Nel giorno del 25 aprile, festa di liberazione, pubblico un mio racconto scritto nel periodo del Corona Virus. Nel testo non parlo esplicitamente del virus per evitare di rendere obsoleto il testo una volta passato il periodo. A ogni modo il riferimento all'incubo che attananglia il mondo in questo perioro è piuttosto marcato.
FRATELLI D'ITALIA
di
Matteo Mancini
Mi affaccio alla
finestra, la mia ultima visuale sul mondo... un mondo lontano,
alieno. Vorrei gridare che ci sono, che vivo ancora... ma le mie
parole si disperderebbero in un vento freddo che sferza le nubi,
facendole correre ignare di tutto e di tutti, nell'azzurro che
incastona l'intero creato. Le vedo sorvolare lassù, in alto,
indifferenti. Scivolano in quel cielo che sembra essersi dimenticato
di noi. Noi, le creature predilette dal gran Dio, sconfitte da un
nemico invisibile, che neppure si vede a occhio nudo. Un mostro da
cui non siamo riusciti a difenderci, inebriati dalla nostra
arroganza, dalla cura nella difesa del patrimonio piuttosto che della
vita. Pensiamo sempre troppo tardi a quali siano i veri beni da
difendere, poiché le posizioni di privilegio sono troni da cui è
difficile discendere. Le cose che possediamo alle fine ci possiedono
e ci conducono alla tomba con l'illusione di deliziarci.
Abbiamo violentato tutto
per anni, deforestizzato i polmoni del mondo, sostituendo l'ossigeno
con i veleni vomitati da ciminiere e tubi di scappamento e ora ne
paghiamo le conseguenze. La ribellione della natura è stata
imprevedibile, eppure in linea con i meccanismi che regolano la
catena alimentare. Ha mutato un virus che colpiva le bestie per
infettare la creatura ribelle che ha debellato il padreterno. Così è
stato introdotto un nuovo competitore dell'uomo, un avversario contro
il quale gli scienziati non sono stati capaci di vincere. Un essere
non essere che muta di continuo forma, induce a pensare di esser
stato debellato e poi ritorna più aggressivo di prima.
Che diavolo sta
succedendo? È una prova che dobbiamo superare per ascendere a
un'esistenza che rinnovi gli antichi valori, una lezione da assorbire
a caro prezzo oppure l'inizio della fine su cui i nostri pastori ci
hanno sempre voluto tenere desti.
A mio avviso è la
condanna alla nostra superbia. Una di quelle piaghe uscite dalla
Bibbia che pende dalla mensola sotto la quale prego ogni notte prima
di andare a letto, dopo essermi affacciata sull'uscio, oltre il quale
mio figlio sogna un futuro che forse non potremmo mai dargli.
Sul tavolo c'è ancora
l'ultima copia del quotidiano che ero solita leggere. Ora non escono
più i giornali, tutto è fermo. La prima pagina mi ricorda la
catastrofe. Milioni di morti in tutto l'emisfero. Per giorni fuori
hanno marciato i militari, scesi in campo a sostituire le decimate
forze di polizia. Gli ordini in corso sono tanto dolorosi quanto
inevitabili: sparare a vista contro ogni violatore dei precetti
dettati dai decreti della Presidenza del consiglio. Ogni mattina,
alle ore 11,00, un altoparlante applicato su un elicottero
dell'aeronautica ricorda gli articoli e le punizioni per i
trasgressori. La legge marziale ha debellato ogni diritto
costituzionale. Siamo in guerra, una guerra mai affrontata dall'uomo.
Una guerra nuova, una guerra batteriologica. Una situazione folle che
ha portato alla decisione di oscurare tutti i canali e persino
chiudere le comunicazioni internet. Il mondo e tutte le attività che
lo riguardavano sono state sospese, forse interrotte per sempre.
Siamo i protagonisti inattesi di una della pagine più importanti
della storia del mondo. È come se la vita avesse subito una pausa, i
giorni hanno perso il loro valore. Non esistono più festivi, né il
sabato o la domenica. Ventiquattro ore sempre uguali che si
rincorrono non più cadenzate dagli avvenimenti che erano soliti
rendere più leggera la nostra attesa della morte. Il silenzio è la
colonna sonora di questo spettacolo spettrale. La noia la fidata
compagna.
Fuori non si vedono
uomini. Gli animali selvatici hanno preso possesso di quanto un tempo
ci apparteneva. Sulla strada cinghiali, volpi e daini corrono liberi,
in un'inattesa vittoria sulla razza che li aveva soggiogati. In
cielo, oltre poiane e gabbiani, volano droni che spiano movimenti
sospetti da parte dei contravventori. Sono stati programmati in modo
da trasmettere le coordinate dell'avvistamento, così da consentire
alla pattuglia più vicina di individuare i disubbidienti e
reprimerne con la forza la violazione. Uscire significa morire, se
non per il nemico mondiale che ci attanaglia, per nostra stessa mano.
Si può solo aprire la porta per prendere i sacchetti settimanali
della spesa, pasti gentilmente offerti dallo Stato e consegnati
dall'esercito. Per il resto si deve stare in casa, a impazzire in
continui rimuginamenti mentali che si sgretolano al cospetto del
grande mistero della vita.
Leggo di continuo i nomi
di alcuni amici che ora non ci sono più. Me li sono appuntati in
un'agenda, quando ancora era possibile informarsi. Non li incontrerò
mai più, sebbene veda ancora qui davanti a me i loro sorrisi e ne
oda le voci. Per ognuno ho un ricordo, un momento speso in comune.
Tutto scorre, passa e se ne va. Sembrano le immagini di un film
felice a cui un montatore privo di senno, pressato da un produttore a
caccia di incassi, ha tagliato l'epilogo per inserirne un altro in
balia dell'orrore. Siamo sul filo di un rasoio che minaccia di
ridurci in brandelli. Cancelliamo i giorni che cadono da un
calendario in vista dell'unico appuntamento rimasto.
L'assillo di veder
riapparire sui monitor l'uomo di cui ormai noi tutti temiamo le
parole mi consuma. Pur di esorcizzare il panico, mi rifiuto di
accendere la televisione che trasmette vecchi film in sequenza. È un
incubo che non finirà più, un gorgo da cui spero di liberarmi,
insieme al mio piccolo che ora, nel sonno, corre felice tra i prati
inseguendo con gli amici una palla su un campo di gioco.
Sono stanca, distrutta
nel corpo e nella mente. Mi addormento con la testa affondata tra le
braccia e nuoto nel mondo dei sogni, la dimensione ulteriore in cui
tutto è possibile. Vengo rapita da Morfeo, trascinata da una mano
invisibile che mi afferra e mi induce a danzare seguendo le note di
un concerto di violini zigani. Sono leggera, libera. I miei piedi
staccano dall'erba e sospesi mi sostengono a mezz'aria. Poesia e
magia mi donano l'evasione che mi dona il lusso di non impazzire. È
l'amore l'emozione che mi dona minuti che non seguono le logiche
dettate dal moto del pianeta terra. Sono felice, aperta a quanto di
bello la vita abbia da offrire, ancora portatrice delle tante
aspettative che un'adolescente porta con sé. D'un tratto riapro le
palpebre e di nuovo vedo il mondo. Il sole dilaga dalla finestra del
mio salotto. Mi investe. Per un attimo sono cieca, finché in
lontananza sento un rombo che diviene sempre più forte. I vetri
iniziano a fremere, vibrano così forte che inizio a tremare.
Corro ad affacciarmi al
portale che mi ricorda di essere nella realtà. È allora che li
vedo. Il cuore mi balza in gola, le lacrime mi sgorgano dagli occhi.
Chiamo a ripetizione il nome di mio figlio. Lo faccio in modo
compulsivo. Le mie parole vengono però cancellate dal tuono che
irrompe su tutto. Gli animali scappano impazziti sulla strada, li
intravedo appena poiché la mia attenzione è rapita dalla triplice
scia che intacca l'azzurro sovrastante. Una stella fatta dai colori
verde, bianco e rosso si allarga in cielo. Sono fumogeni che
proteggono la fonte del suono.
Esco di corsa sulla
strada. Gli occhi mi bruciano dal pianto. Cerco l'abbraccio dei
vicini, la condivisione del momento, ma non vedo nessuno.
Dai fumogeni fuoriescono
sette aerei che piroettano e si capovolgono. Sono le frecce
tricolore!
Guardo allora in
direzione della città che si affaccia ai margini della campagna.
L'aria, fresca, mi accarezza i capelli che, disciolti, si perdono nel
vento. Solo ora mi accorgo, allo scemare del turbine scatenato dagli
aerei, delle note che risuonano siderali. Dalle minuscole sagome
degli stabili che si ergono nella desolazione risuona l'inno...
l'inno della speranza. Un sorriso mi si allarga sulla faccia ed è
allora che mi sento scuotere il braccio, mentre le labbra compongono
il testo che fin da piccoli ci hanno insegnato. Siamo tutti fratelli
d'Italia.
«Mamma... mamma... cosa
faremo domani?»
«Sogneremo» sussurro,
mentre sento scivolar via le mani del mio salvatore.
Aprile, 2020.
Sei l unica persona che è stato veramente in grado di descrivere il virus e le conseguenze di quello che è e sara .bravo e complimanti sei unico
RispondiEliminaTroppo gentile... è solo un tentativo di creare un racconto che vada oltre la descrizione di quello che succede con un finale che si presta a più interpretazioni così da non farne un mero esercizio di stile. Grazie per la lettura e i complimenti.
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