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giovedì 13 maggio 2021

Recensione Narrativa: IL CUSTODE DI CHERNOBYL di Alessandro Manzetti.



Autore: Alessandro Manzetti.
Anno: 2018.
Genere:  Fantascienza / Horror.
Editore: Cut Up Publishing.
Pagine: 168.
Prezzo: 14.00 euro.

 
Commento a cura di Matteo Mancini. 

Facciamo oggi la conoscenza di Alessandro Manzetti, scrittore e soprattutto poeta apprezzato negli Stati Uniti e titolare della casa editrice Independent Legions che, dal 2016, ha sdoganato in Italia molti romanzi e antologie dei migliori scrittori horror contemporanei (Laymon, Ketchum, Barker, McCammon, Brite, Keene e via dicendo). Un impegno e una fitta serie di relazioni con il mondo dell'horror estremo americano che lo hanno portato a farsi accettare dall'ambiente gravitante attorno al prestigioso Bram Stoker Award, premio che Manzetti è riuscito a vincere addirittura due volte, come mai successo prima a uno scrittore italiano. Conosciuto e apprezzato all'estero, Manzetti non gode di altrettanta stima in Italia. Il ghost writer Flavio Troisi, scrittore facente parte dell'accademia di Manzetti e presentatore del canale youtube broken storie, ha persino scritto che Manzetti/Battiago, in Italia, non viene neppure premiato con una coccarda alla gustosa sagra del cicatiello essendo un signor nessuno. Un'espressione che è stata accolta con grande simpatia dall'autore, sempre ben disposto verso i propri lettori, insieme a tutti i suoi collaboratori, aperto alle critiche e dotato di un'ironia talmente coinvolgente da attirare sempre più lettori verso i libri proposti dal catalogo della Independent Legions. Del resto i fatti sono difficili da contestare. Per esempio, prendendo la Guida alla Letteratura Horror dell'Odoya, pubblicata nel 2014, il nome Manzetti non precede quello di Manzoni (e il riferimento non va certo all'ironico inventore della “merda d'artista”, ma a colui che ha parenti illustri che hanno dato alle stampe testi centrali per quel che concerne l'analisi pene). Nel successivo Guida ai Narratori Italiani del Fantastico, sempre dell'Odoya pubblicato nel 2018, con firme quali Andrea Vaccaro, Pietro Guarriello, Walter Catalano, Giuseppe Lippi e Gian Filippo Pizzo, il nome Manzetti riceve un'attenzione di poche righe, mentre altri scrittori sconosciuti a livello internazionale beneficiano di intere pagine. Eppure si sta parlando non certo di uno scrittore del sabato sera, ma di chi ha costretto decine e decine di lettori a interrompere le insostenibili pagine di opere quale Shanti, Naraka, I Figli di Uxor 77 e molte ancora. Opere in cui il sesso estremo, lo splatter e l'azione si uniscono in un ideale amplesso perverso, che delizia i palati di un pubblico di nicchia sempre alla ricerca dell'insostenibile, con la poesia, un connubio che genera un prodotto che possiamo definire hardcore (nulla a che fare con le porcate, sia chiaro). Una sterminata produzione capace di trasformare Sutter Kane in un ghost writer sconosciuto a tutti, persino al suo autore. Il romanzo che ci apprestiamo ad analizzare però diverge, in buona parte, dalla produzione standard di Manzetti che, non a caso, non lo firma col consueto pseudonimo Battiago.

La copertina americana del romanzo.

Candidato nel 2019 col titolo The Keeper of Chernobyl al prestigioso Bram Stoker Award, nella sezione long fiction, Il Custode di Chernobyl è un romanzo breve in cui l'autore Alessandro Manzetti da ampio sfogo alle proprie capacità stilistiche. Autore dotato di una grossa facilità di scrittura, alla ricerca di una poesia dark che in questo romanzo, unitamente alle sensazioni di angoscia e di malinconia, pervade l'intero testo, ma non sempre “chirurgico” nella narrazione dei fatti. Costruito con l'artificio narrativo del diario di un mad doctor (aspetto che amplifica il vizio di divagare), che lavora in competizione con altri colleghi su un progetto (Progetto Prometeo) finanziato dall'Unione Sovietica di metà anni sessanta, Il Custode di Chernobyl si dilunga in elucubrazioni mentali, ragionamenti introspettivi e un passato che consuma dall'interno il protagonista della vicenda, tornando spesso su aspetti già affrontati e menando il can per l'aia anche se di maltrattamenti animali non vi è traccia. Dietro la vicenda, che si potrebbe definire un cyberpunk giostrato su una fantascienza “fantastica” (dal momento che si iniettano su delle cavie umane dei fluidi a base di plutonio col fine di trovare l'alchimia per “brevettare” una serie di soldati capaci di muoversi in ambiente radioattivo), si cela la metafora del disastro nucleare di Chernobyl. Non a caso la vicenda, che prende le mosse dal poligono militare di Semipalatinsk, si sposta a Chernobyl, proprio sotto il terreno su cui sorgerà l'infausta centrale nucleare. Il progetto Prometeo, un po' come succederà nella centrale in conseguenza delle sperimentazioni di ingegneri incauti, sfuggirà di mano all'equipe di scienziati chiamati a portare in alto la nazione. “Solo noi conoscevamo ogni dettaglio... quegli incompetenti non hanno saputo interpretare i dati, diversi rispetto a tutto ciò che avevano visto prima nella loro breve carriera di ricercatori.” Il disastro viene determinato dal desiderio arrivista che porta a osare, a “spingere la biologia delle cavie all'eccesso, per scrollarsi di dosso la concorrenza il più velocemente possibile.” Un approccio questo che starà alla base anche del disastro della centrale nucleare.

È su questa metafora e sui traumi che si celano nell'animo del protagonista, che ha persino sacrificato la propria figlia per trasformarla nella prima “Eva atomica”, che ruota il fulcro dell'opera. Il senso di colpa, l'illusorio ristoro dell'alcool e la sensazione di aver tradito che riponeva fiducia sono i demoni che prolificano nell'animo di chi ha fallito. Manzetti offre la sensazione di cercare d'interpretare l'animo di coloro che hanno portato all'isolamento di Prip'jat, alla maniera di un fotografo che in una camera oscura lascia ondeggiare il fluido necessario a sviluppare un'immagine che prende, pian piano, possesso del foglio bianco all'interno del quale è intrappolata. E cosa ne esce fuori...? Semplice, ciò che prima non si poteva e non si voleva vedere.

Un romanzo sulla solitudine, sia delle cavie (costrette a stare in delle celle sotterranee contro ogni loro volontà) che dei dottori (pressati dai gerarchi e sempre sospettati di tradimento), sulla pressione psicologica (notevole la scena della tortura a cui viene sottoposto Petrov e che non comporta alcuna lesione fisica) e sulla presenza di uno stato che usa gli uomini alla stregua di pedine sacrificabili in una partita a scacchi (contro l'avversario d'oltreoceano che si cerca ora di anticipare e ora di inseguire). Inserito in questo contesto, col ruolo di fatto marginale, c'è il tema action che porta una cavia, negli anni settanta, a fuggire dai bunker di Chernobyl e a trasformarsi in un serial killer bisognoso di cibarsi di cervelli umani. Non si tratta dell'impulso proprio di un soggetto deviato, ma di un effetto collaterale delle sperimentazioni a base di plutonio. Manzetti, probabilmente rifacendosi a certe affermazioni di Che Guevara, suggerisce l'intenzione dell'Unione Sovietica di scatenare una guerra atomica o, comunque, di prepararsi ad affrontare un mondo superficiale funestato dalle radiazioni in cui poter muovere soldati immuni al plutonio e conquistare terreno. Cosa potrà mai venir fuori da un progetto del genere? Mostri, esseri geneticamente modificati (carnagione blu, crani glabri allungati, branchie, sangue blu), dotati di un visore collegato ai centri nervosi che permette di sopperire all'intervenuta cecità. Spetterà ai “pulitori” (evidente riferimento ai “liquidatori” di Chernobyl) il compito di rimediare al disastro, alla fuga di notizie e all'isolamento delle parti del bunker contaminate dai fuggitivi, il tutto senza isolare le aree esterne e senza creare il panico negli abitanti. Cosa vi ricorda...?

Manzetti realizza così il suo romanzo su Chernobyl, accennando solo marginalmente alla tragedia del 26 aprile del 1986. Ogni aspetto però rimanda a questo, in un clima di disperazione e persino di amore impossibile tra il mad doctor e le sue due uniche cavie che hanno dimostrato di aver superato l'esperimento. Il finale nella foresta rossa è di uno strazio tale che riesce a colpire lo spettatore, così come un disegno premonitore che, fin dall'inizio, aveva mostrato a tutti una fine che non si era voluto vedere alla maniera di un foto celata su una pellicola di cui nessuno vuole incaricarsi dello sviluppo.

È probabilmente l'opera più facilmente commerciabile di Manzetti, che non scivola nell'hardcore e nel volgare, assestandosi su un limite sostenibile col pregio di personalizzare un soggetto altrimenti derivativo già affrontato in molteplici letture. La leziosità stilistica e il ritornare su alcuni aspetti non aiuta il ritmo, anche se alla fine è un'opera più che sufficiente

 

L'autore ALESSANDRO MANZETTI, dai BRAM STOKER AWARDS
alla coccarda della SAGRA DEL CICATIELLO,
riconoscimento consegnatogli dalle mani di FLAVIO TROISI..

"Per questo sono diventato uno scienziato, per stanare l'impossibile, afferrare tra i polpastrelli il demonietto che è sempre a un millimetro capace di spifferare tutto e trasformare una ricerca o una sperimentazione in un fatto, in un vero cambiamento."
 
 

4 commenti:

  1. In realtà l'intervista di cui sopra è poi sedimentata e i due sono andati ai ferri corti, per usare un eufemismo...

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  2. Chiamato in causa, rispondo nel merito di alcune imprecisioni.
    1) Non ho mai affermato che Manzetti sia “realmente” un signor nessuno. Me ne guardo bene e non lo penso. E se anche lo pensassi (ma non è così) non lo scriverei mai a proposito di chicchessia. Rispetto il lavoro di Manzetti sia come editore che come autore. È invece vero ho avuto modo di scrivere in un post su Facebook queste parole: “Manzetti/Battiago, amato da grandi firme internazionali, signor nessuno fra gli italiani, contraddizione vivente fra poesia e pulp, Italia ed estero.” Questa mia affermazione, ritenuta da alcuni infelice, era ironica e provocatoria, e aveva il preciso scopo di evidenziare una potenziale inconguenza nel giudicare l’opera complessiva di Manzetti/Battiago. Voleva inoltre sollecitare la curiosità dei lettori, a introduzione del video in cui recensivo, per altro positivamente, un paio di opere dell’autore.
    2) Ho partecipato con piacere e costrutto alle lezioni dell’accademia di scrittura creativa di Manzetti ma non sono più un “facente parte”.
    3) A titolo personale aggiungo che scrivere opere estreme o con ingredienti hardcore horror che mettono a dura prova lo stomaco di certi lettori non mi pare di per sé stigmatizzabile. Viva la libertà di espressione.

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    1. Allora, mettiamo i puntini sulle i: questo è quello che ha scritto FLAVIO TROISI su facebook nella presentazione del video dedicato a MANZETTI/BATTIAGO su broken storieS (S come Superman, personaggio indicato da Manzetti in un suo post di risposta a proposito del signor NESSUNO, che pure nello spaghetti western è un grande personaggio): "ORA VEDIAMO QUANTI LIKE E QUANTI DISLIKE.
      Ha fan adoranti e hater divampanti, prestigiosi riconoscimenti letterari internazionali, e in Italia neppure la coccarda della sagra del cicatiello. Manzetti/Battiago, amato da grandi firme internazionali, signor nessuno fra gli italiani, contraddizione vivente fra poesia e pulp, Italia ed estero. Su #BrokenStories vi presento due lati della storia dal mio punto di vista. Due opere: una dark, l'altra di più. E ora decidete se like o dislike" (Flavio Troisi).
      Per quel che riguarda la LIBERTA' DI ESPRESSIONE è reciproca la cosa, a mio avviso l'hardcore horror, quando è fine a se stesso, è stigmatizzabile, perché appesantisce la lettura e diviene qualcosa di morboso per il lettore.

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