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giovedì 24 marzo 2022

Recensione Narrativa: LA PESTE di Albert Camus.

Autore: Albert Camus.
Titolo Originale: La Peste.
Anno: 1947.
Genere: Drammatico.
Editore: Bompiani (2017).
Pagine: 336.
Prezzo: 13.00 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini. 

La Peste è un'ideale conclusone di un percorso avviato nel 1349 dal Decameron di Boccaccio, proseguito nel 1722 da The Journal of the Plague Year di Daniel Defoe e un secolo dopo da I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni; un percorso che ha visto un progressivo affrancamento della tematica peste dalla realtà fenomenica che ha investito le sorti dell'umanità verso una narrativa di pura ideazione artistica. L'opera di Camus costituisce l'apice di questa evoluzione sebbene l'autore, che dieci anni dopo sarà insignito del Premio Nobel (per la letteratura), vi giunga, forse, un po' fuori tempo massimo, pubblicando il romanzo quando la malattia era scomparsa da secoli dall'Europa. Lo scrittore francese abbandona ogni proposito di ricostruzione storica (si parla di un'ondata di peste realistica ma di totale invenzione) e plasma un'opera narrativa a tutto campo. La peste, presente con le caratteristiche già indicate dagli autori sopramenzionati (sia in forma bubbonica che polmonare), colpisce una prefettura francese della costa algerina (Orano) e qui viene isolata e contenuta. L'inizio lascia intendere un romanzo dal discreto ritmo e dalle tonalità macabre. Una strage di topi funge da preludio all'arrivo della malattia che, sulle prime, si cercherà di nascondere con quella sorta di “trufferia di parole” che racconta Manzoni nei Promessi Sposi. A poco a poco il lettore si rende però conto che le attenzioni dell'autore si concentrano sulla condizione dell'uomo quale essere vivente, in un'ottica che vada al di là della mera valutazione materialistica. La malattia, pertanto, pur essendo costantemente al centro della narrazione in quella che è una sorta di cronaca di fantasia attraverso la quale presentare il progressivo diffondersi del contagio, funge da metafora di altro. Se Manzoni, da perfetto cattolico, confidava sulla divina provvidenza, Camus, che invece era un ateo, sembra non schierarsi in favore di nessun orientamento, quasi fosse un sofista che non accetta trovare risposte univoche al cospetto di ciò che non è a misura d'uomo.

Il background di filosofo dell'autore emerge all'ennesima potenza nella caratterizzazione dei tanti personaggi e soprattutto nei dialoghi tra questi (vero punto di forza del romanzo). La religione, il concetto di Dio, la violenza, la pace, l'eroismo, la separazione dalle persone amate e soprattutto l'amore, inteso quale unico sentimento per il quale si dovrebbe morire, divengono la vera ragione che sta a fondamento del romanzo. La peste, degna rappresentante del male nel mondo, è allora occasione di riflessione, un qualcosa che sospende i ritmi abitudinari, impone una pausa e spezza quel ciclo giornaliero che rende cieco l'uomo e gli fa intuire che le supposte verità in cui esso confida sono fragili e tendenti al falso. In questo consiste l'allontanamento dell'uomo dal sacro. Non è sufficiente pregare o andare a messa per essere investiti dal sacro, una condizione a cui si può tendere anche senza ammettere l'esistenza di un Dio, suggerisce Camus.

Qual'è allora il senso della vita? Camus dimostra il suo genio non tanto nell'intreccio, che avrebbe anche qualche sbavatura (i ristoranti, i bar, i cinema e i teatri restano aperti per tutto il corso della peste, da aprile a gennaio), bensì nel proporre le tante sfaccettature della questione. Lo fa impiegando personaggi ben distinti, dal medico Rieux per il quale la vita è una continua lotta contro il male a prescindere da ciò che si celi oltre, al gesuita Paneloux che invece vede nel male un'occasione di elevazione attraverso la quale imboccare la via verso l'eternità in un'ottica per la quale il male non va combattuto ma accettato quale volontà divina. In mezzo a queste due posizioni estreme si colloca Tarrou, che ambisce a diventare santo a prescindere dall'esistenza di un Dio, ripudiando la violenza in ogni sua forma e vedendo in essa la vera peste che flagella l'uomo e che porta lo stesso ad acconsentire alla morte di suoi simili trovando per buone le ragioni e i principi da cui la stessa è derivata. Un'ottica per la quale il senso della vità diverrebbe la conoscenza e dunque il superamento dei limiti umani che portano sempre al male.

Posizioni diverse che trovano la giusta alleanza in una situazione contingente in cui è indispensabile fare fronte comune.

Camus è un pacifista, evidenzia il suo no alla guerra e ai totalitarismi, tanto che più di un critico ha visto nel romanzo una metafora della piaga del nazismo.

Si intuisce pertanto la natura autoriale del romanzo, a tratti pesante e tendente a ripetere alcuni concetti, quali quello della separazione, del ripudio della morte e dell'ingiustizia di un Dio che si scaglia sugli innocenti (i bambini). La conclusione a cui sembra giungere Camus è che “l'uomo non sia più capace di amore” anche se il romanzo termina con la conclusione, un po' ottimista, per la quale “ci sono negli uomini più cose da ammirare che cose da disprezzare” e che, pur non potendo ambire a essere santi e rifiutando di accettare i flagelli, “tutti gli uomini si sforzano di essere medici”, intendendo con quest'ultimo sostantivo coloro che lottano contro il male che contamina, prima di tutto, l'amore degli uomini e li rende, per questo, pestilenziali e contagiosi (violenza genera violenza). Alta letteratura quindi per un romanzo che necessita più di una lettura per essere compreso in ogni suo substrato.

 
L'autore ALBERT CAMUS

Ne ho abbastanza di gente che muore per un'idea. Non credo all'eroismo, so che è fin troppo facile e che uccide. A me interessa che gli uomini vivano e muoiano per ciò che amano.”

lunedì 14 marzo 2022

Presentazione letteraria: DECAMEROVIRUS a cura di Gianfranco De Turris


Presentazione a cura di Matteo Mancini.

Dopo Il Ritorno dei Grandi Antichi (2020), antologia strutturata su due volumi e dedicata alla narrativa di Howard P. Lovecraft, il Maestro Gianfranco De Turris torna a proporre una nuova antologia ispirandosi al Decameron di Boccaccio e, soprattutto, alla pestilenza del nuovo millennio. Un occhio dunque al passato e uno al presente con venti autori, molti dei quali noti ai lettori della narrativa fantastica italiana e del Giallo Mondadori, chiamati a raccogliere la sfida presso il castello di un conte friulano mentre fuori imperversa il covid-19. A giostrare i fili di questo immaginario teatrino c'è il “più quotato” curatore italiano ancora in vita dedito al fantastico poiché, senza andare a pescare nella sua sterminata produzione del secolo scorso, basta ricordare alcune delle più riuscite antologie interamente italiane degli ultimi anni che propongono il fantastico in una varietà di temi tali da rendere imperdibile ogni uscita. L'impegno del Gianfranco De Turris curatore è passato dal giallo fantascientifico offerto dall'antologia Sul Filo del Rasoio (trovate nel blog la recensione), edita nel 2010 sulle pagine della serie Giallo Mondadori, all'ucronia italica rappresentata dall'imperdibile antologia Fantafascismi (Bietti Edizioni, 2018), al tributo felino costituito da Il Libro dei Gatti Immaginari (Jouvence, 2016), al catastrofico sulla scia della profezia Maya Apocalissi 2012 (Edizioni Bietti, 2012) fino a toccare l'orrore e a riproporre autori dimenticati della proto-fantascienza italiana in modo da riportarli in auge grazie a Le Aeronavi dei Savoia (Edizioni Nord, 2001).
 
Preceduto da questa lunga serie di antologie, il 10 marzo è arrivato nelle librerie di tutta Italia Decamerovirus, edito da Homo Scrivens (Napoli). Il volume sarà presentato ufficialmente mercoledì 23 marzo, alle ore 17.00, presso la Libreria San Paolo, in Piazza San Giovanni in Laterano, a Roma. Saranno presenti alcuni autori, il direttore editoriale Aldo Putignano e soprattutto Gianfranco De Turris. Un'occasione dunque unica per tutti gli amanti del fantastico italiano che potranno incontrare di persona gli artefici di questo progetto. 

De Turris, del resto, è un nome che non ha bisogno di presentazioni nell'ambito della letteratura fantastica. Saggista, scrittore, giornalista, vice-caporedattore del Giornale Radio Rai per la cultura, ideatore del programma di Rai Radio 1 L'Argonauta, consulente editoriale per le Edizioni Mediterranee, direttore di molteplici riviste di critica fantascientifica e/o fantastica e presidente del Premio J.R.R. Tolkien per tutto l'arco temporale in cui lo stesso è stato vigente (1980-1992). Queste sono solo alcune delle innumerevoli cariche e attività tenute nel corso degli anni da De Turris, conosciuto anche quale esperto di storia delle religioni, mitologia, filosofia ed esoterismo. A lui si deve lo sdoganamento in Italia di autori quali Howard P. Lovecraft (pubblicato per la prima volta in Italia da Fruttero & Lucentini), Tolkien e Gustav Meyrink (già in precedenza proposto sul mercato italiano dal filosofo estremista Julius Evola, anch'esso oggetto di studio approfondito da parte di De Turris). De Turris non si è limitato a proporre i grandi maestri della letteratura, ma ne ha offerto una rilettura coraggiosa e all'epoca rivoluzionaria, del tutto distaccata dalle opinioni di colleghi ancorati su visioni decisamente superficiali. A inizio anni settanta, per la Fanucci Editore, De Turris (insieme a Sebastiano Fusco) è stato il primo che ha “innalzato” la letteratura fantastica dal basso rango di letteratura di mero intrattenimento a cui era stata ridotta dalla critica ufficiale e dai giornali. In quegli anni, e in parte anche oggi, il fantastico era considerato materia per ragazzini frustrati. De Turris e Fusco, contrariamente ai colleghi ancorati su posizioni meno rischiose e convenzionali, operarono una revisione dei testi al fine di portare alla luce da essi una versione moderna del Mito. Il fantastico avrebbe pertanto avuto una forte radice collegata a un profondo passato (la cosiddetta “storia sacra delle origini”) e non sarebbe pertanto stato il frutto della prima Rivoluzione industriale.

Undici volte vincitore del prestigioso Premio Italia sia come curatore, che scrittore (ha pubblicato svariati romanzi e racconti), saggistista e autore di articoli pubblicati su riviste, De Turris è stato uno dei principali divulgatori del fantastico in Italia, una figura monumentale eppur non tributata a dovere a causa di una critica politicizzata (orientamento di sinistra) mirante a ridurne l'importanza per le simpatie destrorse che De Turris, se è vero che siamo in una democrazia, ha manifestato in più di un'occasione. Al di là delle critiche, resta oggettivo che il sapere di De Turris sia tale da renderlo un'enciclopedia vivente del fantastico, uno studioso appassionato e appassionante che si porta dietro un aspetto che funge da collante a tutte le sue molteplici iniziative: la qualità.

domenica 13 marzo 2022

Recensione Narrativa: DIARIO DELL'ANNO DELLA PESTE di Daniel Defoe

Autore: Daniel Defoe.
Titolo Originale: A Journal of the Plague Year.
Anno: 1722.
Genere: Drammatico / Cronaca / Storico.
Editore: Elliot (2014).
Pagine: 210.
Prezzo: 17.50 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini. 

Pubblicato nel 1722, a oltre cinquant'anni dalla “Grande Peste di Londra”, A Journal of the Plague Year dimostra, in tempi di covid 19, quanto ancora sia attuale il testo e quanto l'indole dell'uomo non cambi al passare dei secoli.

Daniel Defoe, reduce dal romanzo Robinson Crusoe (1719) che gli avrebbe concesso l'immortalità nel mondo letterario tanto da farne “il padre del romanzo moderno”, lo stende per ragioni economiche. L'occasione arriva quando a Marsiglia, nel 1720, arriva l'ultima grande ondata europea della “Peste Nera”, una tremenda epidemia apparsa a fine medioevo, nel 1346, e ancora operativa nel vecchio continente.

Defoe si trasforma nel Tucidide dell'epoca moderna, il celebre storico greco che, per la prima volta, nel 400 a.c. descrisse nel suo La Guerra del Peloponneso gli effetti sulla società di un'epidemia altamente infettiva, guardando anche alla cornice del Decameron di Boccaccio. Dal primo arriva la supposta ragione che sottende la stesura del volume (permettere a coloro che verranno dopo di farne tesoro qualora dovessero ritrovarsi in occasioni simili), mentre dal secondo viene ripresa la descrizione dello scoramento collettivo e della progressiva perdita del senso etico.

Pur non essendo stato testimone diretto degli eventi della “Grande Peste di Londra”, che imperversò quando Defoe aveva appena sei anni, l'autore si cala negli immaginari panni di un ispettore chiamato a vigilare sull'osservanza delle ordinanze sindacali emesse nell'anno 1665 per far fronte al male. Attraverso il ricordo di questo personaggio, che narra i fatti in prima persona, Defoe ricostruisce nel dettaglio l'anno della peste. Lo fa però in un modo più prossimo al saggio che al diario o al racconto di narrativa, sebbene vi siano aneddoti all'interno presentati a mo' di racconto. Lo stile e il lessico sono semplici e piuttosto moderni, nonostante l'autore torni troppo spesso su alcuni concetti, rendendo in più parti ripetitiva la lettura.

Aneddoti, documenti d'epoca e probabilmente resoconti raccolti per le vie di Londra si mischiano in un volume che ricostruisce in ogni sua componente la Londra del 1665. Rileggendo le pagine di questo volume tornano alla memoria i mesi appena trascorsi. Defoe focalizza l'attenzione sul tema degli asintomatici, per sottolineare che nessuna misura può essere idonea a bloccare l'epidemia quando non è possibile comprendere chi siano i malati. Tornano poi i temi del coprifuoco notturno (dopo le ore 21) con chiusura di birrerie, bar e locande, ma anche delle quarantene imposte a carico di malati e di chi ha avuto contatti con gli stessi, e persino la previsione di forme primordiali di green pass (per uscire dalla città) e di proposte di tamponi per verificare il buon stato di salute dei cittadini. Defoe loda di continuo sindaco e apparato burocratico ma, al contempo, delinea un quadro apocalittico in cui si percepisce l'orrore della morte, la disperazione e il delirio dei contaminati nonché le proteste dei cittadini che non tollerano le misure restrittive. Il taglio artistico-letterario viene sacrificato in favore dell'immediatezza e della cronaca storica, soluzione quest'ultima che rende agevole la lettura.

Leggere A Journal of the Plague Year è dunque un'occasione per tuffarsi in un lontano passato che permette di guardare i nostri tempi con un occhio che ci fa comprendere quanto, alla fine dei conti, le cose non cambino mai, con buona pace del progresso e della scienza.

 
DANIEL DEFOE
 
La peste è simile a un grande incendio: se dove si verifica ci sono poche case contigue, può bruciare solo quelle poche case o, se si appicca a una singola casa isolata, può bruciare solo quella in cui è cominciato, ma se si appicca a una città costruita con gli edifici l'uno attaccato all'altro nel propagarsi la sua furia aumenta e si abbatte su tutta la zona devastando tutto quello che riesce a raggiungere.”
 

sabato 5 marzo 2022

Recensione Narrativa: IL RITORNO DEI GRANDI ANTICHI - PARTE SECONDA a cura di Gianfranco De Turris.

Autore: AA.VV..
Curatore: Gianfranco De Turris.
Anno: 2020.
Genere:  Horror tributo Lovecraft.
Editore: Delos.
Pagine: 240.
Prezzo: 15,00 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.

Seconda parte, in rigoroso ordine alfabetico per autore, dell'antologia Il Ritorno dei Grandi Antichi, a cura di Gianfranco De Turris. Abbiamo già presentato e analizzato il primo volume e, pertanto, rinviamo a quanto già scritto circa la natura del progetto e gli obiettivi che ne stanno alla base.

Quattordici racconti proseguono la prima parte senza che vi sia, rispetto a essa, una cronologia di stesura o di divisione per tematica. Autori noti, per esser stati letti anche sulle pagine Mondadori, quali Giulio Leoni, Nicola Lombardi, Pierfrancesco Prosperi, Errico Passaro, Nicola Verde e Antonio Tentori, si alternano ad altri conosciuti nel panorama meno commerciale del fantastico italiano e a qualche nuova proposta (tra cui il sottoscritto). Un mix che si presenta piuttosto omogeneo e che propone il mito dei grandi antichi lovecraftiani in un'ottica sociale dai risvolti profetici, col suo suggerire contaminazioni, sovversioni politiche e persino esplosioni di quelle che parevano essere improbabili guerre in contesto europeo. La trasfigurazione dei corpi, la corruzione sociale, l'aumento esponenziale del crimine e il governo ombra sono altre sottotracce che fungono da trait d'union tra i tanti autori, i più dei quali orientati ad ambientare le loro storie in scenari italici.

Tra tutti i racconti spicca Cireneo Fauno del giornalista RAI Adriano Monti-Buzzetti, al quale va il nostro ideale premio per il miglior racconto dell'antologia. La tradizione papalina del 1514 si intreccia alla contemporaneità con una scoperta, dagli scavi vaticani, che riporta alla luce il corpo di una bestia simile a un elefante pronta a liberarsi definitivamente e a corrompere l'umanità partendo direttamente dalla benedizione del papa. Monti-Buzzetti accenna a Papa Leone X, ai due elefanti che gli furono donati, uno dei quali amatissimo dal pontefice mentre l'altro, rapito dallo Sri Lanka dove era venerato alla stregua di una divinità (alla King Kong), odiatissimo per il suo atteggiarsi a creatura assetata di sangue e capace di assumere il controllo delle menti degli uomini. Atmosfere alla Dan Brown e omaggi a Frank-Belknap Long per un racconto di primissimo livello, ben gestito fino al terrificante epilogo.

Il male che non muore mai è ripreso da Giulio Leoni e dal suo Il Segreto del Tassidermista. Un'operazione di restauro di un'abitazione semi-abbandonata porta alla scoperta di misteri che sarebbe stato bene non sciogliere, primo tra i quali quello legato alla misteriosa scomparsa di un bizzarro conte che era stato in contatto epistolare con Lovecraft. L'uomo, un collezionista di strani animali pervenutegli da ogni parte del mondo per essere imbalsamati, viene rinvenuto privo di vita in una stanza segreta dell'edifico in compagnia di un essere solo in apparenza deceduto e che lo stesso aveva tentato di imbalsamare.

Molto interessanti La Carne Yiigssh del sempre bravo Luigi Musolino e Il Suono delle Tenebre dell'emergente Jiri Padoan. Entrambi piuttosto convenzionali per soggetto, si rivelano ben gestiti con punte di orrore puro centellinato grazie a una sapiente gestione della tensione. In particolare Luigi Musolino ricorda certe storie di Robert Ervin Howard miscelato a Lovecraft e alla tematica del pericolo giallo rappresentato dalla Cina. Ambientato in un contesto campestre piemontese, la perdizione dell'uomo parte dal vizio della gola e da questa conduce alla disgregazione del comune vivere fino alla trasformazione corporea in creature “nuove”, serpentiforme, destinate ad annullarsi nel grande uno. “È un cambiamento immane che passa da un cibo che corrompe mente e corpo annullando tutto ciò che ci identifica.”

Padoan sposta l'orrore nel mondo delle musica ipnotica, infarcita di formule magiche e suoni studiati su testi occulti così da permettere ai grandi antichi di svegliarsi e condurre il mondo alla fine dei tempi. Giostrato con una serie di flashback e il tentativo di un recensore di condurre un'intervista al leader di un gruppo di heavy metal, Il Suono delle Tenebre si chiude in crescendo apocalittico che sfocia in un eccelso epilogo, allusivo (un po' alla James Blish di Black Easter), che suggerisce lo scoppio di una guerra che, in questi giorni, non appare poi così lontana. Segue la via della diffusione massmediatica che porta alla corruzione delle menti Nicola Lombardi con L'Ultimo Show. Testo satirico sulla deriva televisiva di questi ultimi anni, tra reality show e personaggi pubblici decaduti per problemi d'amore e vizi del gioco che vengono risollevati dalla tv e non perdono occasione per promuovere il loro ultimo libro nei varietà popolati da vallette e tuttologi. In tale contesto, va in scena un'invocazione in diretta tv agli antichi ormai prossimi a tornare nella nostra dimensione.

Non troppo dissimile è Il Risveglio del Dio del Caos di Nicola Verde in cui si immagina un sotterraneo, sepolto sotto un cumulo, nella campagna sarda. Là sotto attende l'idolo di un demone, associato al Belzebù della tradizione cristiana ma in realtà legato a esseri molto antichi, pronto a muoversi nel “nostro” mondo per sostituire l'umanità con una nuova progenie di creature antropomorfe (e dotate di un terzo occhio). Sulla stessa tematica, ma meno incisivo, Sotto le mura di Morteschio del critico cinematografico e letterario scuola “Profondo Rosso” Ivo Scanner. Bella la costruzione iniziale e l'ambientazione (ancora campestre) al servizio di un soggetto che fila bene fino al deludente finale. Scanner gioca con la storia politica italiana (siamo poco dopo la morte dell'onorevole Moro), i complotti e un'intelaiatura thrilling che paga un epilogo non all'altezza del resto del racconto. Tutto si “risolve” con un omicidio sacrificale che apre un canale diretto tra Arkham e l'Italia. Un'idea, quest'ultima, simile a quella di Nicola Verde che parla di “tunnel che collega il nostro spazio-tempo con il non spazio-non tempo dei Moloch, che possono attraversarlo soltanto se invocati con un sacrificio praticato attraverso un loro avatar terreno.”

Sotterranei misteriosi anche per Il Signore del Tempo di Pierfrancesco Prosperi, che immagina un sottosuolo del Louvre in cui burocrati e rappresentanti politici si ritrovano per trasmettere le energie rubate ai cittadini, costretti a perdere tempo e forze negli intrecci amministrativi (anima satirica di fondo), a un dio malvagio che attende seduto su un trono. Qual'è, allora, il mistero dietro cui si cela la burocrazia? Chi si nutre del tempo perso dai cittadini? Chi governa davvero il mondo?

Non mancano gli orrori acquatici rappresentati da Oltre la Torre di P Town di Matteo Mancini (il sottoscritto) in cui l'anniversario dei quattrocento anni dallo sbarco dei padri pellegrini in America (avvenuto nel 1620) si appresta, con tematiche ambientalistiche, per essere festeggiato da un nuovo arrivo dal mare dove, dei rumori registrati dai sonar sottomarini, sembra essersi risvegliato un essere non meglio precisato pronto a approdare nel nuovo mondo per ribaltare i valori.

Massimiliano Prandini col suo Octopus mette in scena un parco acquatico popolato da strane creature che mirano a sovvertire l'ordine sociale agendo direttamente sui ragazzini delle elementari, mentre i sacerdoti del culto tramano nell'ombra per modificare la percezione umana e fare dell'uomo un ignaro servo dei grandi antichi ormai prossimi a prendere il controllo del mondo.

Esseri microscopici evolvono rapidamente ne Il Seme degli Antichi e portano, un po' come in altri racconti (tra i quali Oltre la Torre di P Town, Cireneo Fauno, La Carne Yiigssh e Il Signore del Tempo), alla degenerazione dell'uomo che muta in qualcosa di alieno (e, nella fattispecie, antropofago). La trasfigurazione dei corpi è il tema anche de La Maschera di Cthulhu dello sceneggiatore (di Lucio Fulci, Bruno Mattei e Dario Argento) Antonio Tentori, che parla di un grandguignolesco rituale di invocazione, sul modello satanico, che prende una piega inattesa per l'officiante.

Fattrici di Dei di Errico Passaro è una sorta di Rosemary's Baby in salsa lovecraftiana. Tra realtà e psicosi, con l'idea, anche qua, del governo ombra retto da una razza ibridata. “I figli dei grandi antichi occupavano le cariche che contavano e, da quei posti di comando, stavano mandando il mondo allo sfacelo, ad un apparente autodistruzione: il politico che negava il riscaldamento globale e la rovina ecologica, il circolo di finanzieri che decideva nelle segrete stanze le sorti di cittadini e imprese, lo stregone di internet che falsava le elezioni con l'arma delle fake news e mandava al potere i suoi lubrichi sodali.”

Chiudiamo l'analisi col più complesso e aulico racconto, un mix di filosofia, metafisica, aspetti religiosi e tematiche junghiane, presentato da Enrico Rulli col suo Schiacciami L'Anima. Tornano l'idea del caos (inteso come annullamento delle polarità contrapposte) e la donna illustrata già al centro del “maledetto” ma eccelso Le Chiavi del Caos (scritto a quattro mani con Gianluca Casseri, poi spree-killer a Firenze), un volume di cui Rulli sembra portarsi dietro la follia con un protagonista vittima di una specie di sortilegio (liberato da uno strano reperto contenente la pergamena del Necronomicon) che lo porta a divenire un assassino e, più in generale, un agente che scatenerà il caos sulla terra facendo emergere la realtà e scacciando la menzogna costruita dalla presunzione dell'uomo.

Si completa così l'antologia su due volumi curata da Gianfranco De Turris. Un progetto indirizzato agli appassionati della narrativa del Solitario di Providence che coglie l'occasione per proporre il meglio del weird italiano, cercando di inserire nel contesto un piccolo gruppo di autori emergenti e nuove proposte. Colpisce per una certa omogeneità nel livello dei racconti con qualche punta in alto e poche in basso, a dimostrazione di una selezione che non ha tralasciato il valore dell'opere limitandosi ad accogliere quanto veniva proposto.

 


L'universo è parte di qualcosa di più complesso della menzogna in cui vive l'uomo. Tutto è retto dagli Dei esterni, supremamente indifferenti a questo universo, alle sue leggi e ancor più alle miserie umane.”