Genere: Horror / Dark Fantasy.
Editore: Bompiani (1990).
Pagine: 446.
Prezzo: Fuori catalogo.
Commento a cura di Matteo Mancini.
Mi chiamo Matteo Mancini, sono nato a Pisa nel 1981 e abito nell'indipendentista Tirrenia. Sono un grande appassionato di B-Movie (dallo spaghetti western, passando per il "poliziottesco" e proseguendo con thriller e horror). Tra le mie tante passioni le più forti sono la narrativa specie del genere fantastico scuola weird tales e la scrittura. Nella foto mi vedete, al centro, con a dx Antonio Tentori e la "giallista" Cristiana Astori, e alla mia sx Mr.B-Movie Dainelli e Ivo Gazzarrini.
Autore: AA.VV. a cura di Gabriele Lattanzio e Alessio Valsecchi.
Anno: 2024.
Genere: Horror.
Editore: Indipendente.
Pagine: 200.
Prezzo: 16.00 euro.
Antologia made in Italy curata da due "volpi" dell'underground italiano: Gabriele Lattanzio e Alessio Valsecchi, fondatore del mitico sito latelanera oltre che direttore di collana delle Edizioni XII.
I due curatori pescano direttamente nell'underground, sebbene la selezione non lo dia affatto a vedere. Dieci autori, pluri-premiati nel circuito dei concorsi letterari, presentati in gran spolvero, grazie all'ottimo editing di Daniele Bassanese. Tra tutti brillano i nomi della vincitrice del recente Urania Short 2024 Martina Scalzerle, della finalista al medesimo premio (ma in anno diverso) Paola Viezzi, del vincitore del Masters of Horror indetto dalla Universal Pictures Samuele Fabbrizzi, e dell'ottimo e graffiante Simone Corà (vecchia conoscenza di settore e pubblicato da editori quali Acheron Books, Nero Press e Edizioni XII).
Punto di forza dell'opera sono l'eleganza del lessico e la forma. I racconti sono tutti scritti in modo molto qualitativo e professionale con stili, a parte qualche eccezione, non troppo dissimili. Anche il livello dei soggetti è molto omogeneo. Se si fosse in un concorso, non sarebbe di certo facile stilare una classifica di merito. Il tema comune è quello della reincarnazione, sebbene gli sviluppi siano assai meno prevedibili di quanto si potrebbe pensare. Solo di rado il tema è trattato in modo “ascetico” (Matteo Mancini, Alessandro Agnese), assai più spesso, invece, si ricorre all'idea della reincarnazione quale via per mettere a segno vendette dirette (Andrea Costantini, Simone Corà, Martina Scalzerle) o indirette (Paola Viezzi), sconfinando per tale via nella ghost story o nel racconto di possessione. Dominano i contenuti drammatici, del tutto prevalenti sul sense of wonder e sul pulp, sovente con riferimenti ai disagi e alle problematiche che riempiono le pagine della cronaca nera (violenze in famiglia, femminicidi, pedofilia e via dicendo). Ne viene fuori un volume meno orientato sul fantastico da intrattenimento e molto più concentrato su un orrore “terreno” respirato tutti i giorni.
RECENSIONE NEL DETTAGLIO
Tra i racconti più squisitamente horror brillano Moquette di Simone Corà e La Grande Occasione di Paola Viezzi che, insieme a Cetra di Andrea Costantini, sono in assoluto i miei preferiti. Attenzione, però: non li definirei i migliori dell'antologia, perché qua, ve lo ripeto, la scelta è molto soggettiva, tanto che, a esempio, il racconto di Corà potrebbe benissimo passare dall'essere considerato il migliore (per via della sua verve scatenata e fantasiosa) al finire per essere reputato il peggiore (per il suo essere disancorato dagli schemi classici). Moquette infatti è il racconto più surreale del lotto, con evidenti omaggi a Stephen King (per l'aver trasformato un oggetto inanimato come una moquette in un mostro posseduto), Clive Barker (per la folle impostazione body horror alla Cronenberg) e Peter Blatty (ferite corporee su cui compaiono parole un po' come la famosa scritta “Help” sul corpo di Regan ne L'Esorcista). Divertente e grandguignolesco, mira a divertire avendo come background una revenge story in salsa ghost story. Pur se meno maturo di altri racconti dell'antologia, a mio avviso è una perla.
Cetra di Andrea Costantini (scrittore pubblicato da Nero Press) ha in comune con Moquette l'impostazione revenge (un leitmotiv dell'intera antologia). Cambia però lo stile e la scelta di pacatezza nello sviluppo. Se Corà sceglie vie assai più difficili da gestire (dove è facile cadere nel ridicolo) e giochi tutto sull'azione (ritmo serratissimo), Costantini opta per una struttura molto classica e predilige una gestione dei tempi molto più ragionata. Tornano a galla i giochi di infanzia anni cinquanta, caratterizzati da una crudeltà che riesce a colpire allo stomaco il lettore (specie se amante degli animali) senza bisogno di truculenze e di sangue. Impostato su un doppio binario parallelo, tra presente e passato, la storia si sviluppa con un'impostazione gialla che svela a poco a poco la propria sostanza fino a un epilogo obbligato. Non guastano i vaghi rimandi a Il Gatto Nero di Poe (penso alla macchia sul collo del gatto e al cappio). Bello, ma classico.
A metà strada tra Corà e Costantini, si muove Paola Viezzi con La Grande
Occasione. Tornano gli echi di Clive Barker (penso a Hellraiser)
e di Stephen King (Cose Preziose), sebbene al servizio di un racconto che miscela giallo, dramma e onirismo. La storia ha un abbrivio lanciato per rivelare progressivamente l'antefatto che sta alla base
delle condotte disperate del protagonista. Siamo nell'ambito di quelle storie
weird in cui il protagonista finisce per entrare in un negozio
di antiquariato dove è possibile comprare di tutto. Il "nostro" finisce
per acquistare una strana scatola, contenente pillole che garantiscono di accedere a una data vita futura. Finale piuttosto intricato e non
così prevedibile (ribaltamento dei ruoli dei personaggi), in cui
viene inserito il momento visionario e onirico più bello dell'intera
antologia. Bella storia.
Crepaccio di Matteo Mancini (il sottoscritto) è un racconto che affronta la tematica da un punto di vista classico (ovvero il loop che porta le anime a reincarnarsi di continuo nel ciclo della vita) per virarla su un piano ascetico/religioso che abbatte il materialismo in favore di uno spiritualismo da intendersi quale chiave di decriptazione del "vero" senso della vita. Penso di poter dire che sia il racconto più visionario dell'intera antologia e uno dei pochi (insieme al racconto della Viezzi) che cerca di mostrare la vita che sta oltre al nostro piano dell'esistenza. Potrebbe risultare fastidiosa la struttura frammentaria che accompagna la traccia principale, ovvero la scalata da parte di un alpinista di una parete rocciosa che acquisisce rilevanza metaforica.
Momenti comuni a
Crepaccio
si trovano in E Marmellata Sia
di Alessandro Agnese. Nonostante il titolo, forse poco accattivante,
si tratta di un inusuale ed eccellente weird
war (curioso che anche
in Crepaccio vi siano scene molto simili). Le scene di guerra sono
spettacolari e predominano sulla tematica dell'antologia che appare
nella parte terminale del racconto, in cui il morto torna nel circolo
della vita da neonato. La sensazione (sicuramente non corrispondente alla realtà) che si ha leggendo la storia è quella di un racconto adattato in un secondo momento alla tematica richiesta dai curatori.
Abusi sessuali adolescenziali sono al centro de La Confessione di Luca Bettega e de Gli Amici della Campagna di Samuele Fabbrizzi. Bettega (firma Delos Digital) segue una via mainstream predisponendo una prison story dalle atmosfere kinghiane (penso al racconto che avvia la raccolta Stagioni Diverse). Notevole la prima parte all'interno di un carcere, che non si conferma appieno nella parte più horror (peraltro sfumata). Come nel racconto della Viezzi si assiste a un passaggio dell'anima del protagonista da un corpo all'altro, ma laddove la scrittrice friulana sposava la via revenge qua si sceglie una via pessimista in cui sembra impossibile sfuggire ai disegni di un destino destinato a ripetersi.
Appare più di “genere” il racconto di Fabbrizzi,
peraltro l'unico in cui il tema della reincarnazione è meramente ed
erroneamente supposto da un manipolo di pazzi. Interessante, come
avviene peraltro in altri racconti (tra cui quello della Viezzi o quello di Ferrari o della Scalzerle), la
gestione dei personaggi che inizialmente vengono percepiti dal
lettore alla stregua di disperati che hanno perso una persona cara
salvo poi rivelarsi in un'altra e meno gratificante ottica. Fabbrizzi omaggia Jack Ketchum in favore di un realismo che rifugge dal fantastico.
Gli Amici della Campagna, infatti, non è una storia soprannaturale, ma un body horror in odore torture con accenni
hardcore horror. Finale liberatorio e un po' argentiano. Racconto irriverente e velatamente blasfemo, che gioca senza cadere in fallo con i rituali religiosi.
Molto più fine è Una Vita per una Vita dell'ultima vincitrice dell'Urania Short Martina Scalzerle. Taglio drammatico al servizio di una ghost story in salsa revenge presentata in modo da capovolgere le sensazioni iniziali. Dapprima il lettore ha la certezza di essere alle prese con un uomo abbattuto per la recente morte della moglie ma, a poco a poco, finisce per lo scoprire un'altra realtà. Si ripropone anche qua il tema dell'anima che trasla nel corpo di un'altra persona bypassando la nascita. Molto romanticismo (top in questo del lotto), ucciso da un epilogo revenge più incline a una storia di possessione che a una sulla reincarnazione intesa nell'ottica della metempsicosi (simile in questo anche Simone Corà).
È
una storia di possessione anche L'Invite
Francais di
Edoardo Barea, che ricorre (stranamente l'unico a farlo) all'ipnosi
regressiva per delineare una storia di sdoppiamento della personalità ancorata a una pregressa esistenza che chiama in causa il serial killer, davvero esistito, Barbablù. Poco chiaro se si tratti una possessione in qualche modo diabolica (il racconto è molto vicino a questo sottogenere) o una storia che propone l'idea della presenza di più anime in lotta tra loro all'interno di un medesimo corpo. Non manca il grandguignol.
Voodoo di Gualtiero Ferrari è invece la storia più black humor dell'antologia, costruita su un'ironia british che rende il racconto cattivissimo (il più cattivo del lotto). Anche qua, più che di reincarnazione, si parla di altro ovvero del ritorno dalla morte per il tramite dei rituali voodoo e della possibilità di rubare il copo ai vivi (dunque possessione). Siamo pertanto dalle parti del racconto soprannaturale in salsa weird e pulp. Protagonista è un marito disposto a tutto pur di far ritornare la moglie dall'aldilà. Interessante la scena della vittima sacrificale sotterrata viva con un cadavere, al fine di consentire la traslazione dell'anima del morto (idea simile a quella utilizzata dalla Scalzerle, ma esecuzione grandguignol). Tutto piuttosto classico, fino all'imprevedibile e beffardo finale che da avvio a un sadico e inatteso loop in barba alla tematica sulla violenza sulle donne. Henry Whitehead avrebbe gradito.
In conclusione Ancora Vivi è un'antologia, penso di poter dire, sopra le aspettative, che brilla per la cura dei testi e l'eleganza espositiva degli autori. Ottimo l'editing e valida la scelta operata dai curatori. Da sotolineare l'impostazione più “italica” rispetto a un horror dalle atmosfere gotiche o weird, che qua vengono subordinate – dalla maggiore parte degli autori – a una predilezione per il racconto drammatico in salsa macabra calato nella realtà quotidiana. Onoratissimo di farne parte.
Autore: AA.VV..
Anno: 2024.
Genere: Fantastico - Weird.
Editore: Dagon Press.
Pagine: 188.
Prezzo: 12.90 euro.
Atteso primo numero della serie antologica Weird – Il Fantastico e lo Strano in Letteratura che Pietro Guarriello, dominus della Dagon Press, propone a inizio 2024 al fine di cavalcare il momento felice del genere weird salito in Italia sulla cresta dell'onda, negli ultimi anni, grazie alle proposte editoriali di Hypnos, Providence Press, Biblioteca di Lovecraft, Agenzia Alcatraz e non da ultima della stessa Dagon Press. Un'offerta senza precedenti nel panorama editoriale italiano, specie se si considerano anche altre case editrici più orientate al cosiddetto modern weird (La Nuova Carne, la fallita Dunwich Edizioni, Independent Legions e via dicendo).
Sette
racconti,
due dei quali di contemporanei scrittori dell'underground italico
(lodevolissima questa idea), per una forbice temporale che va dal
1830 al 2024. Piace soprattutto l'idea di lanciare autori autoctoni (spesso più motivati e in forma rispetto alle prove dei più celebri colleghi recuperate dall'oblio), così come è valido il tentativo di "scoprire" testi inediti di scrittori del tempo che fu non particolarmente inflazionati nelle traduzioni italiane se non, addirittura, semisconosciuti.
In questo primo numero dominano le atmosfere ambientali. Guarriello sembra aver condotto la sua selezione focalizzandosi sulle atmosfere scenografiche, solitamente di luoghi isolati, inaccessibili o flagellati da condizioni ambientali proibitive che mettono a repentaglio la vita dei viandanti travolti dagli eventi. Ben quattro racconti, oltre la metà del totale, rientrano in questo sottofilone. Tra tutti, non so quanto sia un bene per la selezione operata, brilla Il Sepolcro di Ghar'strag (2024) di Emiliano Caruso, un sword & sorcery intriso di sense of wonder caratterizzato da una graduale e lenta discesa in un incubo dalla forma di un'isola di pietre dispersa nell'oceano. Di gran lunga il miglior racconto del lotto. Un vero e proprio gioiello che tiene incollato alla pagina il lettore e lo meraviglia, come dovrebbero fare i racconti weird. Memorabile tutta la parte della barca dei vichinghi che penetra all'interno di un banco di nebbia su cui galleggiano velieri e navi abbandonate da chi, da quell'isola, non è più riuscito a scappare. Prova sontuosa per un autore il cui nome è da appuntare sull'agenda.
Si
passa dalle ambientazioni glaciali e granitiche de Il
Sepolcro di Ghar'strag al
deserto arabico di Ithran
the Demoniac (“Il
Demone del Deserto”, 1830) dell'inglese William Howitt. Costante è
l'inferno scenografico, qua curiosamente ribaltato rispetto a quello
tratteggiato da Caruso. La sabbia al posto dell'oceano, il caldo in
luogo del freddo, costanti rimangono la fame, la sete, la condanna a
morte per l'impossibilità di compiere un viaggio di ritorno da un
contesto ambientale dominato dalle pietre. Meno spettacolare del
racconto di Caruso, Howitt sostituisce al mito del guerriero caduto a
cui si deve dare degna sepoltura quello del profeta ebreo maledetto
per aver ceduto ai richiami della carne e, per questo, costretto a
errare per il deserto alla stregua di una belva feroce (il capro
espiatorio di tutti i peccati di Israele). Bello lo stile, con
struttura quasi tutta orientata a ritroso – in flashback - per
ricostruire la vicenda di un uomo agonizzante sulle pietre battute
dal sole arabo. Non decolla mai, però.
Sulla stessa lunghezza d'onda, ma assai meno affascinante, è When the Rains Came (“Quando le Piogge Arrivarono”, 1964) dell'autore più conosciuto del lotto: Frank Belknap Long. Il corrispondente di Lovecraft rielabora, in chiave fantascientifica, la parabola del diluvio universale ma la sposta in un mondo alieno. Siamo in un pianeta dove un astronauta è precipitato con la sua navicella spaziale. Ancora una volta abbiamo l'impossibilità della via di ritorno e lo scatenarsi di una situazione ambientale, dovuta alla pioggia battente, che rende il contesto scenografico infernale. Il protagonista, infatti, si trova costretto a scalare un'alta montagna per sfuggire dall'allagamento che tutto distrugge. Il superamento della prova lo porterà a essere recuperato da creature provenienti dall'universo.
Costruito sul fascino ambientale, nella fattispecie le foreste russe, è anche Bezin Lug (“Il Prato di Bez”, 1852) di Ivan S. Turgenev. È una storia stile i racconti di caccia di Robert W. Chambers, penso a The Demoiselle d'Ys (racconto minore inserito nella raccolta The King in Yellow, 1895) o al più incisivo The Maker of Moons (“Il Fabbricante di Lune”, 1896), che ha il merito di anticiparli e il limite di non decollare mai. Turgenev propone l'avventura di un cacciatore che, in compagnia della sua cagna, si perde nel bosco e si trova a dover trascorrere la notte davanti al focolare con quattro ragazzetti che si raccontano storie più o meno fantastiche (per lo più ghost stories o storie criptozoologiche) in pieno spazio aperto. Ottimo lo stile evocativo, all'insegna del vorrei ma non posso. Il lettore ha la sensazione che, da un momento all'altro, possa succedere qualcosa di fantastico e terrificante, ma alla fine resta deluso. Struttura frammentata, racconti troncati che passano continuamente di “palo in frasca” (vaga idea della struttura a episodi tenuti uniti dalla storia pilota). Certo, l'ambientazione e la gestione dei tempi sono interessanti, tanto che qualcuno lo ha definito un antesignano del folk horror, tuttavia manca l'affondo decisivo per rendere la storia un qualcosa da ricordare.
La butta in una satira burlonesca Frank R. Stockton con A Story of Seven Devils (“La Storia dei Sette Demoni”, 1885), un racconto che di weird ha davvero poco. Viene meno persino il fascino delle ambientazioni. Tema centrale è la libera interpretazione da parte di un bislacco pastore protestante (che neppure sa leggere) della Bibbia. Infastidito dalla moglie che lo comanda a bacchetta, il pastore afferma durante un suo sermone che ogni donna è posseduta da sette demoni. Una sortita che getta in subbuglio l'intera comunità femminile che minaccerà di cacciarlo se non riuscirà a trovare una giustificazione scritta alla sua affermazione. Probabilmente divertente per l'epoca, si dimentica presto ultimata la lettura.
Delude anche The Renegade ("Il Rinnegato", 1964) di John Metcalfe, un racconto senza mordente e senza sense of wonder, che Pietro Guarriello pesca da una selezione di August Derleth. Al centro del narrato c'è la morte di uno zio, da cui la protagonista spera di spillare quattrini, che preferirà destinare gran parte della sua eredità in favore della tutela dei rinoceronti. Anche qua il racconto non decolla mai, si allude a un caso di strana licantropia con traslazione dell'anima di un morto nel corpo di un rinoceronte intrappolato in uno zoo. Curioso che Pietro Guarriello, in quarta di copertina, parli di ippopotami mannari (evidentemente pure lui assai poco colpito dal testo che ha scelto di proporre).
Sceglie la via della tecnica linguistica Paolo Sista con Madre delle Ceneri, un personale omaggio al De Profundis di Thomas De Quincey e, molto più marginalmente, alla trilogia delle madri di Dario Argento. Lo stile è moderno, a tratti politicamente scorretto per assumere, alla distanza, terminologie ricercate che ne caratterizzano la matrice autoriale. Paradossalmente è preferibile (perché più accessibile al lettore comune) la prima parte del racconto, di mera preparazione rispetto al soprannaturale che irrompe nella seconda parte. Al di là di ciò, Madre delle Ceneri è il racconto più weird dell'intero lotto per il suo richiamare scenari apocalittici alla Hodgson dove il tempo è sospeso e l'eletto/dannato attende – suo malgrado - la fine del mondo assoggettato a una maledizione da cui non può liberarsi.
CONCLUSIONE
Devo essere sincero: mi attendevo qualcosa di più. Al di là del racconto di Caruso e, per certi versi, quello di Sista, le scelte operate da Guarriello – specie se si considera che si tratta di un volume pilota (dunque da lanciare sul mercato alla massima potenza) – non sembrano essere state tra le più accattivanti. Racconti così e così (Howitt, Turgenev), altri deludenti (Long e Metcalfe) se non persino trascurabili (Stockton). Paradossalmente spiccano i due italiani che, sulla carta, sarebbero dovuti essere quelli più in difficoltà col parallelo offerto dai più "grandi" colleghi del passato. Si poteva fare meglio. Per fortuna il pubblico ha risposto bene tanto che, al momento, la collana è giunta al suo quarto numero. A presto per le prossime recensioni.
“Squadra che vince non si cambia” dice un vecchio adagio, a cui Maurizio Bianciotto sembra non volersi discostare. Lo scrittore torinese rinnova così il sodalizio con la Mannarino Editore e, dopo La Sanguinaria Dama della Magione Oscura – Orrore (2023) dello scorso anno, torna sul mercato con una nuova novella (in realtà un racconto lungo) in odore Hammer: Un Castello nei Carpazi.
Novanta pagine abbondanti che sintetizzano appieno la narrativa di Bianciotto, richiamandone tutti i topos: l'ambientazione est europea, il tema del viaggio di avvicinamento dalla campagna verso un antico castello, il protagonista che è un soldato, la presenza di un nobile dai tratti che richiamano Dracula, la graduale entrata in scena di un orrore compenetrato da avvenimenti legati alla grande storia dell'umanità (qui del novecento, più spesso dell'ottocento) e un marcato senso d'azione dove trovano spazio le armi da fuoco. Un Castello nei Carpazi non deroga a questo. Bianciotto confeziona l'ennesimo racconto classico legato agli insegnamenti della narrativa dell'orrore di inizio novecento e lo fa con una padronanza ormai divenuta un marchio di fabbrica.
Narratore provetto, Bianciotto ha costruito una comfort zone in cui riesce a destreggiarsi con tecnica professionale, stentando però a discostarsene per cercare un qualcosa di più personale e rivoluzionario. Le sue sono storie quadrate, gestite con una costruzione dei tempi assai calibrata e un'interessante analisi psicologica dei protagonisti. Nell'occasione porta in scena una spedizione ordinata nientemeno che da Himmler, al fine di scoprire la via attraverso la quale un Conte rumeno (tale Mircea Codrescu) ha vinto la morte. Niente di originale dunque, ma ben narrato, specie nell'introspezione dei personaggi, tra i quali un ufficiale della wehrmacht (un uomo ossessionato dal suo ruolo e incapace di vedere la realtà per quello che è) che si duole per essere stato distolto dal fronte russo per accompagnare uno strampalato professore dedito allo studio del soprannaturale.
L'epilogo è un po' telefonato, ma l'idea di ribaltare il tutto facendo passare i mostri per un qualcosa di meno diabolico degli umani attribuisce al progetto (derivativo) un qualche punto in più. Finale grandguignolesco, tra vampiri, licantropi e streghe, con un uomo che ricorda un po' il Tony Montana di Scarface.
Si
annota la totale assenza dell'erotismo, altrove presente nelle storie
di Bianciotto. Consigliato, come sempre, ai cultori di un orrore legato alla Hammer e ai romanzi derivativi del Dracula di Bram Stoker.
Seconda di due antologie curate nell'arco di dodici mesi (1987/88) dal critico letterario - e soprattutto famosissimo giornalista RAI – Gabriele La Porta per la Newton Compton Editori. Evidente il tentativo di rendere letterario il fantastico proponendo qualcosa di diverso dai racconti anglofoni. È interessante notare, più ancora della prima delle due antologie (Racconti di Tenebra), il coinvolgimento di nomi che col fantastico – in apparenza - hanno poco da spartire. Vengono meno firme di specialisti quali Marco De Franchi e Riccardo Reim, mentre pullulano giornalisti, attrici, conduttori e dirigenti legati al mondo della Rai. Spiccano le firme di celebrità del fantastico quali Gianfranco De Turris e di scrittori che si sono fatti un nome col genere quali Roberto Genovesi e Stanislao Nievo, ma in particolar modo compaiono molti outsider tra cui sorprendono le firme dell'attrice Maria Rosaria Omaggio e del cantautore Mario Castelnuovo, assai più conosciuti in altro ambito.
Ecco che ne viene fuori un lotto di venticinque racconti piuttosto eterogenei che guardano, perlopiù, a un orrore edulcorato di matrice onirica. Il titolo dell'antologia, Racconti d'Incubo, rappresenta molto bene il contenuto del testo. Molti dei racconti, infatti, danno sostanza a incubi notturni, talvolta prodotto di veri e propri sogni pesanti. Vi sono anche alcuni gialli, una storia realmente accaduta rimodulata in chiave narrativa (la tragedia di Vermicino filtrata dalla poetica di Stanislao Nievo e il suo Il Pozzo), una satira che lancia strali assai velenosi e polemici sul mondo dei concorsi narrativi e della critica letteraria (il graffiante Francesco Grisi con Lunga Vita alla Poesia) e persino un racconto fantascientifico. La maggior parte dei racconti, tuttavia, verte su ghost stories, storie di demoni, streghe, assassini e persino uno spiccato omaggio (Il Dottor Faust e il Mistero della Casa Blu) alla figura del golem.
Gabriele La Porta sembra chiedere ai suoi autori una cifra autoriale, un quid che renda i vari contributi un qualcosa di diverso rispetto all'ordinaria narrativa commerciale. In altre parole, si respira un tentativo di creazione “letteraria” piuttosto che narrativa, dove lo stile tende ad avere un ruolo paritetico, se non prevalente, sui contenuti. Tutto ciò non deve sorprendere, visto l'elevato numero di intellettuali coinvolti nel progetto
La Porta, scomparso nel 2019, è stato uno dei volti più popolari della Rai. In servizio per quarantadue anni con ruoli apicali -direttore di Rai 2, primo direttore di Rai Notte e conduttore di trasmissioni culturali - è stato definito “il più longevo dirigente della storia della televisione pubblica italiana”.
Cultore di esoterismo, ha pubblicato saggi quali La Magia (1998), Storia della Magia (2001), Dizionario dell'Inconscio e della Magia (2008). Ha inoltre condotto speciali televisivi come Edgar Allan Poe e Alla Ricerca di Dracula (1992). Proprio questa passione per il fantastico lo ha spinto a provare la via della curatela di antologie interamente composte da scrittori italiani presi in prestito da altri contesti. Un apporto di esperienze diverse che ha portato a plasmare un lotto sperimentale, a tratti curioso, che sarebbe stato bene promuovere anche se, in tutta probabilità, a suo tempo (figurarsi oggi) respinto dal pubblico di lettori abituati a un certo tipo di narrativa.
Personalmente, ho apprezzato almeno una decina di racconti, mentre ho trovato deludenti gli altri, vuoi perché più concentrati sullo stile o perché non troppo convincenti per trama. A ogni modo, la costante per tutte le storie è l'eleganza e la dotta padronanza di cui si fanno portatori tutti i coinvolti nel progetto, ivi compreso il diciottenne (Michele La Porta) figlio del curatore che, pur non scrivendo un racconto memorabile, sfoggia un invidiabile lessico (specie se si valuta la giovanissima età).
RECENSIONE SPECIFICA
Due sono le perle raccolte.
Pierfelice Bernacchi, giornalista Rai studioso di religioni e di esoterismo, presenta uno dei racconti più di “genere” del lotto: Astarte: il Genio del Venerdì. Sette sataniche, diavoli, viaggi in cunicoli sotterranei tra topi e pipistrelli, braccati da cani famelici. Questo e altro per una storia a suo modo anticipatrice, per tematiche e costruzione, dei romanzi di Dan Brown – con tanto di antefatto in linea con quello attraverso il quale si aprirà Il Codice da Vinci. Bernacchi miscela molto bene mystery, azione e orrore, attingendo dal suo know out in campo esoterico e di storia delle religioni. Ne deriva un'ottimo elaborato che guarda alla parte finale di Phenomena di Dario Argento (fuga nei cunicoli infestati da teschi, fango, topi e blatte) e, al tempo stesso, gioca attorno a un tentativo di decriptazione della rivelazione dell'Apocalisse di San Giovanni. Chi è l'anticristo? Molto affascinante, adatto a un pubblico appassionato di gotico moderno.
Più letterario, ma non di caratura inferiore, Da Lucia del dirigente Eni Paolo Andreocci. Qui si assiste al tentativo di rendere letterari gli stereotipi del patto diabolico e della ghost story, al fine di proporre un omaggio alla narrativa vista come un qualcosa in grado di rendere immortali i suoi protagonisti: gli scrittori. “Leggere è solo dialogare. Un libro è la parola cristalizzata di un uomo come noi, che come noi ha sofferto ed amato, sperato e costruito. Non mi meraviglia affatto che qualcuno passi la vita a colloquiare con i propri simili. Sono morti? E che fa? Uomini sono, dai quali soltanto ci dividono il luogo e il tempo... Gli uomini possono comunicare tra loro anche attraverso i secoli. Il tempo non esiste!” Una conclusione che porta a negare, insieme al tempo, la morte. Racconto molto bello, impreziosito da una seconda sottotraccia: l'idea delle letture parallele. Un cultore di narrativa ha pensato bene di utilizzare i suoi libri per estrapolare frasi che, decontestualizzate, danno vita a un'opera nuova da “(ri)montare” attraverso il ricorso di una specifica chiave di lettura. Tanto romanticismo e nostalgia, per un racconto che propone un interessante momento onirico e una buona dose di mystery.
Sprigiona potenza visiva lo sfuggevole La Nave dei Dannati del critico cinematografico Franco Valobra, un racconto che lascia molto all'immaginazione dei lettori limitandosi a tratteggiare un contesto apocalittico in cui tutto resta sfumato. Un naufrago ha smarrito la memoria e non sa capacitarsi della sua presenza su un'isola deserta e bersagliata da un tifone e dalla caduta di un astro di fuoco che incendia tutto. Rimasto solo in compagna di una pecorella che sembra assisterlo, vaga tra animali che corrono nel bosco in cerca di una via di fuga. L'idea che ho avuto è quella di essere alle prese con una parabola simile a quella dell'estinzione dei dinosauri (sebbene qua gli animali siano quelli comuni), in cui sembra alludersi alla situazione esistenziale degli esseri viventi in balia dei giochi di creature superiori (qua rappresentati dai militari di un battello che giunge a salvare i superstiti). La presenza di una villa porterà il protagonista a pensare di essere una cavia di un qualche esperimento. Alla fine tutto resta sospeso in ossequio a una matrice freudiana di valenza metaforica.
Non può poi non brillare il “Maestro” Gianfranco De Turris con un omaggio lovecraftiano (Il Segno) sviluppato e gestito in maniera personale. Una vacanza estiva con moglie e figli si trasforma, per un intraprendente turista appassionato di immersioni subacquee, in un'occasione di scoperta di una “realtà” diversa, sebbene adiacente alla “nostra”. Ottima la gestione, tra suggestioni, intuizioni, sogni e realtà, fino alla rivelazione dell'impronta umana palmata riscontrata sul fondale marino.
Sorprende Maria Rosaria Omaggio con un racconto (Non Dire Solite Donne) sullo stile di quelli di Maurice Renard; un giallo dai risvolti horror che miscela il tema delle maledizioni demoniache a quello dell'amore impossibile. Che mistero si cela dietro al rapporto che una nota pittrice intrattiene con i suoi sette alani? Una fiaba contemporanea dal nefasto epilogo.
Prende la via bradburiana Roberto Genovesi con Fermata a Richiesta, un giallo che sposa la via dell'horror prendendo l'abbrivio da un'indagine impossibile in cui un poliziotto indaga su un bizzarro incidente stradale dove, pur non sapendolo, è deceduto lui stesso. Bello il finale, in cui un autobus impazzito condotto da un autista fantasma finisce per piombare in un dirupo.
Tra i racconti più articolati vi è quello del curatore, Il Dottor Faust e il Mistero della Casa Blu, che riporta in scena la figura del Golem, seppur contaminata dal mito di Frankenstein (ovvero l'archetipo della creatura assemblata con pezzi di cadavere trafugati dai cimiteri). La struttura segue gli stilemi del giallo, caratterizzato da un'indagine che ruota attorno alla scomparsa di una serie di ragazze prossime a convolare a nozze. Siamo nella Praga di inizio novecento, in un clima di odio verso gli ebrei che si scopriranno essere vittime dei piani di un alchimista che agisce per finalità esistenzialiste. Ottimo l'onirico inizio, di matrice labirintica, meno invece il movente del folle che ha riportato in vita il golem. La Porta propone un villain nichilista che, per certi versi, ricorda il prete di Non si Sevizia un Paperino di Lucio Fulci. “La vita è dolore, non osservi che gli uomini passano da un affanno all'altro. Non rifletti sul dolore di guadagnarsi il pane, di crescere i figli e poi gli spasmi delle malattie, delle carestie, delle miserie della guerra? Si, questa è quella che tu chiami vita: una successione inarrestabile di afflizioni.” Il villain vede così nell'amore un'illusione nonché la benzina che consente alla vita di andare avanti mentre, a suo dire, l'unica salvezza è la morte.
Un interessante giallo, tutto gestito nella forma di un monologo che un imputato rende al giudice istruttore, è La Garanzia di Massimo Rendina (direttore del primo telegiornale Rai) che propone un ménage à trois incentrato su un contratto (che sarebbe nullo nella realtà) avente a oggetto l'impegno di un nullatenente di sacrificarsi, a richiesta, per fornire gli organi necessari al riccone a cui ha garantito, in cambio di benessere immediato, l'eventualità di disporre del proprio corpo per salvare la propria vita. Finale beffardo.
Mostra infine una grande tecnica espositiva Annibale Paloscia, capo redattore dell'Agenzia Ansa, che con eleganza plasma Le Porte della Notte, un'avventura ambientata nella giungla. Sembra uno di quei racconti ambientati in Asia che Gustav Meyrink scriveva per Simplicissimus. Sciamanesimo e reincarnazione degli spiriti dei trapassati negli animali sono il leitmotiv.
Questo, a mio modesto parere, il top dell'antologia che, per il resto, si snoda tra ghost story e gialli. Tra le prime si segnala Velcha di Mario Castelnuovo, una storia stile Edgar Allan Poe dislocata su tre periodi temporali, che cadenzano l'inesorabile approssimarsi di una morte umanizzata nei contorni di una donna emersa dalle nebbie di un paesino agreste. Su coordinate simili si muove Michele Giammarioli con La Nebbia, storia abbastanza prevedibile che ripropone l'idea (già letta con Genovesi) dell'uomo morto in un incidente stradale che continua a muoversi tra i vivi non rendendosi conto di essere deceduto.
Killer e balli carnevaleschi sono al centro di Arlecchino all'Inferno di Paolo Mosca (propone una festa in maschera libertina e perversa dove tutti si lasciano andare alle tentazioni meno una donna vestita da suora che, per sottrarsi al dileggio e a un tentativo di stupro, ucciderà arlecchino) e di Il Sogno, Il Sangue e L'Amore di Gianni Biasich, dove entra in gioco il tema dell'adolescenza, rappresentata da un ragazzino un po' trascurato dai genitori che assiste, scioccato, all'assassinio della baby sitter salvo poi scoprire che è stato tutto un gioco, forse...
Vittorio Sozzi, sul modello de Il Settimo Sigillo, propone Gioco senza Fine un racconto freudiano (da cui viene tratta l'idea della copertina) che combina il tema del labirinto con quello della partita a scacchi tra un uomo e un'entità superiore. Interessante l'epilogo in cui il giocatore si ritrova all'interno del campo di gioco.
Tra i più perversi e inquietanti figura La Maga di Dario Bellezza, racconto in cui lo stile tende a prevalere sui contenuti. Un buon epilogo, venature erotiche malate che ruotano attorno a una maga, versione vecchia befana, che costringe giovani ragazzi a intrattenere rapporti sessuali con lei.
Si va dalle parti del giallo con lo sperimentale Verde da Morire di Anna Mirabile (elaborato di denuncia che cambia di continuo registro, passando dall'incubo all'artificio letterario che si traduce nella concretezza della realtà) e il modesto A Morte i Ciclisti di Mario Lunetta, un'indagine su una catena di omicidi a danno di ciclisti abbattuti dai colpi di una carabina.
Troppo intricato Identikit di una Notte di Italo Moscati, costruito su un tradimento che si deforma in una visione allucinata che distorce gli accadimenti proprio come avverrebbe in un incubo. Contorto anche Nascita Eterna di Maurizio Persiani che gioca su un bambino che vive simultaneamente più esistenze dislocate tra presente, passato e futuro.
Tra i meno riusciti citerei Il Viaggio di Serena Caramitti, sia per non essere originale sia per non essere ben gestito. Il riferimento è La Sentinella di Frederic Brown ma, a differenza del capolavoro dello scrittore americano, gli indizi disseminati nel testo non sono onesti verso il lettore. L'idea è quella di proporre la discesa di una coppia di alieni – venusiani – che si imbattono in un mondo futuro terrestre, dominato dallo smog, e dai veicoli che vengono erroneamente e ingenuamente (visto che si parla di un popolo dotato di astronavi più evolute delle nostre) reputati animali. Modesto.
Tra i peggiori (per contenuto, non certo per stile), Un Bel Racconto, del figlio del curatore che fornisce la sensazione di menare il cane per l'aia – come peraltro dice lui stesso all'interno del testo – per presentare un racconto senza bussola. Simpatico per l'autoironia metaletteraria, ma nulla più.
Interessante ma non ascrivibile al rango di racconto Il Pozzo che, con stile giornalistico, ripropone la tragedia del Vermicino (la caduta di Alfredino nel pozzo). Scelgono la via della satira invece Lunga Vita alla Poesia di Francesco Grisi e I Miracolati, attraverso il quale Franco Cuomo propone un Gesù ritornato dalla morte ma deluso della reazione dei soggetti che hanno goduto dei suoi miracoli.
In conclusione un'antologia di racconti prevalentemente fantastici che riscrivono il genere in un'ottica italica, cercando di rendere letteraria la narrativa di intrattenimento. Un progetto che si sarebbe dovuto incentivare ma che, ahimé, è naufragato per un numero non esaltante di copie vendute (così deduco e immagino). Da notare il forte coinvolgimento del personale Rai. Ad avercene, oggi.
Freschissima uscita per le Edizioni Il Ciliegio, sul mercato dall'1 ottobre 2024, di cui vi forniamo in anteprima la recensione (penso di essere il primo). Andrea Gualchierotti, penna di punta del weird italico (più volte intervistato dalla Rai) e ospite fisso di Dimensione Cosmica, torna con un nuovo contributo al sword and sorcery legato alla tradizione classica. Spada e magia dunque, nel solco delle storie di Robert Ervin Howard sebbene traslato nel mondo greco-romano. Dopo gli ottimi La Stirpe di Herakles (2020) e soprattutto I Principi del Mare (2022) - qua la nostra recensione http://giurista81.blogspot.com/2023/10/recensione-narrativa-i-principi-del.html - Gualchierotti sposta l'ambientazione delle sue storie dalla Grecia del mito omerico alla Roma del 110 d.c., in pieno periodo di spettacoli in arena dove si inneggiano atleti che provocano la morte di altri. Immaginate dunque Il Gladiatore di Ridley Scott imparentato all'epopea della tradizione omerica posticipata al primo secolo del dopo Cristo. Gli dei che interferiscono con le vicende e i "giochi" degli umani. Sacro e profano dunque, dove il primo è legato al paganesimo e allo scontro tra gli dei e dove dei cristiani non vi è ancora traccia. Lo spunto parte dal fantastico ovvero dall'idea che ogni 15.000 anni, nel giorno in cui gli astri tornano nella posizione che avevano al principio del tempo (idea lovecraftiana), gli dei gareggiano per il governo del mondo. Anziché scontrarsi tra loro, i tre figli generati da Kronos (Zeus, Ade e Poseidone) pensano bene di darsi battaglia per interposta persona. Individuano infatti tre dannati caduti sul campo di battaglia delle arene e li riportano sulla Terra con la promessa, a chi dei tre rimarrà in vita, di essere liberato dal legame con la morte e di tornare così definitivamente in vita. Ognuno dei tre rappresenterà uno dei tre dei. I "nostri", tutti guidati da desideri personali di vendetta, dovranno vedersela contro creature infernali (echi de L'Armata delle Tenebre di Sam Raimi) e altri più convenzionali, spesso in condizione di svantaggio avendo come unici conforti lo scudo, l'elmo e il gladio.
Trama dunque meno epica delle precedenti di Gualchierotti e più votata al grandguignol e all'intrattenimento. Domina infatti l'azione e vengono meno i rimandi classicisti. L'autore denota comunque una grande cultura in materia, ha studiato il mondo dei gladiatori e riesce a riproporlo in ogni sua particolarità. Viene curato ogni aspetto, dall'alimentazione agli indumenti e alle armi, passando per gli allenamenti, le punizioni per i rivoltosi (reclusione in celle scavate nel tufo) fino alla considerazione che simili soggetti avevano in una Roma truce e crudele sempre assetata di sangue. In altre parole, i gladiatori erano molto simili a quello che oggi sono i cavalli da corsa. Proprietà di appassionati che investivano soldi per farsi belli negli appuntamenti importanti, oltre che boia chiamati a eseguire pene capitali a danno di criminali a cui veniva offerta l'illusione di potersi difendere al cospetto di una folla di spettatori drogata dallo spettacolo.
I Campioni dell'Inferno è una sorta di Rollerball del passato, in cui si inseriscono molti momenti fantastici funzionali a creare grande evocazione scenografica all'insegna del sovrannaturale. Abbiamo parti ambientate nell'Ade, altre tra le rovine di Ercolano fino alla ricostruzione di una battaglia navale avvenuta tre secoli prima e riproposta quale spettacolo all'interno del Colosseo (spettacolare descrizione delle varie fasi). Lo stile è elegante, ricercato al punto giusto, con latinismi e grande padronanza della materia trattata. La storia è weird con contaminazioni horror e, se mi permettete, intrisa di marcato gusto da spaghetti western (personaggi smargiassi, irriverenti persino verso gli dei, in continua ricerca del duello al punto da sfidare la morte e chi li attenderà oltre essa), tuttavia il vero centro del romanzo è il mondo dei gladiatori. Gualchierotti da la sensazione di voler soprattutto parlare di questi eroi del tempo che fu, del loro mondo e dei loro usi. Schiavi al servizio di perversi proprietari, talvolta persino oggetto di inconfessabili desideri sessuali di natura omosessuale. Da questo, probabilmente, nasce lo spunto del testo. Ecco che il contenitore fantastico funge da mero pretesto per rendere più accattivante una storia che lo sarebbe stata anche a prescindere. Protagonista assoluto, più che della storia, è il retaggio storico e la verosimiglianza dei fatti calibrati al periodo in cui è inscenata la vicenda.
Tra le parti più riuscite, oltre al pirotecnico finale degno di un kolossal alla Ben-Hur, vi è tutta la prima parte. Il prologo in cui assistiamo al naufragio di un'imbarcazione che si trova a passare laddove si danno appuntamento i tre figli di Kronos è forse il momento più bello del testo, superato dalla parte ambientata nell'Ade dove i prescelti si trovano a dover respingere un'orda di zombie. Bella è inoltre la scena nella villa alle porte di Ercolano, per non parlare del viaggio su un'imbarcazione che ricorda, per come sono tenuti gli schiavi, i treni colmi di ebrei in viaggio verso Auschwitz.
La parte centrale, cuore del romanzo, è invece dedicata al mondo dei gladiatori, analizzato in ogni sua particolarità (ivi compresa la pratica delle scommesse e dei baccanali che precedevano l'inizio dei giochi). Qui, forse, Gualchierotti tende a essere un po' ripetitivo in alcuni scontri (ma è anche inevitabile) e inizia a introdurre snodi narrativi che ricordano lo spaghetti western leoniano. I personaggi entrano in contrasto tra loro, poi si alleano salvo tradirsi e ricorrere ai doppi giochi. Non sono da meno gli dei, che tradiscono la parola data e non accettano che le loro pedine facciano altrettanto. Gustosi alcuni momenti di raccordo, come il viaggio da Napoli verso Roma, in cui vengono mostrate le "lucciole" che attirano i clienti presso i cimiteri affacciati sulle arterie di collegamento tra una città e l'altra. Durante questa tappa di avvicinamento si assiste altresì allo scempio di uomini impiccati e crocefissi lungo la via come monito esemplare per dissuadere i rivoltosi o chi volesse tentare di ribaltare lo status quo.
Epilogo in grande stile, con un numero di morti da fare invidia agli spaghetti western. Non aggiungo altro per non rovinare la lettura.
Dunque
un romanzo che conferma le doti di Gualchierotti, ormai certezza del
genere, ma che, a differenza dei precedenti romanzi, si orienta maggiormente al grandguignol piuttosto che
al classico della tradizione ellenico/romanica. Diverso altresì
dalle storie weird d'oltreoceano per la volontà di non tradire le
origini storiche, che fungono da sfondo non certo marginale alla vicenda. Potremmo dunque definirlo con un'etichetta che
pensiamo gradita all'autore del testo ovvero un “sword
& sorcery mediterraneo” in piena regola. Manifesto di un sottogenere tutto italico.
“C'è un solo posto capace di ingoiare tante vite, chiedendone di nuove senza posa. Un luogo che brama sangue come noi la libertà, e dove si dice abbiano dimora anche gli dei. Ancora non l'hai capito, ragazzo? Siamo diretti a Roma!”