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venerdì 29 aprile 2022

Recensione Narrativa: FREAKS di Tod Robbins

Autore: Tod Robbins.
Curatori: Jacopo Corazza & Gianluca Venditti.
Anno: 1919-1923.
Genere: Horror.
Editore: Edizioni Arcoiris, 2021.
Collana: La Biblioteca di Lovecraft.
Pagine: 208.
Prezzo: 13,00 euro.

A cura di Matteo Mancini

Il duo fiorentino costituito da Jacopo Corazza e Gianluca Venditti torna nelle librerie col sesto numero dell'ambiziosa La Biblioteca di Lovecraft per le Edizioni Arcoiris, una piccola realtà che si sta sempre più confermando nel panorama dell'editoria interessata al weird e al fantastico del novecento.

Nell'occasione viene proposta una trilogia di racconti di uno scrittore newyorkese celebre soprattutto per aver scritto l'opera da cui Tod Browning, regista del primo Dracula autorizzato dagli eredi Stoker (quello con Bela Lugosi), trasse ispirazione, con la collaborazione diretta dello scrittore, per il capolavoro Freaks (1932). A fungere da traino di questa iniziativa è proprio questo racconto, a cui si aggiungono due inediti in italiano.

L'AUTORE

Tod Robbins, all'anagrafe Clarence Aaron Robbins, non può certo definirsi un maestro del genere. Il suo nome, spesso, non viene menzionato nelle guide di settore. Ciò nonostante si tratta di uno specialista nell'ambito della letteratura del terrore che, a inizio novecento, ha vissuto i suoi giorni di gloria dapprima sui pulp magazine e poi a Hollywood, cercando di imitare i maestri del terrore inglesi.

Scrittore di origine ebraica non troppo prolifico, anche perché facoltoso, Robbins nacque a New York nel 1888. Attraente e dal fisico atletico, seppur non particolarmente alto, fu un vero tombeur de femmes, passando da una donna all'altra anche dopo aver contratto il primo matrimonio. Di temperamento focoso, fu un poliedrico sportivo capace di marcare, ai tempi della frequentazione della Washington and Lee University, il record universitario nel salto con l'asta e, in contemporanea, ricoprire il ruolo di capitano della squadra corse. Appassionato di poesia, scrisse testi per canzoni, mostrando una duttilità non comune. Smargiasso e non timoroso di niente, neppure del pericolo nazista che non lo indurrà alla fuga dalla Costa Azzurra ai tempi della seconda guerra mondiale, divenne protagonista di una leggenda metropolitana secondo la quale sarebbe stato anche “campione francese dei pesi leggeri”. L'episodio, risalente al periodo universitario, sarebbe dovuto a una sfida che lo scrittore accolse dopo esser stato invitato a salire sul ring da un sedicente campione di boxe durante un meeting di pugilato. Spettatore sugli spalti, Robbins colse al volo la proposta facendo tremare l'avversario, specie dopo essersi tolto la maglia e aver mostrato lo statuario addome scolpito con cura maniacale. Una visione che indusse l'avversario a rimangiarsi la parola e a ritirarsi. Si venne poi a sapere che il sedicente campione, in realtà, era un mero attore di burlesque a caccia di soldi.

La fama di Robbins si diffuse presto dall'ambito sportivo a quello delle riviste da edicola. Sorretto da un'importante dote ereditata da un nonno che aveva fatto fortuna nel settore alimentare, Robbins, tra uno scandalo sentimentale e l'altro culminati in quattro matrimoni e una serie di intrecci amorosi che coinvolsero anche una delle figlie del governatore del Massachussets e una nota tennista, scrisse senza patemi d'animo indirizzando i suoi testi ai pulp magazine. Fu abile assemblatore dei temi proposti da altri autori, ben attento a proporre quanto il pubblico andava chiedendo. Nei suoi racconti rivivono infatti i classici dell'epoca vittoriana generati da assi quali Oscar Wilde, Robert Louis Stevenson e Matthew P. Shiel. Tematiche che vengono rimodulate per esser riproposte sotto una nuova lente.

Impegnato anche nella stesura di romanzi, mosse i suoi primi passi su Munsey's Magazine, All Story Weekly, Fantastic Novels Magazine insistendo a scrivere fino al 1949, anno della sua morte.

Nel 1912 dette alle stampe i suoi primi due romanzi (ne pubblicherà una mezza dozzina), tra cui Mysterious Martin che si lascerà ricordare quale primordiale esempio di romanzo narrato dalla prospettiva di un serial killer che parla delle sue emozioni e dell'omicidio. Cinque anni dopo, nel 1917, fu la volta di The Unholy Three, il romanzo che permise a Robbins di compiere il salto di qualità e di indirizzare il prosieguo della sua carriera. Qui si notano gli ingredienti che ne contraddistingueranno la produzione, in particolare fanno la loro comparsa caratterizzazioni ed elementi che ritroveremo nel successivo Spurs. L'opera ruota attorno a tre fenomeni da baraccone (un nano, un gigante e un ventriloquo) che cessano l'attività circense per darsi alla malavita. Il libro fu un successo commerciale al punto da attirare le attenzioni di Hollywood che, nella persona di quel Tod Bowning che qualche anno dopo sarebbe diventato leggenda grazie al Dracula (1932) interpretato da Bela Lugosi, ne curò subito un adattamento cinematografico. Il film, distribuito in Italia col titolo de Il Trio Infernale, fu un inaspettato successo e spinse i produttori a mettere subito in cantiere un remake sonoro poi affidato alla direzione di Jack Conway.

La tematica freak non fu abbandonata da Robbins che insistette sull'argomento col successivo romanzo, Red of Surley (1919), e col già citato Spurs che apparve nel 1923 su Munsey's Magazine. Il nome dello scrittore divenne noto ai produttori di Hollywood. Il regista Scott Pembroke decise di ingaggiarlo per sceneggiare The Branded Man (1928) e lo stesso fece la Metro Goldwyn Mayer che con Tod Browning scommise sul racconto Spurs, con l'intento di realizzare un horror in grado di superare in truculenza il Dr. Jekyll & Mr Hyde e il Frankenstein delle concorrenti Paramount e Universal. Robbins si vide così comparato a quelli che erano stati i suoi maggiori maestri, con ambizioni commerciali addirittura superiori. Browning, allo scopo di scioccare e di superare i limiti, cercò infatti di proporre un qualcosa che non si era mai visto prima. La produzione non badò a spese. Al fianco di attori professionisti, furono messi sotto contratto individui affetti da reali malformazioni, in un'operazione che suscitò scandali e clamore nell'opinione pubblica. Il film, intitolato Freaks, uscì nel 1933, ma solo dopo aver subito pesanti tagli, in una versione che non rese giustizia allo sforzo del regista. Vietato in più di un paese (in Inghilterra fu proiettato solo negli anni sessanta), la pellicola, di anno in anno, avrebbe conquistato la veste di culto, ma allora fu un fiasco totale. Browning pagò caro questo insucceso, dovendo faticare non poco per trovare nuovi incarichi. Robbins, intanto, emigrò in Francia. Proprio in territorio transalpino, più precisamente in Costa Azzurra, finì per essere imprigionato dai nazisti e internato in un campo di concentramento. Sopravviverà, rimanendone traumatizzato e raccontando la sua esperienza in quello che sarà il suo ultimo romanzo: Close Their Eyes Tenderly (1949).

In Italia, a oggi, Tod Robbins è uno scrittore pressoché sconosciuto, non avendo per anni attirato gli editori italiani. Il solo Spurs, complice la notorietà del film che ha ispirato, ha avuto nel corso degli anni un reiterato interesse. Proposto, per la prima volta nel 1981 come Freaks dalla Mondadori all'interno dell'antologia Al Cinema con il Mostro, è stato ripresentato con altri titoli in altre due antologie: Elephant Man e Altri Mostri ( come Speroni) nel 1991 e Brivido a 35 mm (come Mostri) nel 1993.

Qualche anno fa la Ctrl Alt Write si è resa protagonista di una lodevole iniziativa, mettendo sul mercato digitale una selezione di otto racconti dell'autore (Freaks! 8 Racconti). In questa graduale riscoperta si inserisce ora La Biblioteca di Lovecraft, portando a dieci i racconti presenti nella nostra lingua. Robbins ne scrisse circa un quindicina oltre che una mezza dozzina abbondante di romanzi. Fu particolarmente apprezzato negli anni trenta dall'antologista Charles Birkin che incluse molti suoi racconti in antologie collettive.

                                                                  La locandia del film di Browning

 ANALISI GENERALE

In sede di presentazione autore abbiamo detto che Tod Robbins non può essere definito un maestro del fantastico, eppure dalla lettura delle tre opere proposte dal duo Corazza-Venditti si potrebbe anche sostenere l'inverso.

Lo scrittore americano sfoggia uno stile che ricorda assai da vicino gli autori vittoriani sia per tematiche che per atmosfere, non a caso è stato detto che è uno scrittore che “scrive all'inglese”. Tuttavia sarebbe sbagliato reputarlo tale. I contenuti intrinseci dei racconti dell'americano si allontanano da quella volontà esoterica che animava, a esempio, molti scrittori britannici, spesso affiliati a organizzazioni segrete e iniziatiche, seguendo invece logiche più in linea a quella letteratura americana dei pulp magazine da cui avrebbero preso le mosse maestri quali Fritz Leiber e Richard Matheson. Il fantastico di Robbins, infatti, entra nella vita di tutti i giorni e si dirama da oggetti del comune vivere. Un ritratto diviene specchio multidimensionale che permette al soggetto immortalato di scorgere nel profondo del proprio animo senza tuttavia riconoscersi, mentre semplici giocattoli divengono veicoli di dimostrazione di futuri eventi catastrofici. Impossibile non notare la marcata ironia macabra che accompagna le storie (“persino un ladro può essere perdonato, se sa farti sorridere”) e un approccio al genere in cui, come ha correttamente sottolineato Gianluca Venditti in prefazione, non vi è alcuna morale di fondo nelle azioni orchestrate dal male. L'uomo è una marionetta in balia di forze capricciose che devono vincere l'ozio e che gli sono superiori. Esseri, dalle forme umane, che seguono logiche incomprensibili per l'uomo e che non possono essere contrastate. Ogni sforzo di fermare gli emissari del male è destinato a fallire e, in alcuni casi, a sortire effetto contrario a quello ricercato. “La verità è più strana della finzione... quello che chiamiamo mondo non è che una piccola, tranquilla zolla di terra coltivata in una landa desolata”. Robbins intende deflagrare la sicurezza offerta dalla quotidianità e, al tempo stesso, mettere in discussione la razionalità. La pazzia, un po' come in Lovecraft, diviene l'unica via per sopravvivere all'onda d'urto offerta da ciò che si cela oltre la sfera dello scibile. Ogni ricerca del senso ultimo delle cose viene frustrata. Robbins è interessato al lato oscuro dell'uomo (“abbiamo tutti due facce”), a quella malvagità che cova, talvolta insospettata e persino ricusata dallo stesso uomo che ne è portatore, nel profondo dell'Io. Un male oscuro che vive nel segno della depravazione e che aspetta solo l'occasione per essere portato allo scoperto, vuoi per una derisione o una scorrettezza di cui l'uomo diviene vittima. Ecco che, alla maniera del misterioso pittore protagonista di The Living Portrait (1919), Robbins è interessato agli assassini insospettabili e soprattutto ai loro ispiratori. I demoni di Robbins sono professionisti della manipolazione, soggetti capaci di far apparire la notizia giusta al momento giusto per ottenere il risultato voluto dall'uomo che stanno trattando o trasformare un pugno di cioccolatini in un mazzo di dollari per corrompere la volontà di chi vanno tentando. Tutti i protagonisti delle storie hanno animi distruttivi, pur volendo, nelle loro dichiarate intenzioni, arrestare gli emissari del male: l'inventore di The Living Portrait arriva a meditare di sterminare il mondo attraverso un'arma di distruzione di massa; il mercante di The Toys of Fate (1921) prova un fascino irresistibile per la morte, incarnata da un vecchio trasandato artefice di tutti i mali del mondo, tanto da non resistere dall'andare a recargli visita per contemplarne le future manovre omicida.

Ecco allora che Freaks si rivela un'ottima occasione per riscoprire un autore che avrebbe meritato altra considerazione.

ANALISI SPECIFICA

L'elegante Freaks propone tre racconti di media-breve lunghezza, anticipati da una prefazione di Gianluca Venditti e da un'overture internazionale del batterista del gruppo americano band trash metal dei Rigor Mortis, in ossequio all'abitudine dei due curatori, che operano anche nel campo della musica (Jacopo Corazza è un noto disc-jockey), di legare i racconti ai personaggi del mondo metal. Da segnalare inoltre la gustosa post-fazione del critico Walter Catalano che offre con competenza una veloce panoramica sulla tematica freak e sull'abitudine, tipicamente ottocentesca, di vederli impiegati in campo circense.

Lo stile del volume è in linea, se non superiore, alle precedenti uscite. Venditti cura molto bene sia le traduzioni che l'aspetto grafico. All'interno vengono riportate le illustrazioni dell'epoca che, nel corpo dei racconti, si sposano alla perfezione agli stessi diventando, in alcuni casi, parte integrante.

The Living Portrait (“Il Ritratto Vivente”) apre la sfilata delle storie, per la prima volta in assoluto, oltre che in lingua italiana, all'interno di un'antologia di Robbins. Pubblicato nell'aprile del 1919 su All Story Weekly, è il meno originale dei tre racconti. È fortemente debitore della produzione di punta di scrittori quali Robert Louis Stevenson, Oscar Wilde e Matthew P. Shiel che vengono rimodulati in un'ottica di maggiore presa commerciale e pulp.

Protagonista è un mad doctor, ideale anticipazione di quelli che popoleranno la cinematografia horror degli anni cinquanta-sessanta, pungolato di continuo dal ritratto che ha appeso in sala. Una raffigurazione che si muove e parla col protagonista, sebbene questo sia l'unico ad accorgersene. È un Robbins in vena di citazioni. Gli echi di The Picture of Dorian Gray (1890) di Oscar Wilde e di The Strange Case of Dr. Jekyll & Mr Hide (1886) di Robert Louis Stevenson arrivano forti, tenuti uniti, quale ragione di tutto, da un flebile e non troppo sviluppato sotto tema, sull'esempio di The Lost Valley (1910) di Algernon Blackwood, della “ragazza in due”.

Centrali la traccia del ritratto vivente e quella del mad doctor vittima di uno sdoppiamento di personalità che porta lo stesso a contrapporre l'anima buona a quella cattiva. Uno scontro dalle conseguenze finali inevitabili per l'incapacità del protagonista di distruggere la sua vera anima rappresentata dal ritratto. A differenza di Wilde o del William Wilson di Poe, gli attacchi al quadro non uccidono l'uomo ma lo addormentano, liberando la parte bestiale che lo anima.

Lo stile è quello del racconto narrato a fatti conclusi per bocca stessa del protagonista, un inventore di farmaci e primordiali armi batteriologiche (“il velo porpora” che rimanda a The Purple Cloud di Matthew Shiel, avendo la funzione di estinguere la razza umana nella forma di un gas che aleggia sopra le città) finito in manicomio criminale perché ritenuto un omicida. L'uomo cercherà di difendersi dalle accuse raccontando, in prima persona, una storia che va oltre le esperienze comuni. Avvicinato da un pittore (forse il diavolo in persona) interessato a dipingere volti di assassini, finirà vittima di un incubo avente come fonte di ogni delirio il ritratto che gli è stato consegnato.

Accecato dagli atteggiamenti del socio, responsabile di avergli rubato la donna nonché l'invenzione medica oggetto di prolungati studi, finirà preda di allucinazioni e continui dialoghi con il ritratto. Quest'ultimo, che dichiarerà di rappresentare i pensieri dell'uomo, cercherà di convincere il protagonista a uccidere il padre e poi l'ex socio, liberandosi dalla cornice solo a seguito dei tentativi dell'altro di distruggerlo. A ogni tentativo, infatti, l'anima, precedentemente imprigionata nel dipinto, uscirà dallo stesso e commetterà gli assassinii muovendosi con le fattezze dell'uomo, nel frattempo caduto in balia di un torpore improvviso. Un modo quest'ultimo utile a Robbins per rappresentare lo spegnimento della parte razionale e l'emersione della parte inconscia, quella che incarna la reale natura dell'uomo, non essendo influenzata dalla paura delle conseguenze dei gesti e pertanto libera da condizionamenti esterni.


Più interessante il secondo racconto, un altro inedito in Italia, pubblicato in origine su Munsey's Magazine nel gennaio del 1921. Intitolato The Toys of Fate (“I Giocattoli del Destino”), è un elaborato che anticipa romanzi quali Needful Things (“Cose Preziose”, 1991) di Stephen King. Ancora una volta, Robbins porta in superficie l'animo macabro del protagonista, un commerciante di giocattoli che, per mettere in scena la parodia degli eventi del giorno prima, tiene nella vetrina del suo negozio la riproduzione del paese (Prestonville) in cui vive. Il plastico, realizzato in cartone, riproduce tutti i cittadini della città e diviene campo di battaglia per gli scherzi letali orchestrati dal Gaunt di turno. Ogni intervento effettuato sul plastico si traduce in qualcosa che si verificherà nella cittadina. Morte e distruzione seguiranno. Burattinaio del gioco è un cliente del protagonista che dichiara di chiamarsi Signor Fato e che rivela al protagonista che è molto più interessante dedicarsi al futuro che alla messa in scena del passato. L'uomo entra all'interno del negozio senza nascondere la propria natura soprannaturale, citando episodi persino biblici (dichiara di aver conosciuto Giuda Iscariota). Ancora una volta il racconto viene narrato dal protagonista a fatti conclusi, sebbene qua la struttura sia quella della storia nella storia. Robbins predispone un doppio finale che vedrà la storia narrata (da un passeggero di un treno al suo dirimpettaio) traslarsi sulla linea temporale di narrazione dei fatti. Non mutano comunque le conclusioni raggiunte dal primo racconto. Il male non può essere combattuto né, tanto meno, vinto. Ogni tentativo di arginarlo è vano, utile solo a rallegrarne gli emissari. Tutto parte dal narcisismo del protagonista che offre la materia prima affinché il diavolo (o chi per lui) giostri i suoi giochi per vincere la noia. Interessante la caratterizzazione dell'antagonista: un vecchio claudicante dalla folta barba impiastrata da zuppa e mollica. Brillante fino alla fine, The Toys of Fate, nella sua semplicità, è un piccolo gioiello capace di tenere viva l'attenzione per tutto il suo corso.


L'antologia è chiusa dal racconto più noto di Robbins, uscito nel 1923 ancora su Munsey's Magazine. Venditti decide di intitolarlo con il più noto “Freaks” evitando di utilizzare la traduzione letterale dall'originario Spurs (“Speroni”). Dei tre, è il racconto più breve, ma anche il più personale. Robbins chiude la pratica in appena trenta pagine, muovendosi in chiave ironica e crudele riscrivendo le coordinate del sottogenere “la bella e la bestia”. Protagonista è un ometto di settanta centimetri che lavora nel mondo del circo e che si innamora perdutamente di un'aitante cavallerizza dal fascino e dalla bellezza irresistibile. Deriso da tutti per le sue limitate capacità fisiche, riesce a conquistare il cuore dell'amata grazie a una cospicua eredità piuttosto che per il lato romantico e la poetica della sua dichiarazione d'amore. Come già avvenuto in The Toys of Fate è la sete del denaro a condannare la vittima degli eventi, di nuovo incapace di sovvertire l'azione degli emissari del male (nella fattispecie un cane e il suo padrone). Le ambizioni manipolatorie della donna vengono infatti disattese dall'arguzia dissacrante dell'amante. Il nano riesce a domarla, facendole rivivere giorno dopo giorno lo scherno di cui era stato vittima e traducendo in realtà le battute dalla stessa proferite in compagnia degli amici durante il pranzo di nozze. Racconto crudele e, al tempo stesso, sarcastico, dove non esistono personaggi positivi e dove il mostro di turno (non certo per le doti fisiche) viene visto con simpatia dai lettori a causa degli atteggiamenti denigratori (e ben peggiori) delle supposte persone “belle e normali”.


CONCLUSIONI

Pur essendo uno dei numeri meno venduti della collana, Freaks mantiene alto lo standard de La Biblioteca di Lovecraft. Lettura veloce e di pronta soluzione, capace di combinare il sarcasmo con l'orrore soprannaturale di matrice fantastica piuttosto che esoterica. Visto il prezzo allettante, appena tredici euro, vale sicuramente l'acquisto.

 
L'autore TOD ROBBINS.
 
Un artista può essere se stesso solo quando è circondato dalle opere della propria arte... È scorretto giudicare l'opera di un uomo finché il lavoro non è terminato. I risultati soddisfacenti spesso si nascondono nell'ultimo tocco del maestro.”
 

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