Elenco

  • Cinema
  • Ippica
  • Narrativa
  • Pubblicazioni Personali

domenica 10 aprile 2022

Recensione Narrativa: LA PESTE SCARLATTA di Jack London.

Autore: Jack London.
Titolo Originale: The Scarlet Plague.
Anno: 1912.
Genere: Fantascienza.
Editore: Adelphi (2009).
Pagine: 94.
Prezzo: 9.00 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini. 

Novella minore firmata da John “Jack” London, antesignana di un sottogenere, quello post-apocalittico, che avrebbe fatto fortuna qualche anno dopo ma che già era presente grazie a opere quali The Purple Cloud (“La Nube Purpurea”, 1901) di Matthew P. Shiel e The Poison Belt (“La Nube Avvelenata”, 1913) di Arthur C. Doyle, uscito un anno dopo al qui presente The Scarlet Plague.

Noto soprattutto in veste di scrittore di classici per ragazzi, quali i più volte rappresentati al cinema The Call of the Wild (“Il Richiamo della Foresta”, 1904) e White Fang (“Zanna Bianca”, 1906), Jack London è stato un personaggio a dir poco controverso. Irruento, litigioso e genio assoluto, al punto da diventare lo scrittore più popolare e meglio pagato del primo quindicennio del secolo scorso (dopo però esser stato respinto più volte dagli editori), ma anche sregolato in tutto ciò che faceva, con una smodata passione per viaggi, alcool e antidolorifici (morfina).

Nacque a San Francisco, in California, nel gennaio del 1876. Figlio illegittimo di un astrologo ambulante (e di una spiritista), riversò nella vita l'ardore dovuto alle carenze affettive che lo portarono a dire di non aver mai avuto un'infanzia. Sviluppò per questo una personalità ribelle, un impulso che cercò di placare spingendosi sempre verso l'azione più estrema. Aderì agli ideali socialisti, tenne comizi pubblici e riprese gli studi dopo una prima esperienza burrascosa. Studioso de Il Capitale di Marx e, al tempo stesso, di Nietzsche, ma soprattutto avventuriero giramondo legato a un ideale mascolino da antesignano di Robert Ervin Howard, convinto dal messaggio darwiniano legato all'ineluttabilità della legge del più forte. London concepiva la vita come una guerra da combattere giorno dopo giorno, una lotta in cui era vietato distrarsi, perché il rischio di perdere cibo e libertà era dietro l'angolo.

Un mix di idee che lo portò a essere apprezzato sia dai regimi fascisti che da quelli del blocco comunista (ma non dai coevi critici americani). Cresciuto in un ambiente problematico, tra risse e furti, si fece le ossa nel mondo della malavita cittadina stringendo amicizie con soggetti equivoci. Ladro, capobanda di bulli di periferia, più volte arrestato per vagabondaggio, fu pugile, cercatore d'oro, marinaio, cacciatore di foche, fuochista, giornalista e inviato internazionale di guerra (seguì il conflitto russo-giapponese in Corea, finendo arrestato per tre volte). Vorace lettore di Robert L. Stevenson e Rudyard Kipling, da lui definiti quali modelli di riferimento, perfezionò le proprie idee leggendo anche filosofi del calibro di Herbert Spencer. Fu estremamente prolifico e poliedrico. Spaziò dall'avventura (suo genere di elezione) alla letteratura dell'orrore con concessioni alla fantascienza e al genere sportivo, sempre attento a dedicarsi a ciò che gli avrebbe garantito i maggior introiti. Infatti, non nascose mai di pubblicare per soldi. Dette alle stampe circa cinquanta libri, molti dei quali degli autentici gioielli, quali il censurato (e acclamato in Unione Sovietica) romanzo di previsione sociale The Iron Heel (“Il Tallone di Ferro”, 1925), l'autobiografico tristemente profetico Martin Eden (1925) e il fantastico The Star Rover (“Il Vagabondo delle Stelle”, 1915), oltre al racconto orrorifico The Red One.

Morì giovanissimo, a soli quarant'anni, stroncato da un mix di antidolorifici. La sua produzione ispirò fior fiori di maestri, quali Hemingway e Kerouac, fino a Stephen King e al “nostro” Lamberto Bava.

 
Ispirato da The Purple Cloud, The Scarlet Plague è uno dei primi esempi di post-apocalittico. London utilizza l'artificio letterario del flashback per narrare, dal 2073, una storia verificatesi nel 2013 nella “sua” San Francisco. Siamo dunque nell'ambito della letteratura fantascientifica, posto che London pubblica la novella nel 1912.

Nonostante il titolo, il tema della narrazione si concentra non tanto sulla “peste scarlatta”, bensì sulle reazioni degli uomini, messi al cospetto di una pandemia che riduce la popolazione mondiale da 8 miliardi di persone (dato profeticamente azzeccato da London) a 400.000 abitanti, e in seconda battuta sulla successiva regressione della società umana ai primordi della civiltà (con tanto di pellicce di animali utilizzate quali vesti e clave). London, in questo, fungerà da evidente modello di riferimento per Stephen King e il suo The Stand (“L'Ombra dello Scorpione”, 1978), che può considerarsi, a tutti gli effetti, un figlioccio di questa novella.

Poco è dato sapere del misterioso morbo che falcia il mondo del futuro. In una San Francisco ben messa in scena e governata da un'oligarchia di sette famiglie schiaviste e ultracapitaliste ("Consiglio dei magnati dell'industria"), tra auto volanti e dirigibili, il male consuma in meno di un'ora le vittime, mostrando la propria azione sotto la forma di uno scarlatto che prende a contaminare il biancore degli infetti. London, in questo, sembra richiamare il capolavoro di Edgar A. Poe The Masque of the Red Death (“La Maschera della Morte Rossa”, 1842). Chi siano i vettori di trasmissione resta un mistero assoluto (nessun riferimento ai topi, per esempio). Sappiamo solo che la malattia resta in incubazione per qualche giorno e che non è possibile combatterla con nessuna cura. Le reazioni degli uomini sono le più bestiali ed egoiste che si possa immaginare. La follia regna sovrana. Le autorità perdono il controllo della situazione, mentre gli epidemologici periscono uno dietro l'altro nel tentativo di confezionare vaccini. Tutto va allo sbando. London sembra non tenere conto delle lezioni offerte da autori quali Daniel Defoe (“The Journal of the Plague Year”, 1722) e Alessandro Manzoni, entrambi interessati a un approccio realistico della questione. Celebri infatti le pagine da loro lasciate che infondo una qualche speranza nel mostrare come, al cospetto della peste che flagellò Londra (1665) e Milano (1630), le autorità riuscirono a limitare i danni. Con London razziatori e vandali entrano subito in azione, appiccando incendi che, in poche settimane, spazzano via, forse più della peste stessa, la progredita società umana. L'elemento del fuoco purificatore, in parte ripreso proprio da Defoe (che parlò degli incendi di Londra del 1666 che posero fine alla peste), comparirà, seppur in misura ridotta, anche ne La Peste (1948) di Albert Camus e in The Road (titolo che ricorda un libro di viaggi dello stesso London) di McCarthy.

In London ogni forma di solidarietà viene accantonata. Chi si ammala è cacciato dalle comuni e abbandonato a sé stesso. Lasciato ai margini dei gruppi di superstiti che, per le vie, cercano auto e cibo, armati fino ai denti per difendersi dai predoni e dai cani randagi, vedendo nelle campagne la via di fuga. Il protagonista, il narratore stesso, si ritroverà presto solo, alla ricerca di simili sparsi sul territorio. Passerà tre anni prima di incontrare un altro uomo. L'indice di sopravvivenza è di uno su un milione.

London racconta tutto questo nella forma del “racconto orale” e per bocca di un ottantenne, un tempo professore di lettere e ora deriso dai nipoti regrediti al rango di selvaggi. Il mondo come noi lo conosciamo è sparito. La natura ha ripreso possesso della Terra ed è cresciuta rigogliosa laddove un tempo sorgevano le città. La peste, ma sarebbe meglio definirla epidemia pandemica, ha ribaltato i ruoli e permesso ai più forti fisicamente di prevalere sugli altri. Lo spirito socialista di London trapela nelle parti in cui parla dei magnati ormai cancellati o costretti a fungere da schiavi di chi, qualche anno prima, ben poco avrebbe potuto nei loro confronti. E' il tema del "ribaltamento" schiavo-padrone. I soldi, nel nuovo mondo, non contano più niente. La donna torna a essere serva dell'uomo, tra violenze e umiliazioni che la degradano al rango di fattrice. Si arriva persino a promettere in sposa bimbe di età adolescenziale, il tutto per rimpolpare la popolazione.

London non dimentica l'avventura e l'interesse per gli animali. Lupi e puma dominano incontrastati, mentre cavalli e cani scorrazzano liberi e inselvatichiti da decenni di totale abbandono. Le razze ideate dall'uomo sono scomparse in favore di ibridi ben più adatti al nuovo ambiente. Le influenze darwiniane sono palpabilissime e fanno di The Scarlet Plague una novella tipica della narrativa londoniana, seppur diversa per i suoi contenuti fantascientifici.

Il messaggio finale è all'insegna del pessimismo. A differenza di Manzoni, London afferma che non c'è giustizia nel mondo, poiché i buoni vengono uccisi mentre i crudeli sono risparmiati dalla peste. Seppur spazzata e ridotta a uno sparuto manipolo di superstiti, la razza umana è destinata a moltiplicarsi in vista di una nuova battaglia che produrrà nuovi milioni di morti. In uno slancio filosofico che ricorda Eraclito, London dichiara che nel perenne mutamento che contraddistingue la vita dell'uomo sussistono solo “forza” e “materia” e che queste producono tre tipi eterni di persone: il prete, il re e il soldato (chi prega, chi comanda  e chi lotta). Gli altri individui sono destinati a subire queste tre figure in un'ottica hobbesiana in cui l'uomo divora il suo simile, quale pedina di un ciclo destinato a ripetersi, poco importando la cultura e gli insegnamenti lasciati nel corso della storia dai più saggi. La natura umana, allora, è destinata a restare immutata e si connatura di una valenza maligna. La civiltà è vista, quindi, quale violenza dell'uomo sull'uomo, una realtà in cui i più sono destinati a soffrire a vantaggio di pochi, vale a dire di un elite di eletti che governano e tirano i fili del grande gioco della società. Tutto si estingue, eppure tutto tornerà come prima. Questo il messaggio finale lasciato da London che ricorda lo sfogo di Rod Steiger quando, in Giù la Testa di Sergio Leone, parla delle rivoluzioni.

Da segnalare, per gli amanti del genere, la novella Il Terzo Giorno (2020) di Lamberto Bava, anch'essa molto legata a questo lavoro di London.

 
L'autore JACK LONDON 

La polvere da sparo tornerà. Niente potrà impedirlo... la stessa vecchia storia si ripeterà. L'uomo si moltiplicherà e gli uomini si combatteranno. La polvere da sparo permetterà agli uomini di uccidere milioni di uomini, e solo a questo prezzo si svilupperà, un giorno, ancora lontanissimo, una nuova civiltà.”

Nessun commento:

Posta un commento