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sabato 21 agosto 2021

Recensione Narrativa: IL GRANDE CERCHIO di Henry S. Whitehead.

Autore: Henry S. Whitehead.
Titolo Originale: The Great Circle.
Anno: 1932.
Genere: Giallo macabro con risvolti esoterici.
Editore: Edizioni Arcoiris, 2020.
Collana: La Biblioteca di Lovecraft.
Pagine: 162.
Prezzo: 13,00 euro.

A cura di Matteo Mancini

Quinta uscita per la neonata La Biblioteca di Lovecraft, collana che si poggia sulle Edizioni Arcoiris di Salerno per proporre, in forma libera e indipendente, romanzi e raccolte legate al weird e al fantastico italiano dell'ottocento.

Jacopo Corazza e Gianluca Venditti presentano per l'occasione un romanzo inedito in italiano di Henry S. Whitehead, autore già proposto da Fratini Editore, La Ponga Edizioni, Mondadori e Newton. The Great Circle è un'uscita attesa, stranamente ignorata in Italia fino al 2020, nonostante Howard P. Lovecraft, che di Whitehead fu collaboratore e revisionista, non perse tempo per definirla tra i lavori “eccellenti” dell'autore.

Abbiamo già introdotto Whitehead in occasione della recensione dell'antologia Terrore Nero, di cui La Biblioteca di Lovecraft ripropone (salvo qualche ritocco in qua e in là) la prefazione - a firma Walter Catalano - che ne apriva le pagine. Arcidiacono nelle Isole Vergini di amministrazione statunitense, Whitehead è un nome associato alla tradizione weird (pubblicò venticinque racconti su Weird Tales, oltre che su Strange Tales) interessata da contaminazioni col folklore caraibico. Celebri i suoi racconti sugli zombi e sul voodoo. Whitehead è stato definito il primo scrittore a mettere in scena gli zombi (junbee secondo la terminologia inglese) ed è proprio nei suoi testi che compare il fino ad allora mai utilizzato termine (francese) zonbi (con la “n” al posto della “m”).

In The Great Circle, uscito nel 1932 sulle pagine di Strange Tales e rimasto inedito in italiano per via di una lunghezza superiore alla dimensione del racconto, ritroviamo due dei personaggi seriali dell'autore. Il primo di questi è il protagonista, Gerald Canevin, un indagatore dell'occulto che talvolta racconta esperienze di altri personaggi e talaltra parla delle storie vissute in prima persona, come nel caso di The Great Circle. Dimenticate però personaggi quali il Carnacki, il John Silence o uomini d'azione di derivazione sherlockiana. Canevin è uno studioso e un ricercatore, interessato di medicina e letteratura, spesso accompagnato da personaggi che si riveleranno decisivi per i misteri in cui si troverà coinvolto. Un profilo che viene rispettato nel romanzo oggetto di analisi, dove tuttavia il personaggio si carica di un'inedita spinta sanguinaria e guerriera (“Godevo quando sentivo la spada affondare sicura nei loro corpi”). Ad aiutarlo c'è l'amico Dottor Pelletier. Whitehead cambia leggermente la consueta cornice in cui si è soliti trovare Canevin. L'ambientazione si sposta dalle Isole Vergini a una giungla impenetrabile tra il Belize e la Jamaica. La narrazione è moderna, veloce, senza troppi fronzoli, anche se maniacale nella cura delle descrizioni (architettoniche e geografiche).

Un aereo, su cui viaggiano Canevin, Pelletier e il loro pilota, atterra in un enorme cerchio che inspiegabilmente si apre in mezzo alla giungla. Al centro svetta un grande frassino millenario, unica pianta nel cerchio. L'erba è così bassa da dare l'idea di essere nel green di un campo da golf e la cosa è alquanto strana, dato che nessuno può averla tagliata. Dentro il cerchio non vi è traccia di animali o di insetti, inoltre un gruppo di indios, improvvisamente apparsi ai margini della giungla, dimostra un timore reverenziale che impedisce a ognuno di loro di penetrare nella zona.

I “nostri”, in giro alla ricerca di sculture Maya, non prenderanno troppo sul serio la questione, finché una forte raffica di vento non li farà sobbalzare durante uno spuntino. Uno di loro, il pilota, non trovando più il proprio giubbotto, deciderà di arrampicarsi sulla pianta, salendo sempre più verso l'alto fino a scomparire nel nulla. Dopo quasi un'ora di assenza, Canevin deciderà di seguirne le mosse. Qui il romanzo abbandona il taglio realistico e sconfina in un dark fantasy ai limiti della fiaba, non sempre ben gestito (si veda il discutibile finale). Whitehead sembra vestire i panni di un Jules Verne di turno, strizzando l'occhiolino al gigantismo di Jonathan Swift. Lancia strali contro la scienza, tenta di operare una rivalutazione dell'astrologia a danno dell'”improduttiva” astronomia e muove una critica abbastanza curiosa, data la sua estrazione, sia al pragmatismo moderno sia, in modo criptico, alla religione.

The Great Circle, in forma assai onirica e altamente densa di quel sense of wonder che dovrebbe sempre dettare le coordinate alla narrativa fantastica, si rivela essere un romanzo, alquanto originale, sugli “elementali”. Di solito collegati a sedute spiritiche sfuggite di mano ai medium o comunque legati ai sortilegi orditi da un mago (si veda The Nemesis of Fire di Algernon Blackwood), l'elementale di Whitehead acquisisce una portata indipendente e non controllabile dall'uomo, aliena a ogni interazione dello stesso e, addirittura, preesistente. C'è qualche eco dello splendido racconto The Willows (“I Salici”, 1907) di Algernon Blackwood, sebbene l'esaltazione della natura sia meno marcata e il “male”, o sarebbe il caso di dire il soprannaturale, definito e non più evanescente. Comuni i gong che precedono la tensione. Whitehead però semplifica molto la tematica, definisce gli elementali “cose dotate di intelligenza, una specie di esseri simili a un Dio”. E in tale modo caratterizza l'elementale con cui si trovano a misurarsi i protagonisti. Una creatura ciclopica, che mimetizza il proprio volto con la superficie del pianeta Terra, che rappresenta l'aria e che vive in una quarta dimensione (o forse è la Terra nel suo complesso), di cui il frassino millenario diviene stargate, tenendo in uno stato di immortalità sonnambula la popolazione scomparsa dei Maya (bella la descrizione con migliaia di uomini che dormono, avvolti dalla polvere, in file che si moltiplicano a perdita d'occhio). Questi ultimi, alla stregua dei componenti di un sistema immunitario (Whitehead li definisce comunque “morti viventi”), si muovono alla caccia degli intrusi, risvegliati dall'elementale sul cui corpo immaginifico e comunque umanoide camminano i due protagonisti. È dunque un Whitehead piuttosto atipico quello che ci troviamo a leggere, addirittura accostato da alcuni critici a Robert Ervin Howard e al genere sword and sorcery. Canevin si esibisce infatti in una lotta all'ultimo sangue, all'interno di una ciclopica cattedrale eretta in favore del Dio dell'aria. I fedeli di quest'ultimo (alla maniera dei Templari) combattono con ardore, non preoccupati delle ferite che lacerano i loro corpi e con un atteggiamento che li rende mentalmente scollegati da quanto succeda intorno, simili ad automi. Si noti quanto il testo, per un autore come Whitehead, si carichi di una certa blasfemia. Canevin e Pelletier lottano contro il Dio (dell'aria) e arrivano a ferirlo in modo importante, spodestandolo dal suo trono. Il loro modo di procedere è tale addirittura da esser loro stessi identificati, dagli indios, come esseri divini. Il dio dell'aria viene rappresentato dall'immagine zodiacale dell'acquario, ossia un possente uomo che svuota un contenitore, facendo uscire l'acqua per far entrare l'aria e dunque modificandone il contenuto (gli insegnamenti da venerare). I nostri ribalteranno, nel segno del fuoco, la scultura, dando l'idea di aver, a loro volta, svuotato l'aria per far entrare il fuoco (e dunque cambiato ancora i contenuti da seguire e venerare). Soluzione, quest'ultima, preceduta da un'autentica mattanza consumata all'interno di un luogo religioso. Si veda la bravura di Whitehead nel descrivere la scena, con una polvere figlia di millenni di pace alzata dalle migliaia di piedi in lotta che si libra in volo alla maniera della nebbia. L'idea della blasfemia di fondo viene confermata dall'atteggiamento degli indios. Invece di chiedere indulgenza e salvezza, il più coraggioso di loro, che si propone di aiutare Pelletier dopo che questo ha mostrato di aver liberato il grande cerchio spacciandosi di essere il Dio del Fuoco (mi viene da pensare a Satana), chiede come contropartita al suo apporto “il dominio sui suoi simili” (un po' come promesso da Satana a Gesù in cambio di una sua “redenzione”). La richiesta viene esaudita e la battaglia sul Dio dell'aria vinta. Si noti la superficialità degli indios, ma verrebbe da dire degli uomini antichi (quelli che hanno plasmato le religioni), nell'individuare i profeti di un nuovo Dio.

Ecco che The Great Circle, da romanzo altamente onirico e generoso di momenti suscettibili di condurre il lettore in un mondo superiore dominato dalla meraviglia, si trasforma in un'opera simbolica colma di metafore. Whitehead, definito a più riprese da Lovecraft come un atipico uomo di Chiesa, dimostra la sua eccezionale ampiezza di vedute e lascia ai lettori un messaggio criptico sotto il quale potrebbe nascondersi una verità inconfessabile.

L'edizione de La Biblioteca di Lovecraft è piuttosto buona, non priva però di qualche refuso (niente di significativo). Il testo è impreziosito dalle raffigurazioni sull'esempio del precedente Il Vampiro di Franco Mistrali. La copertina e il formato sono eleganti e il tutto presenta il non sottovalutabile vantaggio del prezzo: solo 13 euro. Inutile sbuffare dalla bocca... il Dio dell'aria è stato spodestato!


Il reverendo Henry S. Whitehead, 
amico e collaboratore di Lovecraft.

"Questo posto è il teatro di un Male antichissimo, e noi lo abbiamo violato."

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