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venerdì 5 febbraio 2021

Recensione Narrativa: IL VAMPIRO, Storia vera di Franco Mistrali.

 

Autore: Franco Mistrali.
Curatori: Jacopo Corazza & Gianluca Venditti.
Anno: 1869.
Genere: Giallo macabro con risvolti esoterici.
Editore: Edizioni Arcoiris, 2020.
Collana: La Biblioteca di Lovecraft.
Pagine: 290.
Prezzo: 14,00 euro.

A cura di Matteo Mancini

INTRODUZIONE

Il Vampiro – Storia Vera di Franco Mistrali è il quarto volume edito dalla “giovane” La Biblioteca di Lovecraft, Edizioni Arcoiris, che così passa dalle antologie alla prima proposta di romanzo. Curiosamente, dato l'interesse orientato all'horror di matrice cosmica o esoterica mostrato fin qui dal duo Corazza-Venditti, siamo alle prese con un giallo a sfondo politico-cospirazionista intriso di filosofia esistenzialista vicina alla tematica della reincarnazione. Definito "il primo romanzo della letteratura italiana in cui si parla della figura del vampiro", spesso presentato quale anticipatore di Carmilla (1872) di Le Fanu e del Dracula (1897) di Stoker, è un ricco elaborato che tocca svariati argomenti e che, piuttosto per la tematica, è molto più vicino di quanto si possa pensare al romanticismo e allo stile di Bram Stoker. 

Mistrali lo licenzia a Bologna nel 1869 per una casa editrice locale. L'uscita passa pressoché inosservata. L'Italia, da poco nata, non è ancora fertile al gotico e decreta, di fatto, la bocciatura del testo. Passeranno quasi venti anni prima di veder uscire una nuova storia con al centro un vampiro (Vampiro Innocente di Francesco Ernesto Morando). Il Vampiro finisce presto nel dimenticatoio, ma per fortuna sopravvive nelle biblioteche bolognesi che, di fatto, lo salvano dall'estinzione. Solo nel 1990 tornano alla luce alcuni estratti, inseriti dalla Lucarini Editore a corredo del racconto L'Ospite di Dracula di Bram Stoker. Si tratta di un'edizione quasi invisibile, ma che viene riproposta dieci anni dopo dall'Armando Editore con introduzione di Riccardo Reim. Sei pagine appena che fanno nascere la curiosità attorno al romanzo di Mistrali, che però continua a restare misterioso a tutti. Ne è una riprova la mancata menzione nell'introduzione dedicata a Lord Ruthven e i suoi successori nel volume Storie di Vampiri (1994) della Newton o nel volume Dizionario dell'Orrore (2004) di Gianni Pilo. C'è però un'eccezione: Fabio Giovannini lo menziona nel suo Il Libro dei Vampiri. Dal Mito di Dracula alla Presenza Quotidiana (1997) della Dedalo Edizioni. Bisognerà però attendere il 2011 per l'uscita integrale del romanzo. È la piccola e appena nata Keres Edizioni a proporlo, in una versione ammodernata nella punteggiatura e nel lessico. La casa editrice si presenta ai lettori con l'intento di "presentare opere del genere vampiresco" e debutta sul mercato proprio con Mistrali. L'uscita lascia ben promettere, come dimostra il battage pubblicitario ancora presente su internet con trailer curatissimi e qualche marginale menzione. La Guida ai Narratori Italiani del Fantastico (2018) dell'Odoya menziona il volume nella scheda dedicata ai “Vampiri Italiani”, ma lo fa con un breve cenno di Gian Filippo Pizzo e la foto della copertina del volume della Keres stampata nel box. Solo sei righe, in una colonna che divide in due la pagina. Poco, ma quanto basta per ridestare la curiosità dei lettori. La Keres però fallisce e del libro si perdono le tracce, finché Jacopo Corazza non vede la possibilità di un rilancio in grande stile. A distanza di 151 anni dall'uscita, Il Vampiro – Storia Vera trova quella giusta diffusione che mai prima nessuno era riuscito a garantirgli.

La copertina delle edizioni Keres (2011).

L'AUTORE 

Ex ufficiale della marina austriaca, il barone Franco Mistrali, al secolo Luigi Francesco Corrado Mistrali, nacque a Parma nel 1833. Giornalista presso La Gazzetta di Milano, titolare di importanti giornali bolognesi (Monitore di Bologna, Il Piccolo Monitore e Stella d'Italia), combattente inviso ai monarchi, è stato soprattutto uno scrittore prolifico (con punte di sei libri l'anno) specializzato nel genere storico e aneddotico. Ha dato alle stampe più di trenta opere in appena venti anni di produzione, tra il 1860 e il 1880, anno della sua prematura scomparsa per aneurisma. Tra i volumi più noti vi sono Cinque Anni di Reggenza. Storia Aneddotica di Maria Luisa Borbone (1860), opera di discreto successo che suscitò una scia di polemiche giunta fino in Francia, Fra Hieronimo Savonarola Monaco e Papa (1860), La Guerra d'Italia da Villafranca ad Aspromonte e Storia Popolare della Rivoluzione di Sicilia e dell'Impresa di Giuseppe Garibaldi (1860). Per realizzare alcune sue opere Mistrali intervistò direttamente Giuseppe Garibaldi, di cui era grande estimatore (ricambiato) al punto da andarlo a trovare nel 1861 a Caprera per esortarlo a riprendere la campagna per l'Unità di Italia. 

Oltre alla politica, Mistrali si interessò di occultismo. In tale veste prese parte alle sedute pubbliche dell'istituto Zoomagnetico di Milano. Studioso del magnetismo animale (Mistrali parla in modo lusinghiero di Mesmer), prese parte alle dimostrazioni del professor Pietro D'Amico (definito dal "nostro" quale l'antitesi del ciarlatano alla Cagliostro). Altri temi che lo interessarono furono lo spiritismo e la tematica della reincarnazione. Nonostante questo la sua produzione fantastica rimase sporadica. Oltre a Il Vampiro, si ricorda l'antologia I Racconti del Diavolo (1861) da cui Claudio Gallo e Fabrizio Foni estrapoleranno il racconto breve La Sinfonia del Diavolo per l'antologia collettiva Ottocento Nero Italiano. Narrativa Fantastica e Crudele (2009) della Nino Aragna Editore.

Uomo dotato di profonda cultura, amico di personaggi influenti, cultore di classici e appassionato di politica, tanto da essere delegato di associazioni operaie spesso al centro di risse e duri attacchi. Membro della Legione Romana del maggior Ghirelli devota ai Savoia, uomo d'azione. Di indole anticlericale e rivoluzionaria, si distinse per le furibonde liti a colpi di offese con Giosuè Carducci (suo acerrimo rivale) e alcuni massoni nonché per continui scontri mediatici. Definì il papa "roditore" e "cancro della povera Italia". Non contento rincarò la dose giudicando i cattolici "clericume di una Roma imbastardita." Inevitabile la classificazione di polemista (nell'Enciclopedia Treccani, alla voce Bardesono di Rigras, viene addirittura definito "acre polemista"), più volte denunciato per ubriachezza molesta e diffamazione. Atteggiamenti che lo portarono, un po' come succede a tutti i personaggi scomodi, a essere arrestato e condannato a cinque anni di carcere per bancarotta fraudolenta, a seguito del fallimento della Banca d'Emilia di cui era consigliere delegato per espresso volere di Garibaldi. Imprigionato nel 1873, continuò a dirigere Il Monitore, portandolo a essere il principale quotidiano felsineo. Odiato da svariati colleghi, fu tacciato di essere un matto tanto che Olindo Guerrini fondò nel 1874 un giornale satirico chiamato Il Matto, con l'intento di ridurre al silenzio l'avversario. Mistrali, in tutta risposta, raddoppiò gli sforzi fondando un nuovo giornale: Il Piccolo Monitore.  

Nel 1878, grazie all'intercessione di Garibaldi, ottenne la grazia e tornò libero. L'incontro a Bologna col cardinale Lucido Maria Parocchi, futuro vicario di Roma, lo portò a rivedere le proprie posizioni sul mondo clericale, fino a convertirsi alla causa cattolica poco prima della morte. Alla morte, avvenuta il 18 dicembre del 1880, in molti giocarono al lotto i numeri relativi alla data del decesso e questi uscirono regalando fior fiori di soldi agli scommettitori!!!

LA RECENSIONE 

Giallo dai risvolti macabri che propone, per la prima volta in Italia e a livello concettuale, la figura del vampiro. Mistrali è molto abile e furbo. Accenna al soprannaturale, lo suggerisce, crea un'atmosfera in cui si respira la presenza di qualcosa che sfugge alle ordinarie regole del comune vivere senza però sconfinare al di là dell'esperienza dello scibile umano

Il Vampiro, ambientato nel 1862, è un vero e proprio intrigo internazionale, che trae origine da faide legate ai rapporti tra Polonia e Russia e da cui emerge una certa sfiducia dell'autore verso il subdolo mondo dell'est (si parla della Russia quale potenziale pericolo per l'Europa). Il seme dei fatti che imperniano la storia ha origine negli anni trenta alla corte dello Zar Nicolò e prende le mosse da un amore impossibile. Il futuro zar è infatti innamorato perso, peraltro ricambiato, di una damigella della madre. Una passione pericolosa, che potrebbe distoglierlo dal futuro incarico politico. Eventualità che viene debellata dal padre del giovane che ordina alla donna di sposare un conte polacco, il colonnello Ludowiskoi. All'amore, così come all'orgoglio, però non si comanda. La separazione innesca una complessa rete di cospirazioni, che coinvolgono l'ordine esoterico di matrice massonica de “I Vampiri” che lotta per l'indipendenza della Polonia dall'influenza russa. Tradimenti, figli illegittimi, inconsapevoli rapporti incestuosi, assassinii perpetrati con misteriose sostanze venefiche, trame e pazzeschi incontri danno il là a una serie di eventi che finiscono per ravvivare, anni dopo, la tranquillità del Principato di Monaco. Qui, il protagonista della vicenda (un artista che ha perduto l'amore e con esso la voglia di vivere) e il Principe di Monaco, coadiuvati da un indagatore francese figlio del Dupin letterario, si trovano a supportare un malinconico conte polacco, il conte Kostia, flagellato dalla perdita della donna amata e convinto di averla vista di nuovo vagare per il principato, al punto da credere che la stessa sia risorta nella forma di un vampiro.

Il mio piano era tracciato: salvare l'amico dalle insidie di quella donna. Scoprire il movente, il fine. Smascherarla... ma fra l'amico e la perfida sirena è facile comprendere quale voce sarebbe stata meglio udita e meglio accetta.”L'opinione, pur se all'apparenza folle, è dimostrata agli amici dal Conte che ottiene di poter esumare il corpo dell'amata. L'apertura della bara, presso il cimitero di Nizza, lascia tutti basiti: non ospita alcun cadavere! Mistrali porta avanti il soggetto con grande abilità. Lo sviluppo della trama non è lineare. Flashback, continui passaggi a spasso nello spazio (dalla Germania alla Siberia) e nel tempo nonché dissertazioni su aspetti più disparati (ivi compreso lo spiritismo, la metempsicosi e il vampirismo) corredano quello che è, a tutti gli effetti, un giallo storico di ambientazione nobiliare. Il lettore viene stordito dai tanti personaggi e, soprattutto, dai loro camuffamenti, ma alla fine ogni cosa torna. È la vendetta il motore del romanzo, la vendetta di un uomo punto nell'orgoglio e divenuto abile alchimista dopo l'incontro con una strega nella steppa siberiana. Un odio che soffocherà l'amore di due innocenti, colpevoli di esser figli delle persone sbagliate. Una visione in cui le colpe dei padri e delle madri ricadono sui figli. 

Belli i passaggi in cui l'autore umanizza uomini potenti come lo Zar di Russia che, al cospetto di un figlio sul punto di morte, prega e si dispera alla stregua di una persona comune.Punto di forza del romanzo è la spiccata componente romantica (a tratti mielosa), prioritaria al resto. Mistrali, uomo profondamente colto e generoso di citazioni auliche (Dante, Voltaire, Shakespeare, ma anche Poe e Hoffman), anticipa di anni lo stile di Bram Stoker. Il parallelo con lo scrittore di Dublino, autore di Dracula (1897), è molto forte per le tematiche affrontate (ivi compresa quella della c.d. new woman) e per lo stile. Mistrali è più tragico e melodrammatico di Stoker. “Le grandi passioni logorano la vita. Gli angeli invidierebbero la felicità di due anime fuse in un vero ricambiato amore, e il fato, inesorabile che vieta la pienezza del gaudio sulla terra , se il miracolo avviene, non tarda a scagliare contro le invidiate anime il dardo vendicatore.” Il parallelismo tra i due autori sarà oggetto di un mio prossimo articolo che pubblicherò su internet e il cui link sarà indicato in calce a questa recensione. Possiamo qua affermare che Mistrali è un autore che avrebbe fatto esultare Bram Stoker. Evidenti le tante anticipazioni di cui lo scrittore parmense può andare fiero. Dalla scena dell'esumazione del cadavere di una giovane a quella, onirica e allucinata, in cui il protagonista vede un uomo accingersi a calare un ago sulla mammella scoperta della propria amata.

Un giallo dunque a tinte fosche (si veda il tremendo finale in anticipo su romanzi quali Il Processo di Kafka o le scene con il Grande Maestro dei Vampiri che sperimenta nel suo laboratorio studi che hanno alla base il sangue umano, scegliendo quali sensi bloccare agli animaletti cavia), ben reso dall'ispirata penna di Mistrali che può permettersi di compiere anche dissertazioni su tematiche squisitamente esoteriche. Il materialismo scientifico, un po' come con Stoker, viene ridimensionato dalla vera scienza che è quella che era in auge al tempo degli antichi egizi. Siamo dunque al cospetto di un romanzo figlio della sua epoca, con qualche battuta di arresto e molteplici divagazioni, che si può definire a ragione un vero capolavoro della letteratura alta e non solo nera. Mistrali dimostra di essere uno scrittore di primissimo piano, molto di più di un mero intrattenitore per palati non raffinati e alla ricerca di sole emozioni forti. Il Vampiro è un'ottima occasione di studio di una letteratura nostrana morta e sepolta. Ben hanno fatto i curatori dell'edizione licenziata da La Biblioteca di Lovecraft a presentarlo nella forma sintattica e lessicale dell'epoca. Ne deriva infatti una lettura insolita, antiquata nel lessico, con una punteggiatura totalmente erronea per le regole attuali ma non per questo fastidiosa.

Consigliatissimo agli studiosi del gotico italiano e a chi intenda aggiungere un tassello culturale alle proprie conoscenze legate al mondo dei vampiri. Attenzione però: non aspettatevi storie di succhiasangue o di puro terrore.

L'autore FRANCO MISTRALI

 "Davanti alla gran legge della natura che sulle vie misteriose della vita diffonde il fiume eterno delle anime, pellegrine di amore, tutte le finzioni cadono. Imperatori e granduchi scompaiono e rimangono uomini. Un uomo al cospetto di una donna: due anime sorelle che la sorte riunisce in un mistico bacio, dicendo loro: amatevi! Due formule del gran problema della creazione, che si completano per irresistibile tendenza, ubbidienza a una legge che direbbesi di gravità morale. Ecco la vicenda eterna di un vicendevole amore."

 

 

giovedì 4 febbraio 2021

Recensioni Narrativa: IL CIMITERO DEI VIVI di Poppy Z. Brite

Autore: Poppy Z. Brite.
Anno: 1990-2002.
Genere:  Horror.
Editore: Independent Legions Publishing, 9 ottobre 2016.
Pagine: 218.
Prezzo: 12.90 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini. 
Selezione di sette racconti dati alle stampe nell'arco di dodici anni, dal 1990 al 2002, da colei che è stata definita “la regina dello splatterpunk”. Stiamo parlando di Poppy Z. Brite, pseudonimo di Billy Martin, qui tradotta da Francesca Noto e Alessandro Manzetti per la Independent Legions Publishing.
Il Cimitero dei Vivi è un'antologia che ha lo scopo di far conoscere l'autrice nelle sue molteplici sfaccettature. Una scelta che, probabilmente, non permette di far spiccare il volume, sospeso nella proverbiale terra di nessuno. È infatti un prodotto di non particolare lunghezza che si contraddistingue per un contenuto variegato, non tanto per le tematiche affrontate (che sono omogenee) piuttosto per gli stili e il registro linguistico, che oscillano tra un'anima classica e una più estrema propria del moderno horror. Quattro sono i racconti che appaiono per la prima volta in lingua italiana, proposti al fianco di cavalli di battaglia quali Calcutta Lord of Nerves (Calcutta. Signora delle Impudenze), inserito in altre antologie della casa editrice e di recente riproposto in graphic novel
 
Autrice estrema, interessata alle contaminazioni tra macabro grandguignol ed erotismo di matrice omosessuale, Poppy Z. Brite rappresenta un curioso abbraccio tra truculenza e poetica malinconica. Dotata di uno stile a tratti elegante, incarna una sorta di compromesso tra il classicismo delle origini e la corrente più recente orientata alle stravaganze sul piano erotico, con momenti ai confini del pornografico sadomaso o comunque del sesso perverso (volgarità linguistiche incluse), e, allo stesso tempo, su quello horror con una certa predilezione per la macellazione dei corpi. Già conosciuta in Italia grazie alle pubblicazioni messe in circolazione da Frassinelli (Cadavere Squisito, 1996) e Sperling & Kupfer (Nel Cuore dell'Eternità, 1998), oltre che per alcuni racconti apparsi in antologie collettive licenziate da Editrice Nord (Horror: Il Meglio, 1994, a cura di Stephen Jones), Sperling & Kupfer (Lovecraft 2000, 1999) e Fanucci (Io, Erotica, 2001) al fianco di masters of horror del calibro di Clive Barker, Tanith Lee, Ramsey Campbell, Kim Newman, Roger Zelazny, Lisa Tuttle, Thomas Ligotti, Karl Edward Wagner e Peter Straub, Poppy Z. Brite deve alla Independent Legions il rilancio definitivo sul mercato italiano. 
 
Il racconto CALCUTTA LORD OF NERVES
è stato trasformato in graphic novels
da ALESSANDRO MANZETTI
e STEFANO CARDOSELLI
per la Independent Legions Publishing.
 
Il Cimitero dei Vivi costituisce un vero e proprio tributo alla morte e a tutte le creature che, per una via o per un altra, sembrano sfuggirle, pur se maledette dal crisma della perdizione. Così passiamo dal tragico e delicato The Heart of New Orleans (Il Cuore di New Orleans, 2002), in cui una coroner si trova a dover eseguire un'autopsia di un bambino che ha inciso sul cuore la storia che avrebbe messo nero su bianco una volta divenuto adulto, al delirio porno-orrorifico di Self Made Man (Risvegli, 1996), che guarda in modo piuttosto evidente alle folli pratiche del serial killer Jeffrey Dahmer finalizzate alla creazione di uno zombie schiavo sessuale. Una forbice di stile e di taglio che annovera altri due marcati esempi collocati agli antipodi: il famoso Calcutta Lord of Nerves, storia onirica di zombie (si muovono nell'indifferenza più assoluta, quasi fosse normale trovarseli in giro per le degradate vie urbane della città indiana) devoti a una Dea Kali in odore di sesso perverso e nella cui vagina precipita il protagonista, e l'atmosferico Lantern Marsh (La Palude delle Lanterne, 2000), che propone una palude prossima a esser bonificata sulla cui superficie occhieggiano i fuochi fatui rappresentanti lo spirito dei morti. Un elaborato, quest'ultimo, che potremmo definire kinghiano per il suo giostrarsi sulle vicissitudini di un gruppo di amici adolescenti che si radunano al cospetto di una palude per ritrovarsi, nel medesimo luogo, anni dopo ormai divenuti adulti. Tendono invece a toccarsi The Sixth Sentinel (La Sesta Sentinella, 1992) e His Mouth Will Taste of Wormwood (La sua Bocca Saprà di Assenzio, 1990) che condividono le ambientazioni (cimiteri) e la presenza di profanatori di tombe a caccia di tesori. Più classicheggiante e a suo modo poetico il primo, per effetto di un fantasma di un bandito trapassato da duecento anni intento - dietro la promessa di mirabolanti ricchezze da riportare alla luce - a convincere la ballerina di cui si è innamorato a scoperchiare una tomba al cui interno, unitamente a un immenso tesoro, è sepolto un uomo vittima di una maledizione che lo rende simile a una bestia pronta a sbranare il tombarolo di turno. L'obiettivo del fantasma è far cadere in trappola la donna, in modo che muoia e trapassi in uno stato assimilabile alla sua condizione (solo allora la potrà davvero amare). Decisamente più orientato al sesso perverso l'altro testo, ispirato da The Hound di H.P. Lovecraft. Due tombaroli omosessuali sognano di amoreggiare all'interno di un ossario. Collezionisti di gioielli trafugati dalle tombe nonché profanatori di cadaveri a caccia di reperti per il loro museo mortuario, si imbattono in un talismano voodoo che finirà col far risorgere il santone che ne era il legittimo titolare. La morte diverrà per loro momento di piacere estremo. L''ironico Mussolini and the Axeman's Jazz (Mussolini e il Jazz dell'Uomo con l'Ascia, 1995) è il racconto che si pone al centro tra le due opposte tipologie di racconti della Brite, riscrivendo sotto una luce complottista di matrice massonica le vicende che hanno portato allo scoppio della prima guerra mondiale e all'avvento delle dittature fasciste. Dietro a tutto si muoverebbe nientemeno che Cagliostro, divenuto ultracentenario grazie a un elisir di lunga vita. Un escamotage che permetterebbe allo stesso di celarsi sotto menzognere identità e di muovere i fili dell'umanità verso gli orrori della seconda guerra mondiale. Il fantasma di Francesco Ferdinando, inferocito per l'attentato che gli è costato la vita in jugoslavia, si impossesserà del corpo di un detective privato per uccidere a colpi di ascia quanti a New Orleans, secondo sue informazioni, potrebbero celare la vera identità di Cagliostro, in una sorta di rivisitazione, in chiave adulta, della parabola biblica de la strage degli innocenti. 
 
Questo il contenuto di un'antologia che probabilmente farà storcere il naso ai puristi del genere weird. A parte un paio di racconti, infatti, mancano quelle atmosfere da sense of wonder tanto care ai classicisti. La Brite si fa forte dello spirito di trasgressione, del suo voler proporre storie dove l'omosessualità tende a proporsi sotto la luce dei riflettori e dove la spinta grandguignol non viene frenata per compiacere alle richieste del political correct. La sensazione è che manchi qualcosa, sia sul versante action sia su quello del terrore. Si segnalano, quali migliori testi: His Mouth Will Taste of Wormwood (punta sul versante del terrore), Calcutta Lord of Nerves (vertice onirico) e The Sixth Sentinel (per l'inatteso e agghiacciante finale). Leitmotiv dell'opera, alquanto decadentista e pessimista, è il concetto della morte quale liberatrice di ogni sofferenza. I personaggi della Brite, spesso alcolizzati, drogati o depressi, la desiderano, la vogliano, ma morire, come abbiamo visto, potrebbe essere una mera illusione e il ritorno alla vita costante e maledetto, in una spirale di dannazione e sofferenza eterna da cui è impossibile liberarsi.

                                                                                 L'autrice POPPY Z. BRITE
 

 "Un artista che non legge non è un vero artista... I libri sono la chiave per raggiungere altre menti, proprio come i corpi lo sono per altre anime. Leggere un buon libro è un po' come affondare le dita, fino alle nocche, nel cervello di qualcuno."

venerdì 29 gennaio 2021

Recensione Narrativa: SKIN MEDECINE di Tim Curran.


Autore: Tim Curran.
Titolo Originale: Skin Medecine.
Anno: 2004.
Genere:  Horror/Western.
Editore: Dunwich Edizioni, 20 dicembre 2020.
Pagine: 284.
Prezzo: 14.90 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini

La Dunwich Edizioni torna a proporre al pubblico italiano un romanzo dello statunitense Tim Curran. Contrariamente a quanto si legge in giro, non si tratta di un nuovo prodotto ma di una graditissima riscoperta. Per la casa editrice romana è il quinto volume dedicato alle creazioni del maestro del terrore del Michigan, una lunga cavalcata iniziata nell'agosto del 2015 con l'uscita di Cannibal Corpse, M/C. Skin Medecine, uscito in Italia nel dicembre del 2020, è uno dei primi romanzi dell'autore, distribuito nella nostra penisola con un ritardo di sedici anni. Curran, alle prime esperienze sulla proverbiale lunga distanza dopo i primi approcci con le short stories, plasma un'opera “contenitore” costruita su tre sotto trame afferenti a generi diversi. Si ha difatti la sensazione di essere alle prese con un romanzo costruito mediante accorpamento di più racconti che si muovono dal giallo all'horror in un contesto western che rivanga gli orrori e i mai superati conflitti della guerra di secessione americana. Azione, sangue a ettolitri, trovate weird che evolvono nello splatterpunk si alternano in una canovaccio che ricorda la costruzione de Il Buono, il Brutto, il Cattivo di Sergio Leone, in un mix liberato da quel classicismo delle origini che prende le mosse dal mito di Jack lo Squartatore e dalle opere di Robert E. Howard e Howard P. Lovecraft per dipanarsi su sentieri che conducono a quella modernità che ricorda il romanzo Black Flag (2002) di Valerio Evangelisti e i film L'Insaziabile (1999) di Antonia Bird e Dog Soldiers (2002) di Neil Marshall. Dall'opera di Evangelisti arriva l'idea dei pistoleri mannari, poi schierati in una battaglia finale ricalcata sulla pellicola di Marshall. Mutuata da L'Insaziabile è invece la scena tra le montagne innevate dove emerge il background cannibalico. 

La trama non è particolarmente complessa, sebbene sviluppata in modo frammentario con qualche ripetizione di troppo (continui i riferimenti alla guerra di secessione) e cambi di registro non sempre collimanti con il regime linguistico scelto. Siamo sul finire dell'ottocento, nell'estremo far west. Il cacciatore di taglie Tyler Cabe giunge a Whisper Lake, alla caccia di un misterioso strangolatore di prostitute. La caccia è tutt'altro che agevole, poiché alla difficoltà di identificazione dell'assassino si aggiunge quella di eludere i numerosi attaccabrighe, ubriachi e bulli locali che frequentano il saloon cittadino, in un panorama dominato da un clima di odio razziale che vede i predoni locali schierati contro la comunità mormone presente nei due vicini villaggi limitrofi: Redemption e Deliverance. Cabe, inizialmente preso dall'intento di condurre le indagini per risalire all'identità dell'assassino seriale, viene presto sviato da sfidanti pistoleri, nerboruti intenzionati a vendicare figli o compagni abbattuti e soprattutto da uno sceriffo legato a un passato risalente ai tempi della guerra di secessione, quando Cabe era un rappresentante dell'esercito confederato e l'altro un ufficiale nordista. 

 

Curran lavora sui personaggi, fa evolvere le loro relazioni interpersonali e investe sulle caratterizzazioni per delineare ruoli ben determinati, dall'eroe al cattivo dichiarato, con le relative bande e numerosi personaggi di supporto. Così troviamo l'integerrimo sceriffo Jackson Dirker, una sorta di John Wayne che si è macchiato di orrori di guerra da cui intende manlevarsi. Cabe, che porta sul volto le ferite inferte a suon di frustate dallo sceriffo ai tempi della guerra, vorrebbe ucciderlo ma, al progredire della storia, muta la propria opinione sull'avversario. Dirker è cambiato, si è trasformato in uomo giusto ed equilibrato. Da nemici i due si ritroveranno alleati contro un avversario diabolico che, a poco a poco, prende il posto dello strangolatore. Quest'ultimo riuscirà infatti a darsi alla fuga, suggerendo mirabolanti future imprese a Londra (Curran allude all'identità del mostro, evocando la figura leggendaria e maledetta di Jack lo Squartatore) e lasciando spazio a un bandito di lungo corso che risponde al nome di James Lee Cobb. Curran definisce l'antagonista presentandolo prima ancora del concepimento. Lo fa guardando a The Dunwich Horror (1929) di Lovecraft, immaginando la maledizione di una strega bruciata sul rogo scagliata contro una cittadina bigotta colpevole di aver prima chiesto la benedizione e occulta salvo poi ricusarla in vista della salvezza religiosa. L'anatema porta al concepimento di tre bambini da parte di altrettanti madri vergini figlie dei rappresentanti religiosi locali. Cobb, l'unico a nascere sotto le sembianze umane, mostra sul corpo il marchio della bestia. Una maledizione che non sarà sovvertibile dall'eduzione rigida cui verrà sottoposto e che esploderà una volta superato il tabù dell'omicidio. Divenuto un bandito truce e torturatore, Cobb evolverà sempre più nella scala dei valori del male estremo, divenendo il degno figlio del diavolo. Un mostro capace di diffondere un'epidemia licantropica che sarà debellata solo nella sanguinolenta resa dei conti finali, tra sparatorie, deflagrazioni e bestie mannare pronte ad affondare i denti nelle palpitanti carni di pistoleri urlanti. 

 

Skin Medecine è dunque un horror moderno che muove i suoi passi dalla tradizione. Curran inventa poco, giostra su leit motiv collaudati e lo fa con uno stile e una fluidità di narrazione non certo secondaria. Abilissimo nello scandire il ritmo e soprattutto nel delineare il substrato horror (la parte relativa all'infanzia e al concepimento di Cobb è la punta qualitativa del romanzo), perde qualcosa nel gestire la tanta (forse troppa) carne messa ad ardere sul fuoco dell'intrattenimento. Alla fine esce fuori un prodotto che saprà deliziare il palato dei fruitore di quell'horror sdoganato da case editrici quali la Independent Legions Publishing, in virtù di un taglio che ammoderna sia il western sia l'horror classico dei lupi mannari e delle stregonerie diaboliche. Un prodotto che si pone a metà strada tra la narrazione pulp delle pagine di weird tales (si pensi ai western di Robert E. Howard) e il più recente registro fumettistico (si vedano i dialoghi e l'attitudine alla contaminazione di generi) che ha reso epiche le scorribande di miti quali il bonelliano Tex Willer. Consigliato agli amanti del grandguignol.

L'autore TIM CURRAN

 "La magia della pelle permette alla bestia che vive in noi di affiorare in superficie, di fars conoscere nel sangue e nella carne. E' un sistema di magia, molto antico e proibito. Invece di una formula scritta su un libro o incisa su una roccia, è tatuata sulla pelle."

mercoledì 20 gennaio 2021

Recensioni Narrativa: LE CREATURE DEL BUIO di Stephen King


 

Autore: Stephen King.
Titolo Originale: The Tommyknosckers.
Anno: 1987.
Genere:  Fanta/Horror.
Editore: Sperling & Kupfer.
Pagine: 783.
Prezzo: 12.90 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.

INTRODUZIONE ALLA LETTURA

Romanzo spartiacque nella vita del "Maestro del brivido" che lo confeziona impiegando cinque anni, dal19 agosto 1982 al 19 maggio 1987. Sono anni estremamente produttivi nella carriera di King ma, allo stesso tempo, sono attraversati da problemi connessi all'abuso di alcool e sostanze stupefacenti. L'asso del Maine sforna una media di due romanzi all'anno con perle quali Christine (1982), It (1986) e Misery (1986). Le Creature del Buio, o meglio The Tommynkockers, vede la luce quale ideale ultimo romanzo della prima parte di carriera del nostro. King ha quarant'anni ed è prossimo a un vero e proprio crollo psico-nervoso che lo terrà lontano dal mondo editoriale per due anni. E' il momento in cui si rompono i legami con la gioventù. La madre dello scrittore muore piegata dal cancro e l'evento ha tragiche conseguenze sul figlio che già dal 1978 è un consumatore di cocaina. La fantasia non è più sufficiente a tenere lontano il male, occorre un incremento di droga e alcool per anestetizzare la sofferenza, King avrà la fortuna di avere alle spalle una famiglia solida, soprattutto una moglie, anch'essa scrittrice, che riuscirà a tirarlo fuori dal baratro in cui sono caduti vittima Maestri del calibro di Edgar Allan Poe. I personaggi de Le Creature del Buio, soprattutto il protagonista, sono figli di questo periodo. L'opera, che prende le mosse dall'amore dell'autore sia per la narrativa di Howard Phillips Lovecraft che per il cinema fantascientifico degli anni cinquanta incentrato sulla tematica "alieni", riflette in modo evidente gli strascichi legati al vizio dell'alcool e come questo, unitamente alla droga, trasformi una persona in un derelitto in balia di demoni che portano al deperimento della salute con l'illusione di duplicare le forze fisiche e mentali. Una lenta metamorfosi che trasforma le persone in qualcosa di diverso, dagli effetti fisici quali la perdita dei denti (come l'eroina) e mentali, con una sensazione di schiavitù al cospetto di un volere altrui che inibisce ogni capacità di autodeterminarsi.

In un'intervista per la rivista The Rolling Stones, King definisce The Tommyknockers "un libro orrendo: è l'ultimo che ho scritto prima di ripulirmi. E' un libro su tutta quell'energia fasulla che ti da la cocaina. Un libro di 700 pagine in cui dentro, forse, c'è un buon libro di 350 pagine."

Una delle recenti copertine italiane
del romanzo, in cui viene evidenziato
il colore verde che riguarda ogni estrinsecazione
del potere liberato dall'UFO.

LA RECENSIONE DEL ROMANZO 

Romanzo che ho preteso di leggere a ogni costo, ma che ha minato e non poco le mie resistenze durante la lettura. Prossimo alle ottocento pagine, abbastanza pesante nella parte centrale, The Tommyknockers è un fanta-horror figlio della sua epoca. King lo concepisce nel momento del suo massimo fulgore artistico, nel cuore degli anni ottanta. Lo fa guardando alla tradizione letteraria di Howard P. Lovecraft (The Colour Out of Space, 1927) e a quella cinematografica de Invasion of the Body Snatchers (1956), ma anche a un romanzo quale Picnic sul Ciglio della Strada (1972) dei fratelli Strugatskij nonché alla catastrofe nucleare di Chernobyl, col conseguente abbandono della città contaminata.

Contrariamente a quanto capita di leggere, The Tommyknockers è un'opera corale in chiarissimo stile King, infarcita di personaggi caratterizzati oltre quanto necessario. Pur essendo nutrito da una serie di autocitazioni, quali personaggi ritornanti dal romanzo The Dead Zone, riferimenti a episodi di Firestarter, It e The Talisman, è altresì un contenitore di idee che fungeranno da spunti dai quali lo scrittore del Maine trarrà, nel nuovo secolo, una serie di romanzi. L'idea dell'invasione aliena tornerà al centro di una storia di King in occasione di Dreamcatcher (L'Acchiappasogni, 2001), così come la presenza di banali oggetti capaci di sparare gli uomini su pianeti interstellari sarà alla base di Buick 8 (2002) o ancora l'idea di un'influenza aliena capace di ridurre la popolazione di un villaggio in un unico essere collettivo in collegamento telepatico con ogni singola periferica fungerà da soluzione da cui prenderà l'abbrivio Cell (2006), per non parlare dell'idea di una barriera invisibile che rende impossibile fuoriuscire dalla città, quasi come se una bolla fosse discesa dal cielo, che sarà sfruttata per The Dome (2009).

Il soggetto, dilatato per il vezzo di raccontare il passato e gli atteggiamenti caratteriali dei vari personaggi, è tutt'altro che complesso. Una scrittrice di storie western, a passeggio col proprio cane nella sua immensa proprietà, sbatte in un oggetto che affiora dal terreno. Convinta di aver colpito un barattolo, la donna prende a scavare scoprendo, a poco a poco, di essersi imbattuta in qualcosa di enorme sepolto da milioni di anni (si parla di 50 milioni di anni). Questo l'avvio su cui King ricama a più non posso, fino a delineare una storia apocalittica, sulla scia di The Stand (1979), sviluppata in modo non lineare, dalla prospettiva dei numerosi personaggi, con molte battute a vuoto e continue interruzioni di ritmo. Torna anche l'interesse per i poteri metapsichici, al centro di buona parte della produzione del Maestro del brivido. L'oggetto sepolto nel terreno è infatti un vero e proprio disco volante della tradizione fantascientifica degli anni cinquanta che libera, a mano a mano che viene esumato, un gas e una serie di onde elettromagnetiche nocive alla salute animale. Haven, la cittadina (di fantasia) in cui si svolgono i fatti, diviene patria di una contaminazione che ricorda quella delle città vittime di un disastro nucleare. Chi si trova residente nella area diviene oggetto di mutazioni mentali e fisiche orientate a trasformare l'uomo in un qualcosa di diverso, un qualcosa di alieno e crudele soltanto apparentemente geniale. Aiutata dall'amante, un poeta ubriacone che ha installato nel cranio una lastra metallica (caratteristica che lo rende quasi immune alle trasformazioni), la scrittrice riesce a giungere allo sportello dell'U.F.O. così da addentrarsi in un fitto mistero che promette di rivelarsi quale evento in grado di rivoluzionare il mondo. Haven però è sempre più schiava della follia e di un atteggiamento morboso che sfocia in creazioni fantascientifiche che, tra le altre cose, vedono distributori di bibite sorvolare l'aria alla stregua di antesignani droni, radio evolute al rango di teletrasporatori di persona che sparano le vittime in altre dimensioni, macchine da scrivere azionate telepaticamente che scrivono interpretando il sonno del loro ideatore e armi giocattolo che rilasciano fluidi verdi in grado di polverizzare le persone. Sempre più flagellata dagli influssi dell'astronave, Haven assume le vesti in una vera e propria città chiusa. I forestieri non riescono a penetrarvi. Emorragie, emicranie, perdite di denti, vomito iniziano a manifestarsi quali sintomi ricorrenti che renderanno vano ogni tentativo di accesso, sebbene scomparse, omicidi e strane voci rimbalzino alla stazione di polizia della vicina Derry. Alla stessa maniera, chi si trova all'interno della cittadina non potrà evadere, schiavo di una trasformazione assuefattiva che, sotto l'illusione di incrementare le capacità mentali con tanto della possibilità di leggere nel pensiero, determinerà un'involuzione fisica che renderà i colpiti dei mostri ricoperti da una membrana trasparente da cui sarà possibile sbirciare gli organi interni. “Il collo e la testa di Bobbi erano totalmente trasparenti e gelatinosi. Le sue mammelle si erano gonfiate e si erano fuse in un'unica protuberanza di carne priva di capezzoli. Attraverso la pelle del suo stomaco Anne intravedeva organi che non avevano niente di umano e nei quali circolava un fluido verde. Dietro la fronte vedeva il sacco tremolante della mente... Fra le cosce di Bobbi un mazzo grottesco di tentacoli fluttuava nell'aria come un ciuffo di alghe, uscendole dalla vagina.” Una descrizione quest'ultima che funge da preludio a una delle scene più oniriche e folli del romanzo, una visione da William S. Burroughs che non vi anticipo.

 

Romanzo denso di buone idee, costruito su un soggetto vincente e per tratti coinvolgente. Purtroppo King sembra non intravedere l'intero potenziale. Si lascia sviare dalla tentazione di parlare dei vari personaggi, piuttosto che sviluppare la storia. È geniale l'idea di un pugno di alieni, ormai morti sotto un profilo materiale ma ancora vivi e vegeti sotto quello spirituale, che utilizzano quali fonti energetiche esseri viventi costretti a vivere da loro schiavi inconsapevoli. Una trovata che sarà al centro del capolavoro dei Wachowski Matrix. Le parti in cui Bobbi e Gardner penetrano all'interno dell'U.F.O., il pre-finale nelle fiamme che avvolgono Haven (curioso testacoda tra inferno e paradiso, come sembra quasi suggerire il nome scelto da King) o la parte in cui Gardner entra nel box della compagna dove sono intrappolate alcune cavie da laboratorio sono momenti da romanzo di prima fascia dell'autore del Maine. Purtroppo la qualità è diluita fin troppo dall'abitudine di King di utilizzare oggetti comuni quali fonti dell'orrore, oltre che da una logorroica spinta a scrutare nel privato dei personaggi. Così registriamo quelle che per noi, puristi dell'horror classico e del weird, sono cadute di stile. Distributori di bibite che caricano alla stregua di tori i malcapitati poliziotti, televisioni che parlano con i personaggi per spingerli a commettere delitti oppure un certo compiacimento grandguignol quando non ce ne sarebbe ragione, in aggiunta a un linguaggio talvolta sporco e scurrile (su cui King, da grande auto ironico, non omette di scherzare).

Alti e bassi che portano The Tommyknockers, distribuito in Italia quale Le Creature del Buio, a essere collocato in basso nelle classifiche dell'autore, ma non poi così in basso. Qualcosa di buono e interessante c'è, specie se King tenesse fede alla sua intervista e tagliasse duecento pagine di romanzo.

 

 Jimmy Smits e Marg Halgenberger
in una scena del film-tv tratto dal romanzo.

CURIOSITA', ADATTAMENTI E OMAGGI

Sebbene King ne abbia preso le distanze, secondo alcune fonti The Tommyknockers è stato il terzo romanzo più venduto negli anni ottanta con quasi un milione e mezzo di copie vendute.

Nel 1993 è stato tratta dal romanzo una mini-serie televisiva di due puntate che, inspiegabilmente, dopo essersi avviata in modo convincente e seguendo abbastanza fedelmente le coordinate di King è stata stravolta dallo sceneggiatore con una parte finale, affetta da diversi vuoti narrativi e momenti poco credibili, assai diversa dal testo originale. Laddove King si limitava a rendere ectoplasmatici gli alieni, Power, regista dell'operazione, mostra una lotta all'arma bianca tra uomini e alieni (ritornati misteriosamente in vita). Non contento, il regista e il suo sceneggiatore modificano le sorti dei personaggi e chiudono con una stucchevole happy end dalla valenza esorcizzante. Haven trova una via di fuga dalla sua distruzione e fa salva la propria esistenza. Peccato davvero, soprattutto alla luce dell'incoraggiante prima parte. Alla fine si ricordano  le buone interpretazioni dei due protagonisti Jimmy Smits e Marg Halgenberger, oltre che della bomba sexy Traci Lords (quella che ha il rossetto laser, non presente nel romanzo, e che si atteggia a focosa e antipatica linfomane), celebre nell'industria pornografica americana per aver recitato in una serie di film porno da minorenne, e di John Ashton (nei panni del poliziotto, sulla scia del ruolo già ricoperto nel divertente action movie Beverly Hills Cop, al fianco di Eddie Murphy nei panni del sergente Taggart).

Da segnalare infine l'omaggio musicale reso dal gruppo metal tedesco Blind Guardian che ha ricordato il romanzo in due sue canzoni, inserite nell'album Tales From the Twilight World (1990), intitolate Tommyknockers (che ha per ritornello la filastrocca ripetuta più volte nel romanzo) e Altair 4 (il pianeta su cui nel romanzo viene spedito un ragazzino nel corso di uno spettacolo di magia).

Stephen King nel 1987.

"Ieri notte a tarda ora,
i Tommyknockers, i Tommyknockers
hanno bussato e oggi ancora,
Vorrei uscire, ma non so se posso,
Per la paura che m’hanno messo addosso!"

giovedì 31 dicembre 2020

Recensione Narrativa: RACCONTO VENEZIANO. PASSIONE di Stefan Grabinski.

 

Autore: Stefan Grabinski.
Titolo Originale: Namietnosc.
Genere: Fantastico / Sentimentale.
Anno: 1930.
Edizione: Ester, 2020.
Collana: Cronache dall'Insolito.
Prezzo: 14,00 euro.


Commento di Matteo Mancini   

Bella prova di esordio dei traduttori Michols Magnolia e Massimo Barberini che propongono sul mercato italiano un inedito di Stefan Grabinski, lo scrittore definito dal critico Karol Irzykowski “l'Edgar Allan Poe Polacco”. 

Novella piuttosto breve, composta da cinquantacinque pagine, risalente all'ultimo periodo della produzione dell'autore che la stende qualche anno dopo il suo primo e unico viaggio a Venezia. Proprio nella città veneta è ambientata la storia. Grabisnki attinge probabilmente dalla propria vicenda personale, dall'incontro con la connazionale Stefania Kalinowksa che lo indusse a passare un'intera estate tra le calle dell'antica Repubblica Marinara, perché probabilmente preso dalla sua bellezza. Ed è proprio nell'intera stagione estiva che si snoda la storia d'amore che investe il protagonista, un turista polacco, che vive nella città italiana una passione travolgente per una sconosciuta vedova spagnola di origini nobiliari. Quest'ultima, solita frequentatrice di Venezia, si propone di fare da cicerone al nuovo arrivato e avvia con lo stesso una relazione d'amore travolgente. 

La poetica in prosa di Grabinski è eccezionalmente resa dai due traduttori. Eleganza e stile si antepongono al taglio fantastico, plasmando un ritmo lento ma dall'intensità progressiva allo scorrere della lettura. La visione del polacco è votata a un realismo dal sapore documentaristico, attraverso il quale viene reso uno spiccato omaggio alla città di Venezia, con i suoi quartieri, i suoi musei, i suoi palazzi, le sue calle ingoiate dalle tenebre e i suoi cimiteri monumentali. Proprio in uno di questi, nel cimitero dell'isola di San Michele, Grabisnki inserisce il primo tassello di un puzzle che conferirà alla storia un background fantastico. Definito “l'isola dei morti”, il luogo ospita la sede di sepoltura del marito della giovane vedova. Quest'ultimo si sarebbe suicidato per dimostrare alla propria compagna il suo immenso amore, certo di non poter più raggiungere un apice di passioni ed emozioni tali, così da rendere inutile il resto dell'esistenza. Un suicidio, dunque, su cui però si allunga il sospetto di un avvelenamento praticato dalla donna, una lettrice avida di volumi che legano il sesso alla morte (è proprio grazie a un volume di questo genere che i due protagonisti del romanzo fanno la loro prima conoscenza). Sulla tomba infatti si erge una scultura che rappresenta i due amanti, con la donna intenta a offrire all'uomo un calice, con un sorriso stampato in faccia “che cela un accenno di inganno e di crudeltà” e una daga veneziana tenuta nell'altra mano dietro la schiena. Lo stesso protagonista fa menzione al sospetto che la coppa contenesse veleno. 

In realtà, penso di poter dire che la scultura rappresenti una metafora della passione d'amore. Si potrebbe infatti sostenere che, alla stregua di un forte alcolico, l'amore, se vissuto in dosi di intensità eccessiva, possa minare l'integrità mentale di chi vi venga attinto portando lo stesso ad assumere condotte equiparabili a quelle di un ubriaco o di un pazzo. La coppa allora, che l'uomo si appresta a bere, contiene dunque l'amore per un donna che è predisposta al tradimento (da qui la daga nascosta dietro alla schiena). Un evento che può arrivare ad uccidere un uomo e, al tempo stesso, soddisfare il narcisismo femminile. Non è forse un caso che la protagonista, anziché mostrare disperazione e rimpianto per il perduto amore, si dimostri invece entusiasta per quanto accaduto, al punto da mostrare gli esiti delle sue conquiste come si potrebbe fare con una collezione di grande valore. “Morì per me e a causa mia. Non è stupendo?” chiede al polacco. Allo stesso modo si rivela assai irrispettosa nel condurre al cospetto della tomba del defunto marito la sua nuova e probabilmente ennesima conquista. Un personaggio che richiama alla mente la donna della canzone La Ballata dell'Amore Cieco di Fabrizio De Andrè (nella scultura l'uomo, guarda caso, viene definito come “accecato” dall'amore). 

Emerge pertanto il pessimismo romantico dello scrittore verso l'amore, atteggiamento peraltro stimolato dalle esperienze personali (la moglie lasciò Grabinski dopo cinque anni di matrimonio), su cui però si innesca la vendetta del defunto. Le scappatelle dei due protagonisti vengono, a poco a poco, disturbate da una misteriosa donna, tale Donna Rotonda, entrata empaticamente in contatto mentale proprio col defunto marito della protagonista. Ce lo dice un pittore locale, realmente esistito, capace di entrare in contatto con l'aldilà per lasciarsi guidare dagli spiriti, al fine di mettere su tela visioni del futuro. L'artista, al secolo Luigi Bellotti, traccia l'ideale luogo di incontro, rappresentato da un ponte che mette in relazione il mondo dei vivi con quello dei morti. L'immagine, ben rappresentata da Giada Morganti per la realizzazione della copertina del libro, è la conclusione di un patto tra il defunto e la pazza donna che vaga disperata per le vie di Venezia perché abbandonata dal suo amore. “Entrambi vittime di un'immensa passione, siamo uniti nella fratellanza dell'angustia.” 

A determinare l'inizio della parabola che condurrà al tragico finale è, ancora una volta, il tradimento. La curiosità spinge il protagonista polacco, a poco a poco preso dalla misteriosa donna rotonda, a pedinarla e scoprire che, in realtà, è una magnifica rappresentante del gentil sesso, distrutta nella mente dal perduto amore. “Non era più Donna Rotonda l'inquietante, la macabra apparizione per i bambini, il triste e spregevole spettro di un'assopita laguna; era Gina Vamparone, la sfortunata figlia di Venezia, che sbocciava nel rifugio del disabitato palazzo in una donna bellissima, impazzita per amore.” Rapito dal richiamo della carne e pur amando la giovane nobildonna, spagnola, il polacco cade nelle maglie della passione, passando una notte con la sconosciuta. Assimilabile a uno stupro per effetto di un errore di persona, la scappatella andrà ad avviare il dramma di gelosia che porterà la povera disperata a scagliarsi contro la rivale d'amore, fino al tragico epilogo. 

Racconto Veneziano rappresenta così, al contempo, l'omaggio di Grabinski alla città di Venezia, reso sia con le calibrate descrizioni cittadine sia col ricorso di personaggi storici e locali realmente esistiti, e, al tempo stesso, la sublimazione del pessimismo dell'autore verso l'amore, visto quale passione che unisce la gioia sfrenata per poi scemare nella disperazione più assoluta (romantico il viaggio finale verso il cimitero) a delineare un “falso racconto fantastico” che pende sul versante dell'allegoria. La speranza è che possa essere la prima delle opere ancora inedite in italiano a esser riproposte, nella nostra lingua, dal duo Magnolia-Barberini che ha dichiarato il proposito di sdoganare l'intera produzione dell'autore polacco, fino a oggi conosciuto soprattutto grazie alle antologie Il Villaggio Nero (2012) e Il Demone del Moto (2015) pubblicate rispettivamente da Hypnos (e anche Mondadori) e da Stampa Alternativa.


L'autore STEFAN GRABINSKI

"Nella vita capita che dopo un periodo di monotonia e comune realtà seguano una serie di episodi eccezionali."

Recensione Narrativa: L'HAREM DELLE VERGINI DANNATE di Ivo Torello.




Autore: Ivo Torello.
Anno: 2019.
Genere: Horror/Erotico.
Editore: Edizioni Hypnos, 2019.
Collana: Gli Strani Casi di Ulysse Bonamy.
Pagine: 142.
Prezzo: 9,90 euro.

Commento Matteo Mancini.
Secondo episodio (dei quattro al momento presentati) della serie Gli Strani Casi di Ulysse Bonamy ideata nel 2019 dallo scrittore genovese, classe 1974, Ivo Torello. 
La storia si inserisce nel solco tracciato dal precedente La Gorgiera della Contessa Sanguinaria (2019), mutuandone i cliché temporali e tematici. Ci troviamo ancora nella Parigi del 1923 a seguire gli inusuali casi del detective dell'occulto Ulysse Bonamy, un furfante dai modi garbati e dai gusti sessuali non proprio raccomandabili, abile nell'utilizzare unguenti a base di mandragora per acuire le percezioni e trovare i giusti sviluppi di indagine. “Avete una vaga idea di chi sia questo uomo!?” dirà nel corso del testo uno dei personaggi di Torello “Uno dei peggiori mascalzoni di tutta Francia! Un truffatore in grado di ingannare pure il Padreterno! Costui è, tanto per capirci, il protetto della strega del bordello di Montmartre, Dauphine Sabatiere.”

A differenza dell'episodio pilota, l'azione si sposta dalla capitale francese alla campagna, a Villers-Cotterêts, presso il collegio femminile denominato Ecole des Filles Gertrude de Greve dove sulle mura spiccano blasfeme rappresentazioni del Cristo in croce (la passione sembra evocare l'estasi erotica). Qui Bonamy, che si presenta sotto mentite spoglie, riesce a farsi assumere come inserviente. Il suo fine è far luce su uno scandalo che ha inondato le pagine dei giornali parigini ed è costato la caccia all'uomo ai danni di un professore del collegio, nel frattempo rifugiatosi nella casa dell'amico indagatore. Quest'ultimo, tale Maurice Jollain, è un letterato famoso, nell'editoria semi-clandestina, con lo pseudonimo di Jules Jukes quale autore di libri di argomento erotico. L'uomo, ad avviso della polizia, sarebbe al centro di una serie di abusi sessuali, a danno delle minorenni della scuola, praticati indossando la maschera di un caprone cornuto così da poterle circuire inducendone il silenzio. Le indagini tuttavia sono state traviate a sommo scopo dal vicedirettore della struttura, il vero responsabile dei delitti, intenzionato ad assurgere al ruolo di Grande Maestro di un Ordine Esoterico fondato a inizio secolo e solito riunirsi in un luogo denominato il Tempio di Anin-Horsan. Il collegio infatti altro non è che la sede occulta dell'ordine, un luogo protetto dall'omertà delle più alte cariche nazionali, a conoscenza degli strani riti che si consumano tra le mura della scuola.

Tra suggestioni lovecraftiane (si inneggia a Shub-Niggurath, ossia il capro nero dei boschi dai mille cuccioli), grimori al soldo di santoni di origine persiana dai nomi che rievocano il pantheon lovecraftiano (Abdul Ben Azel), sostanze psicotrope che fondono in sé stesse i principi del sodio penthotal (“Lucifero favorisce l'emersione dei nostri pensieri più reconditi, abbattendo ogni forma di autocontrollo, ci costringe a dire solo la verità”) e, al tempo stesso, liberano gli istinti animali dell'uomo, vengono a delinearsi i contorni di un giallo presto sconfinante in un weird in odore di pulp magazine. Pur se elegante e tecnicamente forbito (non mancano alcune scivolate nel volgare), il contenitore di Torello va sempre più a tracciare le coordinate seguite da quei romanzi frivoli da edicola che, negli anni sessanta e settanta, fecero la fortuna di serie quali I Racconti di Dracula. L'autore genovese si limita ad accennare al paranormale, miscelandolo a un erotismo che tocca punte di pornografia (limitate al sesso orale) in modo da sfumarlo e lasciarlo in background; tuttavia, il male c'è ed è reale, lo si capisce nei dettagli di cui il romanzo è intriso. Sedicenti ex satanisti, riqualificatesi alla vita di eremiti (alla Huysmans), ammoniscono dal proseguire su certi cammini e lo fanno alludendo a visioni capaci di frantumare la sanità mentale. Non mancano poi rivelazioni inaspettate rese da uomini che non possono essere depositari di certe notizie, così come si percepiscono odori bestiali al culmine dei riti che rimandano direttamente a un mondo altro che sovrasta la realtà per come noi la conosciamo. Torello cala il tutto in un contesto argentiano che richiama alla memoria il capolavoro Suspiria (a noi salta in mente anche l'horror L'Ultimo Mago della serie I Racconti di Dracula), anche se si tratta di un cliché che ha fatto la fortuna di una serie di sottogeneri cinematografici precedenti (si pensi al nunsploitation, in cui si cambiava il contesto collegiale in quello monacale), e, al tempo stesso, mette in scena, in chiave moderna, orge sabbatiche che attingono dall'immaginario iconografico di Francisco Goya (si veda il dipinto a olio su tela Il Grande Caprone completato nel 1798 e che raffigura una capra in posizione eretta) per mettere alla berlina l'ipocrisia del mondo borghese. Giudici, militari, politici e personaggi insospettabili sono i componenti di una setta che utilizza il sesso quale via per trascendere, salvo poi piegarsi a piaceri ben più materiali (“il mio anelito più alto è il piacere della carne”) senza ambire ad altro di superiore. Spunti di riflessione non certo privi di precedenti sviluppi, si pensi, tra gli altri, a molta della narrativa dell'orrore di Frank Graegorius (alias Libero Samale) che, su tale tematica, ha costruito la sua carriera letteraria relativamente al suo versante gotico. Evidente la parte in cui il perbenismo della società parigina da una parte condanna le pratiche sessuali e, dall'altra, contribuisce al successo di chi narri i fatti a essi connessi con tanto di dettagli e aneddoti, a dimostrazione di una sussistenza di una bramosia interiore repressa dall'incapacità di esternare l'animale che vive nel profondo dell'essere.

Torello è un autore diretto, il perfetto contrario di un bacchettone, ben lontano da ipocrisie di sorta, alla stessa maniera in cui lo sono i personaggi dei romanzi fin qui dati alle stampe. “Non è innocente che sogna certe cose senza avere il coraggio di farle... Mettete persone del genere nella certezza assoluta dell'impunità, e vedrete com'è davvero la natura umana” asserisce l'antagonista, quasi a voler dimostrare che quanto l'ordine esoterico mette in pratica altro non è che la concretizzazione dei sogni della maggior parte delle persone che costituiscono la società di cui tutti noi facciamo parte. Un modo di porsi che condanna l'intera società e, forse in maniera più calibrata, la natura stessa dell'uomo (perverso e "maiale" per natura). Attraverso riti di magia rossa, in cui sono coinvolte le ragazze dell'istituto (idea ripresa in precedenza dal regista underground Lorenzo Bianchini, regista de Radice Quadrata di Tre e di Custodes Bestiae, rispettivamente del 2001 e del 2004), si giunge così alla soluzione finale che vedrà Bonamy risolvere il caso, coinvolgendo direttamente la polizia francese grazie all'arroganza del vicedirettore della struttura, un uomo sempre più spinto dalla volontà di assurgere al ruolo di Gran Maestro, fino a fidarsi dei perfetti sconosciuti e di cadere in balia dello spirito di Satana.

Curiosamente, il romanzo non ha riscosso giudizi entusiastici, addirittura stroncato da alcuni lettori con l'accusa di non proporre niente di interessante o di essersi volutamente invischiato in “paludi letterarie di matrice pulp e lovecraftiana con punte di pseudo porno.” Commenti da cui ci distraiamo per allinearci all'opinione dell'amico Cesare Buttaboni che ne ha esaltato le atmosfere e lo stile, trovando nell'epilogo una suspence tale da promuovere a pieni voti l'autore.

Notevole il ritmo, veloce la lettura. L'Harem delle Vergini Dannate è un libro che si legge in un paio di giorni, facile da seguire e portato in scena in un mix di eleganza e pulp. Consigliatissimo a coloro che cercano quelle contaminazioni tra erotico spinto e horror che fecero la fortuna della narrativa da edicole degli anni settanta e, al tempo stesso, a chi cerchi quell'orrore paranormale legato alla tradizione cristiano centrica.
 
Il Grande Caprone (1798)
di Francisco Goya.
 
"La natura umana non è in nulla diversa da quella delle altre bestie, che prendono ciò che vogliono per diritto, con prepotenza, senza rispondere a nessuna legge al di fuori di quella dei propri appetiti."

lunedì 14 dicembre 2020

Recensione Narrativa: GOMORIA di Carlo H. De Medici.


Autore: Carlo Hakim de Medici.
Anno: 1921.
Genere: Esoterico / Patti Diabolici.
Editore: Cliquot (2018)
Pagine: 236.
Prezzo: 20 euro.

Commento di Matteo Mancini.  

Grande operazione di recupero firmata Cliquot Edizioni. La casa editrice romana rispolvera dall'oblio un interessante romanzo “tardo decadentista” pubblicato nel 1921 da un autore di lingua italiana. Stiamo parlando di Gomoria, opera “satanica” di debutto di Carlo Hakim De Medici, misterioso scrittore esoterista (non è dato sapere neppure la data di morte) degli anni venti scomparso nel nulla e cancellato dai radar narrativi per un secolo, al punto da essere totalmente ignorato dai blasonati autori della Guida ai Narratori del Fantastico Italiano (Odoya, 2018). Eppure, facendo una piccola e minimale ricerca sui cataloghi disponibili su internet (fantascienza.com), il nome De Medici salta fuori e sconfessa i malpensanti, convinti di un'operazione truffaldina orchestrata dalla casa editrice per abbindolare il pubblico di lettori e studiosi avidi di rinvenire nel passato italico perle di una narrativa perduta. 

 

Guido Andrea Pautasso lo presenta quale “romanzo esoterico legato alla diffusione, attraverso la finzione diegetica, di segreti custoditi dalle scienze magiche e di significati occulti che parrebbero destinati a essere recepiti da un gruppo ristretto di iniziati in grado di comprendere i messaggi a loro indirizzati.” Si tratta di una valutazione forse fin troppo entusiastica, Gomoria è infatti un evidente romanzo derivativo fortemente legato alla corrente decadentista che ha in Karl Huysmans e i suoi Au Rebour ("Controcorrente", 1884) e La-Bas ("Laggiù", 1891) i fari illuminanti, attingendo poi anche da Oscar Wilde (The Picture of Dorian Gray, 1894) e da Gaston Leroux (L'Homme Qui a Vu Le Diable) con il background offerto da Le Diable Amoreux ("Il Diavolo Innamorato", 1772) di Jacques Cazotte. Questi gli ingredienti non troppo segreti di un testo che fa sfoggio di una notevole eleganza stilistica, attento alle descrizioni ambientali e alle caratterizzazioni dei personaggi. De Medici si dimostra abile narratore, ma non troppo geniale tessitore di trame. Il suo romanzo, a tratti sfilacciato, si poggia su un soggetto piuttosto classico che non rompe gli schemi e si inserisce nel solco tracciato dai grandi maestri del genere. 


Un nobile dandy, annoiato dalla vita e in contrasto aperto sia con la società contemporanea (rea di non sviluppare adeguatamente l'intelligenza e di essersi imbruttita esteticamente) sia con i bacchettoni che vedono nel libertinaggio la decadenza dell'uomo (De Medici, sulla scia di Wilde, traccia una vera e propria apologia dell'estetismo, ribaltando la visione dominante di presa cattolica in favore de l'oro dei sensi e del gusto alle sperimentazioni più sfrenate), si rinchiude, a poco a poco, nel proprio sfarzoso palazzo contornato di ricchezze di ogni specie (quadri, sculture, statue, arredamenti). A differenza però del protagonista di Au Rebours, cerca di combattere l'apatia, dimostrando tuttavia la totale mancanza di costanza. Pur se amante delle donne, che si diverte a condurre sul cammino della perdizione, è un uomo incapace di amare, approcciandosi al gentil sesso quale oggetto di soddisfazione dei piaceri carnali, piuttosto che ricercare quella complicità mentale degna del vero amore. È altresì del tutto alieno al vivere comune (non ha la concezione del lavoro), barcamenandosi in un'esistenza fatta di esagerazioni, orge e uscite di gran gala. Per ricercare il brivido decide così di arrischiarsi in ardimentose imprese, fino a dissipare, per noia, la sua profonda ricchezza sui tavoli da gioco. Caduto in disgrazia, si ritira nella sua unica proprietà rimasta: un castello diroccato nella maremma toscana, in una località maledetta. Qui prende piede la seconda parte del romanzo. Accompagnato da una zingara, raccolta per strada a Napoli (città in cui era ambientato Le Diable Amoreux di Cazotte), accarezza propositi suicida sfuggendovi sull'orlo ormai del baratro, grazie al sapere esoterico appreso nella biblioteca rinvenuta in loco e appartenuta a un avo. 

 

Tutta la scienza nera, tutto lo scibile macabro dell'antichità erano rappresentati in quella biblioteca: dai più oscuri visionari e astrologi ai più entusiasti alchimisti.” De Medici da sfogo ai suoi profondi studi in materia di occultismo, magia bianca e magia nera, che lo avevano indotto, tra il 1911 e il 1915, a scrivere tre saggi sull'argomento, per stendere un vero e proprio catalogo di testi magici. Il romanzo propone infatti una serie di pagine riempite di titoli e autori, tra i quali anche il fantomatico Cosimo Ruggeri, astrologo di Caterina Dei Medici e autore dello pseudobiblia Sathan, un grimorio rilegato in pelle di bimbo morto senza battesimo. Attraverso lo studio di questi testi e alla collaborazione della zingara, una giovane chiamata Zimzerla, Gaetano Trevi, questo il nome del nobile decaduto, viene iniziato al satanismo. Ecco che viene in gioco La-Bas di Huysmans, romanzo che De Medici tradurrà dal francese nel 1929 proponendolo per la prima volta al pubblico italiano. Se nel romanzo di Huysmans, una sorta di saggio-romanzo sulla demonologia, era proposta per la prima volta in narrativa la descrizione di una messa nera, De Medici propone la ritualità di un'evocazione satanica, con una potenza tale da lasciare il segno. La descrizione degli ingredienti e delle formule magiche è capziosa, mentre il senso del terrore è adeguatamente suscitato, fin al culmine costituito dall'uccisione di un gatto nero. Trevi, sempre lasciato libero di scegliere, riesce per tale via, trascinato dagli insegnamenti della sua musa (con cui ha un amplesso in odore di battesimo infernale nel cuore del bosco), a concludere un patto diabolico di faustiana memoria. De Medici è abile nel non cadere nel ridicolo. Suggerisce ma non mostra mai, fa comprendere senza sbandierare soluzioni macchiettistiche. Il diavolo c'è, si capisce, ma non emerge mai. Nonostante la copertina (dello stesso De Medici), scordatevi visioni degne della tradizioni folkloristica. Non siamo in un romanzo pulp, piuttosto in un'opera che guarda alla letteratura classica pur se orientata sul versante esoterico. L'acquisizione di un braccialetto magico è la via attraverso la quale risollevarsi dai fondali del disastro economico. Da quel giorno in poi, come per il protagonista de L'Homme Qui a Vu Le Diable (“L'Uomo che Vide il Diavolo”) di Leroux, ha inizio la risalita economica di Trevi, incapace di perdere al gioco. Dapprima nelle bische, poi nelle case da giuoco italiane e infine nei grandi casinò d'Europa. Trevi diventa famoso nell'ambiente quale giocatore imbattibile, una situazione che lo porta a essere avvicinato da donne amanti dei portafogli. È solo una parvenza di ripresa, l'uomo intende vendicarsi sull'umanità, tiene condotte in cui porta alla rovina i soggetti con cui si trova a incrociare il destino, ma presto comprenderà che la vera ricchezza che si possa possedere è l'anima. Timoroso di ardere nelle fiamme dell'inferno, ha luogo la terza fase del romanzo, la redenzione, il desiderio di riportarsi sulla retta via. Un po' come avvenuto in vita a Huysmans, Trevi si genuflette al cospetto del crocifisso, invoca la Beata Vergine Maria, rifugge ai vantaggi diabolici. Si converte, in altri termini, alla fede cattolica. Zimzerla, che si scoprirà poi essere Gomoria (il demone che, sotto le sembianze di donna, aiuta i disperati nella ricerca dei tesori nascondi indicando la formula che fa vincere a tutti i giochi), gli sta sempre vicino, evidenziandogli i vantaggi materiali. Non contenta porta il caos nella periferia grossetana, complici i modi barbari e retrogradi di un volgo definito “demente” dall'autore, con un epilogo che ricorda molto il finale de La Notte di Valpurga (1917) di Meyrink.

Dunque un romanzo poco originale, ma narrato in modo sfarzoso, aulico, eppure di facile lettura e anticipatore di soluzioni che si rivedranno ne Il Club Dumas (1993), quali la biblioteca satanica, il libro rilegato in pelle umana e la presenza di una giovane donna demone, che funge da mentore e seduttrice di un uomo che è sul cammino della perdizione, oltre che il finale purificatore tra le fiamme. De Medici dimostra attitudine al genere fantastico, ma anche all'erotico d'autore. Gaetano Trevi è una sorta di suo alterego. Sembra che il crollo finanziario che lo conduce nelle maglie dell'occultismo sia simile a quello che colpì De Medici, titolare di un'Impresa di concimi catalitici dichiarata fallita. Interessante il racconto della distruzione di un villaggio di campagna maremmano per mano dell'ira divina, discesa per punire i libertini cittadini dediti a sedute collettive di sesso sfrenato. Plauso quindi alla Cliquot che, due anni dopo, ha dato alle stampe anche l'antologia I Topi del Cimitero – Racconti Crudeli, collage di quattordici racconti firmati De Medici e dati alle stampe nel 1924, proseguendo in un'azione di recupero che è, a dir poco, lodevole. Si spera che operazioni del genere, si ricorda anche la recente uscita de Il Vampiro. Storia Vera (1869) di Franco Mistrali per la casa editrice Arcoiris (collana La Biblioteca di Lovecraft, 2020), possano essere utili a spingere al recupero di una narrativa esoterica sepolta che, nella prima parte del novecento e nel tardo ottocento, era particolarmente florida in Italia.


Vignetta di Carlo H. De Medici, disegnatore oltre che
saggista e scrittore.

"Egli non ammetteva che si potesse considerare un essere come Uomo se non vagliando lo sviluppo della sua intelligenza. Tutti coloro che non avevano saputo trasformare quella materia grigia da volgare cervello in mentalità; tutti quelli che si pretendevano evoluti e coscienti senza capire che la coscienza non si acquista che dopo una vita di studio, di meditazione e di sforzi necessari per affinare la mentalità in una genialità, non erano che feti vegetanti, creature ignorabili e nulle degne solo di essere sfruttate come un bove."