra bellezza. Inventa poco sotto il profilo dell'intreccio, voli di streghe, creature vampirizzate, caproni che condudono riti sabbatici, ma è estremamente potente nel narrare. Un Algernon Blackwood delle nostre latitudini, che scrive con una poetica tradotta in prosa e con un linguaggio consono a un pubblico delle edicole. Purtroppo viene penalizzato dalla natura dei lettori a cui erano dirette le opere, dal dover giostrare con quel taglio da feuilleton votato al pulp che andava per la maggiore nell'underground del secondo dopoguerra. Nonostante ciò riesce a impreziosire il testo con alcuni spunti filosofici incentrati su una critica dei tempi moderni in difesa delle tradizioni. "Penso che l'uomo, travolto oggi da un'ondata di meschino materialismo, abbia bisogno di qualche testimonianza che lo induca a pensare al proprio destino dopo la morte, dato che la morte non è che un passaggio da uno stato di esistenza a un altro." Ecco che l'uomo irlandese, ancora legato alle tradizioni e non ottenebrato dalla frenesia della vita di città, viene definito possessore di una capacità smaritta dagli altri uomini ovvero quella di "possedere un orecchio interno con cui socchiudere uno spiraglio sul mondo invisibile." Dalla lettura del testo si evince infatti che ci sono due realtà in gioco. Quella percebile dai cinque sensi e quella che si cela oltre e che si sviluppa in parallelo, una realtà in cui si muovono gli spiriti. Ma nel ventesimo secolo il mondo è cambiato e anche il diavolo ha modificato i suoi piani. Il presunto sviluppo sociale e la cultura, che dunque vengono caricate di un'accezione negativa, hanno portato l'uomo moderno a deridere quanto raccontato dai vecchi. Il diavolo non fa più paura e così viene accettato, accolto nella propria vita, eletto indirettamente a Dio a cui rivolgere le proprie richieste e a cui prostrarsi. Il dio che concede il successo, offre potere, soldi e donne. "Il diavolo si è insinuato nella vostra politica, nella vostra scienza, nella vostra vita di ogni giorno. Un tempo questo non era possibile, perché la gente viveva nel timor di Dio. Gli indemoniati, gli ossessi, altro non erano che esseri in lotta contro Satana. Oggi no. La gente accetta i demoni e li accarezza, fornendo loro le armi della cultura e del pensiero. I demoni, oggi, stanno fra la gente per bene, e non succhiano più sangue, preferiscono sottrarre all'uomo la volontà, il pensiero, il sentimento, la gioia, la forza vitale e ne restano che delle povere larve umane , dei cadaveri ambulanti." Difficile sconfessare Samale che, in fatto di uomini e di occultismo, ne sapeva ben lunga.

Il romanzo è stato raccolto nell'ottobre del 2010 dalla Dagon Press in un volume composto da un trittico di romanzi di Frank Graegorius che hanno aperto il là, grazie alla collaborazione di Sergio Bissoli (grande cultore della collana e dell'autore), alla riscoperta di tutta una serie di autori italiani che hanno fatto la fortuna de I Racconti di Dracula e che erano finiti nell'oblio al decorrere degli anni.

In definitiva è un romanzo non eccelso sul versante contenutistico, ma notevole sotto quello descrittivo e per quanto riguardano le atmosfere. Libero Samale, magari non era un asso nella costruzione di soggetti elaborati capaci di dettare nuove vie, ma era un grande poeta del macabro, un giudizio questo che è innegabile e sotto gli occhi di tutti. Lunga vita, nel ricordo, al grande maestro.

LIBERO SAMALE
in arte FRANK GRAEGORIUS.

"Ogni irlandese considera il corpo una prigione e la sua anima tenta di aprirsi delle feritoie per gettare uno sguardo sull'invisibile mondo del soprannaturale, verso il quale sente una struggente nostalgia."