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mercoledì 8 aprile 2020

Recensione Narrativa: LA BAMBINA CHE AMAVA TOM GORDON di Stephen King.



Autore: Stephen King.
Titolo OriginaleThe Girl Who Loved Tom Gordon.
Anno: 1999.
Genere:  Drammatico con elementi horror.
Editore: Sperling & Kupfer.
Pagine: 300.
Prezzo: 9.90 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.
Opera minore nella produzione di Stephen King assai vicina, per tipologia di costruzione e sviluppo, a Il Gioco di Gerald. I due romanzi presentano molte analogie, a partire dal periodo in cui sono state scritti. King pubblica Il Gioco di Gerald nel 1992 dando seguito, sette anni dopo, a The Girl Who Loved Tom Gordon, a sua volta preceduto da otto romanzi e una raccolta. E' un King molto prolifico quello del periodo e la cosa si riflette nel testo. Alla stessa maniera de Il Gioco di Gerald, l'autore offre la sensazione di scrivere senza una bussola orientativa, lasciandosi prendere la mano nelle descrizioni scenografiche. Parte da un mero accadimento, una bambina che, stanca dei litigi tra il fratello e la madre, si perde in un bosco ai confini tra il Maine e il New Hampshire durante una gita fuori porta (dopo essersi appartata per fare la pipì), e porta avanti il tutto immaginandosi cosa potrebbe succedere. Da qui King immagina il vagare nel bosco, per giorni, della piccola protagonista, una bambina di nove anni infatuata del baseball e più in particolare del lanciatore Tom Gordon, asso dei Red Sox, da cui viene rapita per il vezzo di indicare il cielo prima che i compagni gli saltino addosso all'epilogo di ogni partita vinta.
Questo è La Bambina che Amava Tom Gordon, una disperata odissea in modalità point to point, tra le mille insidie che può offrire un bosco, tra paludi in cui si sprofonda, animali selvatici e nugoli di insetti che ronzano attorno alla testa e dispensano pinzi e punture. Se ne Il Gioco di Gerald King mostrava tutti i tentativi della protagonista nel liberarsi dalle manette che la serravano alla base del letto, qua descrive la lotta per la sopravvivenza della piccola Trisha, costretta a cibarsi di bacche, felci e frutti di bosco, abbeverandosi nei torrenti (con crampi e vomito a fungere da controindicazioni) per poter mantenere accesa la luce della vita. La piccola, invece di fermarsi in un dato punto del bosco, prende come punto di riferimento un ruscello e lo segue, soluzione che la porterà ad allontanarsi sempre più dal centro abitato. Da Il Gioco di Gerald arriva anche il riferimento al c.d. uomo nero pronto ad approfittare delle difficoltà del momento. Qua viene rappresentato da una strana creatura inizialmente assente, quindi vagamente percepita e poi sempre più pressante in vista del confronto finale. King utilizza i deliri dettati dalla febbre che, a poco a poco, investe la piccolina per sfumare e rendere più credibile "il mostro." Il suo "uomo nero" qua viene ad assumere le vesti di un orso percepito dalla protagonista quale creatura criptozoologica. Alcuni recensori hanno impropriamente associato tale essere al Wendigo, sebbene le due creature abbiano poco o nulla in comune. Laddove il wendigo si ricollega a una creatura di matrice divina collegata alla tradizione indiana, il mostro del romanzo ha poco di ultraterreno e molto invece di naturale. La percezione di essere un qualcosa di diverso è dovuta all'immaginazione infantile della piccola protagonista, peraltro vittima di una forte situazione di stress.

L'aspetto più interessante del romanzo è l'accenno che King fa all'affidamento al divino che persino il non credente tende a fare quando è travolto da circostanze che vanno oltre l'ordinario. Purtroppo si tratta di un mero cenno, senza troppo approfondire la questione. King percorre una via personale. Supera il concetto del Dio antropomorfo che benedice le sue creature con la sua compassione e la sua protezione, in favore di una soluzione più legata all'istinto naturalistico della sopravvivenza. Per tale via arriva a teorizzare l'esistenza del Subudibile. "Io non credo in nessun Dio veramente pensante che prenda nota della caduta di ogni uccello in Australia e ogni insetto in India, un Dio che registra tutti i nostri peccati in un librone d'oro e ci giudica quando moriamo... non voglio credere in un Dio che crei, volontariamente persone cattive e poi volontariamente le spedisca ad arrostire all'inferno che ha creato lui. Questo no... Credo piuttosto a una misteriosa forza insensata e rivolta al bene... La forza che evita agli adolescenti ubriachi di schiantarsi in automobile quando rientrano a casa dal ballo di fine anno o dal loro primo grande concerto rock... C'è qualcosa che ci impedisce di mollare anche quando vorremmo: il subudibile."
Ecco che il tema dell'essere superiore a cui rivolgersi funge quale ancora di salvezza della povera Trisha. Una speranza che procede di pari passo alle passioni. Trisha non perde infatti la passione per le cronache delle partite dei Red Sox, che ascolta grazie al walkman che ha con sé. La voce dei commentatori e le imprese dei propri paladini tengono in vita la piccola, offrendole l'illusione di mantenere un legame col mondo. Sono queste le colonne portanti della resistenza. Trisha immagina altresì di essere accompagnata da amici immaginari, tra i quali lo stesso Tom Gordon, che le suggeriscono le decisioni e, soprattutto, non la fanno sentire sola nella desolazione più estrema che può trasmettere la fitta boscaglia. 

L'apice del testo si raggiunge nella scena in cui Trisha immagina di incontrare, nel cuore del bosco, tre individui avvolti da sai che li rendono simili a sacerdoti. Il primo rappresenta il Dio di Tom Gordon, "quello che indica il cielo quando salva la partita", ed è il Dio onniscente proprio delle religioni convenzionali, un Dio che non può scendere in aiuto dei comuni mortali, perché ha troppo da fare. "Di regola non interviene nelle questioni umane, anche se è un appassionato di sport." Il secondo è il Subudibile, ma anche lui dichiara alla piccola Trisha di non poterla aiutare. Infine c'è il Dio dei Perduti, a differenza degli altri due ha sembianze meno rassicuranti e un volto costituito da "un grumo deforme di vespe che si arrampicano, l'una sull'altra, spingendosi a vicenda e ronzando." Questo Dio sembra quello ad avere più attenzioni nella vicenda, sebbene non si tratti di attenzioni protettive. King, per suo tramite, rappresenta la paura, il vero demone dell'uomo. Veicolata da creature e da situazioni sfavorevoli, la paura è un impulso esterno che agisce sulle corde emotive dell'uomo inducendolo ad assumere scelte comportamentali scellerate che portano  alla morte. La paura diviene allora il motore che determina la morte, ma non la mera causa di essa. La causa resta soggettiva ed è attribuibile alla scorretta gestione che ne fa colui che viene attinto dalla paura ovvero dalle insidie che la vita propone sul cammino di ognuno di noi. King invita prima a guardare dentro di noi stessi, se vogliamo confidare in un aiuto esterno e non fare viceversa. E' il vecchio proverbio dell'"aiutati che Dio ti aiuta." Trisha sconfiggerà il nemico non grazie all'intervento divino, ma al suo sangue freddo e alla sua determinazione nel non voler mollare mai. E' dunque un King che invita alla battaglia quello de La Bambina che Amava Tom Gordon, un King che ti dice di giocare la tua partita e di non farti prendere dalla disperazione, perché la tua unica chance di vittoria è la calma. Trisha si adatta all'ambiente, non si lascia piegare dallo sconforto e, dimostrando una maturità anni luce superiore a quella tipica dei bambini della sua tenera età, affronta faccia a faccia il nemico, evitando di dargli le spalle ed evidenziando così la codardia del male. Il male ti può nuocere solo se glielo consenti. Questa è la via attraverso la quale confidare nel successivo 'aiuto di un Dio superiore, un Dio che nella fattispecie si sostanzia nelle vesti di un cacciatore armato di fucile che giunge solo dopo che Trisha ha superato la prova. Il messaggio finale è estremamente ottimista e all'insegna dell'happy end caro alle major editoriali e cinematografiche americane.

In definitiva La Bambina che Amava Tom Gordon è un esercizio di stile, già praticato in precedenza da King in occasione de Il Gioco di Gerald (che gli è superiore), diluito in modo da evolvere da semplice racconto a romanzo breve. Denso di descrizioni e motivi anche di scarso interesse, promette di decollare ma non lo fa mai, tenendosi in uno stato di tensione continua che non cambia mai registro. Presenti alcune pennellate gore, con cervi decapitati e altri animali morti, ma alla fine resta una storia drammatica con vaghe reminescenze horror. A ogni modo King è sempre King e, alla fine, del buono si trova sempre. Di certo, è tra i romanzi di minor impatto, anche se lo potremmo definire un romanzo di formazione che segna il passaggio dall'adolescenza alla maturità.

STEPHEN KING
grande tifoso dei RED SOX
dedica il suo romanzo a un lanciatore della squadra del cuore.


"Io non credo in nessun Dio veramente pensante che prende nota della caduta di ogni uccello in Australia e ogni insetto in India, un Dio che registra tutti i nostri peccati in un librone d'oro e ci giudica quando moriamo... non voglio credere in un Dio che crei volontariamente persone cattive e poi volontariamente le spedisca ad arrostire nell'inferno che ha creato lui. Questo no. Però credo che ci debba essere qualcosa."

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