Elenco

  • Cinema
  • Ippica
  • Narrativa
  • Pubblicazioni Personali

sabato 18 aprile 2020

Recensione Narrativa: LA TANA DEL SERPENTE BIANCO di Bram Stoker.



Autore: Bram Stoker.
Titolo Originale: The Lair of the White Worm.
Anno: 1911.
Genere: Horror.
Editore: Nero Press Edizioni, 2016.
Pagine: 254.
Prezzo: 10,00 euro.

A cura di Matteo Mancini.
Testamento letterario di Abraham "Bram" Stoker che lo pubblica a Londra, corredato dalle illustrazioni di Pamela Colman Smith per la Rider and Son, un anno prima di morire, inseguendo quel successo ottenuto con Dracula (1897) e non più ripetuto. Lo scrittore irlandese vi giunge dopo aver pubblicato, a partire dal 1872, una serie di racconti fantastici di matrice grandguignolesca, tra cui il famoso Dracula's Guest (L'Ospite di Dracula), e altri dodici romanzi, molti dei quali di natura fantastica. Complice la morte dell'autore, ma anche di uno stile giudicato rozzo da più lettori, tra i quali gli scrittori Les Daniels ("stile goffo") e H.P. Lovecraft, che scrive nel suo L'Orrore Soprannaturale nella letteratura che Stoker "sciupa del tutto una magnifica idea con uno sviluppo dell'intreccio quasi infantile e una tecnica scadente", il romanzo subisce da parte della Foulsham & Company una serie di pesanti tagli, quantificabili in cento pagine, tanto da uscire nel 1925 in una versione fortemente rimaneggiata, destinata anche al mercato statunitense, con una riduzione dei capitoli dai quaranta originali a ventotto. Un'edizione che amplifica lo stato confusionario di cui era già investita la versione integrale, a causa soprattutto dei tagli praticati sul finale della storia, con cinque capitoli in meno degli undici previsti, così da rendere ancor più incoerente l'epilogo. Nonostante ciò la versione rimaneggiata soppianta, sul mercato, quella originale tanto da essere, per anni, l'unica disponibile persino in Inghilterra. Solo nel 1986 viene di nuovo ristampata, col titolo Dracula and The Lair of the White Worms, la versione pubblicata nel 1911 da Bram Stoker. Una situazione di caos che testimonia i problemi di un romanzo assai ampolloso apparso fin da subito bisognoso di scremature per potersi dire sufficientemente riuscito. Da sottolineare come il critico horror RS Hadji abbia inserito The Lair of the White Worm in dodicesima posizione nella classifica degli horror meno riusciti di sempre. Nonostante tutto The Lair of the White Worm, divenuto anche spunto per la realizzazione nel 1988 di una trasposizione cinematografica (sgangherata) affidata all'irriverente regista Ken Russell, è considerato, insieme a The Jewel of Seven Stars (Il Gioiello delle Sette Stelle, 1909), una delle opere più conosciute dello scrittore.

Edito anche come The Garden of the Evil, The Lair of the White Worm è un tardo romanzo gotico presentato per la prima volta al pubblico di lettori italiani, nel 1992, col titolo de La Tana del Verme Bianco per effetto di una traduzione di Alda Carrer realizzata per conto della Garden Editoriale e più in particolare per la collana Horror Story. Un ritardo di ottanta anni, stimolato dalla ripubblicazione in Inghilterra della versione integrale, idoneo a svegliare dall'oblio più editori, giusto per sfruttare il nome di Stoker associato al capolavoro Dracula, tanto da dar seguito ad altre quattro versioni edite in un arco temporale di ventidue anni. Escono infatti, a stretto giro di posta, le traduzioni di Rosa Russo per Fanucci Editore (1994) e di Franco Basso & Stefano Giusti per Mondadori (1995). Cinque anni dopo Giugliano cura una nuova versione per la Donzelli Editore imitato nel 2016 da Sergio Vivaldi per la Nero Press Edizioni, che confeziona un'economica edizione tascabile tuttora di agevole reperibilità.

La storia prende le mosse, un po' come Dracula, da leggende popolari, questa volta inglesi per poi perdersi in discussioni di matrice darwiniana che si dilungano senza alcun supporto scientifico. "Quando il mondo era giovane, esistevano mostri di dimensioni tali da poter vivere migliaia di anni. Alcuni di loro devono essersi sovrapposti all'età cristiana. Il loro intelletto potrebbe esser miglorato nel tempo. Se tale miglioramento sia veramente stato, se avessero persino sviluppato una forma anche rudimentale di pensiero, sarebbero le creature più pericolose mai vissute... Creature di questo tipo potrebbero aver perso qualcosa della propria grandezza, rimpicciolendosi, ma potrebbero esser cresciute in altri aspetti, come l'intelligenza. Potrebbero esser diventate umane, o qualcosa di simile."
Stoker attinge dichiaratamente dalla storia del "Serpente del Castello di Lambton" e da quella della "Donna-serpente di Bamborough. La leggenda narrava di un pescatore, infastidito per non esser riuscito a pescare alcunché, punito per aver proferito a voce alta bestemmie nei confronti di Dio. Un atteggiamento che lo aveva portato a dover combattere con un animale sconosciuto, dalla forma allungata, rimasto incagliato alla lenza della sua canna da pesca e successivamente liberato in un pozzo. Qui la bestia era cresciuta a dismisura fino a non esser più contenibile, tanto da esser in grado di avvolgere col suo corpo per tre volte un colle. Ferita da più cavalieri, il verme era stato capace di ricomporsi e solo lo scontro finale con chi lo aveva pescato ne determinò la morte.

Dal folklore Stoker trasla il suo soggetto collocandolo nell'ambito dell'aristocrazia del Derbyshire, caricandolo di un substrato misterico dove trovano spazio, pur restando sempre confinati in un sottofondo funzionale a creare atmosfera, il mesmerismo, le capacità ipnotiche e persino il voodoo. Un mix di classicismo gotico ed esoticità che promette molto bene, ma di cui Stoker non sembra intravederne le potenzialità. Invece di orientare la storia sull'azione e sulla figura del serpente bianco, l'autore appesantisce il tutto con una serie di intrighi amorosi che rendono il romanzo tutt'altro che moderno e che fungono da vero cuore della vicenda. Stoker amplifica la rete amorosa su cui già si era mosso in occasione di Dracula e, pur riducendone la carica erotica, propone una lunga serie di corteggiamenti, a volte incrociati e non sempre corrisposti, che riguardano un po' tutti i personaggi della storia. Inutile dire quanto il ritmo risenta di queste decisioni che allungano il narrato, tornando più volte su loro stesse.

La copertina di un'edizione straniera
pubblicata col titolo alternativo.

Protagonista è un giovane australiano di origini inglesi, che giunge nel territorio conincidente all'antica Mercia perché deve prendere possesso delle proprietà che uno zio è intenzionato a lasciargli in eredità. Qua si trova al centro di una serie di intrighi che coinvolgono un altro giovane uomo, di ritorno pure lui dall'estero per prendere possesso della più grande proprietà terriera della zona e per giunta confinante a quella dello zio del protagonista, e una vedova dai modi subdoli intenzionata ad accaparrarsi il nuovo venuto per assestare le decadute finanze di famiglia ("Questa è una donna con tutta la saggezza e l'intelligenza di una donna, unita alla spietatezza di una prostituta e alla testardaggine di una suffragetta. Ha la forza e l'impenetrabilità di un dinosauro. Non ci sarà spazio per la correttezza nella lotta che ci attende"). Nell'ambito di questo intrigo, che coinvolge anche due giovani cugine preda delle attenzioni dei nuovi arrivati, si alimentano gelosie funzionali a corrompere gli animi e a generare inamicizie. E' in questo ambito che prende sempre più piede la leggenda del serpente bianco. Una leggenda che qua si trasforma in un qualcosa che deborda dal folklore per prendere la via, ancor più inverosimile, di una sorta di licantropia o comunque assurda e ingiustificata evoluzione di specie.
La trama diviene confusionaria, molto ingenua, con i vari uomini e donne che si incontrano ripetitivamente nei salotti o nelle torri dei propri castelli sebbene non si sopportino e maledicano l'occasione. Qui si sfidano in lunghe sedute in cui, all'insegna di un'ipocrisia più sfrenata fatta da finte buone maniere e regole di bon ton, cercano di ipnotizzarsi o di resistere agli assalti mentali quasi come se si fosse in un gioco benedetto dal narcisismo e dall'egoismo personale.
Supportato da un vecchio consigliere, il protagonista si metterà a indagare insospettito dai modi della vedova. Questa infatti si muove con una agilità animale, ha un'avversione per le manguste che, non appena la vedono le saltano al collo, e, sfilando tra siepi e boschi, spia le mosse delle altre parti dando dimostrazione di essere nictalope. Di lei si innamora perdutamente il rozzo servo di colore dell'uomo che subisce la corte della donna senza esserne interessato; un individuo originario dell'Africa nera, capace di "odorare la morte" e di rendersi artefice di riti voodoo ma anche di biechi furti e scorrettezze di ogni sorta. L'africano reputa la vedova una Dea, ne intuisce qualcosa che sfugge agli altri, ma viene respinto con disprezzo e pagherà con a pelle questa sua passione. Stoker da ampia dimostrazione dell'epoca che fu, caricando di uno spiccato disvalore razziale l'uomo e riparando solo in parte con l'aggraziata descrizione della bellezza esotica della ragazza, anch'essa di colore, di cui si innamora il protagonista.
In questo clima di tranelli e agguati, inizia a diffondersi il sospetto che un'enorme creatura bianca serpentiforme dagli occhi verde smeraldo si aggiri nella zona. Il sospetto viene alimentato da una leggenda che grava proprio sulla proprietà della vedova, secondo cui, nascosto in un pozzo presente all'interno, si troverebbe il nascondiglio di un enorme essere antidiluviano simile a un serpente ed erede della fantastica stirpe dei draghi. Il sospetto assume sempre più la valenza della concretezza quando il protagonista e il suo consigliere intravedono di notte, sulle cime degli alberi, uno strano baluginio verde accompagnato da estensioni di bianco intenso e da un odore nauseabondo difficilmente comparabile ad altri olezzi. Un essere che finirà per braccarli anche in pieno oceano, nuotando in mare aperto tanto da esser confuso, da lontano, per una balena.
Anche quando il romanzo prende la via, per così dire, criptozoologica, Stoker finisce per rompere il pathos, tornando alle vicende amorose che riguardano i vari personaggi. In particolare insiste sulla figura del grande latifondista, che la vedova vorrebbe avere per sé, che viene sempre più preso, fino alla follia, dai suoi studi sul mesmerismo e sulle scienze occulte, venerando un aquilone dalla forma di falco che ha fatto issare sopra la propria terra per tenere lontani gli uccelli venuti in massa da ogni parte d'Inghilterra. Un individuo che finisce persino per citare le tentazioni bibliche cui Satana sottopose Dio e che, come ogni bestemmiatore, finirà travolto da un fulmine che distruggerà la sua onnipotenza ("Quando il Signore del male trasportò Lui in cima a una montagna e mostrò a Lui i regni della Terra, stava facendo quello che nessun altro pensava potesse fare. Si sbagliava. Si è dimenticato di Me. Vedrai. Ti invierò la luce così che tu possa vedere. La invierò fino ai bastioni del Paradiso.") unitamente alla sua proprietà e, al tempo stesso, al serpente. Una parte finale dove, nel pastone generale predisposto da Stoker, trovano spazio riferimenti esoterici allineati alla tradizione cristiana, quali quelli che associano la figura del drago-serpente a quella del demonio. Eppure Stoker sembra aver perduto il polso della situazione. Non sfrutta quanto la sua storia gli offre, ma procede imbabolato dai fatti narrati dando l'impressione di aver dato alle stampe un romanzo in fretta e furia senza sottoporlo ad adeguata supervisione mirata al dovuto perfezionamento dei tanti spunti dislocati lungo il testo.
Belle, pur se assai macabre, le descrizioni grandguignolesche, di cui Stoker aveva già dato ampia dimostrazione nei suoi validi racconti, che descrivono, con tocco pulp, la fine del serpente bianco. "L'interno aveva l'aspetto della battigia di un mare di sangue. Ognuna delle esplosioni dalle profondità aveva lanciato fuori dal pozzo, come  se fosse stata la bocca di un cannone, una massa di sangue mescolato a sabbia, insieme a una melma repellente, in mezzo alla quale si trovavano grandi pezzi rossi di carne e grasso strappati. Mentre le esplosioni continuavano, altri pezzi di carne repellente venivano lanciati in alto e la loro enorme massa ricadeva pesantemente al suolo... Molti frammenti tremavano, si dibattevano, si contorcevano come se stessero ancora subendo il loro supplizio..."

Questo il contenuto di un romanzo che continua a ricevere forti critiche, persino tacciato di contenuti razzisti, ma anche di ingenuità e di una scarsa verosimiglianza. Potremmo definire The Lair of the White Worm un ultimo e tardo esempio di romanzo gotico, ormai soppiantato dall'emergere di autori quali Arthur Machen, William Hope Hodgson e Matthew P. Shiel, legato al clima positivista di fine ottocento che qua, tuttavia, prende strade che vanno oltre ogni possibile evoluzione concepibile fino a giungere ad associare una donna a un serpente preistorico. Non manca chi, analizzando il romanzo, abbia collegato la figura del serpente bianco a un passato che deve essere eliminato, perché non più in linea con il progresso, così da tramutare il mostro in veicolo attraverso il quale proporre la lotta tra la moderna società e le forze oscurantiste del passato. E' per via di tale impostazione che il valore della ricchezza, individuata nel denaro e in quanto possa costituire fonte di reddito, assurge a emblema cui ambire nell'ottica di una promozione sociale vista quale unico fine della vita moderna. Non a caso la morte del serpente coincide con la scoperta di un giacimento minerario che farà la fortuna del protagonista. "La giusta ricompensa per chi agisce in grazia di Dio" commenta, con un pizzico di sana ironia, uno dei tanti rencensori che si trovano sulla rete. Una prospettiva di analisi che attribuisce quel quid in più a un romanzo troppo spesso liquidato quale pessimo esempio di narrativa e opera da dimenticare.

L'autore
BRAM STOKER

"Adam non aveva mai annusato niente del genere. Lo confrontava con tutti gli odori tossici di cui aveva esperienza: il drenaggio degli ospedali di guerra, dei mattatoi, i rifiuti delle sale di vivisezione. Niente di simile, mai, pur mantenendo qualcosa di ognuno di loro, con più l'asprezza dei rifiuti chimici e gli effluvi velenosi delle acque di sentina di una nave dove erano stati affogati dei ratti."

2 commenti:

  1. Si giusto. La tana del verme bianco (Fanucci) romanzo lungo, mediocre. Bel titolo ma troppo sovrabbondante che annoia

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Penso di poter dire che BRAM STOKER rendesse molto di più nei racconti, dove spesso ha confezionato dei piccoli gioielli. Anche in Dracula, del resto, non perde l'occasione per appesantire, specie in alcuni capitoli, la narrazione. In realtà Stoker era un autore molto romantico, legato a certi stilemi classici riconducibili alla scuola di Le Fanu, quindi un po'prosaico rispetto ad alcuni suoi colleghi contemporanei, e soprattutto con una gran passione per le storie d'amore che in ogni suo romanzo diventano il motore trainante su cui poi si innesca, quando c'è, il fantastico.

      Elimina