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domenica 12 ottobre 2025

Recensione Cinematografica: THE UGLY STEPSISTER di Emile Blichfeldt.

Produzione: Norvegia, Svezia, Danimarca e Polonia.
Genere: Horror / Dark Comedy.
Tratto: Cenerentola dei Fratelli Grimm.
Regia e Sceneggiatura: Emile Blichfeldt
Montaggio: Albin Abrahamsson.
Fotografia: Marcel Zyskind. 
Colonna Sonora: John Erik Kaada. 
Interpreti Principali: Lea Myren, Ane Dahl Torp, Thea Sofie Loch Naess, Isac Calmroth, Flo Fagerli... 
Durata: 109 min.

Commento Matteo Mancini.

Dopo film tutt'altro che raccomandabili quali Red Riding Hood (Cappuccetto Rosso Sangue, 2011) e/o Gretel e Hansel (2020), ecco uscire la fiaba di Cenerentola virata all'horror. Al centro del progetto vi è una produzione che abbraccia quasi tutta la Scandinava (Norvegia, Svezia e Danimarca) oltre alla Polonia e che scommette su una regista e sceneggiatrice esordiente dalle idee ben chiare e interessata a conferire un'impronta autoriale al suo lavoro: Emile Blichfeldt (reduce da cinque cortometraggi). Ne viene fuori una grossa sorpresa che dimostra ancora una volta come, in questi anni, il vero horror trovi residenza nel vecchio continente piuttosto che nell'edulcorata dimensione hollywoodiana dove il genere, salvo rare eccezioni, sul finire degli anni ottanta è stato annacquato, banalizzato e reso prodotto commerciale.

The Ugly Stepsister è un film alieno ai compromessi, che non lesina nel mostrare (forse anche oltre il dovuto) e che, soprattutto, evidenzia una marcata critica sociale a una società interessata alle apparenze e ai costumi sociali piuttosto che ai contenuti e ai sentimenti che dovrebbero supportare le decisioni da intraprendere. La donna torna a essere (e lo fa con vanto ricorrendo al fascino femminile quale arma di conquista sociale) un corpo da acquistare e la bellezza si riduce a unico valore di selezione, in un contenitore generale in cui l'ipocrisia dilagante si trincera dietro alle buone maniere e all'eleganza per celare la grettezza dell'effettiva realtà allo sguardo poco attento del cittadino assuefatto dalle regole del bon ton (recepito senza comprensione). Ecco allora l'indugiare sulle pratiche di chirurgia estetica (alquanto crude e ben rappresentate), sulla decisione di ricorrere a soluzioni folli per agevolare il dimagrimento a scapito della salute (che è un po' quello che avviene alle modelle per restare ancorate al canone di bellezza definito dall'alta moda) così come il duro insistere sul ballo e sulle movenze da tenere e da assumere per conquistare il cuore degli uomini abbienti un po' come si potrebbe “indottrinare” un cavallo da impiegare nel dressage. Utilizzo il parametro del cavallo non a caso, in quanto vi è una sequenza piuttosto centrale del film in cui le più belle ragazze di corte vengono proposte alla stregua di animali da destinare alla vendita ai nobili allupati (e gretti) subito pronti ad avanzare le loro offerte dopo aver ascoltato descrizione, genealogia e attitudini di impiego della giovane di turno. Non importa poi chi sia il nobile che viene a chiedere la mano, basta che abbia soldi e potere (un po' come succede oggi in certi contesti più o meno virtuali, penso a only fans e similari). La debuttante Emile Blichfeldt, regista e sceneggiatrice del film, sembra agire svincolata dal guinzaglio della produzione. Non ha remore di sorta nell'evidenziare la propria denuncia e il marcio (continuamente rappresentato dai vermi che si contorcono per tutti il film), tanto evidente quanto non esplicitamente dichiarata (allo spettatore il compito di unire i punti). Utilizza la parabola del brutto anatroccolo rappresentato da Elvira (l'ottima Lea Myren) che si tramuta in cigno (lo stesso lo farà Cenerentola), seppure attraverso soluzioni truffaldine che la ragazza, influenzata dalla cinica madre (eccelsa Ane Dahl Torp), intraprende pur di avere per sé il bel principe (personaggio, in realtà, alquanto idiota e privo di spessore). Pur perdendo il senno, Elvira è l'unico personaggio veramente animato da un qualcosa di profondo. Ama la poesia (certamente non scritta da chi lei pensa), si commuove nel valutare il bello e si interroga sul senso delle metafore utilizzate dalle parole che legge con un'ingenuità di fondo che fa tenerezza. Incarna, per certi versi, la bambina che non viene plasmata dal genitore ovvero la materia prima rovinata da mani che mirano a ottenere altro che il bene della giovane. Se ci si pensa bene è quello che avviene oggi con i modelli e gli insegnamenti offerti da certe trasmissioni televisive. In tutto il film, Elvira è l'unico soggetto che non ha mire materialistiche. Gli altri ragionano in ossequio alla bramosia del potere, alla sete del denaro e al richiamo della lussuria. Interessante come la Blichfeldt, mantenendo inalterata l'apparenza della fiaba dei Grimm, sposti il ruolo morale che sta alle base delle fiabe invertendo la centralità della vicenda dalla protagonista (Cenerentola) alla sua sorellastra cattiva (Elvira). Non è la parabola di Cenerentola a fungere da strumento di insegnamento, bensì quella della sorellastra Elvira che paga a caro prezzo la sua ossessione per il risultato finale.

Inutile dire che il film, pur ispirandosi a una fiaba, non è certo indirizzato ai bambini. La Blichfeldt riesce nel tentativo di combinare l'eleganza di un film in costume (che viene parodiato) con i due generi più censurati della settima arte ovvero il porno (un pene in primissimo piano e un altro paio di momenti abbastanza espliciti) e l'horror splatter che si spinge, in due scene, a omaggiare Lucio Fulci (penso alle torture sull'occhio o alla scena del vomito di Paura nella Città dei Morti Viventi). Il proposito, di certo ardito e in parte figlio di pellicole quali Poor Things (“Povere Creature”, 2023) e Barbie (2023) a cui The Ungly Sister è nei contenuti debitore, consente alla pellicola di spiccare e di brillare in un panorama horror inquinato dal conformismo hollywoodiano. Eleganza e grettezza vanno così a braccetto, tanto da essere sintetizzate da almeno un paio di scene che costringono lo spettatore più sensibile a spostare la testa dal grande schermo. Un film dunque che non si scorda e che riesce ad abbinare leggerezza e ilarità alla cattiveria e all'aspra critica sociale. La fiaba dunque mantiene il senso morale ma ribalta il messaggio di fondo: il mondo incantato è un'illusione rappresentata da una falsità sotto la quale regna la meschinità e l'opportunismo. Epilogo in puro stile europeo contrapposto al rassicurante messaggio dei prodotti commerciali d'oltreoceano. A Hollywood un film del genere non lo avrebbero prodotto. Ben vengano dunque queste produzioni europee che dovrebbero essere incoraggiate e premiate dal pubblico, ivi compreso quello americano cresciuto con gli horror dei vari Carpenter (omaggiato dalla carrellata laterale sulla tavola imbandita), Cronenberg, Craven, Yuzna (si veda Society) e compagnia.

Bene il cast artistico, con Lea Myren (perfetto il passaggio da bruttina a super top) e l'autoritaria Ane Dahl Torp che brillano su tutti e tutte. Un po' pesce lesso il principe interpretato da Isac Calmroth.

Da un punto di vista tecnico, il film beneficia di una fotografia fredda e glaciale che rimanda ai film horror di impronta gotica di Jess Franco (pianure con carrozze trainate da cavalli che galoppano nella nebbia). Notevole anche la colonna sonora composta da temi che rimandano al Luis Bacalov ripescato e riproposto da Quentin Tarantino. Cadenzato il montaggio con ottimi stacchi ritmati da cambi di registro musicale. Notevole il trucco. 

Evidente fin da subito l'apprezzamento della critica. Candidato come miglior film al Sitges Festival, al Fangoria Chainsaw Awards e al Neuchatel International Fantatic Film Festival (dove ha ottenuto il premio al miglior regista, riconoscimento bissato al Boston Underground Film Festival), vincitore in Norvegia del premio per la migliore attrice emergente (Lea Myren) e per il miglior trucco.

Visionato per caso e in anteprima al FI-PI-LI Horror Festival 2025, è stata una piacevole scoperta che potrete visionare al cinema a partire dal 30 ottobre. Andatelo a vedere. Promosso a pieni voti.

 
La regista Emile Blichfeldt.
 
"Se la scarpetta non calza..."


sabato 11 ottobre 2025

Recensione Narrativa: IL LIBRO BLASFEMO DI CTHULHU a cura di Pietro Guerriello e Roberto Del Piano.

Autore: AA.VV.
Curatori: Roberto Del Piano e Pietro Guarriello.
Anno: 2025.
Genere: Porno Horror.
Editore: Dagon Press.
Pagine: 260.
Prezzo: 18,00 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini. 

Tentativo coraggioso di Roberto Del Piano e Pietro Guarriello che fiutano il periodo propizio per fondere il fantastico classico con un erotismo che sconfina nella pornografia. Film come Povere Creature! (2023) e The Ugly Stepsister (2025) dimostrano che il tempo per supportare l'operazione è maturo. Prova allora a battere il ferro, probabilmente non con troppa convinzione, la Dagon Press, casa editrice fino a oggi assai poco interessata all'erotismo (siamo, si badi bene, lontani dal sottogenere Hardcore Horror). Sicuramente molto più ortodosso di Roberto Del Piano, Guarriello si lascia convincere a intraprendere la deriva verso la blasfemia lovecraftiana per effetto dei buoni risultati conseguiti dall'inusuale Gli Appetiti di Trnt-Asy'Hh e Altre Strane Vicende Lodigiane (qua la recensione http://giurista81.blogspot.com/2025/04/recensione-narrativa-gli-appetiti-di.html) e, prima ancora, dai Culti Svedesi di Anders Fager (qua le recensioni: https://giurista81.blogspot.com/2020/03/recensione-narrativa-culti-svedesi-di.html e https://giurista81.blogspot.com/2021/08/recensioni-narrativa-relazioni.html). Sono queste antologie, oltre al crescente interesse verso una certa narrativa imparentanta con la pornografia (si veda la febbre Edward Lee o anche, nel nostro piccolo, le scelte editoriali intraprese negli ultimi due anni da Alessandro Balestra del sito Scheletri con l'uscita di novelle quali Mia, Lovecantropia e La scolopendra d'Oro), ad aprire le porte a Il Libro Blasfemo di Cthulhu. I buoni propositi e le grandi aspettative della vigilia, tuttavia, sforiscono presto. Da una parte un bacino di potenziali acquirenti (quelli della Dagon) poco avvezzi alle novità e troppo legati alla tradizione, e dall'altra una curatela permissiva nel lasciare libero campo agli autori selezionati finiscono col trasformare il progetto in un inatteso flop. Il principale limite del complesso dei racconti sta in una perseverante ripetitività delle situazioni rappresentate. L'erotismo viene percepito da quasi tutti gli autori quale sinonimo di amplessi, più o meno consenzienti, e sempre tutt'altro che romantici, con divinità femminili che finiscono col ridurre in schiavitù gli uomini o, ancora, divinità mostruose tipiche del ciclo lovecraftiano bisognose di trovare donne attraverso le quali rinnovare la propria vigoria. Sviluppi dunque costanti che si associano a tematiche anch'ese ripetitive (il grimorio che svela la via per accrescere il potere, le divinità che risalgono dai pozzi o dal mare, l'ineluttabità del destino). Se Roberto Del Piano era stato bravo, nel suo racconto di punta (Trnt-Asy'-hh) contenuto nell'antologia pilota del progetto, a distaccarsi da Lovecraft per proporre qualcosa di originale, satirico e irriverente, i quindici autori qua selezionati faticano a emularne le gesta. Interpretano l'ingaggio cercando di virare al porno (più che all'erotico) i contenuti della storie lovecraftiane e cedendo troppo spesso alla tentazione del linguaggio esplicito e volgare ereditato dai film pornografici. Tutto questo, oltre a una serie di prime recensioni non certo incoraggianti all'acquisto, ha contribuito a decretare l'insuccesso commerciale de Il Libro Blasfemo di Cthulhu (titolo che fa il verso a The Big Book of Blasphemy - Il Grande Libro Blasfemo: qua la mia recensione http://giurista81.blogspot.com/2022/09/recensioni-narrativa-il-grande-libro.html) con appena venticinque copie vendute in quattro mesi. Un'inezia che lo ha trasformato nel titolo meno venduto dalla casa editrice. Un insuccesso che ha indotto Pietro Guarriello a dichiarare di essere intenzionato a ritirare l'antologia dal mercato (per cui chi ne è interessato si affretti ad acquistarla).

Eppure, nonostante lo scarso interesse mostrato dagli acquirenti, l'idea alla base del progetto non è deprecabile. C'è davvero qualcosa di inedito da raccontare nel mondo lovecraftiano, inoltre il fortunato accostamento tra horror ed erotismo risale a oltre cento anni fa, basti ricordare Dracula e certe rappresentazioni cinemtografiche del mito del vampiro (basti vedere i film di Jess Franco o Jean Rollin). “Il Sesso è il motore di molte storie di H.P. Lovecraft, anche se non viene mai rappresentato esplicitamente” scrive nell'introduzione Bobby Derie. Ecco quindi l'idea di squarciare il velo della pudicizia e di sbirciare oltre, dimenticando tuttavia l'insegnamento per il quale è erotico ciò che si intravede tra le righe (o meglio tra le vesti) e che, proprio per questo, attiva la fantasia del voyeur. Non eccita per lungo tempo ciò che viene sbattuto in bella mostra, poiché l'attesa e la brama di vedere sono presto soddisfatte. Poco calibrata è infine la disposizione dei racconti. Si sparano subito le opere più riuscite a inizio antologia, provocando un effetto che porta, al procedere della lettura, l'antologia a spegnersi. Per fortuna ho letto il libro secondo un ordine inverso rispetto a quello proposto trovandomi così in un crescendo che ha smorzato la delusione iniziale.


RECENSIONE NEL DETTAGLIO


Tra tutti i racconti brilla Finirà Male, Mia Dolce Signora, un racconto erotico dai contenuti revenge e da un'originalità di fondo che lo porta a essere di gran lunga il miglior della selezione. Lo presenta il bravo Emiliano Federico Caruso, già recensito su queste pagine (si veda l'eccellente Il Guardiano dell'Abisso: http://giurista81.blogspot.com/2025/07/recensione-narrativa-il-guardiano.html), che qua si abbandona a una storia da rivista spicy (tanto sesso) senza tuttavia dimenticare la struttura e la quadratura del cerchio. Non è certamente uno dei racconti migliori dell'autore, per il suo virare decisamente al piccante, a ogni modo sorprende come Caruso passi con uguale efficacia da un'impostazione da vero e proprio evocatore di sense of wonder a un'impostazione da specialista di storie in odore di love story o di vecchi romanzi da edicole degli anni sessanta e settanta con alcuni cliché quali, a esempio, lo chalet isolato tra i boschi in cui trascorrere, alle spalle del marito cornuto, un'infuocata settimana. Il racconto beneficia di una struttura da giallo, con strani avvistamenti che verranno giustificati e chiariti al procedere dei fatti, tra piste false che portano il lettore a dedurre successivi sviluppi che poi (per fortuna) verranno disattesi e un epilogo in odore di David Cronenberg (si veda a esempio The Brood o Rabid) piuttosto che di Howard P. Lovecraft. L'omaggio al Solitario arriva infatti solo all'epilogo con l'introduzione di un “nuovo” grimorio (il Carmina Necroforum) la cui comprensione e lettura consente di instillare negli esseri umani un desiderio sessuale senza limiti. Curiosa la modalità attraverso la quale il villain maledice la moglie traditrice e il suo amante, rendendosi protagonista di un vero e proprio delitto perfetto. Dimenticate gli studi e le sperimentazioni di Aleister Crowley e dei cultori della magia rossa, qua si piega sul versante del pulp ironico esaltato da un finale che richiama la controindicazione del restare incastrati durante un amplesso. Vaghi echi a Gerald's Game (“Il Gioco di Gerald”, 1993) di Stephen King, per uno dei pochi racconti del lotto (non l'unico) a essere originale.


Un altro testo capace di distinguersi è Oldann, Ulthar e le Vacanze dei Mi-Go firmato da tale Kaman-Thah (probabile, per stile e irriverenza satirica, pseudonimo di Roberto Del Piano). Pur non beneficiando di una struttura particolarmente elaborata (il testo è breve), ruota attorno all"idea più originale e onirica dell'antologia. Viene immaginata una dimensione sospesa tra la realtà e l'aldilà, cui si accede attraverso il sogno, in cui i Grandi Antichi assumono sembianze umane per poter beneficiare dei piaceri della carne a scapito, ovviamente, degli uomini. Finale disgustoso dal retrogusto matrixiano con accenno a una pornografia dissacrante ampiamente ironica e di matrice omosessuale.


Gli ortodossi apprezzeranno L'Erezione di Juan Romero, forse il racconto più capace di suscitare tensione, con una marcatissima impronta lovecraftiana. Porta la firma di uno scrittore stilisticamente molto dotato sebbene trincerato dietro lo pseudonimo Wilbur Whateley. Caratterizzato da espliciti inserti di erotismo omosessuale (qui non volgari), rappresentati da un azteco a cui piace ostentare l'erezione del proprio membro e da un protagonista eterossessuale che tuttavia subisce il fascino maschile, mantiene l'intelaiatura classica dei racconti del Maestro e si chiude in ossequio a uno stile che sarebbe piaciuto ai lettori di Weird Tales. Il soggetto, a ogni modo, è ultra collaudato: un'esplosione apre una falla in una miniera e da essa risale uno strano richiamo riconducibile a una creatura innominabile. L'anello che il protagonista (legato al divinità Shub-Nggurath) calza al dito pare assumere una certa incidenza sui fatti. 

 

Letture vietate ai minori di anni 18.

Un altro racconto valido e rispettoso dei canoni lovecraftiani è L'Altra Vita (Madre Oscura) di Mariano D'Anza, a cui va l'onore e l'onere di aprire l'antologia. Scrittore elegante, con trascorsi alla corte delle Edizioni Hypnos, D'Anza mischia la crisi di mezz'età di un'ultra quarantenne al rituale di rinnovazione della vigoria del Guardiano della Soglia. D'Anza utilizza archetipi di sicura presa, quale il Baphomet, la stregoneria medievale e i rimandi al Dictionnaire Infernal di Collin De Plancy. Tutti ingredienti funzionali a creare un pastone in grado di suscitare l'apprezzamento dei lettori classici. Il lessico è curato e ben cadenzato. Convincono assai meno certi passaggi obbligati intrapresi per connettere la prima parte all'ultima (il rituale nella chiesa sconsacrata), con l'amico del protagonista che capisce quanto sta per avvenire senza che le premesse vengano adeguatamente introdotte (punto debole della storia). Finale telefonato, ma di buona presa visiva.


Più quadrato Yola di Taylor Blackfire (nome collettivo dietro al quale si nascondono due varesini) che compensa l'assenza del blackground occulto (forte nel testo di D'Anza) con una struttura solida, tra pagine di diari e flashback che, a poco a poco, risolvono il mistero della morte di un uomo solitario e soprattutto dell'identità della compagna che ne ha allietato l'ultimo periodo di vita. Aumenta la componente sessuale, piuttosto spinta, così come le torture e gli assassini a sfondo rituale. Finale di nuovo abbastanza prevedibile.


Pietro Guarriello resta ancorato a Lovecraft (anche per il lessico antiquato) trasformando Dagon in un racconto erotico (non volgare) dal titolo Nel Ventre del Mare Oscuro. Elegantissimo (forse anche troppo) nella resa stilistica, con un lirismo che tende a prevalere sui contenuti estremamente onirici, plasma un incubo che si sovrappone a poco a poco alla realtà fino alla metamorfosi del protagonista in una “regressione” (o “ascesi”, a seconda dei punti di vista) da umano a ibridazione ittica. Spiccati rimandi al mondo delle sirene e soprattutto alle evoluzioni corporee tanto da trasfomare  il testo in un potente body horror. La natura derivativa del soggetto penalizza il risultato finale, ma resta una valida prova. Da segnalare un omaggio, non so quanto voluto, a Calcutta Lord of Nerves (da noi conosciuto come “Calcutta Horror”) di Poppy Z. Brite per la parte in cui il protagonista precipita nel buco rappresentato dal sesso della divinità antica che lo ha stregato.

 

La raffigurazione più bella tra le oltre quaranta che llustrano l'antologia.

Questo, a mio avviso, lo zoccolo duro dell'antologia che tende a spegnersi a mano a mano che si procede nella lettura. Quattro dei sei racconti citati sono infatti stati proposti tra i primi sei elaborati dell'indice. Tra gli altri nove racconti è da segnalare La Violenza di Cthulhu attribuito a un tale Tzimon Yliaster e addirittura ripescato dal dark web (!?). L'autore sarebbe stato un vero occultista sparito nel nulla a metà anni '90 e conosciuto negli Stati Uniti con il soprannome Dracthyus. Autore di saggi sull'occulto e frequentatore di ordini esoterici. Insomma un bel biglietto da visita che, purtroppo, non trapela dalla lettura del racconto privo di riferimenti iniziatici. Pur partendo bene, grazie ai rimandi a uno sconosciuto libello definito “completamento del Necronomicon” (il Deus ex Lexicon) contenente le “procedure per diventare un essere di grande potere”, la storia si perde presto in una serie di abusati cliché, quali il pericolo rappresentato dagli appuntamenti al buio, l'inopportunità di accettare passaggi automobilistici dagli sconosciuti, fino al telefonatissimo stupro (accompagnato dal linguaggio sporco e gretto) in riva al mare in attesa dell'emersione del Grande Antico di turno. Yliaster aggiunge l'elemento della traslazione nel corpo umano dell'essenza del dio antico che, sotto altre spoglie, si muove sulla Terra a caccia di vittime. Abbastanza ridicoli i dialoghi e il comportamento dei personaggi durante la fase che introduce la violenza fisica. Bella invece la parte della deflagrazione fisica del villain in vista della sua rinascita. Pressoché identico, seppure molto meno sviluppato nella trama, Bella Figura di Michele Borgogni. Due giovani (questa volta a essere adescato è il maschio) copulano sulla spiaggia in attesa dell'emersione di Cthulhu (il perché si cerchi l'evocazione, a differenza di Yliaster e di D'Anza, non viene specificato). Efficace nello stile e capace di toccare le giuste corde emotive, Borgogni paga dazio sul versante del soggetto. L'elemento fantastico fa capolino giusto giusto nella parte terminale e appare quale diversivo per caratterizzare una narrazione da rivista pornografica/scandalistica. Buono comunque il ritmo e la salsa spicy, anche se alla fine si ha l'impressione di leggere un capitolo di un qualcosa di più ampio, così da qualificare il lavoro quale mero ed esclusivo esercizio di stile.


Ho trovato molto meno interessanti gli altri sette racconti. Sviluppato nelle premesse ma non nelle conclusioni (alquanto frettolose) Aldilà della Soglia di Enrico Del Piano (fratello del curatore Roberto) che confina forzatamente la parte erotica sul finire della storia, preferendo dilungarsi nelle descrizioni di una casa dall'architettura che sfugge a ogni logica e che custodisce al suo interno una torre in apparenza inaccessibile per non avere un'entrata visibile a colpo d'occhio. Cosa si nasconderà all'interno della torre? Questo il motivo di attrazione del racconto. Buona la scrittura, buona la capacità di evocare mystery con sicura presa dell'interesse del lettore salvo poi scoprire una rivelazione finale non certo incisiva. Anche qua (come in Yola), al centro di tutto, c'è una divinità antica che si presenta nelle forme di una seducente giovane che promette una vita di piacere. Omaggio evidente a The Dreams in the Witch House (“La Casa Stregata”, 1932) con una casa dagli angoli e dalle proporzioni non euclidee che sfidano le leggi della geometria tradizionale e che permettono il passaggio tra mondi e tempi diversi (bella la visione offerta da Del Piano su una città aliena).


A tratti interessante (l'inizio) e particolare (la visione dei morti ritornanti) Il Kamasutra dei Morti di Daniele Corradi che, tuttavia, sceglie un lezioso e verbosissimo (a mio modo di vedere, sia chiaro) stile che uccide il piacere della lettura a favore di elucubrazioni che soffocano la dinamicità della storia. Poco visivo e molto più intellettuale.


Creature innominate che risalgono dagli abissi le ritroviamo in Il Richiamo di Zangal di Enrico Teodorani. Storia dall'inizio interessante che si perde strada facendo in una trama priva di spunti fino al telefonatissimo epilogo che vorrebbe fungere da sorpresa. Abbastanza mediocre. Deludente anche Il Culto degli Adoratori del Seme dei Coniugi Mezzanotte. Qui si torna sul pornografico, accompagnato dal lessico esplicito e volgare, con un amplesso di gruppo al servizo di un racconto privo di sfondo weird “prestato” alla causa lovecraftiana.


La Vita Sessuale di Lovecraft di Francesco Zanolla è in odore di oltraggio, portando in scena Lovecraft e le sue avventure sessuali spalmate nel corso della vita. Tra queste scene si ricorda Lovecraft adulto che si accoppia con la moglie mentre legge un libro (stile Verdone con la Pivetti in Viaggi di Nozze).


Risibile il brevissimo fumetto, ben raffigurato da Bruno Farinelli, basato su una microstoria di Enrico Teodorani.


Oltre i cinque racconti, quale valore aggiunto del libro, sono da segnalare le numerose raffigurazioni interne, la maggior parte delle quali realizzate (credo di poter dire) con intelligenza artificiale. Anche per queste raffigurazioni si sceglie la via dell'erotismo/pornografia di grana grossa. Dimenticate la muscolosità e il senso di avventura tipico delle muse o dei modelli raffigurati da Boris Vallejo. Qua si protende per la componente sessuale esplicita, con pubi e tette in bella mostra e persino falli tentacolari che confluiscono in bocca o in altri buchi. La mia raffigurazione preferita è quella inserita a pagina 170 per la firma di Stephen Fabian. Divertenti le copertine finali alternative, tra cui una volontariamente colma di refusi e un'altra in cui compare la scritta "V.M. 18".


CONCLUSIONI

Occasione in buona parte persa, probabilmente per effetto di una selezione non bilanciata. Troppi racconti simili e non sviluppati, più interessati a soffermarsi nella descrizione dei rapporti sessuali – sovente con la scorciatoia del linguaggio volgare e gretto – che nello sviluppare i soggetti. Ravviabile un'evidente carenza generalizzata di originalità nei soggetti. Non mancano tuttavia alcuni racconti riusciti. Dunque una lettura lovecraftiana diversa che, con una maggiore severità e un'attenzione più scrupolosa nella scelta dei racconti, avrebbe potuto ambire a maggiori consensi. Lodevole il tentativo di impreziosire il testo con una massivo impiego di illustrazioni. Più che valido l'editing. Consigliata ai lovecraftiani inappagabili o agli appassionati di spicy story. Non è una lettura hardcore horror.

 Copertina abortita.

giovedì 9 ottobre 2025

Recensione Narrativa: SU SCALA RIDOTTA di Daniele Vacchino.

Autore: Daniele Vacchino.
Anno: 2025.
Genere: Drammatico con elementi gialli.
Editore: Novilunio Stampe Amatoriali (self publishing).
Pagine: 100.
Prezzo: 15.00 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini

Fresca novità di stampa dell'amico Daniele Vacchino, da noi già recensito in occasione di Ritualis (https://giurista81.blogspot.com/2021/11/recensione-narrativa-ritualis-le.html) e La Strega del Ritano (https://giurista81.blogspot.com/2023/03/recensione-narrativa-la-strega-del.html), che nell'occasione abbandona i cliché della narrativa di genere per proporre qualcosa di più autoriale e di presa sociologica. Su Scala Ridotta, infatti, è una novella dalla singolare struttura, a metà strada tra un diario e un quaderno di appunti in cui sono riportati sinteticamente le stranezze della giornata lavorativa percepite dal protagonista. Interamente ambientato tra le mura di una scuola media, il racconto è narrato dal punto di vista di un docente di sostegno chiamato a sostituire colleghi assenti o a seguire, tra una lezione e l'altra (soluzione utile a mettere sotto esame i vari professori che si alternano nel gestire la classe), lo studente che gli è stato affidato. Inevitabile l'immedesimazione dell'autore, a sua volta docente di sostegno presso gli istituti secondari di primo grado, nel protagonista, quantomeno per pensieri e opinioni su colleghi e alunni, ma soprattutto sulla società contemporanea dove tutti vogliono scalare i ranghi sociali e apprendere la via più breve giungere alla soluzione di un'ipotetica equazione senza interessarsi ai vari passaggi da sciogliere comprendere il risultato finale. Vacchino arriva a sviscerare il nocciolo della questone (la superficialità contemporanea e l'inevitabile deterioramento intellettuale dei soggetti che compongono la società) proponendo le problematiche che accompagnano l'anno scolastico, la rivalità tra i professori, l'incapacità di essere autorevoli piuttosto che autoritari, tra supplenze, pettegolezzi e curiosi avvenimenti che scandiscono la stagione. Sotto l'apparenza della normalità, a poco a poco, trapelano segnali di dissonanza che lasciano pensare all'insorgere di un qualche mistero le cui ragioni fondanti non interessano a nessuno. Ecco dunque prendere piede il ruolo prettamente metaforico e simbolico di Su Scala Ridotta, tra significati nascosti e condotte da interpretare a livello psicanalitico: la scuola (base centrale per la formazione su scala ampia della società del futuro) cade letteralmente a pezzi, perché studenti e insegnanti hanno smarrito quelli che dovrebbero essere i fari guida confonendo persino i ruoli. Tutti bramano al potere, al controllo sugli altri, ma ognuno fugge alle reponsabilità correlate a un'autorità che avrebbe invece il compito di educare e sviluppare i sottoposti (e non già di atrofizzarli e dominarli, finendo invece per essere soverchiata o per finire per contrattare con genitori minacciosi). Non interessa più la comprensione o la sostanza di quanto ci sta intorno, tutto si concentra su una conoscenza veloce e superficiale in cui si vuole subito giungere al risultato (la posizione di vantaggio personale). Il dialogo intergenerazionale appare impraticabile e la distanza viene ulteriormente scavata dalla velocità e dalla frenesia dei tempi moderni dove c'è poco tempo da perdere. I problemi vengono sottovalutati e subiti, si fa persino finta di non vederli (così da non doverli risolvere), pensando che siano irrilevanti perché in fondo la vita va avanti lo stesso. Il plot, tutt'altro che commerciale, viene sostenuto da una scrittura estremamente scorrevole e semplificata anche nella costruzione dell'intreccio, evitando lirismi o barocchismi e puntando tutto sull'immediatezza e sull'efficacia. Curiosa, stilisticamente, la gestone dei dialoghi, che divengono parte del testo senza virgolette, caporali o trattini. La presa realistica e strettamente attinente alla vita di tutti giorni sfuma il giallo in favore di una denuncia dai contenuti drammatici e irreversibili (il finale promiscuo gioca nel sovrapporre agli studenti irrispettosi e sospesi per motivi disciplinari gli stessi professori che li hanno puniti, così da rendere paritetici i due gruppi). Alla fine ne esce fuori una novella di forte critica in cui l'autore assimila e rimodula – penso di poter dire – le esperienze personali maturate nella sua carriera lavorativa prendendo le distanze da quello che è l'attuale insegnamento e, soprattutto, dalla gestione delle classi e dei genitori degli alunni in una visione ridotta di quella che è la società del nuovo millennio.

L'autore ci ha rivelato di essersi ispirato a Shirley Jackson e, più in particolare, a La Lezione di Violino (1977) di Lucia Drudi Demby da cui arriva - oltre alla struttura - la citazione finale delle chiazze oscure che, inosservate da tutti, intaccano l'apparente sobrietà delle aule. In definitiva un prodotto abbastanza sperimentale, capace di far riflettere (più che intrattenere) il lettore.



"Nessuno unisce i puntini. Viviamo in un eterno flusso. Conta solo quel che accade oggi. L'argomento del giorno. La storia degli avvenimenti non interessa più a nessuno. Qualcuno è entrato a scuola? Tutti vogliono sapere chi è stato. Per quale motivo è stato fatto non conta. Conta la soluzione dell'enigma. E se la logica deve essere sacrificata, sacrificata sia "

sabato 4 ottobre 2025

Recensione Narrativa:VARCHI SULL'ABOMINIO di Matthew M. Bartlett.

Autore: Matthew M. Bartlett.
Titolo Originale: Gateways to Abomination.
Anno: 2014.
Genere: Antologia circolare di genere Horror/Splatter.
Editore: La Nuova Carne Edizioni (2024).
Pagine: 172.
Prezzo: 14,00 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini. 

Vero e proprio caso editoriale sorto dai social network che segna il “casuale” debutto nel campo dell'editoria dell'americano Matthew M. Bartlett (1970). Ormai trentaquattrenne e impiegato nel settore dell'educazione, Bartlett prende a scrivere per sfida, emulando un amico che ha aperto un canale su livejournal. Lettore di Stephen King, Howard P. Lovecraft, Robert Aickman e Thomas Ligotti, Bartlett compone brevi estratti di matrice horror/splatter ambientati nell'immaginaria cittadina di Leeds, un piccolo centro di un Massachussetts inedito (si pensi anche alle varie Arkham o alla Marlborough dell'appena letto e recensito Herbert Gorman), accorgendosi pian piano di avere un certo seguito, tanto da trovare l'appoggio e gli elogi di scrittori del modern weird contemporaneo quali John Langan (autore de Il Pescatore, da noi edito da Zona 42) e Jon Padget (autore de Il Segreto del Ventriloquio, da noi edito da Hypnos). Bartlett pensa allora di radunare tutto il materiale precedentemente pubblicato su livejourney e di darlo alle stampe in un'antologia autoprodotta. Esce così nel 2014 Gateways to Abomination. Il volume, pur non distribuito dalle major, viene fin da subito promosso al rango di cult (si parla, a mio modo di vedere con generosità, di “pietra miliare della letteratura horror/weird") spianando la via a un'inattesa carriera da scrittore che Bartlett, da sue stesse dichiarazioni, non avrebbe mai ipotizzato.

La genesi del volume emerge in modo spiccato nella lettura dei racconti, tanto che si fatica a seguire il fil rouge. Le storie non sono conseguenziali e sono sovente tronche. Prive di veri e propri epiloghi, vengono intervallate da bollettini radiofonici e resoconti di cronaca nera. Bartlett si diverte a frammentare i racconti più lunghi per proporli in modo invertito ovvero partendo dalla fine e risalendo verso l'inizio. Gateways to Abomination è dunque un'antologia che definirei sperimentale, composta da racconti/incubi potentissimi sul piano onirico/visionario (viene in mente Clive Barker) ma frammentati e deflagrati in un mosaico allucinato. Il lettore resta spiazzato, costretto a riprendere in mano il testo e ripartire dall'inizio per trovare una qualche quadra. La sensazione è quella di leggere, più che un'antologia, un romanzo criptato e incentrato sui segnali irradiati da un'emittente radiofonica (WXXT) che contamina la mente degli ascoltatori e diffonde il male nel New England in ossequio al volere di una setta diabolica dai rimandi cosmici. Il risultato di tutto ciò è il caos e una confusione che coinvolge anche il lettore (oltre ai personaggi, travolti dal delirio di cui sono vittima). L'incubo divora la realtà spostando la comfort zone della vita di tutti i giorni in una dimensione in cui tutto diviene possibile, con immagini folli e originali (piogge di neonati, sanguisughe alate, un tipo che cammina portando tra le mani il proprio cervello e via dicendo) che lasciano basiti i lettori che si chiedono cosa diavolo stia succedendo.

La Nuova Carne Edizioni importa il volume, che non definirei certo commerciale, dopo aver lanciato l'autore sul mercato italiano con un'antologia tradizionale e più "digeribile": Carnomante e Altri Racconti. È questa antologia ad aprire la porta all'arrivo nella nostra penisola di Gateways to Abomination ovvero Varchi sull'Abominio, un'antologia che potremmo definire circolare, che si presenta in veste di scommessa. Testo non semplice, estraniante e non proprio invitante a proseguire nella lettura. Si fatica a trovare la bussola in cui orientarsi in un mare magnum di visioni (efficaci, lo si deve ammettere) che sembrano essere state agevolate dall'uso della LSD. Dimenticate trame solide o sviluppi dettati da un qualche rapporto di casualità ed effetto. Abbandonate la sicurezza degli appigli della ragione e fatevi sommergere e trasportare dall'incubo. Questo ci dice implicitamente Matthew M. Bartlett. Vediamo ora i racconti più efficaci.

RECENSIONE NEL DETTAGLIO

Letta per due volte e apprezzata molto di più in seconda lettura, Gateways to Abomination si conferma essere un'antologia circolare con racconti interconnessi tra loro e, al tempo stesso, autonomi e quasi sempre chiusi con finali aperti o tronchi. Trentasei elaborati (secondo me, troppi) più la simpatica introduzione a mo' di racconto di John Langan, il tutto cadenzato da sei intermezzi che aprono scenari su accadimenti di cronaca nera appena accennati e idonei a fornire ulteriore materiale per nuovi “folli” racconti. Brilla su tutti Il Prozio Eltweed, un vero e proprio capolavoro che sintetizza e rappresenta l'intera antologia. Onirico, visionario, con una compenetrazione tra realtà e incubo dove la follia cancella e riscrive la realtà. Da antologia del terrore la sequenza della corsa tra un auto in viaggio in un territorio inedito (mi ha fatto venire in mente il racconto breve di King La Scorciatoia della Signora Todd contenuto in Scheletri) e una diligenza condotta da due caproni antropomorfi di baphomettiana memoria (viene citato esplicitamente la postura del capro di Mendes) che culmina con l'incidente che porta al grave infortunio dei cavalli e alla rivelazione del carico del mezzo. Qui, oltre che in L'Ultima Escursione, Bartlett inserisce la matrice dell'intera antologia in una visione luciferina della religione cristiana (si veda l'attacco diretto al Dio cristiano nel blasfemo I Figli di Ben Numero 5), che vede i morti resuscitare all'insegna del vizio e dell'abominazione (“Dopo più di un secolo, ben oltre la misera vita dei nostri corpi, diffondiamo il verbo dai boschi di Leeds”) per trasformarsi in adepti dotati di nuovi corpi (Primo a Morire) e in grado, addirittura, di ascendere al regno dei cieli (Le Figlie di Ben Numero 4). Dietro al tutto si muove una setta giostrata da adepti defunti e risorti nel peccato, dediti alla stregoneria e al vizio. 

Bartlett, pur se estroso e originale, ricorre alla simbologia cristiana, tra croci rovesciate, caproni, preti giustiziati e raffigurazioni pittoriche in cui un Satana caprino dalla spiccata virilità è circondato da angeli nauseati e scioccati. Il male viene diffuso da trasmettitori radiofonici celati nei boschi dell'immaginifica Leeds. Se in Videodrome di David Cronenberg era la tv a contaminare e bruciare le menti, qua è la radio WXXT a farlo, in vista di un nuovo ordine scatenato dal caos e dal crimine. Il lettore comprende questo in modo disorganico, individuando in seconda lettura (perché la prima è abbastanza confusionaria per mancanza di riferimenti che si acquisiscono strada facendo) i racconti cardinali e ricostruendo il puzzle deflagrato dall'insolita struttura. Determinanti a tal fine sono racconti come il lovecraftiano L'Investigatore, in cui un indagatore proveniente da Washington si muove nella sperduta cittadina di Leeds (siamo nel New England già teatro dei fatti di Salem) per venire a capo di una serie di crimini correlati, in base alle dicerie popolari, a un misterioso gruppo che gestisce una stazione radio pirata denominata WXXT. L'uomo, accerchiato da strane apparizioni e da individui a dir poco ambigui, si ritrova a curiosare all'interno di una labirintica libreria in cui rinviene grimori sensibili al tatto (“quando afferrò il libro per estrarlo, lo sentì in qualche modo contrarsi... la superficie del libro si corrugò, arrossandosi”) e saggi come I Culti e le Congreghe Stregonesche del Massachussets Occidentale. In questo racconto, inoltre, viene “esibita” ai lettori la fotografia del gruppo dei fondatori della setta attorno alla quale si muove l'intera antologia. Viene infatti rinvenuta una foto di repertorio in cui sono immortalati tutti i fondatori del culto. Da ricordare i nomi dei vari soggetti che, di volta in volta, compaiono anche negli altri racconti, spesso e volentieri come revenant protagonisti di strane dicerie e convinzioni popolari. 

Ma di quale setta si sta parlando? Lo scopriamo nella lettura di L'Arrivo dove si parla di “una setta connessa al traffico di esseri umani e omicidi rituali” che segue i dettami di un grimorio intitolato Libellus Vox Larva scritto da un tale chiamato Abrecan Geist. In Sentiero capiamo che gli adepti di questo culto si preparano all'avvento della piaga della Sanguisuga. Sono infatti questi esseri mostruosi che, un po' come ne Il Demone sotto la Pelle di Cronenberg, aggrediscono i cittadini di Leeds e, attaccandosi alla pelle, li sfigurano e li corrompono. Sono delle sanguisughe giganti dotate di ali, le quali, una volta cresciute, alzano da terra la vittima (Intervista a Emily Lavallee). Il body horror e il gore, come si può dunque intuire, sono spesso al centro delle storie, toccando apici in storie come il medical horror La Ballata di Ben Stockton, dove il protagonista si ritrova vittima di uno strano chirurgo dentista, o in Giunchi e Tife, dove si crea un perverso rapporto tra dolore e piacere sessuale. Bartlett evidenzia e ricorre a una vera e propria attrazione per l'orrido e il blasfemo che ricorda certi racconti di Clive Barker. Sulla stessa lunghezza d'onda si muove Quando ero Giovane, dove la componente sessuale è centrale. In questi racconti (non volgari come per l'hardcore horror) Bartlett esplicita le allusioni malate, incestuose e perverse suggerite dai racconti più ispirati di Howard P. Lovecraft. 

È dunque questo mix tra perversione, corruzione delle giovani generazioni (palese L'Incontro nel Cuore del Bosco) e resurrezione infernale su questa terra a fare da faro guida a un progetto strutturalmente originale e sperimentale che riesce, con una sola antologia, a delineare una cosmogonia infernale che riporta in auge quello che potremmo definire l'horror soprannaturale di matrice occulta. Fondamentale sarà non lasciarsi scoraggiare dall'impatto iniziale che funge da brain storming, così da poter apprezzare un libro in grado di lasciarsi ricordare per la vividezza delle immagini e per un estro pittorico che definirei artistico. Mi è piaciuto nei contenuti e soprattutto nella potenza visiva e onirica. Lo consiglio ai cultori degli horror occultistici e per certi versi ai cultori del Solitario di Providence, sebbene la struttura non aiuti la comprensione e rischi di allontanare i lettori meno pazienti. Nel complesso è stato un libro capace di andare sopra le mie aspettative. Bene ha fatto La Nuova Carne Edizoni a proporlo. Vergognosamente non citato nel catalogo di Alessandro Manzetti Guida ai migliori 150 Libri Horror dal 1986 al 2023.

 
L'autore Matthew M. Bartlett
 
 "Potrei dirvi che ero diventato parte di un esercito di morti che riceveva istruzioni tramite messaggi in codice diffusi da una stazione radio. Potrei dirvi della nostra empia missione e della moltitudine delle nostre vittime designate. Posso raccontarvi queste cose, mio pubblico invisibile, soltanto sulle frequenze di WXXT."