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sabato 25 aprile 2020

Racconto del 2020 di Matteo Mancini: FRATELLI DI ITALIA



Nel giorno del 25 aprile, festa di liberazione, pubblico un mio racconto scritto nel periodo del Corona Virus. Nel testo non parlo esplicitamente del virus per evitare di rendere obsoleto il testo una volta passato il periodo. A ogni modo il riferimento all'incubo che attananglia il mondo in questo perioro è piuttosto marcato.


FRATELLI D'ITALIA

di 

Matteo Mancini

Mi affaccio alla finestra, la mia ultima visuale sul mondo... un mondo lontano, alieno. Vorrei gridare che ci sono, che vivo ancora... ma le mie parole si disperderebbero in un vento freddo che sferza le nubi, facendole correre ignare di tutto e di tutti, nell'azzurro che incastona l'intero creato. Le vedo sorvolare lassù, in alto, indifferenti. Scivolano in quel cielo che sembra essersi dimenticato di noi. Noi, le creature predilette dal gran Dio, sconfitte da un nemico invisibile, che neppure si vede a occhio nudo. Un mostro da cui non siamo riusciti a difenderci, inebriati dalla nostra arroganza, dalla cura nella difesa del patrimonio piuttosto che della vita. Pensiamo sempre troppo tardi a quali siano i veri beni da difendere, poiché le posizioni di privilegio sono troni da cui è difficile discendere. Le cose che possediamo alle fine ci possiedono e ci conducono alla tomba con l'illusione di deliziarci.
Abbiamo violentato tutto per anni, deforestizzato i polmoni del mondo, sostituendo l'ossigeno con i veleni vomitati da ciminiere e tubi di scappamento e ora ne paghiamo le conseguenze. La ribellione della natura è stata imprevedibile, eppure in linea con i meccanismi che regolano la catena alimentare. Ha mutato un virus che colpiva le bestie per infettare la creatura ribelle che ha debellato il padreterno. Così è stato introdotto un nuovo competitore dell'uomo, un avversario contro il quale gli scienziati non sono stati capaci di vincere. Un essere non essere che muta di continuo forma, induce a pensare di esser stato debellato e poi ritorna più aggressivo di prima.
Che diavolo sta succedendo? È una prova che dobbiamo superare per ascendere a un'esistenza che rinnovi gli antichi valori, una lezione da assorbire a caro prezzo oppure l'inizio della fine su cui i nostri pastori ci hanno sempre voluto tenere desti.
A mio avviso è la condanna alla nostra superbia. Una di quelle piaghe uscite dalla Bibbia che pende dalla mensola sotto la quale prego ogni notte prima di andare a letto, dopo essermi affacciata sull'uscio, oltre il quale mio figlio sogna un futuro che forse non potremmo mai dargli.
Sul tavolo c'è ancora l'ultima copia del quotidiano che ero solita leggere. Ora non escono più i giornali, tutto è fermo. La prima pagina mi ricorda la catastrofe. Milioni di morti in tutto l'emisfero. Per giorni fuori hanno marciato i militari, scesi in campo a sostituire le decimate forze di polizia. Gli ordini in corso sono tanto dolorosi quanto inevitabili: sparare a vista contro ogni violatore dei precetti dettati dai decreti della Presidenza del consiglio. Ogni mattina, alle ore 11,00, un altoparlante applicato su un elicottero dell'aeronautica ricorda gli articoli e le punizioni per i trasgressori. La legge marziale ha debellato ogni diritto costituzionale. Siamo in guerra, una guerra mai affrontata dall'uomo. Una guerra nuova, una guerra batteriologica. Una situazione folle che ha portato alla decisione di oscurare tutti i canali e persino chiudere le comunicazioni internet. Il mondo e tutte le attività che lo riguardavano sono state sospese, forse interrotte per sempre. Siamo i protagonisti inattesi di una della pagine più importanti della storia del mondo. È come se la vita avesse subito una pausa, i giorni hanno perso il loro valore. Non esistono più festivi, né il sabato o la domenica. Ventiquattro ore sempre uguali che si rincorrono non più cadenzate dagli avvenimenti che erano soliti rendere più leggera la nostra attesa della morte. Il silenzio è la colonna sonora di questo spettacolo spettrale. La noia la fidata compagna.
Fuori non si vedono uomini. Gli animali selvatici hanno preso possesso di quanto un tempo ci apparteneva. Sulla strada cinghiali, volpi e daini corrono liberi, in un'inattesa vittoria sulla razza che li aveva soggiogati. In cielo, oltre poiane e gabbiani, volano droni che spiano movimenti sospetti da parte dei contravventori. Sono stati programmati in modo da trasmettere le coordinate dell'avvistamento, così da consentire alla pattuglia più vicina di individuare i disubbidienti e reprimerne con la forza la violazione. Uscire significa morire, se non per il nemico mondiale che ci attanaglia, per nostra stessa mano. Si può solo aprire la porta per prendere i sacchetti settimanali della spesa, pasti gentilmente offerti dallo Stato e consegnati dall'esercito. Per il resto si deve stare in casa, a impazzire in continui rimuginamenti mentali che si sgretolano al cospetto del grande mistero della vita.
Leggo di continuo i nomi di alcuni amici che ora non ci sono più. Me li sono appuntati in un'agenda, quando ancora era possibile informarsi. Non li incontrerò mai più, sebbene veda ancora qui davanti a me i loro sorrisi e ne oda le voci. Per ognuno ho un ricordo, un momento speso in comune. Tutto scorre, passa e se ne va. Sembrano le immagini di un film felice a cui un montatore privo di senno, pressato da un produttore a caccia di incassi, ha tagliato l'epilogo per inserirne un altro in balia dell'orrore. Siamo sul filo di un rasoio che minaccia di ridurci in brandelli. Cancelliamo i giorni che cadono da un calendario in vista dell'unico appuntamento rimasto.
L'assillo di veder riapparire sui monitor l'uomo di cui ormai noi tutti temiamo le parole mi consuma. Pur di esorcizzare il panico, mi rifiuto di accendere la televisione che trasmette vecchi film in sequenza. È un incubo che non finirà più, un gorgo da cui spero di liberarmi, insieme al mio piccolo che ora, nel sonno, corre felice tra i prati inseguendo con gli amici una palla su un campo di gioco.
Sono stanca, distrutta nel corpo e nella monte. Mi addormento con la testa affondata tra le braccia e nuoto nel mondo dei sogni, la dimensione ulteriore in cui tutto è possibile. Vengo rapita da Morfeo, trascinata da una mano invisibile che mi afferra e mi induce a danzare seguendo le note di un concerto di violini zigani. Sono leggera, libera. I miei piedi staccano dall'erba e sospesi mi sostengono a mezz'aria. Poesia e magia mi donano l'evasione che mi dona il lusso di non impazzire. È l'amore l'emozione che mi dona minuti che non seguono le logiche dettate dal moto del pianeta terra. Sono felice, aperta a quanto di bello la vita abbia da offrire, ancora portatrice delle tante aspettative che un'adolescente porta con sé. D'un tratto riapro le palpebre e di nuovo vedo il mondo. Il sole dilaga dalla finestra del mio salotto. Mi investe. Per un attimo sono cieca, finché in lontananza sento un rombo che diviene sempre più forte. I vetri iniziano a fremere, vibrano così forte che inizio a tremare.
Corro ad affacciarmi al portale che mi ricorda di essere nella realtà. È allora che li vedo. Il cuore mi balza in gola, le lacrime mi sgorgano dagli occhi. Chiamo a ripetizione il nome di mio figlio. Lo faccio in modo compulsivo. Le mie parole vengono però cancellate dal tuono che irrompe su tutto. Gli animali scappano impazziti sulla strada, li intravedo appena poiché la mia attenzione è rapita dalla triplice scia che intacca l'azzurro sovrastante. Una stella fatta dai colori verde, bianco e rosso si allarga in cielo. Sono fumogeni che proteggono la fonte del suono.
Esco di corsa sulla strada. Gli occhi mi bruciano dal pianto. Cerco l'abbraccio dei vicini, la condivisione del momento, ma non vedo nessuno.
Dai fumogeni fuoriescono sette aerei che piroettano e si capovolgono. Sono le frecce tricolore!
Guardo allora in direzione della città che si affaccia ai margini della campagna. L'aria, fresca, mi accarezza i capelli che, disciolti, si perdono nel vento. Solo ora mi accorgo, allo scemare del turbine scatenato dagli aerei, delle note che risuonano siderali. Dalle minuscole sagome degli stabili che si ergono nella desolazione risuona l'inno... l'inno della speranza. Un sorriso mi si allarga sulla faccia ed è allora che mi sento scuotere il braccio, mentre le labbra compongono il testo che fin da piccoli ci hanno insegnato. Siamo tutti fratelli d'Italia.
«Mamma... mamma... cosa faremo domani?»

«Sogneremo» sussurro, mentre sento scivolar via le mani del mio salvatore.

Aprile, 2020.

2 commenti:

  1. Sei l unica persona che è stato veramente in grado di descrivere il virus e le conseguenze di quello che è e sara .bravo e complimanti sei unico

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  2. Troppo gentile... è solo un tentativo di creare un racconto che vada oltre la descrizione di quello che succede con un finale che si presta a più interpretazioni così da non farne un mero esercizio di stile. Grazie per la lettura e i complimenti.

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