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lunedì 1 novembre 2021

Recensione Narrativa: IL LIBRO DEI MORTI VIVENTI a cura di Skipp & Spector.

Autore: AA.VV..
Curatore: Skipp & Spector.
Titolo Originale: Il Lato Oscuro.
Anno: 1989.
Genere:  Horror.
Editore: Bompiani (2000).
Pagine: 466.
Prezzo: 11,00 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.

PREMESSA

Acquistai questo volume il 22 luglio del 2008 per 4 euro e 10 centesimi in una rivendita di libri usati del centro di Pisa. Erano anni in cui svolgevo la pratica legale e, una settimana sì e una no, passavo dalla libreria a caccia di volumi a basso costo.

Il nome in copertina STEPHEN KING scritto a caratteri cubitali nonché la mia passione per George A. Romero mi spinsero all'acquisto. A parte King e Ramsey Campbell, conoscevo, per averlo letto su alcune antologie curate da Stephen Jones, David J. Schow oltre Joe Lansdale di cui possedevo un volume Urania. Gli altri scrittori erano per me ignoti, avrei in seguito conosciuto Richard Laymon, Robert McCammon e Steve Rasnic Tem. Tante aspettative presto disattese. La lettura fu una delusione. Una tipologia di narrativa "horror" diversa da quella a cui ero abituato, pesante sia per il lessico (dire volgare è dir poco) sia per il voler amplificare l'orrore attraverso un'esaltazione della violenza sessuale mista  alla crudezza rappresentativa degli omicidi e delle aggressioni. A parte il racconto di King e quello di Lansdale, trovai molto deludenti gli altri sei testi che lessi, al punto che sospesi la lettura certo che l'avrei ultimata il prima possibile. Solo dopo tredici anni, da allora, ho completato il tutto, con un'opinione che non si è modificata al decorso degli anni.

In commercio in Italia da tredici anni (rispetto al mio acquisto), Il Libro dei Morti Viventi, edito negli Stati Uniti nel 1989 col titolo Book of the Dead, era già considerato un caposaldo dello splatter-punk o, se preferite, dell'hardcore horror. Non poteva essere altrimenti, essendo un volume curato da John Skipp e Craig Spector, due scrittori trentenni (all'uscita del volume) ispiratori, col romanzo The Light at the End (“In Fondo al Tunnell”, 1986), di un sottogenere presto battezzato (da David Schow) splatter-punk. Un'evoluzione (per il sottoscritto un'involuzione per via di un involgarimento ben oltre i livelli dei pulp magazine) attraverso la quale uccidere quel sense of wonder legato alla narrativa esoterica di inizio novecento e far venir meno il taglio edulcorato dei maestri del dopo secondo conflitto mondiale. Il linguaggio diviene sporco, spesso scurrile, con implicazioni sessuali spinte ben oltre il softcore. Tette, culi e fiche (per dirlo con i loro termini) vengono sparati in mano ai lettori, insieme a seghe, fucilate che fanno esplodere cervella, svisceramenti, arti depezzati, cannibalismi, stupri e via dicendo. Un'esaltazione della violenza basata su una descrizione dettagliata di ferite e truculenze varie per un decadimento delle trame, travolte dal carico effettistico e giostrate su tematiche di rilevanza sociale anziché trascendente o anziché articolate su un'analisi del mito che sta alla base della genesi dell'uomo. Alla new horror questo non interessa più, a beneficio di un approccio materialistico e carnale. Una fissazione nel voler ostentare, nello sbattere in prima pagina il mostro e la sua passione scellerata per la perversione e l'orrido. Il celebre Robert Bloch, a ragion veduta (secondo me), criticò il movimento, sostenendo che “esiste una differenza tra ciò che genera terrore e ciò che fa venire la nausea.” Lo scrittore di Psyco centra in pieno la questione. Lo splatter-punk, da cui poi nascerà il cosiddetto hardcore horror (o horror estremo), è un genere che il più delle volte non affascina né stupisce, piuttosto mira ad eccitare il lettore malato (un lust murder amerebbe queste letture) o disgustare l'autolesionista (del resto chi legge per essere disgustato?) o più raramente far porre dei quesiti con intento sovversivo. Non si mira a creare tensione, ma si vuol scioccare e raccapricciare il lettore con una sorta di pornografia orrorifica a cui si uniscono, sovente, derive sessuali deviate. Perché leggere hardcore horror? Non certo per divertirsi o avere spunti filosofici. Difficile dire a chi possa interessare tra i comuni mortali una giostra di frattaglie quale quella che offre sempre con abbondanza un certo tipo di narrativa, fatto sta che l'hardcore horror è un sottogenere molto apprezzato negli Stati Uniti, in special modo ai Bram Stoker Awards dove spesso vengono tributati riconoscimenti ai maggiori scrittori di riferimento. Non solo il duo Craig & Spector, ma anche Clive Barker, Poppy Z. Brite, Charlee Jacob, David J. Schow, Edward Lee, Jack Ketchum e Richard Laymon. Scrittori che, pian piano, si sono ritagliati un circuito di nicchia anche in Italia (all'interno di un'altra nicchia ossia quella della narrativa del terrore), grazie alla casa editrice Independent Legions Publishing di Alessandro Manzetti (scrittore ascrivibile al sottogenere). Un sottogenere non destinato ad avere un folto numero di lettori per il suo voler essere estremo e ben oltre il politicamente scorretto (uno dei bersagli preferiti è la religione). Insomma, un modo di narrare che seleziona il parco di lettori rendendo i testi non praticabili ai minori di anni diciotto.

ANALISI GENERALE

Dopo la benedizione ottenuta, in apertura del libro, da George A. Romero e l'introduzione in cui i due curatori difendono a spada tratta le nuove frontiere dell'horror, Book of the Dead entra nel vivo. Skipp & Spector credono fortemente nel progetto, i fatti darano ragione al duo, e assicurano che “ciò che avete in mano è un mondo di dolore: una bomba psichica al neutrone mascherata da raccolta di storie di zombi, capace di vaporizzare le convenzioni di un genere narrativo lasciandone intatti il terrore e la gloria.”

Sedici autori offrono il loro contributo al progetto, interamente dedicato a storie sugli zombi. Si tratta di racconti, più o meno lunghi, scritti su commissione e non di una selezione del meglio sull'argomento reperibile in antologie varie. Ci sono veri e propri maestri del genere che non hanno bisogno di presentazioni, quali Stephen King, Ramsey Campbell e Robert McCammon che, puntualmente, vedono il loro nome comparire in copertina per ragioni di richiamo commerciale. Al fianco del trio figura un altro terzetto di scrittori prossimi al lancio in Italia, quali Richard Laymon, apparso per la prima volta nel nostro mercato editoriale sulla collana Urania nel 1984 con The Cellar (“La Casa della Bestia”) e pubblicato negli anni novanta da Fanucci e Sperling & Kupfer, Joe Lansdale, vero e proprio maestro edito negli anni novanta soprattutto da Fanucci, e Steve Rasnic Tem (di recente pubblicato dalle Edizioni Hypnos, col romanzo breve Lovecraft Museum che trovate recensito anche su questo blog). Impolpano il lotto cinque autori relegati, in Italia, ad apparizioni in antologie per lo più della Newton & Compton, tra qui i più noti sono David Schow, Les Daniels e Douglas Winter (più noto come saggista e prefattore). Completano cinque ulteriori autori, per lo più sconosciuti in Italia e in alcuni casi alla sola uscita nella nostra penisola.


Salvo qualche rara eccezione, i racconti sono tutti finalizzati a disgustare il lettore. Spesso non possono neppure definirsi dei racconti veri e propri, ma degli estratti ripresi da un qualcosa che si ha la sensazione essere più ampio. In altri termini, ci sono dei racconti che non hanno un vero inizio né una fine, ma si “limitano” a mostrare frangenti di un mondo impazzito in cui ormai gli zombie vagano per le strade.

Altra componente comune è l'inserimento di una spiccata matrice sessuale. Ci sono zombi stupratori e zombi che adorano farsi stuprare. Cade anche l'immagine stereotipata dello zombi lento e impacciato, che va comunque per la maggiore. Abbiamo difatti zombi militari che sparano e guidano auto, comportandosi più da vampiri che da morti viventi.

Un bombardare su aspetti comuni che rende la lettura, allo scorrere delle pagine, ripetitiva, sovente stucchevole e, alla fine, faticosa.

Su sedici racconti, solo sei possono definirsi pienamente riusciti e meritevoli di attenzione. Gli altri sono spesso banali o chiusi in modo inopportuno, a favore di una volontà di spingersi oltre i “proverbiali” limiti che non sempre è garanzia di qualità.

Alla fine Book of the Dead è un libro per estremisti. Piacerà soprattutto agli amanti dello splatter e dell'hardcore horror.

La copertina della versione originale.

ANALISI DETTAGLIATA

Al di là dei nomi noti, Book of the Dead presenta delle gradite sorprese che arrivano da scrittori sconosciuti.

È un esempio evidente Glen Vasey (unica apparizione in Italia), col suo Choices (“Scelte”). Vasey è uno dei pochi a proporre un racconto medio lungo dal retrogusto filosofico, tanto che non mancano critici che abbiano paragonato il suo lavoro a The Road (“La Strada”) di Cormac McCarthy. Probabilmente, e a gran sorpresa, il suo è il miglior racconto del lotto. Una sorta di zombi story on the road, dove la speranza per il superamento della pandemia sembra esser riconnessa a uno dei più grandi tabù della storia umana. Chi si ciba dei morti viventi, una volta morto, non torna più in vita. È giusto un'intuizione che i biologi dovranno analizzare per sviluppare un vaccino, poiché chi l'ha scoperta non potrà dirlo di persona ma affidare la tesi al diario che ha scritto nel corso dei suoi ultimi giorni. Quello che è certo è che le convenzioni e i compromessi che l'uomo del ventesimo secolo si era dato sono decaduti. Per vivere si devono fare delle scelte, scelte sofferte. Conclusione innegabile. Bello anche per le pennellate che accennano a una realtà in cui il governo ha abbandonato la popolazione.

Un altro racconto che è meritevole di segnalazione, ed è il più in linea al messaggio e all'utilizzo metaforico che Romero ha fatto degli Zombi, è Dead Giveaway (tradotto in Italia col più appropriato “Rischiamorto”) dello sconosciuto Brian Hodge (presente in Italia solo in un'altra antologia). La componente ritardata degli zombi viene equiparata a quella del pubblico delle televisioni e, più in particolare, dei quiz televisivi. Più breve del precedente, Dead Giveaway è un racconto sull'avidità e sull'egoismo dell'uomo, in cui abbonda una spiccatissima componente satirico/grottesca. Un noto presentatore della tv persiste nel suo lavoro anche dopo che l'umanità è stata soppiantata dagli zombi. I morti viventi infatti continuano a essere affascinati dalla tv. Ecco allora l'ideazione di un varietà a premi interamente concepito per i “gusti” degli zombi e dove anche il conduttore può essere sacrificato in nome dello share. Divertente nel suo sostituire le grandi catene commerciali utilizzate da Romero con la tv, mantenendo la forte impronta sociale e metaforica dello zombi che persiste a guardare il piccolo schermo perché non ne può fare a di meno neppure da morto.

Un altro racconto particolare, poco in linea a quelli presentati dai colleghi, è Eat Me (“Mangiami”) dell'esperto McCammon. Il suo è un contributo che pare esser stato scritto per scommessa. Si può scrivere un racconto sulla poesia e sull'amore in un contesto degradato e infettato da un virus zombi? L'autore ci risponde in modo positivo. Grande stile, abilità magistrali nel tratteggiare il contesto di una città isolata e in quarantena in cui gli zombi sono gli unici cittadini che trovano cittadinanza, risolvendo problemi di solitudine ballando in un locale per single. Il rapporto sessuale, tra questi, non può che trasformarsi in un atto cannibalico dove l'amore è l'unica via per ascendere alla pace. Romantico in un contesto di morte.

Ben più complete le opere di Stephen King e Joe Lansdale, con tanto di spiegazione di come si sia diffuso il morbo, sviluppo centrale della storia e relativo epilogo. I due assi dell'orrore letterario, pur se con stili diversi, piazzano due dei racconti più spassosi della antologia. Convenzionale King, che omaggia Romero col suo morbo giunto dalla spazio, un po' come per La Notte dei Morti Viventi. Dissacrante, politicamente scorretto e stile da pulp magazine dei giorni nostri Lansdale.

King cede a Skipp & Spector Home Delivery (“Parto in Casa”) che confluirà poi nell'antologia Nightmares & Dreamscapes (“Incubi & Deliri”). Il maestro del Maine, sempre attento a caratterizzare i suoi personaggi, inserisce una storia nella storia, lasciando la piaga zombi in background. La pandemia zombi viene giustificata guardando in chiave parodistica a La Notte dei Morti Viventi. È infatti una sorta di strano satellite, probabilmente alieno, pieno di strane creature dalla forma di vermi e gravitante sopra al polo sud a richiamare i morti dalle tombe. Pur essendo giunta al suo tramonto, la guerra fredda persiste a fare paura e si ritaglia una bella fetta di interesse nel testo. King si piega alla satira, delineando le due super potenze (Usa e URSS) alla stregua di capricciosi governi subito pronti ad accusarsi vicendevolmente. Personaggi vividissimi e, come sempre, caratterizzati a puntino. Non mancano i momenti action con fucilate sulle teste degli zombi. Curioso il punto di vista della storia, offerto da una donna incinta che non è mai stata capace in vita a sua a prendere una decisione e che dovrà vedersela con lo scheletro del marito defunto risorto dal mare. Insomma, un King esilarante che gioca nel non prendersi sul serio.

Più originale Lansdale col suo On The Far Side of The Cadillac Desert With Dead Folks (“Nel Deserto Cadillac con i Morti”) e la sua dissacrante visione del mondo religioso. Il texano si muove sul terreno che più gli è congeniale creando un pulp horror alle porte del distopico, con un linguaggio scurrile che miscela il western allo splatter zombiesco, tra mad doctor, zombi rieducati grazie a innesti cerebrali (bella idea) e un nuovo credo, ideato da un'eresia del cristianesimo, che ha la funzione di abbindolare le menti dei superstiti per i fini privati del profeta di turno (metafora contro le religioni, presentate alla Marx quale oppio dei popoli). Azione, sesso, fucilate, inseguimenti automobilistici e alta componente visionaria, in un contesto scenografico post apocalittico esaltato dalla calura e dalla visione di un deserto infarcito di cadillac colme degli scheletri di coloro che un tempo ne erano stati i conducenti. Memorabile la descrizione del centro di culto, con la riproduzione blasfema (con tanto di membro equino) di un Cristo in croce alto venticinque piani. Esilarante.

Interessante, infine, Saxophone (“Sassofono”) del misconosciuto Nicholas Royle (presente in antologie curate da Stephen Jones edite da Newton & Compton) che, allineandosi al racconto (meno strutturato ma più cinico) Wet Work (“Lavori Sporchi”) di Philip Nutman presente anch'esso nel testo, propone zombi soldati intenti a sparare a guidare camionette. A colpire è il contesto geografico incastonato nel teatro di una terza guerra mondiale. Racconto oramai fuori tempo storico, ambientato in un Europa ancora divisa dalla cortina di ferro dove l'impiego di armi batteriologiche ha riportato in vita i morti. Gli zombi lottano uniti, non più divisi dalle bandiere che rappresentavano un tempo, contro gli umani in quella che diviene una guerra nella guerra. Il fine dei ritornanti non è più costituito da ragioni alimentari ma grava attorno a un giro di organi debitamente estirpati ai viventi e poi venduti sul mercato nero a suon di dollari. In questo contesto un ex soldato ceco, un tempo sassofonista, cerca la via per poter di nuovo suonare a fiato il suo strumento prediletto. Gli andrà male, in un epilogo triste e commovente.

Lievemente inferiore a questi racconti è It Helps If You Sing (“Fa Meno Male se Canti”) del maestro di Liverpool Ramsey Campbell. Racconto a cui manca un finale e una struttura forte, ma che riesce comunque a colpire. Campbell gioca molto sul degrado urbano e ironizza sulle pratiche dei testimoni di Geova (menzionati anche nel racconto Choices). Solo che qua, a entrare in azione, sono gli adepti di un prete impazzito, votatosi al voodoo, e intenzionato a eliminare le differenze sessuali nell'uomo del futuro. Solo così, a suo dir, la nuova carne potrà risorgere ripulita dal peccato. Racconto dunque che cerca, ancora una volta, di riscrivere la religione, con i classici reverendi impazziti già incontrati nel testo di Vasey e in quello di Lansdale. Troveremo un quarto reverendo nel delirio splatter Jerry's Kids Meet Wormboy (tradotto col brutto titolo di “Vermone e i Figli di Jerry”) di David J. Schow (autore conosciuto dai lettori delle antologie horror della Newton & Compton e della Independent Legions). Schow, senza tanto interessarsi all'intreccio, mette in scena un duello tra un obeso laido mangiatore di vermi e di zombi, che si è arroccato nei pressi del cimitero locale tra trappole esplosive e trincee, e un Reverendo esaltato che è riuscito ad addomesticare gli zombi col veleno dei serpenti a sonagli, facendo di essi il suo seguito religioso. Poco contenuto, splatter e vomito a volontà, tra fucilate e detonazioni. Mediocre, pur nella sua ironia dissacrante, anche se può divertire gli amanti degli eccessi.

Oltre questi racconti c'è molta mediocrità.

Regala qualche brivido Bodies and Heads (“Corpi e Teste”) di Rasnic Tem che però non riesce a conferire una struttura forte al narrato. Horror e sesso si mischiano in una versione politicamente scorretta e altamente splatter. Sparare alla testa qui non è sufficiente per abbattere i “ritornanti” semplicemente perché, oltre agli zombi, si innesca un'evoluzione della pandemia che colpisce anche i non morti. Questi si estirpano la testa dal collo e usano il loro corpo come una grande testa, in cui i capezzoli sono gli occhi, l'ombelico il naso e l'organo sessuale la bocca. Immaginate già da soli con cosa si ciberanno questi esseri.

Risultano incompiuti, dopo interessante costruzione iniziale, Like Pavlov's Dog (“Come Cani di Pavlov”) dello sconosciuto Stephen Boyett e A Sad Last Love at the Diner of the Damned (“Un Triste Ultimo Amore allo Snack dei Dannati”) del più noto Ed Bryant. Entrambi gli elaborati, soprattutto quello di Bryant, vanificano una buona costruzione iniziale a beneficio dello splatter.

Boyett, su una distanza prossima al romanzo breve, fornisce un iniziale taglio fantascientifico non riuscendo però a renderlo centrale, tanto da scadere nello scontato spara tutto. A colpire è l'idea di una stazione sperimentale nel cuore del deserto dell'Arizona, in cui si valuta l'opportunità di esportare il progetto per fini colonizzativi su Marte. All'interno del luogo, infatti, sono state riprodotte tutte le condizioni che caratterizzano i diversi habitat della Terra. Curiosamente, per chi cerca di esportare la vita nello spazio, un morbo zombi spazza via il mondo esterno e, a poco a poco, finisce per esser introdotto (dall'uomo stesso e per futili motivi) anche all'interno dell'unico posto sulla terra non colpito dal cataclisma. Della serie “muoia Sansone con tutti i filistei”. Più action che altro, vanta un certo studio psicologico dei personaggi rinchiusi in quello che dovrebbe essere un ambiente asettico.

Taglio cinematografico da teen movie per Ed Bryant, con cui si introduce in questa analisi lo studio della componente presente in buona parte dei racconti (compreso quello di Lansdale), molti dei quali non riusciti, ovvero la matrice sessuale a coprire le carenze della narrazione. Un po' come per il racconto di Boyett, ci troviamo in una località campagnola americana dove il morbo zombi non è ancora esploso. Dilagherà di lì a poco per l'incapacità degli uomini di trattenere i propri impulsi sessuali. Un richiamo questo che persisterà a manifestarsi anche da morti. Epilogo trash davvero di cattivissimo gusto, con momenti hardcore zombi che nemmeno Joe D'Amato in Porno Holocaust.

Brutti in tutto e per tutto gli altri quattro racconti. Sorprende la bocciatura totale di Richard Laymon e Les Daniels, altrove efficaci.

Laymon propone l'insulso e gratuito Mess Hall (“La Mensa”) che parte nella forme del thriller e si trasforma in horror. Due amanti, incuranti della catena omicida di un serial killer denominato Il Mietitore che agisce con modus similar Mostro di Firenze, finiscono preda dell'omicida. L'uomo, dopo aver rapito la ragazza e ucciso a fucilate il ragazzo, avvia i suoi rituali sadici a base di tortura e stupro, quando un gruppo di sette zombie sopraggiungono inavvertitamente ad aiutare la giovane. Si tratta delle sette precedenti vittime del killer. Da qui in avanti il racconto, interessante per i dialoghi nella prima parte, si trasforma in una particolareggiata descrizione delle azioni messe in atto dalla giovane. La poveretta, ammanettata a un tronco, si troverà costretta a difendersi anche dalle zombi e a liberarsi dalle manette (una fissa per Laymon, di cui ricordiamo l'ottimo La Vasca, ispirazione per Il Gioco di Gerald di King).

Fa peggio Les Daniels col suo The Good Parts (“I Pezzi Migliori”), in cui i giornaletti porno diventano didattici per una bimba concepita da due zombi e allevata da ciò che rimane di un uomo un tempo obeso.

Blossom (“Fioritura”), dello sconosciuto e mai più tradotto in Italia Chan McConnell, è un volgare hardcore horror intriso di sesso sadomaso che vede due squallidi soggetti, un alto finanziere e una segretaria amante dei soldi, trovare la morte durante il loro amplesso. Il primo, assai egoista e perverso, uccide durante il rapporto la compagna, da poco conosciuta. Non soddisfatto, intrattiene un rapporto sessuale col cadavere senza ricordare quanto detto poco prima dalle radio. Delle bizzarre radiazioni stanno infatti riportando in vita i morti. Indovinate un po' come andrà a finire....

Less Than Zombi (“Meno di Zombi”) del critico cinematografico Douglas Winter è un guazzabuglio frammentario di descrizioni che sembrano voler fungere da critica sociale verso una nuova generazione assuefatta da alcool, droga e film sempre più orientati al torture porn. I veri zombi allora sono gli uomini, con buona pace delle evasioni fantastiche.

CONCLUSIONI

Book of the Dead, se si considera l'anno di uscita in Italia (il 1995), è un'antologia horror diversa dal solito. Il suo voler spingersi oltre i limiti la rende di una truculenza e di un'impostazione sovversiva che annichilisce materie come il sesso e la religione. Se fosse un film sarebbe severamente vietata ai minori di anni 18. Ha comunque avuto successo sul mercato e ha permesso a Skipp & Spector di vincere la loro scommessa. L'hardcore horror, piaccia o meno, è da tempo una realtà editoriale anche in Italia.

 

I curatori John Skipp & Craig Spector

"Il mondo possiede un impeto che né tu, né io, né tutte le stramaledette anime che ci vivono sopra potranno mai contrastare. Per prima cosa devi accettare questo fatto. Dopo di che, ti rimangono due scelte: puoi lasciare il mondo morendo, visto che questa è la sola via d'uscita che funzioni. Oppure puoi assecondare l'impeto e vivere finché ti riesce, sperando contro ogni evenienza che il mondo possa migliorare. Cercare di contrastare il suo impeto equivale ad abbandonare la partita.

11 commenti:

  1. Salve. Seguo con interesse le tue recensioni. Anche io appassionato di letteratura fantastica.
    Sto cercando Terrore Nero di Henry S. Whitehead. Posso contattarti in privato? Grazie

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  2. Complimenti Matteo, analisi che denota libertà di pensiero e onestà intellettuale. Le critiche a questo tipo di horror le condivido in pieno, in particolare se comparate ai grandi maestri del passato, quando la spiritualità dell'uomo aveva per quegli scrittori straordinari e per i lettori, un valore inestimabile. Grazie per le tue ottime recensioni, un saluto affettuoso da Sandro Grammauta.

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    1. Grazie a te per la lettura. Per me è un divertimento condividere le opinioni.

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    2. Tra l'altro vedo che hai scritto un'antologia di racconti esoterici/occulti... me la segno!

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  3. Si Matteo, ma oggi non scrivo più in quel modo, nè per forma estetica, nè per tipo di contenuti, che ritengo troppo espliciti, anche dal punto di vista esoterico. inoltre non è stato fatto editing, e il prezzo è scandalosamente alto. Non mi sento di consigliartelo (viva la sincerità...). Se ti interessa il weird contemporaneo di qualità, ti segnalo qualche titolo, anche se sono autori non presentati come scrittori weird, ma nella sostanza e nella forma lo sono eccome, un pò come nel caso del grande Michele Mari pubblicato da Einaudi. Antoine Volodine, Terminus radioso (un post su questo splendido libro apparso qualche giorno fa su weird italia e solo due persone hanno commentato...), o I sogni di Mevlidò, post esotismo distopico sciamanico magico e politico, scritto benissimo. Brian Catling, Vorrh, la foresta senza fine, un'avventura allucinante in Africa, magia, animismo,avventura, poesia, e tanto altro. Per finire, solo per ragioni di spazio, History, il capolavoro postmoderno da incubo di Giuseppe Genna, fra fantascienza lovecraftiana (ma di quella originale), esistenzialismo, distopia di quella seria (non intrattenimento), horror e psicologia disturbante. Spero di averti incuriosito, non sempre le grandi case editrici pubblicano robaccia, anzi, spesso accade il contrario rispetto ai piccoli editori...Ciao da Sandro (G 74).

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  4. Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.

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  5. (da Sandro G) Mi dispiace di non averti incuriosito, in particolare per quei romanzi che ti avevo segnalato, una declinazione del weird contemporaneo che meriterebbe maggior attenzione da parte degli appassionati (e attempati lettori come noi). Mi sarebbe piaciuto confrontarmi con te in relazione al rapporto fra esoterismo, occultismo e letteratura e come si è evoluto dalla fine dell'800 sino ai giorni nostri. E lo dico perchè spesso nelle tue recensioni ti soffermi giustamente su questo particolare aspetto del fantastico. Tra le differenze e i punti di vista in comune, si poteva creare qualcosa di interessante, e fornire ai lettori meno esperti spunti di riflessione costruttivi (anche se detesto i social, non sono iscritto a facebook, ed ho un pessimo rapporto con la tecnologia). In ogni modo continuerò a leggere le tue attente analisi letterarie. Ciao Matteo.

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