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lunedì 14 dicembre 2020

Recensione Narrativa: GOMORIA di Carlo H. De Medici.


Autore: Carlo Hakim de Medici.
Anno: 1921.
Genere: Esoterico / Patti Diabolici.
Editore: Cliquot (2018)
Pagine: 236.
Prezzo: 20 euro.

Commento di Matteo Mancini.  

Grande operazione di recupero firmata Cliquot Edizioni. La casa editrice romana rispolvera dall'oblio un interessante romanzo “tardo decadentista” pubblicato nel 1921 da un autore di lingua italiana. Stiamo parlando di Gomoria, opera “satanica” di debutto di Carlo Hakim De Medici, misterioso scrittore esoterista (non è dato sapere neppure la data di morte) degli anni venti scomparso nel nulla e cancellato dai radar narrativi per un secolo, al punto da essere totalmente ignorato dai blasonati autori della Guida ai Narratori del Fantastico Italiano (Odoya, 2018). Eppure, facendo una piccola e minimale ricerca sui cataloghi disponibili su internet (fantascienza.com), il nome De Medici salta fuori e sconfessa i malpensanti, convinti di un'operazione truffaldina orchestrata dalla casa editrice per abbindolare il pubblico di lettori e studiosi avidi di rinvenire nel passato italico perle di una narrativa perduta. 

 

Guido Andrea Pautasso lo presenta quale “romanzo esoterico legato alla diffusione, attraverso la finzione diegetica, di segreti custoditi dalle scienze magiche e di significati occulti che parrebbero destinati a essere recepiti da un gruppo ristretto di iniziati in grado di comprendere i messaggi a loro indirizzati.” Si tratta di una valutazione forse fin troppo entusiastica, Gomoria è infatti un evidente romanzo derivativo fortemente legato alla corrente decadentista che ha in Karl Huysmans e i suoi Au Rebour ("Controcorrente", 1884) e La-Bas ("Laggiù", 1891) i fari illuminanti, attingendo poi anche da Oscar Wilde (The Picture of Dorian Gray, 1894) e da Gaston Leroux (L'Homme Qui a Vu Le Diable) con il background offerto da Le Diable Amoreux ("Il Diavolo Innamorato", 1772) di Jacques Cazotte. Questi gli ingredienti non troppo segreti di un testo che fa sfoggio di una notevole eleganza stilistica, attento alle descrizioni ambientali e alle caratterizzazioni dei personaggi. De Medici si dimostra abile narratore, ma non troppo geniale tessitore di trame. Il suo romanzo, a tratti sfilacciato, si poggia su un soggetto piuttosto classico che non rompe gli schemi e si inserisce nel solco tracciato dai grandi maestri del genere. 


Un nobile dandy, annoiato dalla vita e in contrasto aperto sia con la società contemporanea (rea di non sviluppare adeguatamente l'intelligenza e di essersi imbruttita esteticamente) sia con i bacchettoni che vedono nel libertinaggio la decadenza dell'uomo (De Medici, sulla scia di Wilde, traccia una vera e propria apologia dell'estetismo, ribaltando la visione dominante di presa cattolica in favore de l'oro dei sensi e del gusto alle sperimentazioni più sfrenate), si rinchiude, a poco a poco, nel proprio sfarzoso palazzo contornato di ricchezze di ogni specie (quadri, sculture, statue, arredamenti). A differenza però del protagonista di Au Rebours, cerca di combattere l'apatia, dimostrando tuttavia la totale mancanza di costanza. Pur se amante delle donne, che si diverte a condurre sul cammino della perdizione, è un uomo incapace di amare, approcciandosi al gentil sesso quale oggetto di soddisfazione dei piaceri carnali, piuttosto che ricercare quella complicità mentale degna del vero amore. È altresì del tutto alieno al vivere comune (non ha la concezione del lavoro), barcamenandosi in un'esistenza fatta di esagerazioni, orge e uscite di gran gala. Per ricercare il brivido decide così di arrischiarsi in ardimentose imprese, fino a dissipare, per noia, la sua profonda ricchezza sui tavoli da gioco. Caduto in disgrazia, si ritira nella sua unica proprietà rimasta: un castello diroccato nella maremma toscana, in una località maledetta. Qui prende piede la seconda parte del romanzo. Accompagnato da una zingara, raccolta per strada a Napoli (città in cui era ambientato Le Diable Amoreux di Cazotte), accarezza propositi suicida sfuggendovi sull'orlo ormai del baratro, grazie al sapere esoterico appreso nella biblioteca rinvenuta in loco e appartenuta a un avo. 

 

Tutta la scienza nera, tutto lo scibile macabro dell'antichità erano rappresentati in quella biblioteca: dai più oscuri visionari e astrologi ai più entusiasti alchimisti.” De Medici da sfogo ai suoi profondi studi in materia di occultismo, magia bianca e magia nera, che lo avevano indotto, tra il 1911 e il 1915, a scrivere tre saggi sull'argomento, per stendere un vero e proprio catalogo di testi magici. Il romanzo propone infatti una serie di pagine riempite di titoli e autori, tra i quali anche il fantomatico Cosimo Ruggeri, astrologo di Caterina Dei Medici e autore dello pseudobiblia Sathan, un grimorio rilegato in pelle di bimbo morto senza battesimo. Attraverso lo studio di questi testi e alla collaborazione della zingara, una giovane chiamata Zimzerla, Gaetano Trevi, questo il nome del nobile decaduto, viene iniziato al satanismo. Ecco che viene in gioco La-Bas di Huysmans, romanzo che De Medici tradurrà dal francese nel 1929 proponendolo per la prima volta al pubblico italiano. Se nel romanzo di Huysmans, una sorta di saggio-romanzo sulla demonologia, era proposta per la prima volta in narrativa la descrizione di una messa nera, De Medici propone la ritualità di un'evocazione satanica, con una potenza tale da lasciare il segno. La descrizione degli ingredienti e delle formule magiche è capziosa, mentre il senso del terrore è adeguatamente suscitato, fin al culmine costituito dall'uccisione di un gatto nero. Trevi, sempre lasciato libero di scegliere, riesce per tale via, trascinato dagli insegnamenti della sua musa (con cui ha un amplesso in odore di battesimo infernale nel cuore del bosco), a concludere un patto diabolico di faustiana memoria. De Medici è abile nel non cadere nel ridicolo. Suggerisce ma non mostra mai, fa comprendere senza sbandierare soluzioni macchiettistiche. Il diavolo c'è, si capisce, ma non emerge mai. Nonostante la copertina (dello stesso De Medici), scordatevi visioni degne della tradizioni folkloristica. Non siamo in un romanzo pulp, piuttosto in un'opera che guarda alla letteratura classica pur se orientata sul versante esoterico. L'acquisizione di un braccialetto magico è la via attraverso la quale risollevarsi dai fondali del disastro economico. Da quel giorno in poi, come per il protagonista de L'Homme Qui a Vu Le Diable (“L'Uomo che Vide il Diavolo”) di Leroux, ha inizio la risalita economica di Trevi, incapace di perdere al gioco. Dapprima nelle bische, poi nelle case da giuoco italiane e infine nei grandi casinò d'Europa. Trevi diventa famoso nell'ambiente quale giocatore imbattibile, una situazione che lo porta a essere avvicinato da donne amanti dei portafogli. È solo una parvenza di ripresa, l'uomo intende vendicarsi sull'umanità, tiene condotte in cui porta alla rovina i soggetti con cui si trova a incrociare il destino, ma presto comprenderà che la vera ricchezza che si possa possedere è l'anima. Timoroso di ardere nelle fiamme dell'inferno, ha luogo la terza fase del romanzo, la redenzione, il desiderio di riportarsi sulla retta via. Un po' come avvenuto in vita a Huysmans, Trevi si genuflette al cospetto del crocifisso, invoca la Beata Vergine Maria, rifugge ai vantaggi diabolici. Si converte, in altri termini, alla fede cattolica. Zimzerla, che si scoprirà poi essere Gomoria (il demone che, sotto le sembianze di donna, aiuta i disperati nella ricerca dei tesori nascondi indicando la formula che fa vincere a tutti i giochi), gli sta sempre vicino, evidenziandogli i vantaggi materiali. Non contenta porta il caos nella periferia grossetana, complici i modi barbari e retrogradi di un volgo definito “demente” dall'autore, con un epilogo che ricorda molto il finale de La Notte di Valpurga (1917) di Meyrink.

Dunque un romanzo poco originale, ma narrato in modo sfarzoso, aulico, eppure di facile lettura e anticipatore di soluzioni che si rivedranno ne Il Club Dumas (1993), quali la biblioteca satanica, il libro rilegato in pelle umana e la presenza di una giovane donna demone, che funge da mentore e seduttrice di un uomo che è sul cammino della perdizione, oltre che il finale purificatore tra le fiamme. De Medici dimostra attitudine al genere fantastico, ma anche all'erotico d'autore. Gaetano Trevi è una sorta di suo alterego. Sembra che il crollo finanziario che lo conduce nelle maglie dell'occultismo sia simile a quello che colpì De Medici, titolare di un'Impresa di concimi catalitici dichiarata fallita. Interessante il racconto della distruzione di un villaggio di campagna maremmano per mano dell'ira divina, discesa per punire i libertini cittadini dediti a sedute collettive di sesso sfrenato. Plauso quindi alla Cliquot che, due anni dopo, ha dato alle stampe anche l'antologia I Topi del Cimitero – Racconti Crudeli, collage di quattordici racconti firmati De Medici e dati alle stampe nel 1924, proseguendo in un'azione di recupero che è, a dir poco, lodevole. Si spera che operazioni del genere, si ricorda anche la recente uscita de Il Vampiro. Storia Vera (1869) di Franco Mistrali per la casa editrice Arcoiris (collana La Biblioteca di Lovecraft, 2020), possano essere utili a spingere al recupero di una narrativa esoterica sepolta che, nella prima parte del novecento e nel tardo ottocento, era particolarmente florida in Italia.


Vignetta di Carlo H. De Medici, disegnatore oltre che
saggista e scrittore.

"Egli non ammetteva che si potesse considerare un essere come Uomo se non vagliando lo sviluppo della sua intelligenza. Tutti coloro che non avevano saputo trasformare quella materia grigia da volgare cervello in mentalità; tutti quelli che si pretendevano evoluti e coscienti senza capire che la coscienza non si acquista che dopo una vita di studio, di meditazione e di sforzi necessari per affinare la mentalità in una genialità, non erano che feti vegetanti, creature ignorabili e nulle degne solo di essere sfruttate come un bove."



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