Elenco

  • Cinema
  • Ippica
  • Narrativa
  • Pubblicazioni Personali

giovedì 27 giugno 2019

Recensione Narrativa: AL CREPUSCOLO di Stephen King.



Autore: Stephen King.
Titolo OriginaleJust After Sunset.
Anno: 2008.
Genere:  Antologia Fantastico/Thriller/Horror.
Editore: Sperling & Kupfer.
Pagine: 530.
Prezzo: 11.90 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.
Appena sei anni dopo Tutto è Fatidico, Stephen King se ne esce fuori con una nuova antologia di racconti brevi, la sua quinta, data alle stampe col titolo originale di Just After Sunset, in Italia Al Crepuscolo. Tredici testi, molti dei quali fulminei, che non impressionano quanto sarebbe stato lecito attendere. La sensazione generale è che si tratti di un'uscita editoriale dettata da una richiesta avanzata dall'editore, quale riunione di un eterogeneo gruppo di storie concepite per far fronte alle pressioni avanzate da una lunga serrie di riviste che hanno commissionato racconti di svariato genere alla più celebre penna del terrore. In media, salvo qualche raro caso, il livello dei racconti, pur buoni per stile e scorrevolezza, pecca in modo evidente di originalità. Lo scrittore del Maine ricorre spesso all'autocitazione, oppure propone soggetti che si traducono in esercizi di stile a carattere impersonale. Conseguenza di ciò è un'antologia che, ad avviso di chi scrive, è notevolmente inferiore rispetto alle precendeti.

Tra i tredici racconti, brilla l'orrore cosmico di N., chiaro omaggio di Stephen King alla narrativa di Arthur Machen e di Algernon Blackwood.
Si tratta dell'unico inedito dell'antologia, ispirato, in base a quanto detto dall'autore, a Il Grande Dio Pan sebbene i legami più evidenti, a mio avviso, siano altri. Si respirano inoltre echi, per tematica, anche ad altre opere kinghiane quali i romanzi Buick 8 e Revival nonché il racconto lungo The Mist (posto in apertura della antologia Scheletri). Dall'autore gallese arriva l'idea dell'esistenza di un ipotetico velo che rende cieco l'uomo, celando la realtà (mostruosa) a beneficio di una realtà menzognera che altro non è che la vita di tutti i giorni. Da Blackwood arriva la potenza di una cornice ambientale capace di generare un brainstorming nel passante fin troppo sensibile al richiamo della natura. 
“La realtà è un mistero e la consistenza quotidiana della cose è la stoffa con cui ne mascheriamo luminosità e oscurità. Credo che per la stessa ragione copriamo il volto dei cadaveri. Vediamo il volto dei morti come una specie di porta. È chiusa... ma noi sappiamo che non sarà sempre chiusa... Ci sono posti dove la stoffa è stracciata e la realtà è sottile. La faccia che c'è dietro vi sbircia attraverso...”
King, da abile amalgamatore, recepisce le lezioni offerte da capisaldi del genere quali The Willows (1907) di Blackwood e The White People (1904) di Machen, per confezionare, col suo Ackerman's Field (ovviamente nel Maine), un ambiente naturale capace di solleticare quella che Blackwood chiamava “la psicologia dei luoghi” ovvero un'influenza tale da generare vertici di orrore cosmico che minano l'integrità psicofisica e inducono alla pazzia (nella fattispecie un cortocircuito indotto dalla necessità di contare e di scorporare quanto avvenuto alla ricerca di un significato ulteriore). Ne faranno le spese tre soggetti molto diversi, tra i quali uno psichiatra, influenzato dai deliri di un proprio paziente (l'N di cui al titolo) e incapace di sottrarsi dal vortice ossessivo-compulsivo scatenato dalla visione di un campo isolato in un bosco, dove un essere di una quarta dimensione - dotato di testa a elmetto e chiamato Cthun - sembra attendere il momento propizio per liberarsi da un cerchio magico composto da otto pietre (un vero e proprio stargate che ricorda Stonehenge) così da scagliarsi sulla terra.
Una certa prolissità e una ridondanza di argomenti penalizzano un testo altrimenti degno di esser accostato ai livelli dei capolavori del sopramenzionato duo scuola Golden Dawn. Interessante la struttura, piuttosto variegata, che segue la forma un po' epistolare e un po' del diario. A ogni modo, un ottimo racconto, trasposto peraltro in una serie a fumetti griffata Marvel.

Molto simpatico e piuttosto originale (di matrice squisitamente kinghiana) è Cyclette, in cui King immagina la battaglia metaforica tra un artista sovrappeso e il suo metabolismo chiamato a fargli perdere peso e rappresentato da una squadra di lavoratori. A fungere da collegamento è una particolare cyclette che gioca da portale per un altrove, un altrove fantasticoLa scelta dell'uomo di accelerare il metabolismo, ricorrendo a una serie di sedute di allenamento, porta alla ribellione dell'ideale squadra di lavoratori, in un parallelismo tra realtà e fantasia che alla fine travalicherà di campo in una sovrapposizione di piani.
Il protagonista immagina infatti di macinare chilometri, tracciando un percorso ideale tra il Nord America e il Canada e ponendo una serie di dipinti di sua ideazione così da stimolare una sorta di fantasia d'evasione. Non appena in sella alla cyclette, si troverà catapultato nella quiete boschiva fino allo squillo del timer che lo riporterà nella realtà. Si renderà presto conto che i suoi viaggi nella natura sono minacciati da misteriosi operai che si lanceranno al suo inseguimento, specie dopo il suicidio di uno di loro, incapace di tenere i ritmi dell'uomo. L'evento scatenerà le ire dei colleghi che andranno ad asserragliare l'artista nel garage di casa dove ha riposto la cyclette, uscendo dal quadro dallo stesso dipinto. L'obiettivo dei lavoratori sarà la distruzione dell'attrezzo di allenamento, evidentemente poco motivati a incrementare il proprio carico di lavoro per stare dietro ai ritmi del loro datore.
Sicuramente uno dei racconti più riusciti e originali, sebbene anche qua King utilizzi soluzioni già incontrate dai suoi lettori, tipo i dipinti che si modificano da soli come già avvenuto nel più riuscito Il Virus della Strada va a Nord contenuto in Tutto è Fatidico.

La copertina N
nella trasposizione a fumetti curata dalla
Marvel.

Il testo di apertura, Willa, fa invece leva sul mistero della morte e, più precisamente, su ciò che ci aspetta oltre il passo che ci separa dalla vita di tutti i giorni. Il tema è quello affrontato da M Night Shyamalan ne Il Sesto Senso (1999) ovvero quello del morto che, a poco a poco, si accorge del proprio status, credendo all'inizio di essere ancora vivo. King fa leva sulla variabile temporale e sul distacco dissociativo che porta un gruppo di passeggeri di un treno deragliato ad attendere il treno successivo, convinti di far ritorno alla loro vita. In realtà sono tutti morti sebbene non vogliano accettarlo. Venature romantiche, che sembrano suggerire che l'amore sopravviva alla morte e che, tutto sommato, il decesso non sia così drammatico (lo spirito dei morti resta nella vita di tutti i giorni, seppure invisibile ai vivi), garantiscono una visione ottimista che viene invece sconfessata altrove.

In Al Crepuscolo si notano poi, in modo assai evidente, gli strascichi del 11 settembre (2001) che confluiscono in ben due racconti e, in modo indiretto, in un ulteriore terzo. Uno di questi, Il New York Times in Offerta Speciale, richiama la tematica già affrontata in Willa, mettendo in correlazione i morti con i vivi. Nella fattispecie abbiamo un marito, deceduto in uno degli aerei schiantatesi sulle torre gemelle, che riesce a telefonare alla moglie due giorni dopo il decesso. L'uomo rivela di trovarsi in una grande stazione abbandonata e di non avere dolori. Capisce di esser morto, eppure non se ne capacita troppo. Fornisce altresì, seppur involontariamente, alcune profezie all'amata (che si verificheranno puntualmente) dicendo di esser preso dalla scelta di dover aprire una porta tra le tante che si trovano al suo cospetto. A differenza di Willa, dunque, i morti si trovano in un altrove di natura labirintica, impegnati a prendere scelte inconsapevoli che ne determinano il futuro. Buono spunto di partenza, che si perde poi in quell'indeterminatezza non a misura di uomo (per usare un espressione sofista).
Più drammatico è Le Cose che Hanno Lasciato Indietro, in cui un superstite del crollo delle Torri Gemelle rivive, per effetto di una serie di oggetti che compaiono misteriosamente nella propria abitazione, l'orrore, preludio della morte, provato dai colleghi rimasti intrappolati nell'inferno di fuoco scatenato dall'attentato aereo. L'uomo, vittima dei sensi di colpa, riuscirà a placare i tormenti consegnando i vari oggetti ai familiari dei colleghi morti. Ogni tentativo di disfarsene, infatti, sortirà effetto negativo. Pungente poi lo sfogo dell'autore, alla stregua di un urlo lanciato in alto, verso il grande architetto dell'universo: "L'hanno fatto in nome di Dio, ma non c'è nessun Dio. Se ci fosse un Dio li avrebbe folgorati tutti e diciotto nelle loro sale d'aspetto... Ma nessun Dio l'ha fatto!"
Sempre legato al tema terrorismo, seppur più generale, è Pomeriggio del Diploma. Racconto breve che denota l'abilità stilistica di King, pur essendo povero di contenuti. Qua viene esternato l'orrore massimo che sembra esser rievocato dai tempi della guerra fredda ovvero un attentato nel cuore della grande mela perpetrato con una bomba nucleare.

Incentrato sull'azione, pur se povero di contenuti, è Torno a Prenderti, una sorta di sceneggiatura innescata da un trauma (la perdita di una figlia) e su come questo si rifletta nella vita di tutti i giorni, portando il rapporto di coppia a collassare. King parte da ciò, caratterizzando assai bene una protagonista al femminile che trova nell'attività agonistica, nella fattispecie la corsa, la via per esorcizzare il dolore. La tematica, a circa metà racconto, viene tuttavia scalzata dall'incontro, casuale, con un serial killer. L'evento trasforma il testo in un concentrato, seppur impersonale, di suspence e tensione che richiama alla memoria Il Gioco di Gerald (1992). Imprigionata e imbavagliata dall'assassino, la donna si libera e ingaggia con lo stesso un confronto, dapprima all'interno di un'abitazione e poi sulla spiaggia di una cittadina della Florida. King dimostra eccezioanle attitudine all'action movie, con piglio cinematografico, tuttavia non inventando niente di nuovo e limitandosi a evoluzioni stilistiche. 
Appartenente al medesimo genere è Alle Strette, in cui King si diletta nel descrivere i tentativi, poi andati a buon fine, messi in atto da un individuo rinchiuso per vendetta all'interno di una latrina sradicata e precipitata giù in un dirupo. Testo molto dilatato, assai disgustoso con un personaggio invischiato tra urina ed escrementi, capace tuttavia di fuoriuscire da una situazione claustrofobica prossima a condurlo alla morte.

Su tematiche poliziesche si assesta Muto, elaborato costruito su un doppio binario costituito da un flashback (in cui il protagonista rivela la sua triste storia familiare a un autostoppista sordomuto) e da una ricostruzione resa a un prete davanti a un confessionale. L'uomo arriva a pensare che sia stato Dio (notare l'importanza simbolica della medaglina di San Cristoforo che passa dalle mani del protagonista a quelle del vendicatore per ritornare poi al suo proprietario) in persona a metterlo in contatto col reietto, un modo per salvarlo da un fallimento a lui non attribuibile. Il vagabondo, macchiandosi di un crimine atroce, gli salverà la vita civile e lo farà per solidarietà al fine di sdebitarsi del passaggio ricevuto. Aria dunque un po' blasfema, ma anche un modo per sottolineare quanto siano misteriosi i disegni del gran Dio.
L'autista è un marito tradito dalla moglie che, col suo racconto, ha involontariamente ordinato, a uno sconosciuto e apparentemente disinteressato alla comunicazione, l'assassinio della moglie adultera e dell'amante di quest'ultima. Scagionato dalla polizia, in quanto non coinvolto nell'evento e in possesso di alibi di ferro, l'uomo beneficia della polizza assicurativa sulla vita della moglie, per appianare il reato di appropriazione indebita perpetrato dalla stessa a carico della pubblica amministrasione. La donna infatti, presa da un amore malato verso un altro uomo, al fine di sentirsi giovane, aveva dato sfogo a una serie di acquisti compulsivi di mutandine, pensando poi di recuperare i soldi sottratti alla pubblica amministrazione dandosi al gioco d'azzardo (inevitabile lievitazione del debito). Finale un po' cattivo, all'insegna di un'ipocrisia di cui il protagonista si rende ben conto, gioiendo in cuor suo per un evento tragico che aveva accarezzato lui stesso di compiere senza averne forza e coraggio. Niente di nuovo, ma ben raccontato, alla faccia del famoso Delitto per Delitto di Hitchcock.

Il Sogno di Harvey riprende l'abusato cliché del sogno/incubo che si rivela premonitore. King introduce il racconto utilizzando, di contorno, un contesto familiare in cui la vecchiaia ha intaccato il sogno adolescenziale di una coppia di sposi. Senza guizzi e con poco costrutto. 
Non si differenzia troppo Area di Sosta, che riprende un vecchio cavallo battaglia di King ovvero la scissione della personalità tra un autore di romanzi gialli e la personalità fittizia che trapela dalle sue opere, così da dare l'idea dell'esistenza di un secondo individuo nascosto sotto un nome di fantasia che altro non è che lo pseudonimo dello scrittore. A far emergere l'indole cruenta e coraggiosa dell'alter ego è il casuale incontro, in un'area di servizio, di un coppia di fidanzati intenti a litigare all'interno di un bagno pubblico. La violenza del giovane nei confronti dell'indifesa ragazza porta il protagonista a ergersi a giustiziere. Bel ritmo, ma storia insipida.

Sensazione di racconto troncato sul più bello quella offerta da Il Gatto del Diavolo, che pare un testo ispirato dal celebre I Gatti di Ulthar di H.P.Lovecraft. King costruisce bene l'antefatto che porta un ex farmaceutico a ingaggiare un sicario per uccidere un gatto. Il vecchio è convinto che l'animale sia stato mandato dall'inferno per punirlo degli esperimenti condotti, nel corso degli anni, ai danni dei felini e che hanno portato al decesso di 15.000 gatti. L'animale, giunto d'improvviso presso la sua abitazione e apparentemente affettuoso, ha eliminato tre dei quattro componenti della famiglia, anche se i decessi sono stati archiviati quali incidenti o fatalità.
Il sicario accetta l'incarico, ma farà i conti con l'istinto omicida dell'animale. King costruisce bene la premessa del racconto per chiuderlo frettolosamente senza sviluppare a dovere l'intreccio. Inferiore, nonché diversissimo, alla sceneggiatura utilizzata per l'episodio centrale de I Delitti del Gatto Nero (1990), film diretto da John Harrison.
Nota curiosa è costituita dal fatto che si tratta di un elaborato dimenticato per anni da King e non ancora incluso in nessuna delle sue antologie. Pubblicato nel lontanissimo 1977 sulla rivista Cavalier, deve la sua pubblicazione in Al Crepuscolo solo per un accenno di un'assistente dello scrittore che, a quanto pare, era convinto di aver già pubblicato il testo in una precedente antologia. La cosa la dice lunga su quanto King apprezzi questa storia...

Con Ayana torna il tema già affrontato da King ne Il Miglio Verde ovvero quello dei miracoli. Come da tradizione nella narrativa dello scrittore del Maine, all'individuo benedetto dalla luce divina si sostituisce l'uomo comune investito di un male che, da contrappasso, rilascia un dono: quello di guarire gli altri. Una facoltà a tempo limitato a quanto pare. 

Questi i tredici racconti per un'antologia, a mio modo vedere, non proprio riuscita che patisce in modo importante il confronto con le precedenti firmate King, tanto da potersi definire la peggiore dell'autore. Cala in modo importante l'horror e, ancor di più, il fantastico. Solo quattro racconti possono definirsi horror puri (N., Il Gatto del Diavolo, Cyclette e Le Cose che hanno Lasciato Indietro), un altro paio possono qualificarsi quale fantastico (Willa e Il New York Times in Offerta Speciale), mentre il resto (più della metà del testo) è costituito da thriller o drammatici. Scarsa l'originalità delle storie, pur se narrazioni di piacevole lettura per stile e caratterizzazioni. Da acquistare solo per finalità di completamento dell'opera di King. Tranquillamente sorvolabile per gli altri. 

STEPHEN KING
e la copertina della prima versione italiana.

"C'è un mondo dietro questo mondo, pieno di mostri. Dei, Dei malefici."

mercoledì 19 giugno 2019

Recensione Narrativa - RIVISTA ZOTIQUE - Gennaio 2019.



Direttore e Curatore: Pietro Guarriello.
Genere: Rivista del Fantastico con saggi, interviste, recensioni e racconti originali di scrittori affermati.
Editore: Dagon Press.
Indirizzo di Redazione: Viale delle Orchidee, 6, Pineto (Te).
Numero: Anno II, N.2.
Testi in ordine di presentazione: Christian Lamberti, Pietro Guarriello, Ambrose Bierce, Donald Burleson, Cesare Buttaboni, Thomas Owen, Francesco Brandoli, Mariano D'Anza e Gertrude Atherton.
Pagine: 194.
Prezzo: 15,90 euro.

Commento di Matteo Mancini.
Secondo numero dell'attesissima Zotique che conferma la buona resa già riscontrata dalla prima uscita della rivista. Pietro Guarriello, studioso di lungo corso del weird e deus ex machina della Dagon Press, non cambia l'impostazione del debutto e prosegue nel suo cammino di divulgazione, affiancando nomi sacri del fantastico che fu a quelli di autori autoctoni emergenti, con un occhio di riguardo agli scrittori sottovalutati dalla nostra editoria ma reputati maestri altrove e alle fin troppo bistrattate "quote rosa" del weird. Ne viene fuori un'eccelsa amalgama tra saggistica, biografie e racconti inediti in italiano fregiati da firma d'autore.
Ospite d'eccezione del numero è il dissacrante Ambrose Bierce, scrittore americano ottocentesco celebre per l'aforismario satirico Il Dizionario del Diavolo (1906) e per la produzione incentrata su un orrore spesso connesso alle scene di battaglia vissute in prima persona ai tempi della guerra di secessione. "La realtà è il sogno di un filosofo impazzito" soleva dire, mantenendo per tutto il corso della sua carriera una spiccata abilità per il racconto breve spesso intriso di un affilatissimo sarcasmo.
Pietro Guarriello gli dedica cinquanta pagine, offrendo un'utilissima guida all'intera bibliografia dell'autore in Italia (fondamentale per capire cosa comprare in una rosa di proposte talvolta ripetitive) in cui sottolinea pregi e difetti dei vari volumi editi. La panoramica è preceduta dalla biografia piuttosto dettagliata dello scrittore, a sua volta anticipata da un coltissimo saggio teorico sulla narrativa dell'orrore (in gnerale) firmata da Christian Lamberti. A rendere più appetitoso l'omaggio alla sarcastica penna californiama contribuisce un quintetto di racconti tradotti per la prima volta in italiano e tutti legati dal trait d'union offerto dalla morte. Una Notte Gelida Un Sonno Leggero, assai simili, giocano sulla paura che l'uomo può provare nei confronti dei cadaveri dei propri simili. Assai intriso di black humor il primo, in cui un freddo pungente induce persino un cadavere a cercare il calore di una coperta; più cupo il secondo, che vede sempre un cadavere spostarsi da un fianco all'altro in cerca della posa più comoda in cui riposare.
Da personaggi attivi i cadaveri diventano passivi ne Il Demone Sconfitto, in cui un disseppellimento diventa motivo di fraintendimento tra due individui, uno dei quali terrorizzato dalla convinzione di aver a che fare col diavolo dopo aver cercato lui stesso di spaventare l'altro spacciandosi per un demone.
Atmosfere fiabesche ne Lo Scherzetto del Mago, mentre ne Il Lago di Jim Beckwourth gli spruzzi d'acqua generati dall'affiorare sulla superficie di un lago di enormi bolle genera il terrore in un gruppo di cowboy dopo che uno di questi, per impressionare i compagni, leva al cielo una supplica prontamente recepita da un'entità ignota che amplifica il fenomeno sollevando lo specchio d'acqua per cento metri. Della serie scherza con i fanti, ma lascia stare i santi... .

La rivista prosegue con un secondo omaggio, un po' più contenuto, dedicato allo scrittore belga Thomas Owen, al secolo Gérald Bertot. Il testo è scritto dal bravo Cesare Buttaboni che lo ripropone pur avendo già pubblicato il contributo sulla rivista Hypnos. Scrittore novecentesco poco noto in Italia, si tratta, dopo Jeran Ray, del maggior autore di narrativa horror in Belgio. Più interessato a un fantastico realista, a differenza di  Bierce, Owen non ha goduto di adeguata attenzione in Italia da parte dell'editoria. Lo sforzo di Pietro Guarriello, che propone quattro racconti mai tradotti nella nostra penisola, rende così imperdibile il numero della rivista e aumenta l'esiguo numero di storie a disposizione di coloro che non sono abili nella lettura dai testi stranieri.
In Kavar Il Ratto il sortilegio della vecchiaia morde le articolazioni, rende oziosi e consente solo di volare in un sogno che poi si scontra con la cruda realtà, quella di un figlio bandito che ruba quanto il padre ha conservato in casa, fino a distruggere la sola cosa a cui il vecchio abbia ancorato il più misero sogno di una vita, unico possibile in base alle limitate possibilità di un'esistenza di povertà: ascoltare la melodia di una bambola/salvadanaio dallo stesso costruita innescata dalla centesima moneta inserita.
Ne Ali di Farfalla Morta l'ossessione per il peso porta un anziano individuo a pesarsi su tre bilance disseminate in un parco e tutte indicanti il medesimo peso: 2,9 kg ovvero il peso dei vestiti che l'uomo ha indosso!!! Indovinate un po' perchè...?
Sogno premonitore e realtà si mischiano ne La Fine di Alexis Balakine, breve elaborato costruito sulla base di un impianto narrativo piuttosto classico e collaudato. Pastiche lovecraftiano il brevissimo Il Giorno che Incontrai Randolph Carter.
Dunque un autore lontano sia dall'ironia del connazionale Ray, sia dall'orrore cosmico della tradizione lovecraftiana, oltre che più spiccio per effetto di uno stile finalizzato all'efficacia anziché all'eleganza. Buttaboni scrive correttamente che "la poetica della corruzione del quotidiano nell'insolito è alla base di molti dei suoi racconti, che vengono classificati dalla critica nella categoria del realismo magico... Owen si sentiva vicino ai surrealisti nella misura in cui rimanevano vicini alla realtà."

Dai mostri sacri della narrativa mondiale si passa a un racconto dell'emergente Francesco Brandoli che, in chiave moderna, sia per stile narrativo che per contenuto, mischia col suo La Madre Oscura De Quincey alla tematica del baubau (o meglio del boogeyman) kinghiano, traslando la figura dall'uomo nero su quella della strega che attende la notte per emergere da sotto il letto e funestare la quiete notturna di una bimba. Brandoli confeziona un fantastico mascherato, simbolico, caratterizzato da una veste sotto la quale si nascondono i traumi psicologici subiti dai bimbi per effetto della separazione dei genitori. Un testo dunque non troppo weird e più votato a un orrore sociale assai contemporaneo.

Dalla narrativa si torna alla saggistica grazie a Mariano D'Anza e al suo Il Cantore delle Nebbie. D'Anza ci introduce, con grande padronanza e piglio da critico provetto, alla poesia di Robert Ervin Howard, attento a compararne la produzione con quella degli altri due moschettieri di weird tales ovvero C.A.Smith e H.P.Lovecraft. Pregi e difetti, in un'ottica che cerca di decriptare le problematiche della vita sociale dell'autore per riscoprirle nell'opera.

La rivista si chiude nel segno di Pietro Guarriello e dell'interessante sezione Le Donne del Weird, in cui facciamo conoscenza della ribelle e battagliera Gertrude Atherton. Si tratta di una chiusura non casuale, fornendo l'occasione di un ideale testacoda con Ambrose Bierce di cui la donna era stata una fiamma. Il curatore della rivista offre ai lettori una calibrata biografia di colei che ispirò il capolavoro Vertigo (La Donna che Visse Due Volte) di Hitchcock, una galoppata che ripercorre la vita e i principali racconti soprannaturali (quasi tutti afferenti al sottogenere delle ghost story, in particolare influenzate dalla penna di Henry James). Un saggio funzionale a introdurre per la prima volta in italiano il racconto, valutato dalla stessa autrice quale la sua migliore storia weird, Lo Strid, Il Luogo che Cammina.

Questo il contenuto rapidamente delineato del secondo numero di Zotique, una rivista che non delude il suo zoccolo duro di lettori, grazie a un lotto di saggi calibrati, tre biografie impreziosite dalle analisi, seppur brevi, dei testi e, ghiottoneria delle ghiottonerie, da undici racconti di cui dieci pubblicati per la prima volta in lingua italiana. Cosa volete più dalla vita...? Dato il personaggio centrale del numero non rispondetemi "un amaro lucano..." ma ricordando il suo soprannome cosa mai potreste volere di più....? un AMARO BIERCE, al tavolo d'angolo!

AMBROSE BIERCE
Zotique gli dedica un ampio dossier.

"Il suo humor nero e il suo piglio ferocemente anticlericale e provocatoriamente anticonformista, diventano nel giro di poco tempo proverbiali, e fanno di lui una delle firme più quotate e temute in città"


venerdì 7 giugno 2019

Recensione Narrativa: LOVECRAFT MUSEUM di Steve Rasnic Tem


Autore: Steve Rasnic Tem.
Titolo Originale: In The Lovecraft Museum.
Anno: 2015.
Genere: Fantastico.
Editore: Edizioni Hypnos, 2016.
Collana: Visioni.
Pagine: 83.
Prezzo: 8,90 euro.

A cura di Matteo Mancini.
"La paranoia è soltanto avere l'informazione giusta" questa la citazione a William S. Burroghs con cui si apre la novella edita dalle Edizioni Hypnos nella collana Visioni. Ottanta pagine abbondanti di delirio, con un protagonista americano, un vero e proprio fallito, che si rifugia nella letteratura weird per sovrapporre una vita di fantasia alla solitudine e alla perdita del figlio che è scappato da lui durante un viaggio in Inghilterra. Un escamotage tuttavia inidoneo a mantenere sommerse negli abissi della memoria i dolori e le delusioni di una vita di insoddisfazioni. "Con un figlio, la famiglia era possibile, e James poteva immaginare se stesso come parte di una comunità" massima che si rivelerà una pericolosa illusione che genera mostri, quelli della mente.

Dietro al progetto c'è l'autore americano, classe 1950, Steve Rasnic Tem, quattro volte vincitore del Bram Stoker Award e più volte antolocizzato in Italia, al fianco di Stephen King, Clive Barker, Ramsey Campbell, Robert Bloch e altri, in opere collettive quali Profondo Horror (1993), Estate Horror 1993: Mostri (1993), Popsy e Altri Racconti (1995), 25 Storie di Magia Nera (1996) e Il Libro dei Morti Viventi (2000). Autore conosciuto nella nostra penisola soprattutto quale scrittore di racconti, alcuni ideati a quattro mani con la moglie Melanie Kubachko, si è destreggiato anche nel formato del romanzo sebbene in Italia nessuno abbia deciso di scommettere su di lui in via autonoma. Fa eccezione una piccola novella pubblicata dalla Delos: Dolcetto o Scherzetto ad Halloween Street. Testo comunque insufficiente a valergli una menzione nella Guida alla Letteratura Horror dell'Odoya. 

Le edizioni Hypnos, probabilmente anche per l'idea che funge da sfondo a quello che è un romanzo alienante e paranoico, anziché weird e fantastico, hanno pescato questo In The Lovecraft Museum (2015) tra i finalisti degli Shirley Jackson Award del 2016. Si tratta di una novella che ben rappresenta il marchio di fabbrica dell'autore, più votato all'introspezione piuttosto che all'azione. Rasnic è conosciuto soprattutto per opere psicologiche e surreali dove l'orrore resta di sfondo, simile a qualcosa che corrompe la quotidianità e modifica la normalità inserendo elementi destabilizzanti. Un imprinting che ha portato alcuni critici ad assimilare l'autore a Franz Kafka. Non fa eccezione questo Lovecraft Museum, dove persino gli animali domestici assumono una veste minacciosa, alla stessa maniera dei bambini. L'impressione è quella di un'alienità, non meglio precisata, che crea angonscia e ansia perché non conosciuta e dunque potenzialmente minacciosa. Ne viene fuori un testo non sempre facile da seguire, solo a tratti coinvolgente, infarcito di un'inquietudine soprattutto soggettiva, quella del protagonista, un vero e proprio estraneo alla vita sociale.
Risultano molto fascinose le descrizioni del museo eretto, nella campagna londinese, a tributo di Lovecraft, con stanze che riproducono in modo tridimensionale le location dei racconti più famosi del maestro di Providence. Il protagonista si muove all'interno di esse, spaesato e impressionato, sebbene la sua mente corra perennemente a quel figlio che ha perso alcuni anni prima, preferendo annullarsi in una folla di sconosciuti e in un terreno straniero piuttosto che continuare a vivere col padre. E così tutta la permanenza in Inghilterra del protagonista sarà caratterizzata da una lunga corsa, innescata da un corrispondente che lo ha invitato in Regno Unito per parlare di weird, all'inseguimento di un fantasma. A ogni angolo svoltato, infatti, il protagonista si convincerà di aver visto il figlio e si lancerà sulle sue tracce pur se ostacolato dalla folla. Lovecraft resta di sfondo, forse solo vagamente richiamato in un'ideale corrispondenza psicologica col protagonista. L'autore da vita a un incubo psicanalitico in cui il trauma si decompone e si riforma, sotto diversa veste, proponendo quell'abbandono disgregante che ha definitivamente disintegrato la personalità del protagonista.
La storia procede tra flashback e interrogatori condotti dalla polizia, delineando un dramma (il fallimento umano) anziché un'opera votata alla ricerca del sense of wonder o orientata a un fantastico esoterico. L'epilogo è di una tristezza unica, con un aereo caricato di reietti che sembrano esser stati espulsi dall'Inghilterra perché non graditi.

Opera tra luci e ombre, assai allucinata. Personalmente non l'ho amata, essendo più cerebrale che concreta, penalizzata (ma per qualcuno potrebbe essere il punto di forza) dal punto di vista del protagonista che, da disturbato psicologicamente, rende spiazzante il testo, passando spesso da un argomento all'altro con la fastidiosa controindicazione di una dilatazione testuale che spegne l'attenzione del lettore.

L'autore STEVE RASNIC TEM

"Tutto di ciò di cui era convinto era quanto facilmente un cultura possa essere infettata poste le giuste circostanze fauste o infauste, possa diventare un virus e diffondersi attraverso l'architettura o la religione, o il design o la politica, quanto poco i sogni che creiamo ogni notte siano effettivamente i nostri."