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giovedì 24 giugno 2021

Recensione Narrativa: IL CREATORE DI OMBRE di Jack Mann.



Autore: Jack Mann (alias Charles H. Cannell).
Anno: 1938.
Titolo Originale: Maker of Shadows.
Genere: Horror/Fantastico.
Editore: Dagon Press, 2021.
Collana: I Magri Notturni.
Pagine: 242.
Prezzo: 15,90 euro.

Commento Matteo Mancini.

Quinto romanzo (ma la cosa non si nota nella lettura) di una serie scritta da un autore inglese conosciuto, nel ventennio compreso tra gli anni venti e quaranta, nell'ambito della narrativa pulp. Scrittore versatile, spesso trincerato sotto variegati pseudonimi (tra cui E. Charles Vivian), Jack Mann, al secolo Charles Henry Cannell, è un classico scrittore ed editore da edicole. Lo troviamo pubblicato in magazine di ogni genere, impegnato dal western al fantasy, passando per il poliziesco fino a una rivisitazione del Robin Hood. Conosciuto anche negli Stati Uniti, vanta pubblicazioni in riviste cardinali quali Argosy, Adventure e Weird Tales (amatissime, tra gli altri, da R.E. Howard), è passato del tutto inosservato alle nostre latitudini fino all'idea di Guarriello di utilizzarlo quale pilota per il lancio di una nuova collana della Dagon Press: I Magri Notturni. In verità, si tratta della sua seconda volta sul mercato editoriale italiano1, a cui è giunto soprattutto per merito delle pubblicazioni ricevute negli States.

Nel 1939 infatti Argosy pubblica a puntate un romanzo uscito l'anno precedente in Inghilterra. Il titolo è Maker of Shadows e l'autore è un tale Jack Mann, un nome riconducibile a una sola serie soprannaturale di derivazione gialla (l'autore usa pseudonimi diversi per gli altri lavori). Il romanzo esce in forma abbreviata, con una rimodulazione dei capitoli e una serie di tagli. La soluzione può lasciare perplessi eppure, senza considerare la necessità di rispettare certi diktat editoriali, è tutt'altro che proditoria. Nella versione originale di cui Bernardo Cicchetti propone il testo in italiano per il cortese e gentile Pietro Guarriello, Maker of Shadows è decisamente prolisso. La traduzione non è tecnicamente notevole, per quel che riguarda la costruzione dei periodi, anche se prima di fare un cicchetto all'incaricato di Guarriello sarebbe opportuno verificare il testo originale. Mann è ripetitivo e porta per le lunghe un romanzo il cui soggetto ricorda molto quello dei successivi I Racconti di Dracula (gli è superiore Libero Samale, quando è al meglio). Certo, non mancano alcuni spunti interessanti, quali il tentativo di comprendere il mistero della vita e con questo quello della morte, ma le idee sono diluite in un testo dispersivo che cerca di miscelare il giallo al soprannaturale e soprattutto fare massa. 

 

Il protagonista è un detective dell'occulto, tale Gees (così chiamato perché ha una serie di nomi tutti aventi la lettera G come iniziale), che prende incarico solo dei casi che più riescono a solleticarne la curiosità, anche se sugli annunci pubblicitari manifesta di esser pronto a dedicarsi a tutto (compresi gli orecchioni!?). Mann lo caratterizza piuttosto bene, così come tratteggia in modo gustoso il contorno che lo circonda. Poco di innovativo (altro che sui generis, come si legge in quarta di copertina!?), sia chiaro. Così vediamo il detective girare alla guida di una Bentley oppure dettare i rapporti a una segretaria innamorata di lui che invece non se la fila manco per il cavolo. In questo numero viene chiamato a intervenire in Scozia, con tutti i cliché del caso legati alla campagna scozzese (la posta isolata, il verde, le tempeste, la tradizione celtica, le famiglie rivali). Qui si imbatte in una sorta di stregone/mago (meglio operatore occulto) che è riuscito a beneficiare di un vero e proprio elisir di lunga vita, attraverso una serie di sacrifici, ciclici nel tempo, in onore a una divinità diabolica. L'immortalità, o quasi, a costo della morte altrui. Sacrifici umani, s'intende, sotto gli occhi della grande innominata. Invece di tenere un profilo basso, lo stregone fa subito lo sborone, così da portare Gees, inizialmente non interessato al caso, a occuparsi della questione, che poi risolverà in modo decisamente terreno in un epilogo alquanto deludente e paradossalmente frettoloso. Ipnotismo, circoli di pietre, maledizioni che fanno venire in mente il racconto The Dead Remember di R.E. Howard con animali impazziti e sciami di mosche guidate dallo stregone (si veda la Schiava di Fu Manchu), magioni infestate di aromi inebrianti e degustazioni di vini che rimandano alle diavolerie degne della penna di Sax Rohemer fanno il resto, delineando una trama tutt'altro che originale, che pure si sforza di andare oltre al mero intrattenimento. Interessanti le idee relative alle anime delle vittime delle stregone, impossibilitate a poter beneficiare della pace e ridotte allo stato di ombre che infestano l'area in cui ha sede l'altare su cui sono state scorporate dalle membra (non certo una novità dell'autore, ma un espediente legato allo studio dei volumi occulti). Valida l'idea della morte come via attraverso la quale rivedere l'intera esistenza del mondo, come se la vita altro non fosse che una tela su cui vengono impresse le immagini indelebili. "Gli uomini avrebbero potuto guardare il male che avevano fatto e vederlo fisso nella tela dell'eternità, non una cosa passata, ma presente. Questo, forse, sarebbe stato il loro inferno." Altro che gli screen shot che vanno tanto di moda di questi tempi. Presenti anche passaggi filosofici di matrice religiosa che pongono in Dio il potere assoluto, è Dio l'essere supremo che tutto muove e tutto sa, facendo degli uomini dei burattini incoscienti a cui è comunque riservato il libero arbitrio. Un'indubbia capacità onirica impreziosisce alcune parti del romanzo, tuttavia Mann ha pochi colpi in canna per sviluppare un soggetto che avrebbe reso molto meglio su distanza più breve.

Elogiato oltremisura dallo psichiatra antologista e scrittore Karl Edward Wagner (grande cultore di Robert Ervin Howard, a cui ha dedicato il ciclo Kane), che dopo averlo letto sulle riviste a stelle e strisce ha inserito il romanzo tra i tredici migliori esempi della narrativa soprannaturale (su che basi non è dato sapere), si tratta di un testo che, d'altro canto, è sconosciuto allo specialista di detective dell'occulto Tim Prasil che ha scritto “Gees sembra indagare su crimini e misteri soprannaturali come detective specializzato, ma non ne ho avuto conferma.2 Un commento che la dice lunga sul valore storico del testo. Probabilmente Guarriello dovrebbe orientarsi altrove per proporre testi davvero indispensabili per i cultori del soprannaturale, data l'enorme offerta che è sotto gli occhi di tutti.

 

NOTE

1Nel 1990 Giuseppe Lippi aveva pubblicato nella collana Urania Fantasy il romanzo Fields of Sleeps (La Valle del Sogno, 1923). Il romanzo ricevette l'attenzione del pubblico americano grazie alla decisione della rivista Famous Fantastic Mysteries che lo propose nel nuovo continente col titolo The Valley of Silent Men.

2Così Tim Prasil, in Bibliografia Cronologica dei Detective dell'Occulto (1800-1938), in Gordon MacCreagh, I Casi Soprannaturali del Dr. Muncing, Providence Press, Bologna, 2019, p. 142-143.

 
L'autore JACK MANN
 
"Tutto ciò che facciamo riguarda la tessitura di uno schema. Noi possiamo solo vedere le etichette dei fili e l'aspetto esteriore di un disegno, ma Dio conosce il lato giusto dello schema e quando lo vedremo, capiremo."
 
 

sabato 5 giugno 2021

Recensione Narrativa: UNA TELA ROSSO FUOCO di Dick Francis



Autore: Dick Francis.
Titolo originale: In the Frame.
Anno: 1976.
Genere: Giallo.
Editore: Mondadori, 1978.
Collana: Il Giallo Mondadori.
Pagine: 170.
Prezzo: fuori mercato.

Commento Matteo Mancini.

Doppiamo l'impegno con Dick Francis, in vista di un futuro ed eventuale progetto di natura editoriale che potrebbe vederci coinvolti direttamente. Nell'occasione presentiamo il primo dei tre volumi dell'autore gallese inseriti nella collana Il Giallo Mondadori. Uscito in Inghilterra nel 1976 col titolo In The Frame (“Nella Cornice”), Alberto Tedeschi presenta nell'ottobre del 1978 agli afecionados del brivido da edicola Una Tela Rosso Fuoco, quindicesimo romanzo dell'ex fantino della regina d'Inghilterra.

È un giallo piuttosto classico che si muove in parte nel mondo dell'ippica, con un'ambientazione che si sposta dall'Inghilterra verso l'Oceania. Un pittore specializzato in ritratti equini, grande appassionato di scommesse e di corse in ostacoli (“Un principiante lui! Lo hanno buttato fuori dalla scuola perché gestiva un bookmaker”), si trova suo malgrado coinvolto in un'indagine necessaria a scagionare un cugino dall'accusa di aver assassinato la moglie e aver inscenato un furto in abitazione per truffare la compagnia assicurativa. Tutto ha infatti inizio con il ritrovamento di una donna morta e lo svaligiamento della casa della stessa (spariti quadri e vino da collezione). Convinto dell'assoluta innocenza del sospettato, il giovane pittore, durante una riunione di corse dell'ippodromo di Plumpton, dove va in scena il rientro del vincitore del Grand National (forse il leggendario Red Rum, anche se Francis non ce lo dice) evento che porta “metà dei pittori di cavalli d'Inghilterra” sulla pista per immortalare il campione, viene a sapere di una curiosa coincidenza che collega al fatto che lo travaglia. Una ricca possidente incallita di cavalli gli rivela di aver appena subito un grave atto vandalico che le ha mandato in fiamme l'intera villa. A legare i due atti delittuosi è la coincidenza che entrambe le persone offese sono da poco rientrate dall'Australia dopo aver acquistato un dipinto di Alfred James Munnings (artista davvero esistito e specializzato in disegni equini) e che i quadri importati sono stati sottratti dai malviventi. Finanziato dalla anziana possidente, il giovane pittore, facendosi aiutare da un collega trapiantato da anni in Australia, decide di intavolare un'indagine che si dipana tra Sydney, Melbourne, Alice Springs e quindi in Nuova Zelanda, ad Auckland e Wellington. Le corse dei cavalli, in particolare la milionaria Melbourne Cup, un Gruppo 1 sui 3.200 metri che si corre di novembre nell'impianto di Flemington, cadenzano una narrazione particolarmente ironica, che si muove tra una galleria d'arte e un'altra. Al centro del giallo c'è una banda intercontinentale che traffica con copie d'autore spacciate per originali vendute a possidenti che vengono poi svaligiati in giro per il mondo, dopo averne acquisito l'indirizzo e una descrizione dei beni di valore posseduti. La soluzione è molto arzigogolata, forse un po' forzata, ma è utile a Francis per parlare di usanze ippiche australiane alquanto curiose (discriminazione tra uomini e donne dovute a usi legati ai tempi coloniali, con le donne, un tempo amanti di ufficiali infedeli mandati in Oceania dall'Inghilterra, che non possono accompagnare i loro uomini in tribuna d'onore per non dare scandalo) e dei principali ippodromi locali (Cauldfield, Randwick, Flemington), ma anche e soprattutto della figura dei pittori ippici, ovvero artisti che legano la loro carriera immortalando cavalli. “Un pittore lascia la sua firma in tutto il quadro, non solo in un angolo, perché il suo modo di tenere il pennello è inconfondibile come yba scrittura. Le pennellate sono riconoscibili come le striature di un proiettile.”

Oltre a Munnings, vengono citati anche Raoul Millais e John Frederick Herring. Francis parla di tecniche di pittura, colori, stili, copie, come se fosse davvero un pittore. Ne viene fuori un romanzo in cui il mondo dell'ippica è secondario, anche se non mancano scommesse (col protagonista che irride la moglie del suo aiutante, trovando i vincenti partendo dal numero undici come cavallo base per poi procedere in assurdi calcoli di natura scaramantica), cronache via radio e riferimenti ippici (“un quadro intitolato Nijinsky a Newmarket aveva la possibilità di esser venduto a un prezzo molto più superiore di uno con targhetta un cavallo a Newmarket”). Colpisce molto il taglio ironico e scanzonato, con protagonisti decisamente simpatici e sopra le righe (non a caso sono due pittori). Carlo Jacono, autore della copertina italiana, coglie molto bene questa ilarità realizzando una copertina che immortala la partenza camuffata da Alice Springs, città desertica del cuore dell'Australia, dove i nostri sono giunti per venire a capo della rete internazionale di truffe e furti. “Chiunque abbia il coraggio di andarsene in giro in quel modo non dovrebbe aver paura di un paio di gorilla.”

La polizia, in tutto questo, funge da terminale delle indagini dei due improvvisati artisti che risolveranno tutto il mistero e porteranno, in modo rocambolesco e denso di azione, all'arresto dei componenti della rete di malviventi. Spettacolosa la trovata per aggirare un tentativo di trappola orchestrata dai manigoldi, col protagonista che, ispirandosi ai fratelli Marx, fa confluire in una camera d'albergo dozzine di persone prendendosi letteralmente beffa dei malviventi. Questi ultimi, certi di mettere le mani sullo scomodo testimone, resteranno impotenti al cospetto di dozzine di ignari potenziali testimoni tutti indotti a brindare con lo champagne e chiamati, con svariate scuse, a entrare nella camera. Alla domanda di come abbia fatto il “nostro” a comprendere di essere oggetto di una trappola, questo risponderà di aver capito tutto direttamente dalla telefonata dell'amico che lo invitava in stanza esclamando "dannato ossido di cromo!": “Mi ha detto il nome dell'uomo che dovevo capire che si trovava nella vostra stanza e vi costringeva a farmi scendere e a ficcarmi in trappola. Mi ha detto che era ossido di cromo, cioè il pigmento di colore verde. Verde. Greene! Hai capito?” Umorismo e sagace intelligenza in perfetto stile inglese, per una storia indicata a un ampio pubblico di lettori, senza indugiare in violenze o lessico volgare.

Il romanzo è stato trasposto, con qualche modifica (ambientazione iniziale a Cleveland e resto della storia in Germania), in un film televisivo prodotto nel 1989 e intitolato Dick Francis: In The Frame.

 
Dick Francis e i suoi romanzi
 
"Le corse a ostacoli a Plumpton e il crescere dell'eccitazione all'andatura armonica dei cavalli: nessun quadro potrà rendere loro giustizia, mai. Il momento fissato sulla tela non è mai il migliore."