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giovedì 19 agosto 2021

Recensione Narrativa: LA CITTA' DELLA PAURA INDICIBILE di Jean Ray.

Autore: Jean Ray.
Titolo Originale: La Citè de l'Indicible Peur.
Anno: 1943.
Genere: Horror / Poliziesco.
Editore: Agenzia Alcatraz, 2021.
Pagine: 216.
Prezzo: 14.00 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini. 

Torna sulle nostre coordinate di lettura il maestro di Gand Jean Ray (1887-1964), già incontrato in occasione delle recensioni de La Casa Stregata di Fulham Road (Profondo Rosso), I Racconti del Whisky (Edizioni Hypnos) e Malpertuis (Mondadori). La neonata Agenzia Alcatraz colma un vuoto ingiustificabile, affidando a Luca Fassina il compito di tradurre per la prima volta in italiano il romanzo La Cité de l'Indicible Puer, opera di punta nel copioso scacchiere del belga. Il prodotto finale è preciso e professionale, come già lo erano stati i due volumi dedicati a Gérard Prévot, facendo di questa casa editrice un nuovo punto di riferimento per quel fantastico franco-belga esaltato a metà novecento dalla collezione Marabout Fantastique di cui, nel prossimo settembre, saranno proposti per la prima volta nella nostra penisola anche gli attesissimi Cérémonial Nocturne di Thomas Owen e La Malveneu di Claude Seignolle, quest'ultima per le Edizioni Hypnos.

Il romanzo in questione viene scritto da un Jean Ray piuttosto maturo, ormai cinquantaseienne, a coronamento di un periodo particolarmente florido. L'affabulatore belga ha appena terminato la scrittura di quello che sarà ricordato come il suo capolavoro: il Malpertuis (1943). Da questa opera vengono confermate le atmosfere tenebrose, pregne di diluvi e lampi e l'idea di un male ossessivo che grava uno sperduto paese di campagna inglese. La componente mitologica viene cancellata a favore di un giallo decisamente atipico, assai distante dalla tematica del precedente romanzo ma anche dalla tradizionale scuola del mystery.

La Cité de l'Indicible Puer è un romanzo sulla paura, una paura contagiosa alla maniera di un virus che dapprima crea ansia nel singolo e da questo si diffonde alla massa, portando a una fuga collettiva scomposta e irrazionale; un fuggire animale, frutto degli impulsi dettati da un istinto che si è abbeverato troppo nell'inquinato elisir della suggestione. “Abbiamo paura senza sapere il perché” dice un personaggio del romanzo. “Non esistono forse cose terribili che non si vedono e che, un giorno o l'altro, potrebbero manifestarsi?” La paura dell'ignoto dunque, quei generici “Loro” che un resoconto iniziale mostra alla stregua delle creature che popolano la nebbia che monta sulla città, così come mostrato da John Carpenter nel film The Fog, seminando morti di cui non si riesce a trovare i colpevoli. L'uomo (specie quello di campagna più suscettibile alle superstizioni) è paragonabile alla pecora del gregge, il semplice gridare di uno sparuto gruppo di soggetti, soprattutto se giudicati attendibili, genera un panico incontenibile e, allo stesso tempo, indicibile.

Ray costruisce un romanzo, fin dalle prime pagine, che ricorda molto l'epilogo del film Anni '90, dove una coppia di individui, temendo di esser inseguita da una coppia di banditi, prende a correre e induce la seconda a fare altrettanto suggerendo implicitamente un pericolo alle spalle, quando invece non vi è niente di anormale ma solo una convinzione creata da pregiudizi e suggestioni. Le grida di aiuto e le urla dei quattro non fanno altro che alimentare una fuga collettiva dell'intera città, tracciando i contorni di una corsa di massa che verrà spiegata dalla massima di un finto Alfred Hitchcock che, tranquillo, se ne passeggia per la strada senza fare una piega: “Questo breve racconto di vita notturna urbana ci insegna che la paura è un male contagioso, da cui la celebre massima che chi scappa fa più paura del perché scappa.” Ray, citando anche Freud, analizza la psiche umana, i meccanismi che regolano la paura e come questa influenzi i comportamenti, portando a deduzioni sbagliate sotto la spinta di segreti che non si vorrebbe far emergere ma di cui si teme che altri siano già a conoscenza. Una minaccia che porta alcuni a fuggire, altri ad organizzare omicidi e altri ancora all'estremo gesto del suicidio. La via del fantastico diviene scappatoia per giustificare eventi che non si è riuscito a comprendere. “Niente spiega al meglio i peggiori accadimenti della vita che non l'intervento del diavolo e degli spettri, fanno una concorrenza sleale alla polizia.” Ray sembra qua aderire a una via scientifica, materialistica, pur riconoscendo all'epilogo l'esistenza dei fantasmi che però sono disinteressati alle vicende umane.

Ecco che quella che potrebbe sembrare un'ottima ghost story, perché come tale viene trattata prima degli ultimi due capitoli, diviene un vero e proprio giallo, in cui la lunga sequela di scomparse, delitti e suicidi che funestano la cittadina inglese di Ingersham ha una giustificazione razionale.

Tutto ha inizio con l'arrivo in un piccolo paesino di campagna di un detective di Scotland Yard in pensione. L'uomo, in verità un inetto che, grazie alle raccomandazioni, ha speso l'intera carriera in ufficio a Londra, altera senza volerlo gli equilibri dei bizzarri abitanti del luogo. Il pensionato viene visto come un potenziale Sherlock Holmes e la cosa, agevolata da racconti ed espressioni di mera circostanza ma casualmente calibrati in modo eccezionale al passato dei vari soggetti, porterà a un caos che sconvolgerà la tranquillità quotidiana. La paura di esser scoperti, di finire sotto la lente di ingrandimento di un individuo che potrebbe essere arrivato in zona proprio per questo fine, spacciandosi per pensionato, è la miccia che genera la follia.

Ray è elegantissimo nel trattare la tematica, inserendo degli splendidi racconti nel racconto ascrivibili al genere horror. L'eco di Edgar Allan Poe è percepibile, estrinsecato da cappi che ciondolano nella notte, apparizioni ectoplasmatiche, rumori rivelatori che portano alla scoperta di cadaveri di donne sotterrati in cantina, ma anche fantasmi ritornanti che pretendono di avere per sé la loro poltrona preferita scagliando in aria chiunque osi sedervi sopra. Ray tratta la questione facendo snocciolare i racconti ai vari personaggi, mentre gli altri personaggi sono seduti attorno a una tavola imbandita, alla maniera di un novello Boccaccio o, meglio ancora, un Chauser. Le storie infatti sono all'apparenza scollegate e ininfluenti al resto, raccontante per vincere la noia, ma avranno un ruolo determinante a scatenare la follia di chi le ascolta. Ogni personaggio penserà che quanto viene detto o scritto sia stato menzionato in quanto volutamente riferito al caso concreto che li riguarda.

L'autore è molto attento infatti a caratterizzare nel dettaglio i tanti personaggi della storia e, allo stesso tempo, a tratteggiare un'atmosfera claustrofobica che non ha eguali. Si percepisce, non poco, l'influenza della serie Harry Dickson, con la quale Ray aveva mosso i primi passi. Il continuo stare in equilibrio tra il fantastico e il giallo arriva da questa serie di romanzi scritti per le edicole e inizialmente tradotti dalla lingua tedesca. Qua però Jean Ray è decisamente più elaborato, elegante e colto. Il romanzo si apre con una citazione a I Racconti di Canterbury di Geoffrey Chauser (l'anno successivo, non a caso, pubblicherà Les Derniers Contes de Canterbury), prosegue con omaggi a William Shakespeare, Pietro Aretino, Edgar Allan Poe fino a Freud. “La fonte dei crimini più audaci è la paura” dice il commissario giunto da Londra per risolvere il caso. Il finale, didascalico, è in linea con i gialli dell'epoca, sebbene la struttura di Ray sia decisamente atipica e originale.

Non particolarmente apprezzata dai lettori amanti del fantastico (deduco dalle recensioni lette), La Cité de l'Indicible Puer è un vero e proprio gioiello. Ray gioca sui preconcetti, tratta con ironia il fantastico (emblematiche le scene del primo omicidio che vede in azione un manichino killer o quella del tipo che scimmiotta il presunto Bull, un mostro che terrorizzerebbe la campagna inglese, indossando sul corpo pelli di un vitello come facevano nei secoli scorsi gli assassini che venivano percepiti dai contadini come licantropi) e vira tutto verso una piega razionale. Complimenti all'Agenzia Alcatraz per il prodotto finale. Una pecca? Forse sarebbe cosa buona corredare i testi con qualche pagina introduttiva sull'autore e la sua opera.


L'autore Jean Ray

"La logica è come un uccellino terrorizzato che scappa verso l'orizzonte con un gran turbinio di ali, lasciando senza protezione né difesa gli uomini che sperano ancora in lei."

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