Autore: Stephen King.
Titolo Originale: Buick 8.
Anno: 2002.
Genere: Horror/Fantastico.
Editore: Sperling & Kupfer.
Pagine: 457.
Prezzo: 10.90 euro.
Commento a cura di Matteo Mancini.
Trentanovesimo romanzo di Stephen King, computando nel
conteggio quelli firmati Richard Bachman e quelli della saga della
Torre Nera. Viene dato alle stampe nel 2002, pur essendo stato
iniziato nel 1999. Stephen King lo concepisce quale racconto,
prendendo ispirazione da una scivolata sul retro di una stazione di
servizio in Pennsylvania. Avvia le mosse da questo episodio per
intessere un soggetto che trova lo scoglio costituito dalla poca
conoscenza della Pennsylvania e, soprattutto, della polizia locale
del luogo, contesto attorno alla quale l'autore decide di costruire un horror
dalle valenze esistenziali. A complicare la gestazione subentra
l'incidente quasi mortale che porta King a un passo dalla morte,
investito da un ubriaco mentre stava passeggiando a bordo strada. La
coincidenza tra quanto scritto (il padre del protagonista viene
investito da un camion) e quanto subito sulla propria pelle porta
l'autore del Maine ad accantonare il progetto, salvo riprenderlo
alcuni anni dopo, per ultimarlo nel 2002. L'idea di dar vita a un
racconto si sviluppa, e forse è un male (perché la minore distanza avrebbe reso più coinvolgente il prodotto), nella sostanza di un
romanzo di quasi cinquecento pagine, a pochi mesi di distanza dal
capolavoro Il Miglio Verde. Penalizzato da un ritmo alquanto
lento e da una struttura frammentaria, realizzata per effetto di una
serie di flashback, Buick 8 è una riflessione su quale
sia il senso della vita, se davvero ve ne sia uno. King scrive che se
nel testo c'è un messaggio questo è da ricercare in “una
meditazione sulla fondamentale indecifrabilità degli eventi della
vita, e su come sia impossibile trovarvi un significato coerente.”
King
utilizza quale ideale cavallo di Troia per entrare nel cuore della
riflessione una Buick Roadmaster del 1954, che fa la sua prima
comparsa in una stazione di servizio nel 1979 (la storia si dipana per quasi trent'anni, tra poliziotti che vanno in pensione, altri che scompaiono e altri che subentrano). L'oggetto è solo
all'apparenza un'automobile, non essendo dotata degli elementi
necessari a conferirgli il movimento. Si tratta, in realtà, di un
qualcosa di incomprensibile. Un oggetto o, forse, un essere vivente
capace di auto-ripararsi, di aprire le portiere per conto proprio, di
emettere ronzii e, in modo ancor più incomprensibile, di mettere in
relazione il mondo umano con quello di un'altra dimensione, proprio
come farebbe un aspirapolvere che introietta elementi di un mondo ed
espelle quelli dell'altro. Addirittura si sospetta che sia un essere
senziente, capace di pensare e influenzare chi lo osserva, alla maniera di un incantatore che allenta i freni inibitori della vittima e la conduce in trappola.
King non inventa niente. Guarda alla narrativa di Lovecraft, al celebre racconto From Beyond (1934) da cui arriva l'idea di una macchina che riesce a congiungere la dimensione umana con quella dell'altrove, determinando il passaggio di creature ostili e dotate di caratteristiche mortali per la razza umana. Una tematica che l'asso del Maine aveva già affrontato, con maggior senso dell'azione e capacità di evocare terrore, nel bellissimo The Mist, racconto lungo che apriva l'antologia Scheletri (1985). A differenza del Solitario qua sfuma il mistero. Non è tanto il fantastico che interessa l'autore, ma sono i rapporti umani che legano i componenti di un comando di polizia a calamitarne l'attenzione. Una visione romantica, quella di King, tutta fondata su un legame vicino a quello familiare, in cui fratellanza, mutuo soccorso e sopratutto complicità sono i cardini che si antepongono alle gerarchie di lavoro. I poliziotti della squadra D fanno quadrato intorno a loro, celano la Buick in un capannone e non ne fanno voce con nessuno, neppure con i familiari. Si ergono a difensori dell'umanità al cospetto di un oggetto che non possono comprendere e che decidono, con i mezzi a disposizione, di studiare e di monitorare costantemente trattandolo quale pericolo di massima specie. “Nemmeno una parola su questa storia... Non in chiaro, quantomeno. Né ora né mai. Se dovrete proprio parlare della Buick, sarà Codice D...”
King non inventa niente. Guarda alla narrativa di Lovecraft, al celebre racconto From Beyond (1934) da cui arriva l'idea di una macchina che riesce a congiungere la dimensione umana con quella dell'altrove, determinando il passaggio di creature ostili e dotate di caratteristiche mortali per la razza umana. Una tematica che l'asso del Maine aveva già affrontato, con maggior senso dell'azione e capacità di evocare terrore, nel bellissimo The Mist, racconto lungo che apriva l'antologia Scheletri (1985). A differenza del Solitario qua sfuma il mistero. Non è tanto il fantastico che interessa l'autore, ma sono i rapporti umani che legano i componenti di un comando di polizia a calamitarne l'attenzione. Una visione romantica, quella di King, tutta fondata su un legame vicino a quello familiare, in cui fratellanza, mutuo soccorso e sopratutto complicità sono i cardini che si antepongono alle gerarchie di lavoro. I poliziotti della squadra D fanno quadrato intorno a loro, celano la Buick in un capannone e non ne fanno voce con nessuno, neppure con i familiari. Si ergono a difensori dell'umanità al cospetto di un oggetto che non possono comprendere e che decidono, con i mezzi a disposizione, di studiare e di monitorare costantemente trattandolo quale pericolo di massima specie. “Nemmeno una parola su questa storia... Non in chiaro, quantomeno. Né ora né mai. Se dovrete proprio parlare della Buick, sarà Codice D...”
La
variabile impazzita costituita dalla Buick diventa pretesto per
rivangare il passato, ricordare amici del tempo che fu, episodi di
vita comune, oggetti ormai obsoleti a cui sono collegati aneddoti
talvolta divertenti talaltra tristi, persino un cane mascotte del
comando deceduto in modo tanto eroico quanto brutale. La nostalgia
avvolge l'intero testo, in un'ottica che evidenza l'inevitabile
avanzata degli anni e l'insorgere della vecchiaia (“quando
parliamo delle vite umane c'è un cappio all'estremità di ogni
catena”),
preludio di quella morte da cui nessun essere vivente può sfuggire,
neppure la misteriosa Buick (che alla fine appare incapace di vincere
le crepe che le si allargano sul parabrezza). Poco è dato sapere su cosa essa sia. King ha un approccio sofistico, ovvero “a misura di
uomo”. Evidenzia quanto sia inutile concentrarsi nello studio del
paranormale, perché esso, per sua stessa natura, non è decifrabile
in modo univoco, prestando il fianco a un'infinita serie di
congetture che portano a perdere il senno a chi ne diviene schiavo. Chi si perde nello studio finisce per esser preda di
una pericolosa ossessione che conduce all'autodistruzione, poiché
chi non accetta la non comprensione come dato oggettivo non può
trovare pace. Ecco che la Buick da protagonista scema a background
che
scandisce il narrato, sviluppato in modo frammentario, col artificio
dei flashback,
vivendo delle esplosioni di luce di cui la stessa si rende
protagonista e che anticipano il rilascio di creature aliene (sia
animali che vegetali) che perdono la vita nell'arco di pochi minuti
per l'incapacità di adattarsi alla nuova atmosfera. Gli eventi si
manifestano con alcune costanti (abbassamento della temperatura
climatica, ronzii elettrici che prendono a diffondersi e abbaglianti
giochi di luce) che hanno come catalizzatore un oggetto che solo
apparentemente ha le vesti di un automobile. Si tratta di costanti insufficienti a sciogliere l'enigma. Sequestrata in un'area di
servizio in cui è apparsa nel 1979 per mano di un individuo
misterioso, scomparso nel nulla senza che se ne capisca la natura.
Chi diavolo era quest'uomo: un emissario del male...? un profeta del
nuovo millennio...? un alieno che conduce un esperimento usando gli
umani come cavie...? King non spiega niente di tutto questo, perché
se lo facesse toglierebbe quel poco di magia che trapela romanzo.
Eppure la soluzione del mistero parte proprio da questo inizio che, personalmente, sono orientato a sciogliere con la terza soluzione sopra proposta.
Amato
da alcuni, Buick
8 è
considerato tra le opere meno riuscite del maestro del Maine, di certo tra le minori, pur
essendo dotata del riconoscibilissimo crisma del suo autore. Le
caratterizzazioni dei personaggi sono curatissime e allo stesso modo
la loro spinta emotiva. Spicca in modo marcato l'ossessione di alcuni
personaggi, tra cui il figlio di un poliziotto deceduto che si trova
a ripercorrere le vie battute dal padre, un uomo divorato
dall'interno da un disturbo compulsivo che lo porta a vivere in
funzione della Buick, con l'intenzione di completare ciò che lo
stesso non è riuscito a fare.
Il ritmo è lento, vivacizzato dalla comparsa degli
strani esseri “partoriti” dall'auto (esseri volatili, pesci,
vegetali, scarafaggi, persino umanoidi), dalle loro nauseabonde
autopsie e da una rapida visione che uno dei protagonisti, salvandosi
all'ultimo dalla caduta nell'altro mondo, riesce a gettare
sull'altrove. “Un'erba gialla dalle punte marroncine ricopriva
un declivio roccioso che risaliva davanti a me e terminava
all'improvviso sul ciglio di un precipizio. L'erba brulicava di
scarafaggi verdi,e su un lato c'era una macchia di quei gigli
cerei... Il cielo era terribile, purpureo e congestionato, gravido di
nubi e fulmini. Un cielo preistorico. Era attraversato da stormi
irregolari di creature volanti. Uccelli, forse... ”
Il fantastico di King si svela dunque quale riflessione
sul senso della vita, se davvero ve ne sia uno, e quale occasione per
rievocare il ricordo degli amici del tempo che fu in un ipotetico
film che è la vita di tutti i giorni e che si può immortalare solo
con foto e video, proprio come i poliziotti della squadra D fanno per
certificare la fenomenologia legata alla Buick, in vista di una
vecchiaia sempre più imminente, preludio di quel destino che
accomuna ogni essere vivente (Buick compresa): la morte.
L'autore STEPHEN KING
scrive un romanzo per dedica.
"La gente ha un'incredibile capacità di abituarsi a tutto, anche a ciò che non capisce. In cielo compare una cometa e mezzo mondo comincia a sbraitare sul giorno del giudizio e sui quattro cavalieri, ma lascia che la cometa resti lì sei mesi e vedrai che nessuno ci baderà più. Diventa una banalità."
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