Elenco

  • Cinema
  • Ippica
  • Narrativa
  • Pubblicazioni Personali

mercoledì 13 luglio 2022

Recensione Narrativa: PULP HORROR di Arthur Leo Zagat

Autore: Arthur Leo Zagat.
Curatori: Jacopo Corazza & Gianluca Venditti.
Anno: 1934-1947.
Genere: Horror / Pulp / Giallo.
Editore: Edizioni Arcoiris, 2022.
Collana: La Biblioteca di Lovecraft.
Pagine: 202.
Prezzo: 14,00 euro.

A cura di Matteo Mancini

Ottava uscita, al momento ultima, della collana La Biblioteca di Lovecraft delle Edizioni Arcoiris. Il duo Venditti-Corazza propone nell'occasione una vera e propria primizia in Italia, dando alle stampe la prima antologia in italiano di Arthur Leo Zagat (1896-1949). La caduta dei diritti d'autore sui racconti rende possibile un lavoro di sdoganamento nella nostra penisola di un autore pulp praticamente sconosciuto alla nostra latitudine fatta eccezione per tre racconti, uno dei quali incluso nell'antologia (pubblicato da Providence Press). Apparso in Italia nel 2004 e nel 2006 a oltre cinquant'anni dalla sua scomparsa, Zagat è stato un autore molto conosciuto nel circuito delle riviste weird e pulp che popolavano le edicole americane tra il 1930 e il 1949. Di professione avvocato, era solito arrotondare lo stipendio vendendo racconti e romanzi brevi a tutte le principali testate del periodo. Suoi racconti infarciscono le pagine delle varie Argosy, Weird Tales, Astounding Stories, Oriental Stories, Wonder Stories, Terror Tales, Dime Mystery Magazine, Spicy Mystery Stories e via dicendo. Si parla di qualcosa come cinquecento pubblicazioni che gli sono valse il soprannome di Magister Trismegistus of the Macabre.

Conosciuto inizialmente per racconti e romanzi di fantascienza (spesso in coppia col collega di lavoro Nathan Schachner) che ne hanno tenuto a battesimo i debutti letterari, tanto che le sue prime due pubblicazioni in italiano sono proprio due racconti appartenenti a questo genere (Venus Mines Incorporated e The Menace from Andromeda), si è poi interessato a tutti gli altri generi commerciali che andavano in voga nel periodo. In particolare è ricordato per quello che è conosciuto come il weird menace ovvero racconti apparentemente caratterizzati da una componente soprannaturale che sfuma in una soluzione terrena. Proprio quest'ultimo gruppo di racconti sembrano quelli interessare al curatore Gianluca Venditti che, dopo una colta prefazione in cui parla del fenomeno di inizio novecento legato alle riviste pulp, propone un lotto di cinque racconti, quattro dei quali apparsi per la prima volta in un volume italiano.

Si tratta di una selezione che non rende molto onore a Leo Zagat, dal momento che ne esce fuori il profilo di uno scrittore unicamente votato all'intrattenimento e dotato di uno stile non particolarmente seducente da un punto di vista costruttivo e letterario.

Le storie hanno epiloghi spesso e volentieri forzati e poco verosimili, dando la sensazione quasi di voler essere delle parodie del genere fantastico.


NEL DETTAGLIO

Dei cinque racconti solo uno, Table for Two (“Tavolo per Due”, 1942), non a caso pubblicato in origine su weird tales, può definirsi fantastico. Zagat propone la storia di un amore impossibile che passa da un crimine avente la funzione di rimuovere l'ostacolo che impedisce la felicità dei due amanti protagonisti. Storia breve, eppure poetica. Nonostante l'epilogo non chiarissimo (anche se sembra che il protagonista sia morto così come il suo rivale in amore), è di gran lunga il racconto più riuscito tra quelli proposti. È infatti il più solido del lotto e alla fine si rivela una curiosa ghost story.

Gli altri quattro racconti presentano tutti dei difetti anche se siamo pronti a scommettere che siano preferiti dalla maggior parte dei lettori per le loro particolarità. The Dead Who Kill Again (“I Morti Uccidono Ancora”, 1947) è quello che piace meno. È un giallo estremamente macchinoso (e irrisolto) visto dalla prospettiva inconsueta della vittima ormai passata a nuova vita. Zagat regala alcune descrizioni interessanti (la traversata sul mare e il lento crescere della marea che avvolge la scogliera dove il protagonista, rimastovi imprigionato, ha celato dei documenti compromettenti con i quali intendeva ricattare il datore di lavoro), senza però chiudere in modo incisivo.

Atmosfere più tese e terrorizzanti si respirano in Midnight Fangs (“Il Sentiero del Lupo”, 1934) e Cargo for Hell (“Cargo per l'Inferno”, 1936), entrambi caratterizzati da premesse molto affascinanti e orrorifiche rovinate da epiloghi forzati per la loro volontà di fornire spiegazioni razionali a quanto fin lì delineato. Nel primo caso si assiste a una storia sulla licantropia non priva di gravi buchi narrativi (non si capisce come il sospettato venga giudicato non presente ai fatti, vista poi la soluzione finale) e di semplificazioni tutt'altro che possibili (si vedano le manovre orchestrate da una donna che non si capisce come riesca a gestire tutta la macchinazione, tanto da far apparire e scomparire un cane particolarmente feroce senza farsi scoprire dal marito). Difetti di costruzione, questi, che invalidano l'ottima struttura iniziale del testo e le atmosfere che Zagar riesce ben a costruire. Cargo for Hell, forse superiore per il taglio pulp e le ambientazioni esotiche (siamo su un'imbarcazione che solca l'oceano a nord dell'Australia), cade preda dei medesimi difetti di Midnight Fangs. Qua Zagat omaggia (o fornisce parodia) Dracula di Bram Stoker nella parte del viaggio via mare del Conte dalla Romania all'Inghilterra. Le atmosfere sono buone (da racconto horror), inoltre vi è un sadismo e una brutalità da pulp con venature erotiche. Cazzotti, cadaveri dissanguanti, bare al cui interno si scoprono defunti marinai scomparsi nel nulla e un'antica maledizione che parla di un'isola popolata dai morti viventi sono gli ingredienti nel frullatone del newyorkese. Belle premesse che Zagat distrugge con un finale decisamente brutto all'insegna di un machismo, di gran lunga superiore a quello di Robert E. Howard, rappresentato da un protagonista antipatico e brutale che picchia i suoi uomini e tratta da oggetto la novella moglie (che pure lo ama).

Ancor più folle, ma aiutatemi a dire folle, è il delirante Revel for the Lusting Dead (“L'Orgia degli Zombi”, 1937), una sorta di parodia estrema del genere zombie. Un racconto che, considerato l'anno di uscita, vanta importanti punti a proprio favore. Zagat mette in scena degli zombi che ricordano, a parte per i risvolti socio-politici, quelli ai quali ci ha abituato George A. Romero. Li vediamo uscire dalle tombe, barcollare verso i vivi che si sono asserragliati dentro un ambiente chiuso, quindi abbattere le porte delle abitazioni e resistere alle fucilate che gli uomini li riversano contro. A differenza degli zombi di fine anni sessanta, i morti viventi di Zagat parlano e vogliono copulare con le donne. Sembra di leggere una sceneggiatura di Jess Franco o Jean Rollin, anche perché il ritmo è sollecito e la struttura è completamente votata all'azione, senza attimi di respiro. Una giovane ragazza, un po' come la prostituta interpretata dalla Cardinale in C'era una Volta il West, giunge in provincia per unirsi a quello che dovrà essere marito, ma al suo arrivo non trova il promesso sposo ad attenderla alla stazione. Dopo essersi registrata in un albergo, si troverà asserragliata all'interno, circondata dagli zombi e senza possibilità di fuga. Verrà presa prigioniera e condotta all'interno del cimitero dove prenderanno luogo dei baccanali ultraterreni. Bello, ma assurdo, perché Zagat orienta tutto sul versante sadico, pulp e sessuale, proponendo, ben prima di Libero Samale, scene in cui gli zombi prendono a frustate le donzelle o costringono le stesse a combattere l'una contro l'altra in un'orgia di sangue alla maniera del gladiatori dell'antica Roma. Purtroppo, ancora una volta, Zagat perde il controllo della storia e, alla fine, si scopre che di morti viventi non ce n'era neppure uno, ma un'organizzazione di pervertiti che faceva capo proprio a colui che la donna avrebbe dovuto sposare e che ha organizzato il tutto per frodare le assicurazioni. Zagat cerca di spiegare per tale via quanto descritto (i fucili erano caricati a salve, i morti viventi recitavano un ruolo e via dicendo) ma è come cercare di convincere un tedesco sull'opportunità di comprare la Torre di Pisa da un venditore senegalese sorpreso nell'atto di vendere dei rolex a trenta euro. N.C.S. come direbbe Guido Nicheli: “non ci siamo!”.


CONCLUSIONI

Che dire in conclusione...? Pulp Horror è un'antologia dalla confezione estremamente accattivante ed elegante, con inserti divertenti che riproducono le assurde pagine pubblicitarie che impolpavano le riviste pulp dell'epoca, utile come studio “archeologico” di un periodo e di una realtà editoriale scomparsa. Da un punto di vista letterario il valore dei racconti è pressoché nullo, le storie sono palesemente scritte per ragioni alimentari pur riuscendo a regalare qualche momento esilarante. Le scelte di Zagat di cercare di fornire una spiegazione razionale a quanto proposto sembrano quasi costituire una parodia del genere fantastico, ma per esserlo veramente manca l'ironia. Nella sua sconclusionatezza, Zagat si prende sul serio. Alla fine comunque sono letture che non annoiano e intrattengono solo a una condizione: urge sospendere l'incredulità e soprattutto occorre non farsi domande sorrette da quella ragione che Zagat vorrebbe chiamare in causa. Lettura diversa dal solito.

L'Avvocato ARTHUR LEO ZAGAT

 

 

Nessun commento:

Posta un commento