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venerdì 8 settembre 2023

Recensione Narrativa: PARLA COI MORTI di Bruno Vacchino.

Autore: Bruno Vacchino.
Anno: 2018.
Genere:  Horror/Fantastico Rurale.
Editore: Novilunio Stampe Amatoriali.
Pagine: 146.
Prezzo: 11.30 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.

Nel nostro peregrinare narrativo torniamo a incrociare sulla strada i progetti dei “tipi” del Novilunio Stampe Amatoriali che di “amatoriale” hanno giusto il nome. Al posto di Daniele Vacchino o di Davide Rosso, facciamo la conoscenza di Bruno Vacchino (1939), ideale vertice superiore di un triangolo narrativo ancora tutto da scoprire (e purtroppo ignorato dalla quasi totalità dei lettori appassionati al genere).

Padre del talentuoso (quanto outsider di un sistema editoriale dallo stesso rigettato) giallista Daniele Vacchino, Bruno è un cultore di narrativa e scrittore che ha riscoperto, nella maturità, il gusto per la creazione letteraria. Pubblicato nel 1981 dalla Rebellato Editore, sulla spinta della passione e dell'entusiasmo del figlio (e del “socio” Davide Rosso) è tornato a dar sfogo alla propria fantasia. Cacciata via la ruggine con il libro di poesie La Solitudine del Rito (2018), si è di nuovo misurato con la prosa col noir Robert Prima del Colpo.

Il volume che ci troviamo oggi ad analizzare, Parla coi Morti (2018), è un'inusuale (per struttura) antologia mascherata da romanzo. Costruito su un dialogo dinamico tra padre e figlio, il volume propone una serie di avventure innescate dalle foto, di volta in volta, ammirate sulle tombe del cimitero di Saluggia all'interno del quale si muovono i due personaggi della storia. Il padre del narratore, infatti, trova ispirazione per rivelare al figlio avventure personali che ruotano attorno ai personaggi i cui nomi affiorano sulle tombe visitate. Ne viene fuori una sorta di gotico rurale di matrice testamentaria (una sorta di volontà di salvare ricordi che, altrimenti, andrebbero perduti), dove il fantastico di fondo folcloristico e agreste traspare da diversi racconti. Un parlare di fantasmi, strane apparizioni e dialoghi ultraterreni che, in apparenza (salvo poi subirlo con una sorta di rimando Nietzschiano che suggerisce un'adesione agli insegnamenti sofisti), cerca di svelare il gran mistero della vita. Cosa ci attende oltre la morte? Bruno indaga, ci offre uno sguardo, ma poi ci ammonisce dal procedere oltre, poiché scrutare negli abissi porta, inevitabilmente, a subirne un richiamo verosimilmente illusorio dettato da erronee valutazioni su quanto si pensa di aver compreso.

L'occasione è propizia per affrontare la questione con un atteggiamento alquanto beffardo e disincantato. “Non voglio andare in Paradiso. Dalle poche informazioni che si son potute raccogliere, almeno per quel che valgono, perché gli uni non sanno e gli altri inventano, non è un posto pieno di divertimenti. E, poi, lo sanno tutti che le donne più belle sono finite di sotto. Almeno li hai da fare in modo piacevole e nessuno ti fa la predica e di sicuro incontri gente che la vita l'ha saputa vivere... Il Paradiso è un posto per palati fini.”

Bruno Vacchino lascia intendere, regala suggestioni e crea atmosfere misteriche che, tuttavia, vengono quasi del tutto esorcizzate da un piglio fatalista (la condanna all'inferno o la promozione al paradiso sono viste come predestinate questioni di appartenenza sociale, in cui i poveri, abituati a interessarsi ai fabbisogni esistenziali, sono condannati anche nell'altrove per i loro approcci materialisti) dove l'ironia e l'invito a vivere la vita (anziché interrogarsi su cosa sarà) finiscono per smontare quella che potrebbe sembrare un'impostazione trascendente.

Le avventure che si susseguono (nonostante la postilla finale) suggeriscono episodi di natura autobiografica e permettono di riportare in vita soggetti trapassati da tempo, con i loro vezzi e le loro stranezze. Non tutti i racconti sono fantastici. Si parla di individui dal grande fascino, capaci di far innamorare donne e, al tempo stesso, di mettere in fuga male intenzionati, così come si parla delle avventure domenicali a bordo di un carro trainato da buoi in compagnia del nonno in una campagna di metà novecento che si veste di contorni fiabeschi con i suoi picchi, i cuculi e i misteriosi uccelli dal piumaggio ocra; ma ci sono anche gialli, incidenti mortali scanditi da disattenzioni o sogni premonitori, suicidi che suggeriscono la commissione di omicidi mascherati, chiese sbarrate che intrappolano spiriti diabolici, spiriti inquieti che si celano tra le tombe, animali psicopompi e campanari depositari di saperi arcani. Bruno Vacchino allude, lascia intendere, suggerisce, ma non rivela mai pur lasciando pensare di possedere curiose doti medianiche. Il suo è un fantastico volutamente sfuggevole, supposto e come tale interpretabile, poiché è compito dell'uomo penetrare nel significato più profondo delle cose senza accontentarsi della superficie su cui invece si soffermano la maggior parte delle persone.

Com'era anche chiamato il dio, tra i tanti nomi? L'ambiguo. E perché i suoi oracoli si potevano interpretare in due modi opposti? Perché la divinità si nasconde ai nostri occhi, sempre. È questa la sua caratteristica. Oggi si mostra con un voltoe tu credi di averla vista e domani, invece, ti appare con un aspetto completamente diverso.”

Fortissima appare dalla lettura la nostalgia per un tempo ormai lontano, più incline al sogno e più basato sui legami personali, sebbene semplici e senza particolari pretese. Un'epoca in cui per sognare bastava davvero poco e in cui si rinnovano le gesta di personaggi degni di un romanzo ormai vivi solo nel ricordo personale di chi è sopravvissuto al incedere del tempo.

Che uno non faccia mai più ritorno e che di lui si perda ogni traccia... è questo che rende terribile la morte” scrive Bruno. Ecco che Parla coi Morti si carica di una componente melanconica preponderante su tutto il resto, sebbene mitigata dal filosofare decisamente pragmatico del padre del narratore e dalla sua verve che sfiora spesso una farsa degna di Così Parlò Bellavista (1984) di Luciano De Crescenzo e, al tempo stesso, dell'oscuro argomentare per enigmi di Eraclito.

Non c'è un passato e un presente, ma un presente del passato, perché tu guardi il tuo passato da quale punto? Dal presente d'oggi e, poi, lo guarderai dal presente di domani. Ma è sempre un presente. Un presente, per giunta, ambiguo, sfuggente, perché in continuo divenire.”

Elegante nel lessico, leggero nella costruzione dei periodi, il testo scorre rapido e regala diversi interessanti aforismi e spunti di riflessione sulla vita e i suoi misteri, elevandosi dalla mera lettura di intrattenimento per penetrare in una dimensione autoriale.

I punti di ispirazione dichiarati sono l'iperbolico Gogol, Leskov e Turgenev, tuttavia traspaiono anche rimandi a scrittori nostrani come Libero Samale / Frank Graegorius (si vedano le nebulose descrizioni dell'aldilà, con i trapassati che si muovono sperduti, sulle rive di misteriosi fiumi, baciati da una flebile luce destinata ad assopirsi) o a una serie di scrittori franco-belgi di recente riproposti dall'Agenzia Alcatraz (penso a Thomas Owen e Gérard Prévot).

Merita una nota particolare il racconto che chiude il volume, Il Custode, che è un piccolo gioiellino, sospeso tra fantastico e indagine gialla; un'opera,  con le sue cinquanta pagine, in grado di rappresentare oltre un terzo dell'intero volume. In questo racconto, a mio avviso, si cela il senso del volume di Bruno Vacchino, una vera e propria decostruzione di un approccio ascetico che parte da una base di supporto contraria (“acquisire informazioni sull'aldilà per prepararsi a quel viaggio così da non farsi prendere alla sprovvista quando verrà il momento”) basata sull'idea di un'esistenza ultraterrena in qualche modo influenzata dalla precedente vita terrena. “Qui tutto è inganno... Da tempo giro per questi posti desolati e non incontro nessuno che mi dia notizie di mia figlia...”

Parla coi Morti è dunque un volume molto interessante, curato sia su un piano formale che contenutistico e assai elegante nell'esposizione, figlio di una narrativa che purtroppo non c'è più. Il fantastico torna a cercare di indagare sul mistero della vita pur contaminandosi con un'ironia dissacrante e una filosofia legata al carpe diem di Orazio, poiché niente è certo e chiaro nella vita, figurarsi ciò che non è a misura di uomo e che ci attende oltre la sfera dello scibile.

 
"Qui, nel cimitero, non tutto è morto e qualcosa sopravvive alla mano eversiva del tempo."

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