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lunedì 14 ottobre 2019

Recensione Narrativa: QUEL CONVENTO NELLA FORESTA NERA di Antonio Di Pierro (alias Jeremy Selenius).



Autore: Antonio Di Pierro (sotto lo pseudonimo di Jeremy Selenius).
Genere: Horror / Erotico.
Anno: 1973.
Edizione: Antonio Farolfi Editore, collana I Racconti di Dracula, II Edizione, N. 061.
Pagine: 116.

Commento a cura di Matteo Mancini.
Ennesimo romanzo violentissimo e ai limiti dell'hardcore pubblicato da Antonio Di Pierro, col suo consueto pseudonimo di Jeremy Selenius. Autore giovanissimo, non ancora trentenne, Di Pierro era il nipote del barone Antonino Cantarella, il titolare della casa editrice de I Racconti di Dracula. Figlio della sorella di Cantarella, futuro impiegato in banca e infine emigrato in Australia. Il taglio di questo autore è molto più spinto - sotto tutti i versanti - e di grana grossa rispetto ai colleghi più anziani, tutto giocato sulle infuocate erotiche (assai spinte e subito messe in scena) e sui momenti splatter, con evisceramenti, stupri e assassinii assai truci. L'intreccio è molto debole, dilatato e portato avanti a fatica, mentre lo stile narrativo è snello e immediato penalizzato da dialoghi a tratti volgari. Di Pierro ha scritto undici romanzi de I Racconti di Dracula, tra cui l'ultimo numero della serie ovvero Le Stelle di Yoshiwara (1981).

Quel Convento nella Foresta Nera, presentato quale Schwarzwald Adventure, è il terzo romanzo horror pubblicato da Di Pierro. Rientrante nel solco del satanismo e delle sette sataniche, è un testo privo di background esoterico ed occulto e denota una scarsa cura nella realizzazione del soggetto. Protagonista è un giovane americano che si reca in Germania per andare a trovare una vecchia zia che non vede da dieci anni. In marcia, a bordo di un auto, incontra la "solita" autostoppista a cui decide di concedere un passaggio. Tra i due scoppia un improvviso richiamo sessuale, con tanto di ricorso ad afrosidiaci, con venti pagine iniziali di romanzo che costituiscono mera brodaglia. Poi, mentre il protagonista scopre negli scantinati della casa della sua ospite un cadavere mummificato ancora in vita (e crede di esser preda di droghe e dunque di aver avuto un'allucinazione),  facciamo la conoscenza di una setta di adoratori del demonio chiamata I SANTI DI SATANA che ha la sua sede operativa all'interno di un ex convento del 1450 eretto nel cuore della foresta nera. Di Pierro caratterizza il gruppo ricorrendo ai costumi (tuniche con cappucci forati all'altezza degli occhi) e ai paramenti tipici dell'immaginario collettivo (croci rovesciate, simboli con testa di caprone) per caratterizzare i suoi satanisti, eppure non crea alcun pathos esoterico. La location e i modus operandi del gruppo, che a metà novecento continua a praticare in Germania l'omicidio e i riti sacrificali umani quale fulcro della loro attività, rendono assai inverosimile l'intera vicenda. A tenere banco è la decisione del capo santone di condannare a torture abominevoli un'adepta accusata di aver praticato magia bianca (!?). Si tratta della giovane a cui, a inizio romanzo, il protagonista ha dato un passaggio e che improvvisamente ha abbandonato la propria abitazione lasciandoci l'estraneo che le ha dato il passaggio (non si capisce perché). Ora, penserete voi che si sia resa protagonista di riti contrapposti alla magia nera. Invece, no. Si è dilettata in esperimenti funzionali a esplorare "i confini della vita e della morte" così da impedire all'anima dei trapassati di andare in Paradiso o all'Inferno, confinandola in un limbo per l'eternità. Questa, secondo Di Pierro, sarebbe magia bianca e la cosa indispettisce non poco il capo setta che ordina l'incarcerazione della donna in attesa di decidere la condanna. Il processo viene però disturbato dall'improvviso risveglio, dopo quasi cento anni, di un barone condannato alla dannazione dalla setta (colpevole di avergli sterminato l'intera famiglia) e divenuto un vampiro (per effetto di un maleficio satanico). L'essere finirà con il simpatizzare per il protagonista e la giovane che lo ha drogato e che non prova per lui nessun sentimento. Quest'ultima, nonostante si dica che pratichi magia bianca, è condannata in modo definitivo da Dio tanto che l'atto di disegnare una croce (una sorta di rendenzione quale tentativo di sottrarsi ai fedeli di Satana) non trova affatto la misericordia divina poiché il dito inzierà a bruciarle senza fuoco, condannandola alla pazzia. 
Il vampiro intanto capitalizza la sua rabbia contro gli adepti della setta e, uno a uno, li uccide tutti in modalità truci e sanguinolente, penetrando infine nel loro convento con modalità militaresche. Di Pierro non spiega perché abbia atteso così tanto per consumare la sua vendetta. E il protagonista? Semplice, è vittima degli eventi e, alla fine, viene curato proprio dal vampiro che gli somministra delle cure atte a interrompere il processo innescato dalla giovane seduttrice a inizio romanzo. Solo così l'uomo potrà sfuggire a una sorta di morte da cui l'anima non potrà liberarsi.

Propongo qua di seguito un passaggio tra i più brutali dell'opera, inserito nella parte terminale del romanzo quando Di Pierro introduce anche un momento di erotismo saffico, giusto per dare un'idea dello stile. "Gertrud sentì un rivolo di sudore scendere lungo la schiena. Era sopra a Marion. Era una goccia più pesante e fredda dell'altra che si fermò all'attaccatura delle natiche e poi scese ancora di più giù, nello spacco. Ma non era una goccia... era il pugnale di Von Paulus. Spalancò la bocca e rimase senza fiato. Il vampiro aveva immerso la sua lama nel retto della donna, fino all'elsa. Strappò col braccio armato e squarciò l'intero complesso genitale della donna. Marion dilatò le pupille inorridita, in una pazza espressione. Von Paulus spostò da un lato il corpo ancora palpitante ma muto di Gertrud e fissò le pupille della Santa di Satana. Fissò il terrore mostruoso di lei. Vide la pelle della donna arricciarsi e incapponirsi come quella di un maiale che si sta sgozzando. E la vedeva realmente come una troia. Una troia troppo grassa e malata, schifosa. Gertrud improvvisamente urlò. Fu un urlo stridente acutissimo, di morte. Si reggeva gli intestini e le ovaie con la mano e le guardava... urlava e le guardava. Marion stette per svenire... ma Von Paulus fu più svelto: si chinò con uno scatto serpentino, da cobra sul suo collo e affondò i tremendi canini tra la carne."

Romanzo più che mediocre, inferiore persino a L'Ultimo Mago, testo di Di Pierro che abbiamo recensito, a suo tempo, su queste pagine.


"I segreti si tengono quando c'è una ragione di vita, dopo non se ne ha più lo scopo."

2 commenti:

  1. Bravo, hai radiografato Di Pierro. E' proprio così, in tutti i suoi libri, per questo lo apprezzo poco e l'ho subito dimenticato.
    Altro autore che usa lo splatter è il sardo Mulas, con trame più complesse e scene di sadismo, squartamenti, castrazioni. A me questo non piace. Fa eccezione MOLTO DOPO MEZZANOTTE che è un capolavoro

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    1. Indubbiamente è una scorciatoia per arrivare al fine finale... ma come tutte le scorciatoie è la via più facile da seguire e anche la meno approfondita e "costruita".

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